Il quarto nuovo
autore dell'inchiesta di Sudpuglia abita da due anni un mitico incantevole
paesino a due passi da Martano. Il paesino in questione è Borgagne,
noto per essere, da sempre, culla di belle donne normanne ma anche
di milioni di cepponi d'uva che danno un rosato squisito. L'autore
è un pittore, Oronzo Coluccia, ovvero un'avventura, una felicità
mentale, spericolata (in pratica viene a darci, e ci riesce benissimo,
testimonianza del caos, leggi e fortune di un disordine avvincente,
maturo coloristicamente, anche se ]abile!).
Coluccia, per molto tempo emigrato in Svizzera, è un poeta
della digressione (primi nomi: Barucchello, Leandro), uno che per
puro ardore, per istinto, fa i conti e poi facilmente gioca con quella
strana combriccola di folletti e fantasmi che presiede e regola la
nostra vita; ha uno stupore per tutto (riesce a trasmetterlo in modo
colossale), sembra che tutto bruci, che tutto frani, che tutto sia
nato dalla non fragorosa spaccatura di una rossa e friabile argilla,
e che lui, Coluccia, d'intesa con chissà quale misterioso dio
della profondità, si diverta, s'ingegni a darci forme chiave,
simboli chiave, un po' come quelle regole valide per tutto e per tutti
dei "Tarocchi" di Giordano Bruno.
Ogni sua tela è un rettangolo testo. Quando riesce a placare,
a dominare i suoi fantasmi, la tela è una festa sconsiderata,
parodistica, parossistica, ricchissima (altri nomi: Serrault, certi
espressionisti): l'uso del rosso, del giallo, del blu è divino.
In un sol colpo, da Zurigo a Borgagne, praticamente dominando e imperando
in quel favoloso, suggestivo e immenso regno della Scuola di Parigi.
Densa e pastosa la sua pittura. Vertigini cromatiche, bufferie cadenzate,
citazioni visive e verbali, a volte ammiccanti, a volte, non sempre,
volutamente banali, decorative. Ma il suo segreto è tutto nell'armonia
della composizione, nel saper dosare con maestria e umiltà
lo spazio a disposizione. è anche un lettore. Ecco. Un attento
ma nello stesso tempo allampanato lettore delle sue stesse cose. A
questo punto vi lasciamo immaginare quanto creativa, voluttuosa e
vulcanica deve essere la sua officina. Animali dalle lunghe orecchie,
profili, greche, perfino vecchi orologi, arzigogoli combinati nei
solito suo mondo segreto, impenetrabile, suggestivo, incontrollabile,
ai limiti della purezza, del furore. Conigli che sembrano colombe,
uccelli un po' perfidi, un po' malinconici, personaggi in primo piano
saggi e grintosi, situazioni stranissime, densissime; stupenda la
ragazza alla Van Gogh con una fetta di cocomero e tanto cielo, le
mezze teste di Mirò, serpentelli e draghi, il troppo amato
Pablo ... e le citazioni continuano, c'è Guernica, c'è
Lennon e il suo mito ("il filo conduttore"), ancora serpentelli
in mezze tavolozze e mani e chiavi di violino (quanto mai verde),
un goffo enciclopedismo, un florilegio di colori. Il suo è
un viaggio negli oggetti, nelle contese, nelle voluttà, nell'ostinazione,
nell'indifferenza, nel gusto del parodiare: è un controcanto
della migliore scuola, se il controcanto ha mai avuto una scuola.
Difficile non leggere nelle sue tele l'inferno della sua emigrazione,
tali e tante sono state le sue esperienze in una Svizzera non certo
idilliaca. E allora Borgagne, il Salento, il piede sempre sul treno,
un riconoscimento che deve arrivare. Ma Borgagne non è più
il paese dei suoi archi, dei suoi sogni, il ragazzo è cresciuto,
ha il suo inferno: niente più mitica società contadina
ma, ci dice, mormorazioni, dicerie e ... malocchio! Ecco allora rinasce
l'Inghilterra, secondo lui felice dimora, ideale dimora per la sua
elementarità nei rapporti, per la sua bonarietà, per
la sua essenzialità.
