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Le ragioni del Sud |
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Giuseppe
Bonaviri
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Militello
in Val di Catania si raggiungeva da Mineo passando per la vallata della
Nicchiara per poi arrivare sull'altopiano di Callari dove il vento era
una deità sempre presente. In primavera si sentiva (come dire,
aiutatemi) murmurioso, brividoso, dilettoso tanto che capitava che,
zeffiretto inquieto per i pantaloni trapassava per tutto il corpo del
viandante; in inverno mugolava, piangeva, si portava dentro certamente
un milione di anime di morti.
Ed io seppi, ragazzo, verso il 1933, che un viandante artigiano da Mineo una volta, era ottobre, raggiungeva, sull'asino, attraverso i tratturi che si snodavano per i sassosi sottoboschi di querce, Militello dove esisteva una Esattoria Comunale consortile da cui partivano le bollette della ricchezza mobile che tartassava i poveri artigiani. E al mio paese, Mineo, gli artigiani erano molti, calzolai, sarti, falegnami, stagnini, sellai, muratori. Era veramente un particolare tipo di artigiano (ormai assai in disuso) che, oltre al mestiere coltivava umori della mente imprevisti e imprevedibili. Se sapevano scrivere, appuntavano pensieri su fogli dispersi (che la carta non era facile da trovare e da comprare), facevano poesie dai temi più strani, ma sostanzialmente meditative, o si costruivano cosmici sistemi di interpretazione del mondo, forse derivati da una area medio-orientale. D'altronde, la ben nota pietra della poesia, vero ombelico terragno di un pensiero poetico estraniante, controcorrente, eroico, che esisteva sull'altura, piena di ulivi e frumenti, di Camuti, ce lo faceva capire. Comunque, quel povero sarto che andava verso Militello con l'asino che per anima romantica chiamava Rondello in memoria del cavallo Buovo di Antona aveva un preciso progetto che oggi diremmo antigovernativo. Sulla groppa della bestia c'erano ampie bisacce. Tassato iniquamente, nonostante tanti ricorsi inoltrati alle autorità cosiddette competenti, anzi tartassato e derubato del piccoli introiti di denaro che s'addensavano nei pochi mesi estivi precedenti la agostana festa patronale, era stato costretto a chiudere la sua bottega in cui, quando era solo, si sfogava parlando coi manichini. Il suo lavoro gli rendeva poco perché, per la sua intrinseca delicata timidezza, spesso svincolava se incontrava il contadino che doveva pagarlo, cioè non voleva impacciare e deprimere il cliente del contado. Così molti finivano col non pagare, e lui, povero sarto indifeso, si era ridotto ad agucchiare qualche paio di pantaloni, o qualche giacca, nel chiuso della sua abitazione, sempre timoroso di vedersi di colpo davanti le guardie della Finanza di cui, appena si vedeva l'ombra, tutto il paese, avvertendosi da finestre e vicoli con gesti e suoni, chiudeva botteghe e bottegucce. Questo sarto, da come mi raccontavano, scriveva lettere d'amore per i contadini innamorati analfabeti, e sul retro degli avvisi di pagamento della ricchezza mobile (oh, quanto suonava irridente e buffa la parola "ricchezza mobile") tracciava poesie di cui una fu nota anche a noi ragazzi. Notte triste.
l'Esattoria Comunale
a Militello aveva due ingressi, uno del tutto secondario, in genere
chiuso in una stradetta solitaria dove arrivò il sarto con
Rondello. |
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