§ Credito & moneta

Gli squilibri della finanza pubblica




Carlo Azeglio Ciampi



Nell'ottobre '86 avevo sottolineato la necessità di eliminare la fonte primaria degli squilibri della finanza pubblica, quella costituita dal fabbisogno al netto degli interessi. L'obiettivo di azzerare entro il 1990 il disavanzo primario del settore statale era stato indicato nel piano di risanamento presentato dal governo pochi mesi prima. Il progressivo alleggerimento della pressione esercitata dal Tesoro sul mercato dei capitali avrebbe reso possibile ridurre l'onere degli interessi, retaggio del debito accumulato negli anni passati.

La discesa dei tassi
Nel 1987, la discesa dei tassi, avvenuta nell'anno precedente in connessione con il forte calo dell'inflazione, ha consentito, dopo anni di continui aumenti, di mantenere pressoché invariata la spesa per interessi, nonostante l'espansione del debito da 767.000 a 878.000 miliardi. Detta spesa (inclusa quella attinente alla raccolta postale) è stata dell'ordine di 75.000 miliardi, a fronte dei 73.500 dell'86; se, ai fini di un raffronto omogeneo, si sottrae il gettito dell'imposta sui frutti dei titoli pubblici, l'onere per interessi si è collocato sugli stessi livelli dell'86. In rapporto al prodotto interno lordo l'onere lordo per interessi è sceso fra i due anni dall'8,2 al 7,7 per cento.
In base alle stime ufficiali, il fabbisogno al netto della spesa per interessi, cioè la fonte dello squilibrio della finanza pubblico, si è ridotto solo leggermente, da 36.000 a 34.000 miliardi. Secondo il piano di risanamento governativo, esso invece avrebbe dovuto ridursi di circa 10.000 miliardi, consentendo di contenere il fabbisogno complessivo entro 100.000 miliardi. L'obiettivo di ricondurre il fabbisogno dello Stato verso il 10 per cento del prodotto, mancato nell'87, viene riproposto con la Finanziaria '88, anche se ciò significa avere abbandonato l'obiettivo più ambizioso, indicato nel piano di risanamento a medio termine, che fissava in 90.000 miliardi il limite del fabbisogno complessivo dello Stato. E' peraltro da osservare che nello stesso '88, dato l'aumento del debito e la sostanziale stabilità dei tassi, l'onere degli interessi è salito da 75.000 a 83.000 miliardi, per cui il disavanzo al netto degli interessi sarebbe sceso da 34.000 a 26.000 miliardi, portandone l'incidenza sul Pil dal 3,5 al 2,5 per cento.
Il raggiungimento di questo obiettivo implicava un'azione incisiva sulle diverse componenti dell'entrata e della spesa. I provvedimenti di accompagnamento della Legge finanziaria dovevano fornire la necessaria coerente strumentazione e affrontare, insieme all'aspetto quantitativo, quello del miglioramento dell'efficienza del settore pubblico.
Nel maggio '87, riconoscendo la necessità di un'azione correttiva anche dal lato delle entrate, sottolineai l'opportunità di intervenire soprattutto per ridurre le aree di elusione, di evasione e di erosione degli imponibili. Il governo annunciò poi di voler far ricorso all'aumento delle aliquote di alcune imposte indirette per accrescere in tempi brevi le entrate e per riequilibrare il rapporto con l'imposizione diretta. Ma l'aumento delle imposte indirette provoca effetti di impatto "meccanici" di rialzo del livello dei prezzi. E' un costo non indifferente, e non scevro di pericoli: per riassorbirlo in tempi brevi occorre che la manovra complessiva di politica economica sia tale da incidere sulle aspettative e sulle determinanti ultime del processo inflazionistico, tanto dal lato della domanda quanto dal lato dei costi, in modo da piegarne verso il basso le tendenze di fondo. Solo ricostruendo attese di rallentamento dell'inflazione può essere superato il conflitto fra una politica monetaria rivolta alla stabilità e le esigenze, pressanti, di finanziamento del fabbisogno e di gestione del debito pubblico. Il permanere di questo conflitto non potrebbe non ripercuotersi sui livelli dei tassi d'interesse.
Il quadro programmatico delineato per l'87 scontava uno sviluppo sostenuto dell'economia mondiale e una politica economica in grado di prolungare gli andamenti positivi dell'86. Mercé il favorevole andamento della domanda mondiale, la bilancia dei pagamenti correnti avrebbe ancora registrato un avanzo di circa 6.000 miliardi di lire. L'inflazione avrebbe dovuto ulteriormente discendere, considerando sia il deflattore del Pil sia i prezzi al consumo.