La sua formazione, la sua scuola? Niente scuola. In Svizzera e in
Francia ha guardato moltissimo Picasso, Mirò, Chagall, Matisse,
Calder.... l'amicizia con Roberto Sanno, l'atelier di un pittore greco
godereccio, una Zurigo ricchissima ma pronta all'arte, una collettiva
a Firenze, una a Bologna. Densa e pastosa la sua pittura, dicevamo.
Siamo nell'attimo zero della creazione; dall'universo pervaso da un
rosso indicibile sembrano staccarsi grappoli e bolle e corone e ruote
e imbuti e vetri e parti di meteore. Inconscio galoppante e dominante.
Coluccia fuori da ogni schema accademico non accetta quel che ci porto
la realtà. La vera vita è nella surrealtà, nella
realtà dilatata, nell'invenzione al limite del mistero, in
quegli audaci e sottilissimi fili rossi che possono sì mentire
al giallo, ma non possono certo resistere alla magia del blu di Prussia...
Ma cercare cosa e quante cose attendere? Il suo è un viaggio
strapieno di triboli nei nostri succulenti labirinti interiori. E'
un racconto. Una sofferta e incantata metafora. Facile perdersi. Un
faraone campeggia su di un paesaggio notturno mentre cerca di afferrare
un volatile, e il lupo vigila... l'inquietudine presente e ostinata
quando trae dal contemporaneo i suoi modelli che piacevolmente affossa
nel suo inconscio da favolista: usa tutto per tessere i suoi miti,
Chick Corea per esempio, o i Santana ... i suoi collage da esploratore
nel segno della più fervida e colorata arte povera.
Ma come perdersi nel rosso porpora di una voluttà da brigante
scaltrito? Si può, si può. E' la solita storia, il solito
destino dei trasgressori: denunciano banalità e vertigini e
sani principi. Trasgressori di carta. E' così anche il nostro
Coluccia, dominato dal terrore arabescato delle sue invenzioni, delle
sue scoperte casuali. A volte sembrano storie senza tema le sue, e
allora ci accontentiamo del cromatismo che vien fuori, delle diverse
dimensioni coloristiche, del suo materico ... : ha tanti volti l'irruenza,
tante mani e corpi l'arroganza, ma tante armi la morte! Coluccia accarezza
con filosofia tutto sua, con incredibile senso, il sogno di una grandiosa
notorietà. Trova idiota continuare adesso a dipingere se non
gli si riconosce qualcosa. Spera negli amici più schietti (ha
fiducia immensa, da bambino quasi), nella infinita lista dei suoi
protettori, spera anche in Sudpuglia, spera nell'inghilterra che ama.
Fin da bambino, ci dice, ha sognato Liverpool, Manchester, Londra...
Ma guardiamo qualche sua tela. "La scala" per esempio. Un
tuffo nel regno che da sempre dipinge, il poroso regno del simboli,
dove pesci s'innamorano di ragazze bionde e sarcofaghi fanno il filo
ad una vecchia turca che si reca al cimitero e galline e cervi e ceppi
d'uva e ciliegi che escono da un blu intensissimo e una scala che
nasce dalle profondità marine e una vela istoriata da figure
egizie (sembra una splendida icona) e Gesù che campeggia a
prua e le "tavole" che si confondono nel paesaggio ... Ancora.
