Nell'ottobre
'86 avevo sottolineato la necessità di eliminare la fonte primaria
degli squilibri della finanza pubblica, quella costituita dal fabbisogno
al netto degli interessi. L'obiettivo di azzerare entro il 1990 il disavanzo
primario del settore statale era stato indicato nel piano di risanamento
presentato dal governo pochi mesi prima. Il progressivo alleggerimento
della pressione esercitata dal Tesoro sul mercato dei capitali avrebbe
reso possibile ridurre l'onere degli interessi, retaggio del debito
accumulato negli anni passati.
La discesa
dei tassi
Nel 1987, la discesa dei tassi, avvenuta nell'anno precedente in connessione
con il forte calo dell'inflazione, ha consentito, dopo anni di continui
aumenti, di mantenere pressoché invariata la spesa per interessi,
nonostante l'espansione del debito da 767.000 a 878.000 miliardi.
Detta spesa (inclusa quella attinente alla raccolta postale) è
stata dell'ordine di 75.000 miliardi, a fronte dei 73.500 dell'86;
se, ai fini di un raffronto omogeneo, si sottrae il gettito dell'imposta
sui frutti dei titoli pubblici, l'onere per interessi si è
collocato sugli stessi livelli dell'86. In rapporto al prodotto interno
lordo l'onere lordo per interessi è sceso fra i due anni dall'8,2
al 7,7 per cento.
In base alle stime ufficiali, il fabbisogno al netto della spesa per
interessi, cioè la fonte dello squilibrio della finanza pubblico,
si è ridotto solo leggermente, da 36.000 a 34.000 miliardi.
Secondo il piano di risanamento governativo, esso invece avrebbe dovuto
ridursi di circa 10.000 miliardi, consentendo di contenere il fabbisogno
complessivo entro 100.000 miliardi. L'obiettivo di ricondurre il fabbisogno
dello Stato verso il 10 per cento del prodotto, mancato nell'87, viene
riproposto con la Finanziaria '88, anche se ciò significa avere
abbandonato l'obiettivo più ambizioso, indicato nel piano di
risanamento a medio termine, che fissava in 90.000 miliardi il limite
del fabbisogno complessivo dello Stato. E' peraltro da osservare che
nello stesso '88, dato l'aumento del debito e la sostanziale stabilità
dei tassi, l'onere degli interessi è salito da 75.000 a 83.000
miliardi, per cui il disavanzo al netto degli interessi sarebbe sceso
da 34.000 a 26.000 miliardi, portandone l'incidenza sul Pil dal 3,5
al 2,5 per cento.
Il raggiungimento di questo obiettivo implicava un'azione incisiva
sulle diverse componenti dell'entrata e della spesa. I provvedimenti
di accompagnamento della Legge finanziaria dovevano fornire la necessaria
coerente strumentazione e affrontare, insieme all'aspetto quantitativo,
quello del miglioramento dell'efficienza del settore pubblico.
Nel maggio '87, riconoscendo la necessità di un'azione correttiva
anche dal lato delle entrate, sottolineai l'opportunità di
intervenire soprattutto per ridurre le aree di elusione, di evasione
e di erosione degli imponibili. Il governo annunciò poi di
voler far ricorso all'aumento delle aliquote di alcune imposte indirette
per accrescere in tempi brevi le entrate e per riequilibrare il rapporto
con l'imposizione diretta. Ma l'aumento delle imposte indirette provoca
effetti di impatto "meccanici" di rialzo del livello dei
prezzi. E' un costo non indifferente, e non scevro di pericoli: per
riassorbirlo in tempi brevi occorre che la manovra complessiva di
politica economica sia tale da incidere sulle aspettative e sulle
determinanti ultime del processo inflazionistico, tanto dal lato della
domanda quanto dal lato dei costi, in modo da piegarne verso il basso
le tendenze di fondo. Solo ricostruendo attese di rallentamento dell'inflazione
può essere superato il conflitto fra una politica monetaria
rivolta alla stabilità e le esigenze, pressanti, di finanziamento
del fabbisogno e di gestione del debito pubblico. Il permanere di
questo conflitto non potrebbe non ripercuotersi sui livelli dei tassi
d'interesse.
