Appartato e schivo,
Gabrieli ha un amore particolare per la solitudine, che però
non è mai presunzione, ma desiderio di riflettere e di approfondire
-per conoscerla nei più segreti risvolti - la realtà.
Voglio dire l'amara, complessa realtà della nostra terra. La
sua, dunque, è una dolorosa ritrosia, che registra il pensiero
debole della cultura contemporanea e, per contrappasso, sceglie di risolvere
la vita quasi esclusivamente nell'esercizio dell'arte. Quasi: perché
a volte apre a pochi - e sicuri - amici i misteri e i segreti delle
sue tele. Si chiarisce così perché egli, nella contemplazione
della realtà naturale, operi un deciso distacco estetico e morale
da tutto ciò che vi può apparire occasionale, episodico,
pleonasticamente descrittivo, e riduca la rappresentazione ad uno schema
finale pacato, quintessenziale di forme e di spazi, che esclude ogni
traboccare soggettivo e irruente e confuso di sentimenti e di sensazioni.
Sintesi di una reazione artistica, la suo, che sa farsi verità
lirica nel pennello scabro, nelle immagini di una fedeltà densa,
senza cedimenti all'estrinseco.
La sua pittura, allora, è una meditata, paziente affermazione
di una qualità umana (ed etica, ripeto) che non aliena da sé
il "prodotto" del lavoro stesso, ma crea un rapporto fra dato
contingente e struttura di forme essenziali e nette, e una limpida dialettica
fra soggetti e valori cromatici. Nella ricerca di una primaria architettura
di volumi e di superfici luminose, oppure nella scansione di zone e
di fasce accese d'una violenza aurorale, Gabrieli traduce la sua passione
di spirito solitario, la sua esigenza di un assoluto che si rispecchia
nell'ordine armonico delle cose e del tempo. Nel percorso di un colore-luce
radicato nel segno, nelle distese cromatiche sobrie e profonde, nelle
falde cristalline, decise nel loro timbro espressivo, è il percorso
della sua storia di artista fedele al suo mondo e alla sua concezione
del mondo.
La luce: ecco ciò che affascina Gabrieli; ecco l'elemento magico,
vibrante, struggente, sempre emblematico, che anima (diffusa, lacerante,
in nuce, emergente da coni d'ombra, oppure poeticamente accennata, o
lasciato presagire) tante sue opere, da quelle legate ai temi e alle
figurazioni della terra messapica (luce che intride volti di terracotta,
o paesaggi di stupefacente "solitarietà") a quelle
più complesse, allusive, simboliche di questi ultimi anni, punto
d'arrivo di una ricerca espressiva macerante, e proprio per questo ricca
di significati, di messaggi, di "provocazioni" persino: la
luce colta nel suo svolgersi eterno e nella sua eterna fissità:
quella che muove la mano del pittore e che commuove l'occhio del fruitore;
che crea i volumi e le prospettive; che suggerisce gli spazi e le sconfinate
superfici; che coinvolge senza scampo; di cui traboccano anche i colori
più dominati; che fa densa la distillazione tonale, quasi frutto
biologico dell'umoroso pensiero dell'artista.
Voce autonoma e solitaria, dicevo. Ma vitale. In virtù di stile,
di depurazione strutturale, le tele di Gabrieli sono sempre state, intrinsecamente,
"nuove". Non per moda culturale, e meno che mai per opportunismo
mercantile; ma per l'umana capacità di inserire senza ridondanze,
senza aure metaforiche, con assoluta pregnanza oggettuale, la comunicazione
diretta del rapporto storico fra artista, ambiente, tempo, in un sistema
asciutto e rigoroso dei segni cromatici, luministici, spaziali. E non
è, questo, un segreto da poco.

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