"Euforia" stavolta. Bene in evidenza un ritratto di Dalì
con vestito ampolloso (sui suoi muri ritagli di Dalì, e di
Dalì ha il gusto della surrealtà, dell'estro, del disarmo),
un volto 'alla picasso', un cavallo tanto per scomodare anche De Chirico,
rondini, volatili in genere, e l'Uccello Gigantesco (vecchio sogno
dell'uomo) e un profilo di donna con sull'occhio una farfalla e ossessioni
più o meno evidenti e vestito regale e scultorei vezzosi oggetti
e un pesce sopra un tappeto volante e un gallo arcigno tra lingue
di fuoco ... mentre sopra la vita continua come una giostra che rosicchia
l'azzurro ... E poi ("Leggerezza") una pacatezza tutta orientale
chiusa in mille spezierie su delle tele enormi, anfore, acropoli,
teste di leopardo, donnine che sembrano esili e divertiti cardinali,
e qualche volta il bianco dominante e uccelli-drago sopra mezzalune
e cupole, in una atmosfera leggerissima. E c'è uno splendido,
avido, borioso, avventuroso, incredibile "omaggio a Picasso"
(due anni di lavoro), già esposto a Firenze, di una densità,
di un vuoto, di una disarmonica rappresentazione della vita ... Il
divino è a portata di mano. Si tocca.
Coluccia, che pretende anche una sorta di ammirazione estasiata dall'eventuale
lettore delle sue tele, è di una voracità incredibile.
Nella fusione testo-segno le citazioni più impensabili, il
suo mondo a fili, a greche stupende (è necessario ripescare
Lennon perduto tra i coralli). Si dice appassionato di medicina solamente
per introdurci una sua tela ("Birdy") piena di note e rondini
e una fuoriserie guidata da uccelli e figure e figurazioni di sconcertante
trapezismo e corpo umano sezionato. Citazioni, naturalmente, anche
qua. Il mondo è di una varietà! Ancora. Relazioni indescrivibili,
a tutta tela, le spericolate sguscianti auree invenzioni sul dorso
di un cinghiale. Un mondo fantastico, insomma, lillipuziano, strapieno
di carica inconscia, giochi cromatici e splendori e coscienza del
tempo e quanto mai poetiche trasfigurazioni.

Oronzo Coluccia a Borgagne ha uno zio, zio Apollonio, che è
il ritratto di Ligabue (un vecchio che guarda con ruvido stupore le
sue tele). Non ha molto altro. Ci racconta, ci dice con avidità,
invece, della sua incantevole e quanto mai amara esperienza svizzera,
cominciata nel '72, a Zurigo, quando fonda la sua prima band, dipinge,
conosce gente, s'intrufola tra i pittori, ecc.; esperienza poi finita
con una sua totale non accettazione e conseguente allontanamento (solita
vecchia storia: non ci è voluto molto a non accettare il puro
De Candia, o a schiacciare l'esplosivo Leandro) cercando di tenere
sempre accesi i peccati dell'eccesso e della vitalità. Bene.
Tra tanti amici là conosciuti che lui stima, e la memoria addolcisce,
Rolando Sanna pittore, Aristotele pittore, Croci medico, e Lüthi
e Contangelo e Aldner e Veneziano; c'è una signora che corre
spessissimo nei suoi discorsi. E' Katerina Sprüngli, un angelo
appassionato d'arte; molto ricca, proprietaria di due fabbriche di
cioccolato e di una serie di caffetterie, intraprendente e riservata
mecenate di pittori e scrittori in grosse difficoltà. Lì
a Zurigo, sulla Bahnofstrasse. Ma è sempre l'arte a spuntarla?
Meccanismi surreali, di una surrealtà intensissima, al di là
del sogno, stazionanti nelle sue continue cefalee, tra i pettegoli
e dispettosi folletti dell'insonnia ... : le mille facce e i mille
giochi, le mille perversità sono là nelle sue tele,
il mondo dove tutto è possibile, bizantinismi e sregolatezze,
oscenità della mente e dolcezze incredibili (in "Riflesso"
è il pancione di una donna in attesa che una amazzone bacia!).
L'uomo è sempre in attesa, tra coloratissime vele e segnali
nell'acqua, e forse altro non è che questa pervadente, sottilissima
malinconia che tutto incide e in tutto s'insinua, con stupore, a volte
con clemenza...