Il quadro programmatico delineato per l'87 scontava uno sviluppo sostenuto
dell'economia mondiale e una politica economica in grado di prolungare
gli andamenti positivi dell'86. Mercé il favorevole andamento
della domanda mondiale, la bilancia dei pagamenti correnti avrebbe
ancora registrato un avanzo di circa 6.000 miliardi di lire. L'inflazione
avrebbe dovuto ulteriormente discendere, considerando sia il deflattore
del Pil sia i prezzi al consumo.
Punti salienti
Sulla base di questo quadro macroeconomico e dell'impegno di ricondurre
il fabbisogno totale a 100.000 miliardi, la Banca d'Italia delineò
un quadro finanziario, i cui punti salienti erano rappresentati da
un'espansione dei finanziamenti al settore non statale del 7% (con
un margine di più o meno due punti percentuali per tenere conto
dei fenomeni di instabilità connessi al mutamento della struttura
finanziaria) e da una crescita della moneta (nella definizione di
M2) compresa fra il 6 e il 9%. Data la previsione del fabbisogno dello
Stato, il credito totale interno sarebbe cresciuto dell'11% circa
e le attività finanziarie complessive intorno al 12.
Il preconsuntivo dell'anno mostrò significative differenze
rispetto a quel quadro programmatico. Il fabbisogno statale, nonostante
le misure prese a fine agosto, restò sul livello dell'anno
precedente, cioè 10.000 miliardi più alto del previsto.
Lo sviluppo delle attività produttive fu sostanzialmente conforme
alle previsioni. La bilancia dei pagamenti correnti chiuse in pareggio,
anziché presentare un avanzo. A fine anno, il tasso d'inflazione
al consumo risultò, a distanza di 12 mesi, in aumento di circa
un punto rispetto a quello implicito nell'obiettivo medio annuo. Risultati,
questi, in parte influenzati da un'evoluzione dell'economia internazionale
meno favorevole dell'atteso. Il controllo delle variabili monetarie
e finanziarie richiese una successione di interventi nel corso dell'anno.
Sul finire dell'86, i tassi interbancari erano saliti di un punto
percentuale, superando il 12%. Dopo il riallineamento nello Sme del
12 gennaio si sono sviluppati forti afflussi di capitali, sia attraverso
le banche sia attraverso gli altri canali: ciò consentiva il
ritorno a condizioni più distese sul mercato monetario. Il
Tesoro si finanziava a tassi nuovamente in diminuzione: nei primi
quattro mesi dell'anno il tasso sui Bot a tre mesi scendeva di circa
60 centesimi, quello a un anno di quasi 40, fino al 9,6%, al lordo
della tassazione. Il 13 marzo, il tasso di sconto veniva ridotto dal
12 all'11,5%.
Cominciava tuttavia a costituire motivo di preoccupazione la crescita
di finanziamenti al settore non statale in eccesso al margine superiore
della fascia programmata, da parte sia delle banche sia degli istituti
di credito speciale. In febbraio si espandevano soprattutto gli impieghi
in valuta. Una prima risposta fu data introducendo, sempre il 13 marzo,
la riserva obbligatoria sugli aumenti della raccolta netta in valuta
delle banche. Ciò al fine di rendere meno conveniente l'afflusso
di capitali esteri a breve attraverso le aziende di credito. La misura
completava, sul piano istituzionale, l'armamentario di controllo delle
passività bancarie.
Preoccupazioni
Nella primavera, le preoccupazioni sull'evoluzione congiunturale assumevano
consistenza. La Banca d'Italia lo segnalava più volte in pubbliche
occasioni: una domanda mondiale più debole dell'atteso; una
domanda eccedente in misura superiore al previsto la crescita del
Pil; un'espansione del disavanzo pubblico superiore all'obiettivo;
una elevata formazione dei redditi, alimentata nel settore privato
e pubblico da rinnovi contrattuali spesso al di là dei tetti
prefissati; una tendenza al peggioramento delle partite correnti della
bilancia dei pagamenti; l'esaurirsi della fase di diminuzione del
tasso d'inflazione; l'indebolimento della domanda di titoli dello
Stato e l'accelerare della crescita dei depositi e soprattutto dei
prestiti in lire.
