Dopo mesi di attenzione
per la questione meridionale conclusi con il varo della legge per gli
interventi straordinari, in sede di approccio all'articolazione di uno
strategia propositivo si spolverano vecchie tematiche che non suscitano
motivi esaltanti di speranza. Le luci della ribalta sono centrate sui
solari e sul costo del lavoro. C'è chi ritiene utile tornare
alla disaggregazione salariale come incentivo all'investimento, prospettando
per il Sud effetti taumaturgici connessi ad una ripartizione del salario
per fasce territoriali. C'è chi suggerisce di ampliare nel Mezzogiorno
l'area della fiscalizzazione degli oneri sociali con l'intento di rianimare
gli asfittici meccanismi del mercato del lavoro.
Intanto va precisato che dai parametri della produttività aziendale
(punto di partenza obbligato per valutare l'opportunità dell'operazione)
si ricava che nel Mezzogiorno esso risulta notevolmente inferiore rispetto
al Centro-Nord. Di riflesso il costo del lavoro per unità di
prodotto è più elevato al Sud del 4-5%. Tale svantaggio
non riguarda il rendimento della forza lavoro ma le condizioni organizzative
e di capitalizzazione delle imprese e più in generale le carenze
riconducibili allo stato delle infrastrutture. Esistono quindi nell'area
meridionale più fattori eterogenei e coincidenti che rendono
obiettivamente difficile la condizione economica dell'impresa sul mercato.
Un progetto di solari differenziati che nell'intenzione dei proponenti
dovrebbe dare al Sud effetti di stimolo sul versante degli investimenti
e dell'occupazione appare troppo isolato e scarsamente significativo.
Sia perché c'è il fondato sospetto che in corrispondenza
a diminuzioni salariali si abbia una caduta del reddito spendibile,
quindi una rarefazione dei consumi ed una conseguente caduta della domando
effettiva. E' vero che il parziale aumento di occupazione determinerebbe
un incremento del reddito disponibile ed un accresciuto potere di acquisto
da riversare sul mercato dei beni di consumo ma è altrettanto
vero che tale incremento non aumenterebbe di entità pari a quella
del reddito prodotto poiché una quota di esso è destinato
al risparmio. Naturalmente queste considerazioni valgono per le ipotesi
di una generale riduzione dei salari al Sud connesso ai rinnovi contrattuali
- cosa diversa sono invece le istanze di flessibilità sollecitate
in più sedi per quella componente retributiva riferito al salario
d'ingresso, ai contratti di formazione e ad altre forme di lavoro parziale
che attengono ad esigenze avvertite su tutto il territorio nazionale.
Gli investimenti nelle aree deboli risultano scarsamente sensibili alla
flessione del costo del lavoro in presenza di circostanze esterne che
concorrono comunque a mantenere rigido il costo dei prodotti. La loro
espansione sembra invece più direttamente collegata alla dinamica
della domanda effettiva e dunque alla capacitò espansiva del
mercato che consente di valutare più concretamente la redditività
del capitale in rapporto al tasso d'interesse. Le medesime considerazioni
valgono per le proposte volte a conseguire minori oneri sociali per
le aziende operanti al Sud. Già in base alla legislazione vigente
gli oneri sociali risultano nel Mezzogiorno inferiori di circa il 30%
rispetto a quelli corrisposti nel Centro-Nord. Ma nonostante queste
agevolazioni il costo del lavoro risulta ancora penalizzante per l'industria
meridionale in virtù delle componenti negative già ricordate
che pesano sugli indici della produttività aziendale. Sarebbe
dunque più proficuo esercitarsi nell'elaborare strategie di supporto
alla promozione degli investimenti produttivi nelle aree deboli che
implicano considerazioni più complesse sull'organizzazione di
uno spazio-mercato reso meno dipendente dalla spesa assistenziale.
Sul fronte del mercato del lavoro più volte sono stati sollecitati
miglioramenti di tipo istituzionale capaci di assicurare un grado di
flessibilità compatibile con le esigenze aziendali. Il motto
più mercato - meno stato non implica anarchia ma il riordino
del sistema perseguito attraverso una deregolamentazione regolamentata.
