Di fronte ai mutamenti
sostanziali che si vanno profilando a seguito della non improbabile
partecipazione azionaria delle industrie al capitale bancario come si
colloca l'apparato creditizio che opera nel Mezzogiorno? Esistono rischi
e contraccolpi che possono limitare la sua efficienza operativa? Apparentemente
i problemi dei nuovi assetti proprietari che investono le grandi banche,
soprattutto le private, possono essere indifferenti alla dialettica
dello sviluppo delle aree deboli. In realtà questo processo è
destinato a produrre la creazione di nuovi poli industriali e finanziari
col conseguente avvio di un ciclo di investimenti per lo sviluppo che
tende a consolidare sul piano internazionale la strategia delle grandi
imprese. Non è un caso che la filosofia interventista veda in
primo piano gruppi come Olivetti, Fiat, Montedison, Ferruzzi. Come possibile
corollario di questo momento evolutivo non è difficile immaginare
l'ulteriore rarefazione dell'afflusso di capitali verso aree deboli
che, assumendo posizioni marginali nella logica di consolidamento di
mercato, vedrebbero fatalmente accentuare la dipendenza degli impieghi
dall'azione d'intervento della mano pubblica.
Nell'attuale fase di stallo occorre quindi attrezzarsi per salvaguardare
gli interessi sani dell'economia meridionale, preoccupandosi di non
disperdere i pochi segnali di dinamismo disponibili.
Nel Mezzogiorno il rapporto tra impieghi e depositi, pari nel 1984 al
45%, è passato nel 1985 al 47,1% pur sussistendo uno scarto tra
tassi attivi e passivi ancora penalizzante. Significativi sono i dati
che riguardano l'attività degli istituti di credito speciale.
Poiché nel Centro-Nord le imprese hanno potuto realizzare margini
più ampi di autofinanziamento ed attingere con maggiore disponibilità
al mercato dei capitali si è registrato un minore ricorso a questa
forma di credito. Nel 1985 l'incremento è stato solo del 7,7%
mentre nel Mezzogiorno ha raggiunto l'11,6%. Inoltre la composizione
del credito speciale si caratterizza nel Mezzogiorno per a presenza
i una quota agevolata più consistente rispetto al Centro-Nord
(44,1% contro il 28,2%) che denota la relativa fragilità del
suo impianto produttivo e finanziario.
Gli stimoli ed il consolidamento della crescita reale nelle aree deboli
hanno bisogno di nuove e più numerose riaggregazioni sul versante
del credito, per il monopolio rituale in cui di fatto le banche qui
si trovano ad operare e per la maggiore efficienza allocativa che deriverebbe
da strutture imprenditoriali meglio dimensionate. Esigenza questa sempre
avvertita ma resa ora pressante dai legami più stretti che si
profilano nel rapporto banche-imprese e dalla conseguente nuova dialettica
che verrà a governare le regole della concorrenza nel settore
del credito e del mercato finanziario. l'obiettivo dell'industrializzazione
resta sempre centrale per lo sviluppo del Mezzogiorno. Ma in uno scenario
di continue trasformazioni tecnologiche e di alta competizione internazionale
l'esigenza di costituire nuove imprese e di rinnovare continuamente
prodotti e processi produttivi necessita di investimenti massicci che
non possono essere soddisfatti con i meccanismi residuali del credito
agevolato e degli incentivi finanziari. Questi risultano sempre meno
determinanti nello stabilire la convenienza verso l'esercizio di attività
produttive nelle aree deboli in assenza di una strategia globale coinvolgente
anche gli interessi dei maggiori gruppi industriali e finanziari. Questa
strategia è imputabile com'è noto alla politica dei redditi,
alla politica industriale, alla politica fiscale e finanziaria del Governo
e dei centri istituzionali ma in sede regionale e locale, oltre agli
atti amministrativi incidenti sul comportamento delle aziende, un utile
supporto può essere assicurato attraverso il riassetto dell'apparato
creditizio dal momento che i suoi servizi costituiscono il veicolo più
rappresentativo se non egemone nella guida all'ampliamento della base
capitalistica. la presenza di un sistema di incentivi atto a mantenere
un adeguato differenziale a favore dell'investimento industriale nel
Mezzogiorno è stata ritenuta ancora utile e necessaria dal legislatore
(legge 64, 1 marzo '86) ma rischia di non essere sufficientemente appetibile
se non si predispone una gamma di servizi di supporto all'attività
d'impresa (consulenze di rilievo strategico nel campo della finanza,
informazione sui mercati esteri, ecc.) che in prima battuta consentano
di rendere polpabili i vantaggi della locazione. Questi servizi sono
riconducibili allo sviluppo di un sistema bancario più omogeneo
ed aderente a quel ruolo propulsivo che da più parti gli viene
richiesto, accelerando la tendenza a porre in secondo piano i compiti
d'intermediazione rispetto all'esercizio di attività finanziarie
cui consegue una vasta ricomposizione dei portafogli.