"Il Greco", su sfondo nero, ha delle essenzialità
stupendamente picassiane, in morbide movenze, in sguardi affascinanti,
distratti, forse ossessionati. Si accentuano gli aspetti floreali,
i punti di colore, i ghirigori, nell'economia delle sue baldanzose
tele. Il più delle volte è il particolare ad essere
in rilievo, e le sue celebrazioni altro non sono che le sue continue
sconfitte, o le sue audacie mozzate, o le sue immense catastrofi,
o ... il solito correre stolto. Così. Splendidamente torna
l'Africa e il suo Picasso e gli occhi sbarrati, a decine, e i suoi
stregoni e i vari addobbi e "il vecchio con pipa" e il solito
metà corpo della solita africana sulle cui gambe sono incisi
simboli di felicità e chiusure e voluttà incredibili...
La solita splendida storia, il testo aperto, il senso, il palpabile,
la friabilità, l'argilla. Bene, bene. Coluccia chiuso in casa
a plasmare, a inventare, a ritoccare le sue meraviglie, i suoi paesaggi
mentali, i ricordi, le malinconie, i presagi, le ore consumate. Coluccia
chiuso in casa è una sorta di semidio, di demiurgo, a volte
felice, a volte scontroso, a volte ... Sì, va bene, ma come
dire al mondo della scelta fatta? Come dire della propria rivoluzione,
consumata, da consumare, del proprio essere giullare, della fame di
ogni cosa, del proprio racconto, dei ghiribizzi, delle voracità,
delle vertigini?
Oh, c'è "l'asino col fiore in bocca" (ancora Africa),
uscito da una sua cefalea, da una frenetica scommessa con la vita,
dal recit surreale, tiritere, splendori punteggiati, giovinezza, paure,
gesti, sommesso dolore...

"Il sogno", finalmente. Da raccontare. Si è appena
svegliato. E' in un bar svizzero. Ha ordinato un caffè. Primo
sorso e gli occhi di una splendida donna bionda (velati, angosciati).
Al secondo sorso una mucca. E la ragazza e la mucca si confondono,
sulla tela è una specie di centauro dal capo raggiato. Divinità.
"Ancora oggi, ci dice, sono ipnotizzato dagli occhi di un bue,
di un cavallo; poi ho pensato: ma una mucca non va mica al ristorante?".
Stupenda e segreta mia Harlette, col suo male e la sua tristezza nelle
viuzze medievali di Sciaffusa! Angosce, inganni, violini verdi, le
sere dopo le sere, le usate confidenze, le finzioni, gli amori ...
Che succhiare da questa vita?
Ecco, cominciamo a fare il punto su Oronzo Coluccia pittore, creatore.
lo facciamo noi. lui ... lasciamolo correre dietro le sue sofisticate
boutiques, dietro la sua Inghilterra ... Coluccia è così.
A volte ha sogni e progetti comunissimi, la nuova band, ville immense,
lussuosi macinini. Quando invece è l'inconscio creativo a farla
da padrone, allora i suoi pensieri e le sue tele riflettono stupendamente
le sue ossessioni, levoci notturne, la speciale assunzione, tutta
sua, di Mirò e Picasso e Matisse, certi oggetti-simbolo calati,
con una forza da grande narratore, in un groviglio di sensazioni e
di forme. Ancora. Le tiritere voraci, i voli arditi della sua spericolata
e coloristicamente gaglioffa fantasia, i suoi piani di colore, le
sue bravate in ghirigori, in greche, in eliche, uccelli, la sua straordinaria
e sterminata voglia di raccontare, la ricerca inconscia e continua
dell'uomo dorato, della gallina dalle uova d'oro. Eccetera. Eccetera.
Fantasia e cultura e anima da grande disertore. Nient'altro.