Gli incentivi all'occupazione esigono strumenti da ricercare anzitutto
all'interno di una nuova dialettica sindacale che accetti l'abbattimento
delle attuali strozzature procedurali per fare spazio ad una disciplina
delle assunzioni e degli istituti contrattuali meno rigida e formale
nel cui contesto torno utile l'inserimento di elementi che assicurino
anche flessibilità salariale.
Segnali più efficaci di una semplice ed isolata compressione
dei salari il Sud attende sul versante del credito e delle agevolazioni
fiscali. li Mezzogiorno è stato partecipe della tendenza nazionale
alla diminuzione dei tassi ma continua a persistere la forbice che rende
nei suoi confini più caro il costo del denaro. li rapporto impieghi-depositi,
pari nel 1984 al 45%, è passato nel 1985 al 47, 1% ma non si
vede ancora in modo tangibile l'allineamento ai valori fatti registrare
nel Centro-Nord, comunque superiori nella media al 50%. Ci rendiamo
conto che anche in questo caso è difficile immaginare una differenziazione
dei tassi per aree, tuttavia riteniamo che vi sia spazio per praticare
ancora azioni di riordino che assicurino più efficienza al sistema
creditizio meridionale ed interventi legislativi che consentano di snellire
la gestione e le procedure di accesso al credito agevolato. Problemi
insoluti di controllo e di responsabilità interessano poi la
gestione degli incentivi stabiliti dalla legge 64 del marzo '86 per
gli interventi straordinari. C'è la seria preoccupazione di una
paralisi nella erogazione dei fondi per la mancata definizione delle
procedure che devono regolare il rapporto banche - pubblica amministrazione.
La fisionomia dell'intero pacchetto di provvedimenti che in questo settore
devono essere disposti e coordinati è quindi lontana dall'essere
delineata.

Un'altra leva determinante
per stimolare la localizzazione al Sud di iniziative imprenditoriali
è quella fiscale. L'esenzione decennale Irpef ed Ilor e le altre
agevolazioni accordate con il decreto Visentini del 2 settembre '86
hanno certo valore incentivante non secondario ma per le esperienze
e le esigenze accumulate meritano di essere integrate con altri provvedimenti
capaci di offrire certezze operative di lungo periodo. Ricordiamo ad
esempio l'utilità di rendere operante l'attesa normativa sulla
detassazione degli utili reinvestiti, provvedimento che dovrebbe tenere
espressamente conto delle particolari condizioni di disagio presenti
al Sud.
L'attenzione maggiore va portata in breve sulla struttura finanziaria
ed organizzativa delle imprese operanti nell'area meridionale e sui
fattori esterni che rendono più onerosa la loro capacità
di stare sul mercato.
Nello condizioni date restano oscure le possibilità di attrarre
nel Mezzogiorno nuovi investimenti produttivi in assenza di normative
che rendano più flessibili i rapporti impresa - mercato e di
una strategia che orienti in senso meridionalistico le proiezioni dello
sviluppo industriale.
Un apprezzabile sforzo dal lato degli investimenti va registrato a carico
delle partecipazioni statali. Nel quadriennio 1986 - 1989 c'è
l'impegno di investire nel Sud 17.557 miliardi, pari a circa il 26%
degli investimenti complessivi programmati. Circa i due terzi sono destinati
alle telecomunicazioni ed un quinto al settore manifatturiero. Sono
impegni di rilievo che si muovono nella logica di gruppo e che vedono
impegnato soprattutto l'Iri nell'azione di potenziamento della struttura
industriale.
Ma quest'impegno può rallegrarci solo parzialmente poiché
la logica espansiva di un gruppo polivalente come l'Iri o l'Eni non
sempre coincide con le esigenze di ampliamento del mercato produttivo
nelle aree deboli. Sotto questo profilo un motivo di riflessione confortante
lo offre la Finanziaria '87 poiché presento diecimila miliardi
di minore fabbisogno rispetto all'86, elemento questo che apre maggiori
spazi finanziari al sistema produttivo e che meriterebbe di essere orientato
in fattori di stimolo per lo sviluppo della realtà industriale
meridionale. Più che guardare all'attività dei gruppi
dove dominano le economie di scala occorre agire per promuovere condizioni
soddisfacenti per la nascita di nuove imprese piccole e medie capaci
di sfruttare i coni d'ombra, cioè gli spazi di mercato non coperti
dall'azione delle grandi imprese. Si tratta in breve di mettere a punto
una strategia che consenta di combinare in un unico progetto quattro
linee d'intervento essenziali: gli investimenti delle partecipazioni
statali, le opere infrastrutturali di supporto alle attività
industriali, le iniziative per il sostegno delle imprese private, la
realizzazione di servizi di assistenza tecnica, amministrativa e commerciale.