Agendo attraverso i finanziamenti concessi alle aziende di credito,
la Banca d'Italia spingeva al rialzo i tassi a breve: la media mensile
del tasso overnight, pari al 9 per cento in aprile, oscillava nel
trimestre maggio-luglio tra il 10,5 e l'11,5%; la liquidità
bancaria veniva mantenuta sotto i 4.000 miliardi. A più riprese
la Banca d'Italia invitava le banche a moderare la crescita degli
impieghi, osservando come questa eccedesse di molto l'aumento del
reddito e degli investimenti e fosse concentrata in operazioni a favore
delle grandi imprese con utilizzi prevalentemente finanziari.
Nella condotta della politica monetaria ancora una volta le esigenze
di controllo macroeconomico confliggevano con le esigenze di finanziamento
dello Stato.
All'inizio di luglio, per assicurare il finanziamento sul mercato
del crescente fabbisogno pubblico, si rendeva necessario un aumento
del rendimento dei titoli di Stato: il tasso dei Bot a dodici mesi
veniva rialzato di quasi un punto percentuale, al 10,6%, al lordo
della tassazione; di altrettanto veniva accresciuto il rendimento
dei Btp, mentre la prima cedola dei Cct veniva aumentata di circa
mezzo punto. In media, nel mese di agosto il tasso sul mercato overnight
saliva in prossimità del 13%.In una situazione, quale quella
sopra descritta, caratterizzata da motivi di incertezza derivanti
dall'intreccio di obiettive situazioni tecnico-economiche con una
delicata fase politica pre-elettorale e post-elettorale, si inseriva
una pressione sul cambio volta a provocare un riallineamento della
lira nello Sme.
Le misure valutarie di liberalizzazione assunte nel maggio, in attuazione
del disegno di pervenire a una maggiore libertà nelle relazioni
finanziarie con l'estero, implicavano uscite di capitali derivanti
da una domanda arretrata di portafoglio estero: l'entità di
quelle uscite doveva trovare, e di fatto trovava, compenso nel consueto
andamento positivo delle partite correnti nei mesi estivi. Ma su quel
previsto fenomeno si inseriva una fuoriuscita notevole di capitali
a breve termine.
Il movimento assumeva improvvisa ed eccezionale violenza alla vigilia
di ferragosto: la pronta reazione sul mercato da parte della Banca
d'Italia lo rintuzzava. Il 27 di quel mese, in coerenza con l'interpretazione
congiunturale sopra riferita di eccesso della domanda interna e del
disavanzo pubblico, veniva assunto un pacchetto di provvedimenti di
natura fiscale (prelievo di 3.500 miliardi) e monetaria (aumento del
tasso di sconto al 12%). Nell'occasione, al fine di ridurre le incertezze
degli operatori, veniva anticipato di un mese il raddoppio dell'aliquota
della ritenuta sui titoli di Stato, dal 6,25 al 12,50%, e, contemporaneamente,
veniva rialzato il rendimento dei titoli stessi.
Dopo la fiammata
La calma subentrata nel mercato dei cambi dopo la fiammata di ferragosto
si rivelava una pausa; col settembre la pressione riprendeva, assumendo
particolare forza alla vigilia della riunione dei ministri finanziari
e dei governatori delle banche centrali della Cee dell'11-12 settembre;
la riunione era ritenuta da alcuni un'occasione utile per un riallineamento
delle parità nello Sme. Anche gli impieghi in lire, dopo un
temporaneo ripiegarsi in luglio, riacceleravano ad agosto. La domanda
di titoli di Stato a medio e lungo termine continuava a mostrarsi
fiacca e la copertura del fabbisogno pubblico avveniva in misura crescente
con sottoscrizioni di titoli a breve. Si manifestava la necessità
di una manovra che avesse un deciso impatto sul mercato: di qui, i
provvedimenti del 13 settembre.