Punti salienti
Sulla base di questo quadro macroeconomico e dell'impegno di ricondurre il fabbisogno totale a 100.000 miliardi, la Banca d'Italia delineò un quadro finanziario, i cui punti salienti erano rappresentati da un'espansione dei finanziamenti al settore non statale del 7% (con un margine di più o meno due punti percentuali per tenere conto dei fenomeni di instabilità connessi al mutamento della struttura finanziaria) e da una crescita della moneta (nella definizione di M2) compresa fra il 6 e il 9%. Data la previsione del fabbisogno dello Stato, il credito totale interno sarebbe cresciuto dell'11% circa e le attività finanziarie complessive intorno al 12.
Il preconsuntivo dell'anno mostrò significative differenze rispetto a quel quadro programmatico. Il fabbisogno statale, nonostante le misure prese a fine agosto, restò sul livello dell'anno precedente, cioè 10.000 miliardi più alto del previsto. Lo sviluppo delle attività produttive fu sostanzialmente conforme alle previsioni. La bilancia dei pagamenti correnti chiuse in pareggio, anziché presentare un avanzo. A fine anno, il tasso d'inflazione al consumo risultò, a distanza di 12 mesi, in aumento di circa un punto rispetto a quello implicito nell'obiettivo medio annuo. Risultati, questi, in parte influenzati da un'evoluzione dell'economia internazionale meno favorevole dell'atteso. Il controllo delle variabili monetarie e finanziarie richiese una successione di interventi nel corso dell'anno.
Sul finire dell'86, i tassi interbancari erano saliti di un punto percentuale, superando il 12%. Dopo il riallineamento nello Sme del 12 gennaio si sono sviluppati forti afflussi di capitali, sia attraverso le banche sia attraverso gli altri canali: ciò consentiva il ritorno a condizioni più distese sul mercato monetario. Il Tesoro si finanziava a tassi nuovamente in diminuzione: nei primi quattro mesi dell'anno il tasso sui Bot a tre mesi scendeva di circa 60 centesimi, quello a un anno di quasi 40, fino al 9,6%, al lordo della tassazione. Il 13 marzo, il tasso di sconto veniva ridotto dal 12 all'11,5%.
Cominciava tuttavia a costituire motivo di preoccupazione la crescita di finanziamenti al settore non statale in eccesso al margine superiore della fascia programmata, da parte sia delle banche sia degli istituti di credito speciale. In febbraio si espandevano soprattutto gli impieghi in valuta. Una prima risposta fu data introducendo, sempre il 13 marzo, la riserva obbligatoria sugli aumenti della raccolta netta in valuta delle banche. Ciò al fine di rendere meno conveniente l'afflusso di capitali esteri a breve attraverso le aziende di credito. La misura completava, sul piano istituzionale, l'armamentario di controllo delle passività bancarie.