L'adozione delle nuove tecnologie ha modificato ampiamente negli ultimi
anni le condizioni in cui nasce e si sviluppa l'impresa contemporanea,
in parte già sperimentate col rilevante fenomeno della ristrutturazione.
La dotazione di servizi reali per acquisire conoscenze sull'evoluzione
dinamico dei mercati diventa ormai un complemento essenziale per la
vita delle imprese sia in riferimento all'acquisto di macchine, materie
prime e prodotti semilavorati, sia per la promozione e l'azione di vendita
condotte all'interno ed all'estero.

I termini della
vecchia questione meridionale ancorati essenzialmente a necessità
di ampliamento del tessuto industriale tout-court oggi vengono ribaltati
dal prepotente affacciarsi sul mercato di processi e prodotti innovativi
che esigono una ricerca più sofisticata degli spazi economici
percorribili. Occorre perciò dotare le regioni meridionali di
centri abilitati a lavorare in questa nuova dimensione prendendo ad
esempio l'esperienza già consolidata in Inghilterra con le "Development
Agencies" e negli Stati Uniti con gli "Incubators; of Jobs".
Parallelamente assume rilievo essenziale il salto di qualità
atteso nei compiti di gestione delle amministrazioni locali e regionali.
Ad esse compete la responsabilità di qualificare o riqualificare
l'ambiente economico-sociale attraverso azioni concordanti con le tematiche
dello sviluppo. L'atteso risanamento del territorio e delle aree urbane
congestionate va attuato a fronte di precisi progetti di valorizzazione
delle risorse locali. Uno strumento, riteniamo unico in Italia, che
risponde a queste esigenze è stato realizzato dal Cerset di Bari.
Prevede investimenti sul territorio pugliese per 6.500 miliardi in cinque
anni inquadrati in un'ottica coordinata con le linee di sviluppo individuate.
Ora è a disposizione delle autorità pubbliche e delle
organizzazioni economiche regionali e costituisce una prima, concreta
occasione di dialogo. Diventano dunque sempre meno valide le proposte
che possono interessare l'intera quanto eterogenea area meridionale.
I differenti saggi di sviluppo regionale fanno ritenere più praticabile
l'adozione di un complesso coordinato di microdecisioni capace di incidere
sulle differenti realtà locali. La prospettiva di un aumento
dei divari interni al Mezzogiorno, che trova riscontro nella presenza
di aree a differente grado e tipologia di industrializzazione, suggerisce
sempre più insistentemente analisi ed interventi mirati. Quindi
l'azione coordinata degli enti locali e delle organizzazioni economiche
regionali diventa essenziale per individuare le differenti dotazioni
delle varie aree e le differenti potenzialità di assorbimento
della forza lavoro disponibile. Queste analisi costituiscono il presupposto
di ogni decisione orientata a quantificare l'ulteriore apporto di capitale
produttivo ed a definire la produzione di atti amministrativi incidenti
sulle scelte e sui comportamenti delle aziende. Ogni sistema di incentivi
prospettato per mantenere un adeguato differenziale a favore dell'intervento
industriale nel Mezzogiorno ed orientato nel senso dell'ampliamento
della base produttiva potrà rendersi utile e stimolante solo
se la dialettica per lo sviluppo subirà un ripensamento radicale,
capace di creare nei territori meridionali spazi economici di aggancio
alle nuove realtà tecnologiche, finanziarie ed organizzative
che si vanno affermando nel mondo occidentale.
In quest'ottica aiutano poco le ricette semplicistiche che accentuano
la differenza tra protagonisti e comprimari, tra chi controlla la produzione
e i processi informativi e chi no. Meglio allargare l'arco delle forze
e delle idee, mobilitate nella sfida a rimettere in gioco il Mezzogiorno
come elemento di equilibrio e di aggregazione di una economia ad unica
velocità di sviluppo. Con l'avvertenza che un'azione di tale
respiro richiede consensi articolati, una cultura di movimento antitetica
a quella di conservazione che sorregge a fatica una realtà ingessata,
incline ancora a confondere il mercato con l'arena dei mercanti.
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