Le misure valutarie, agendo sui conti valutari delle imprese e sulla
possibilità di anticipare i pagamenti e differire gli incassi
in valuta, sono destinate a restringere i margini di manovra di speculazione
contro la lira. Il massimale sugli impieghi in lire serve a ostacolare
il flusso di credito, che alimenta le pressioni valutarie, e ad incentivare
l'afflusso di capitali bancari dall'estero sul quale non pesa più,
dopo l'azzeramento dell'aliquota, l'obbligo di riserva. La temporaneità
di entrambe le misure rende chiara la loro funzione di collegamento
tra i provvedimenti presi a luglio ed agosto, prima descritti, e quelli
che deriveranno dalla Legge finanziaria.
Sul mercato dei cambi la situazione tecnica si è rovesciata
di colpo: tra il 13 settembre e la fine del mese il recupero di riserve
valutarie, a un tasso di cambio della nostra valuta col marco disceso
di circa 4 lire, è stato di oltre 5 miliardi di dollari, compensando
quasi per intero i deflussi
avutisi nell'agosto e nella prima decade di settembre. L'afflusso
di valuta è continuato da ottobre in poi.
Il massimale è stato disegnato per riportare il tasso di crescita
dei prestiti bancari in lire dal 14%, su base annua, registrato ad
agosto, all'8% alla fine dell'87, valore coerente con lo sviluppo
del reddito nell'anno. Il rientro non dovrebbe essere particolarmente
difficile per le banche, né gravoso per il sistema produttivo
dato che, come alcune prime indicazioni sembrano confermare, esso
dovrebbe avvenire principalmente attraverso il taglio di impieghi
di grosso importo a tassi molto bassi. In relazione all'espansione
degli investimenti in macchine e attrezzature, più accentuata
potrà risultare la crescita dei prestiti degli istituti di
credito speciale. Questi sono stati invitati dalla Banca d'Italia
a non sostituirsi alle banche nella concessione del credito a breve.
Come risultato degli andamenti degli impieghi bancari e di quelli
degli istituti di credito speciale e delle notevoli emissioni di obbligazioni
da parte del settore non statale, il finanziamento totale a questo
settore è aumentato nell'anno entro o poco al di sopra del
margine superiore della fascia prevista. Complessivamente, il credito
totale interno è cresciuto del 13% circa, pari a 150 mila miliardi,
rispetto all'11% programmato. Al suo interno si conferma la prevalenza
dell'indebitamento dello Stato, che ha raggiunto il 70% del credito
totale, contro il 30% affluito al settore privato.
Nonostante il peggioramento della bilancia dei pagamenti e il volgersi
dei risparmiatori agli investimenti in titoli esteri, la crescita
maggiore del previsto del credito sosterrà quella delle attività
finanziarie all'interno, aumentate di 142.000 miliardi, pari al 13%
circa. Un'espansione di questa entità, seppure superiore di
un punto percentuale al tasso programmato, rappresenta un rallentamento
netto rispetto al 17% dell'86. Molto inferiore dovrebbe risultare,
nel flusso di questo aggregato, il peso delle quote dei fondi comuni.
Infatti, l'acquisizione di queste attività, come pure quella
diretta di azioni, è stata fortemente ridimensionata dal ripiegarsi
delle quotazioni azionarie e dall'esaurirsi stesso della fase di aggiustamento
dei portafogli, connessa con l'introduzione e lo sviluppo dei nuovi
intermediari in titoli.
L'insieme degli eventi che ho finora descritto si è accompagnato
a una crescita della base monetaria, nei primi nove mesi dell'anno,
di 6.500 miliardi circa, corrispondenti a un tasso annualizzato dell'11%.
Nel determinare questa crescita, dominante è stato l'effetto
del finanziamento del Tesoro, pari nel periodo a oltre 13.000 miliardi,
mentre il settore estero ha distrutto base monetaria per 3.500 miliardi.