La sua colossale semplicità è nient'altro che il solito
suo succoso mondo, un mondo strapieno di varietà antropomorfe
e situazioni e volti (una sorta di mondo joyciano). Una universalità
polverizzatrice. Oronzo Coluccia un primitivo? No di certo. Istintuale,
questo sì, sempre pronto a rincorrere una poeticità
antica, questo sì. Carico, poi, di quella fascinosa sostanza,
di quei miti sotterranei, di quella materia friabile, rugosa, che
nasce e muore e si ricrea dal faraonico e ampolloso ma anche polverizzatore
caos ... Sicuramente inconsci - o almeno nati dal suddetto caso amico
- anche i suoi impasti. Fittissimi scorrono i suoi profili, i suoi
mezzi volti, le sue felci, i suoi uccelli, le sue lumache ... : un'espressionismo
insito, istintuale dicevamo, anche se raffinato. Ecco, crediamo di
poter dire che il suo vero mestiere è svelarci quei che di
più orrido e misterioso e fascinoso e meraviglioso c'è
nella vita! Serve poi tutto. La frenesia d'andare, le esplosioni di
candore, il furore verbale, le sue donne, le sue madri predatrici,
quasi sempre silenziose, pronte a dilatarsi, a polverizzare ... Sono
sempre là i suoi collages bizzarri, i suoi idoli, i suoi maestri,
sempre lì, in quella sottile atmosfera di trasgressione, pronti
alla parodia, alle digressioni, alla surrealtà...
Che altro? Estrema sfiducia in critici e galleristi e piccoli collezionisti.
Le sue tele, secondo lui, non hanno prezzo, o se volete hanno un prezzo
altissimo. Odia, in definitiva, i piccoli mercanteggiamenti. Alla
fine, ci dice, è sempre la favola che vince! E' un po' come
quei suo cavaliere, incontenibile, mentre combatte il fungo atomico:
candido, deluso, innamorato!

Da notare, ancora una volta, la grossa armonia nella costruzione della
tela, i suoi insiemi, i suoi congegni sempre più al limite
del sogno, dell'azzardo. Provate ad inoltrarvi nella sconfinata follia
del "direttore d'orchestra" che quest'oggi la sua musica
la prova in strada, tra fiori, fischi del treno, la gente che passa
e si esalta tra rumori e colori...
La sua boscaglia è fittissima. E sono tanti i fili e i rapporti
e gli ammicchi, privilegiati bisogna dire, che la nostra iniziale
certezza di lettori sconfina e si perde piacevolmente. Ma è
frutto del sogno, solo del sogno, questa immensa terra di fuochi e
di lacche? E a cosa porta e da dove viene quell'odore mistico de "L'irraggiungibile",
deliziosissima e delicatissima scena chiusa tra due mari: una favola,
in effetti, nata per confermarci la meraviglia del mondo? (E' opera
del 1985. Come pure dell'85 è "La Sirena", una squisitezza
mediterranea, una epopea del piacere di vivere in piena libertà,
nell'estro parodistico, nel rettangolo testo dov'è facile alimentare
appunto una laccata surrealtà, una irresponsabilità
dorata).
Ecco, la lettura delle sue tele sempre più aperta. Anzitutto
la struttura complessa, misteriosa, magica, profetica (ogni tanto
vien fuori la gabbia: una gabbia racchiude la vitalità di una
stupenda "Betissa" che ci ha dedicato); tutto nelle sue
tele è equivalente alla sua acutissima insonnia, agli alchemici
mostri del dormiveglia... Simboli voraci di una splendida estrema
commedia, in uno spazio-pagina brevissimo, delimitato, scontato e
diviso dai diversi piani di colore, dal suo cromatismo innocente.
Anche mostri, creature della notte, inseguiti, in pieno candore, da
citazioni eteree e allo stesso tempo pastose (l'impasto, lo ripetiamo,
è densissimo, a volte mesi di lavoro per una tela; sgomenti
e rabbie finché non viene fuori l'effetto desiderato). Moralismo,
ironia lieve, banalità, assurdità, segni primordiali
... : quando ci parla della popolazione delle sue tele è tale
e tanta la sua fantasia, l'immenso e mesto e audace suo mondo, da
farci quanto meno arrossire...
In quali pensosissime ombre, sulle ali di quale vertigine, fra quali
dispettosi folletti e segrete chimere corre la poesia, la coscienza
di sé?