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DOPO IL RAPPORTO SVIMEZ - 2
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Ma intanto ricostruiamo le cittą |
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S.B.
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Questa
volta, la presentazione del Rapporto Svimez ha coinciso con un momento
politico davvero decisivo, fra l'elezione del nuovo Parlamento e la
formazione del nuovo governo. Il che avrebbe dovuto accrescere il valore
di ideale promemoria che esso ha sempre avuto per la qualità
delle sue due tradizionali parti: quella analitica e quella propositiva.
Così non è stato, né a Napoli né nei giorni
successivi. A volerla dire tutta, anzi, si ha la sensazione di un certo
distacco, o peggio ancora, di un certo isolamento "culturale"
della Svimez rispetto al resto del Paese. In fondo, il Rapporto (ancorché
nella forma ridotta di quest'anno) ha in sé tutti gli elementi
di conoscenza utili e tutte le linee propositive per affrontare, anche
sulla base dei suoi mutati termini, la questione del Mezzogiorno, cui
certo non ha giovato - citiamo dal testo - "l'illusione a lungo
pervicacemente coltivata che i progressi certamente rilevanti conseguiti
negli ultimi trent'anni fossero stati sufficienti a far maturare nella
società meridionale energie sociali e politiche, morali e culturali,
di modernizzazione e di civiltà, tanto forti da prevalere su
quelle che ( ... ) agiscono pesantemente nella legalità e nella
illegalità per minare alle radici proprio ogni progetto di modernizzazione
e di civiltà". Questa illusione, di cui parla Saraceno,
ha la sua premessa in un vero e proprio errore storico, contro cui si
accanì la passione civile dell'ultimo Rosario Romeo: quello,
cioè, di un Mezzogiorno espropriato dallo Stato unitario di un
suo specifico e autonomo progetto di sviluppo, mortificato dall'Unità.
La verità è la stessa, oggi come ieri: il Mezzogiorno
non è solo, né da solo può farcela. Esso è
parte, in ogni senso cospicua, di uno Stato industriale moderno che
di recente, con trionfo di bandierine, si è collocato statisticamente
al quinto o addirittura al quarto posto nella graduatoria economica
delle nazioni più industrializzate dell'Occidente. Ma in tutto
quello sventolio di bandierine nessuno si è ricordato di dire
che quello stesso Paese, unico fra i suoi partner, cova al suo interno,
quasi celandolo come un male incurabile, un problema di divario economico
e di sviluppo delle dimensioni di quello che ancora separa il Sud dal
Nord d'Italia. Puntualmente annota ancora il Rapporto: "Del resto,
non può essere senza conseguenze sulle prospettive del Nord il
persistere di tanta parte della società meridionale nel disagio,
nell'umiliazione e nella violenza che nascono dalla mancanza cronica
di lavoro per le giovani generazioni".
Fra queste amare quanto fondate annotazioni, l'unica parte "prelevabile" del Rapporto, in qualche modo compatibile con la visione alternativa della nuova classe di governo, è quella che riguarda una prima fase intermedia per affrontare la questione urbano, con la realizzazione di opere di ulteriore infrastrutturazione e di sistemazione del territorio e delle città, che dovrebbero avere due effetti: uno immediato sull'occupazione; l'altro, mediato, volto alla preparazione di un terreno più favorevole a nuovi investimenti, non tutti certamente nel settore dell'industria. E' il solo modo di guardare realisticamente, per il momento, a un Mezzogiorno che esprime grandi potenzialità e insieme grandi ostacoli. Su questa contraddizione - è ancora il Rapporto a parlare - la malavita organizzata affonda le sue radici e muove i suoi tentacoli. Quindi, questa visione di un Mezzogiorno ancora lontano da un ordinato sviluppo, al quale si continuano a riservare risorse sostitutive e non aggiuntive, non è popolare, né gradita, né diffusa, anche se probabilmente è la più vicina alla realtà. Essa viene però lodata a cadenza annuale, con un'operazione un tantino rituale e quasi doverosa per essere poi obliterata da provvedimenti e da atteggiamenti che non sono coerenti con il conclamato obiettivo del superamento del divario fra Nord e Sud. A meno di voler pensare che quest'ultimo obiettivo non sia più tale: che esso sia, cioè, scomparso dai programmi e financo dalle intenzioni di chi deve realizzarlo. |
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