In un tessuto economico in cui la carenza di società per azioni
non consente l'approvvigionamento diretto sul mercato dei capitali,
il sostegno del sistema bancario alle imprese produttive deve risultare
più penetrante e articolato in ragione delle diverse componenti
che influenzano il mercato dei beni e dei prodotti finanziari. La crisi
degli investimenti industriali nel Mezzogiorno ha coinciso finora con
la crisi dell'intervento straordinario quasi che i due fenomeni fossero
riconducibili ad un unico schema. L'approccio a nuovi programmi di sviluppo
oggi invece può essere perseguito in condizioni diverse e meno
uniformi sia perché sono mutate la direzione e l'entità
del progresso tecnico, sia perché sulle economie di localizzazione
incidono le differenze che una non omogenea distribuzione dello sviluppo
ha prodotto sul territorio.
Questa difformità si riflette naturalmente sulle diverse prospettive
di allocazione delle risorse ma lo snodo centrale per un movimento nazionale
ed internazionale del capitale orientato verso lo sviluppo delle aree
deboli passa attraverso il sistema creditizio e la sua dinamica capacità
di attrezzarsi per fornire contributi sostanziali alle condizioni di
convenienza dell'esercizio di imprese. La Banca d'Italia insiste da
tempo sulla necessità di intraprendere iniziative che accentuino
la crescita dimensionale delle aziende. La via delle fusioni, delle
concentrazioni, delle attività consorziate, della specializzazione
e della esecuzione di sovrapposizioni va percorsa senza attendere che
lo stato di fibrillazione in atto produca condizioni di necessità.
la pressione concorrenziale che verrà maturando nei prossimi
anni renderà la dimensione operativa attuale non sempre sufficiente
a garantire i requisiti minimi di una gestione economica.
La polverizzazione delle aziende di credito è stata talvolta
segnalata come fattore di ritardo nell'organizzazione dinamica del mercato
meridionale, talaltra come espressione pluralistica dell'impegno produttivo
che si andava consolidando ed evolvendo. Questo metro di giudizio utilizzato
in negativo o in positivo nella logica di un localismo imperante è
di fatto superato dai nuovi equilibri capitalistici che investono interessi
situati ormai su tutto il territorio nazionale. Quindi la competizione
non può essere sofferta e vissuta all'interno di un sistema chiuso
a meno che non si voglia impedire l'avvio di un nuovo ciclo di investimenti
per lo sviluppo in aree che verrebbero poi penalizzate dall'isolamento
progressivo. Evento questo in contrasto con l'approccio alla nuova gestione
dell'intervento straordinario e con i generali orientamenti del mercato.
Non esiste certo una relazione automatica tra l'attività delle
banche nell'area dove sono insediate ed il credito che viene utilizzato.
Tuttavia come la caduta del credito agevolato ha concorso nell'inasprire
il costo del denaro al Sud, è possibile immaginare che effetti
indotti di segno positivo sul versante delle imprese produttive possono
essere riconducibili alla riorganizzazione del sistema creditizio.
Il momento sembra anche propizio per dare vita alla costituzione di
società finanziarie con funzione intermediaria tra le imprese
e la Borsa. Queste società potrebbero raccogliere con l'emissione
di azioni mezzi finanziari da destinare alla ricapitalizzazione delle
imprese piccole e medie con solide basi di gestione. Si creerebbe in
questo modo uno strumento più duttile e vicino all'evoluzione
del mercato finanziario consentendo alle imprese un ricorso al credito
più agevole ed alle banche la possibilità di ridurre le
quote di credito in sofferenza. Per questa via sarebbe anche possibile
praticare una più accurata selezione tra le imprese produttive
la cui solidità finanziaria costituisce presupposto essenziale
nel perseguire obiettivi di sviluppo reale. L'avvertita esigenza di
maggiori e più complesse attività direzionali e di servizio
nel settore finanziario vede comunque in prima fila istituti di credito
presenti nella realtà meridionale. Sulla via di una loro più
razionale organizzazione pesa forse il dilemma del prigioniero, cioè
quella particolare situazione in cui ciascuno evita di assumere iniziative
nel timore di restare bruciato. Ma non sempre si può assicurare
la sopravvivenza puntando sull'altrui debolezza più che sulla
propria forza.

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