Pur in presenza del massimale, oltre che nell'ultimo trimestre '87,
anche nel primo dell'88 la Banca centrale eserciterà una regolazione
attenta delle variabili che le sono istituzionalmente affidate. L'azione
di controllo della liquidità del sistema è necessaria
per evitare che fenomeni di elusione del massimale ne minino l'efficacia.
I provvedimenti contenuti nella Legge finanziaria e quelli di accompagnamento
dovranno produrre un alleggerimento della pressione esercitata dal
fabbisogno statale sul mercato finanziario e riportare i risparmiatori
verso l'investimento in titoli a medio e a lungo termine.
La manovra
I risultati macroeconomici essenziali che la manovra delineata con
la Legge finanziaria si propone mi sembra possano essere così
riassunti: una crescita del Pil di poco meno del 3%; un disavanzo
contenuto della bilancia dei pagamenti correnti; un tasso annuo di
inflazione al consumo del 4,5%. Il raggiungimento di questi risultati,
e segnatamente dell'ultimo, implica un'incisiva azione di politica
economica, nelle sue tre componenti: di bilancio pubblico, dei redditi,
monetaria.
Coerentemente con le suddette indicazioni macroeconomiche, la Banca
d'Italia ha predisposto un quadro creditizio e monetario che ipotizza
una crescita dei finanziamenti al settore non statale dell'8%, lievemente
superiore a quella del Pil, ma in linea con quella degli investimenti.
L'obiettivo suddetto si intende iscritto in una fascia di 2 punti
percentuali in più o in meno per tenere conto dei fenomeni
di innovazione finanziaria.
Dato l'impegno di mantenere il fabbisogno dello Stato entro i termini
prefissati, il credito totale interno dovrebbe aumentare dell'11%
circa. Di altrettanto dovrebbero crescere le attività finanziarie
complessive, la cui consistenza arriverebbe a sorpassare di quasi
un terzo il prodotto nazionale. La crescita della moneta, nella definizione
di M2, dovrà essere molto più contenuta di quella del
complesso delle attività finanziarie e prossima a quella del
reddito nominale; essa sarà mantenuta entro una fascia compresa
tra il 6 e il 9%. La realizzazione di questi obiettivi monetari e
creditizi non è certo agevole: basti considerare che essa richiederà
un aumento del debito pubblico tenuto dai risparmiatori a un tasso
pressoché doppio di quello del reddito nazionale.
L'ammontare dei titoli in scadenza nell'88 può essere stimato
in 350.000 miliardi circa, valore pari a un terzo del Pil. Solo per
assicurare il rinnovo del debito, saranno necessarie in media ogni
mese emissioni lorde per circa 30.000 miliardi. Ad esse si aggiungeranno
le emissioni di importi che pongono il nostro Paese in posizione anomala
rispetto agli altri Paesi industriali: la loro entità indica
di per sé il condizionamento che la gestione del debito pubblico
esercita sul governo della moneta. Una risposta del mercato inferiore
anche di poco alle attese renderebbe problematico il controllo delle
riserve bancarie e il rispetto degli obiettivi della politica monetaria.
Le difficoltà di tenuta degli equilibri fondamentali del sistema,
difficoltà che hanno origine in primo luogo nella condizione
della finanza pubblica, sono state rese nuovamente palesi di recente
dalle tensioni valutarie e dall'indebolimento del mercato finanziario.
Un'azione incisiva di tutte le componenti della politica economica
sul fronte della finanza e su quello dell'inflazione è l'unica
garanzia per superare definitivamente le vicende presenti e per evitare
un loro ripetersi.
Mi si consenta un'ultima notazione: Parlamento e governo hanno deciso,
approvando formalmente non molti mesi fa l'Atto unico europeo, di
portare a compimento, e di consolidare, il processo di liberalizzazione
valutaria e di più stretta integrazione, reale e finanziaria,
dell'economia italiana in quella europea e internazionale. Una più
ampia liberalizzazione favorisce lo sviluppo, ma costituisce al tempo
stesso un duplice vincolo: richiede coerenza ancora maggiore nella
politica economica, sottopone ad un più rigoroso vaglio internazionale
la credibilità del Paese.