Preoccupazioni
Nella primavera, le preoccupazioni sull'evoluzione congiunturale assumevano consistenza. La Banca d'Italia lo segnalava più volte in pubbliche occasioni: una domanda mondiale più debole dell'atteso; una domanda eccedente in misura superiore al previsto la crescita del Pil; un'espansione del disavanzo pubblico superiore all'obiettivo; una elevata formazione dei redditi, alimentata nel settore privato e pubblico da rinnovi contrattuali spesso al di là dei tetti prefissati; una tendenza al peggioramento delle partite correnti della bilancia dei pagamenti; l'esaurirsi della fase di diminuzione del tasso d'inflazione; l'indebolimento della domanda di titoli dello Stato e l'accelerare della crescita dei depositi e soprattutto dei prestiti in lire.
Agendo attraverso i finanziamenti concessi alle aziende di credito, la Banca d'Italia spingeva al rialzo i tassi a breve: la media mensile del tasso overnight, pari al 9 per cento in aprile, oscillava nel trimestre maggio-luglio tra il 10,5 e l'11,5%; la liquidità bancaria veniva mantenuta sotto i 4.000 miliardi. A più riprese la Banca d'Italia invitava le banche a moderare la crescita degli impieghi, osservando come questa eccedesse di molto l'aumento del reddito e degli investimenti e fosse concentrata in operazioni a favore delle grandi imprese con utilizzi prevalentemente finanziari.
Nella condotta della politica monetaria ancora una volta le esigenze di controllo macroeconomico confliggevano con le esigenze di finanziamento dello Stato.
All'inizio di luglio, per assicurare il finanziamento sul mercato del crescente fabbisogno pubblico, si rendeva necessario un aumento del rendimento dei titoli di Stato: il tasso dei Bot a dodici mesi veniva rialzato di quasi un punto percentuale, al 10,6%, al lordo della tassazione; di altrettanto veniva accresciuto il rendimento dei Btp, mentre la prima cedola dei Cct veniva aumentata di circa mezzo punto. In media, nel mese di agosto il tasso sul mercato overnight saliva in prossimità del 13%.In una situazione, quale quella sopra descritta, caratterizzata da motivi di incertezza derivanti dall'intreccio di obiettive situazioni tecnico-economiche con una delicata fase politica pre-elettorale e post-elettorale, si inseriva una pressione sul cambio volta a provocare un riallineamento della lira nello Sme.
Le misure valutarie di liberalizzazione assunte nel maggio, in attuazione del disegno di pervenire a una maggiore libertà nelle relazioni finanziarie con l'estero, implicavano uscite di capitali derivanti da una domanda arretrata di portafoglio estero: l'entità di quelle uscite doveva trovare, e di fatto trovava, compenso nel consueto andamento positivo delle partite correnti nei mesi estivi. Ma su quel previsto fenomeno si inseriva una fuoriuscita notevole di capitali a breve termine.
Il movimento assumeva improvvisa ed eccezionale violenza alla vigilia di ferragosto: la pronta reazione sul mercato da parte della Banca d'Italia lo rintuzzava. Il 27 di quel mese, in coerenza con l'interpretazione congiunturale sopra riferita di eccesso della domanda interna e del disavanzo pubblico, veniva assunto un pacchetto di provvedimenti di natura fiscale (prelievo di 3.500 miliardi) e monetaria (aumento del tasso di sconto al 12%). Nell'occasione, al fine di ridurre le incertezze degli operatori, veniva anticipato di un mese il raddoppio dell'aliquota della ritenuta sui titoli di Stato, dal 6,25 al 12,50%, e, contemporaneamente, veniva rialzato il rendimento dei titoli stessi.

Dopo la fiammata
La calma subentrata nel mercato dei cambi dopo la fiammata di ferragosto si rivelava una pausa; col settembre la pressione riprendeva, assumendo particolare forza alla vigilia della riunione dei ministri finanziari e dei governatori delle banche centrali della Cee dell'11-12 settembre; la riunione era ritenuta da alcuni un'occasione utile per un riallineamento delle parità nello Sme. Anche gli impieghi in lire, dopo un temporaneo ripiegarsi in luglio, riacceleravano ad agosto. La domanda di titoli di Stato a medio e lungo termine continuava a mostrarsi fiacca e la copertura del fabbisogno pubblico avveniva in misura crescente con sottoscrizioni di titoli a breve. Si manifestava la necessità di una manovra che avesse un deciso impatto sul mercato: di qui, i provvedimenti del 13 settembre.
Le misure valutarie, agendo sui conti valutari delle imprese e sulla possibilità di anticipare i pagamenti e differire gli incassi in valuta, sono destinate a restringere i margini di manovra di speculazione contro la lira. Il massimale sugli impieghi in lire serve a ostacolare il flusso di credito, che alimenta le pressioni valutarie, e ad incentivare l'afflusso di capitali bancari dall'estero sul quale non pesa più, dopo l'azzeramento dell'aliquota, l'obbligo di riserva. La temporaneità di entrambe le misure rende chiara la loro funzione di collegamento tra i provvedimenti presi a luglio ed agosto, prima descritti, e quelli che deriveranno dalla Legge finanziaria.
Sul mercato dei cambi la situazione tecnica si è rovesciata di colpo: tra il 13 settembre e la fine del mese il recupero di riserve valutarie, a un tasso di cambio della nostra valuta col marco disceso di circa 4 lire, è stato di oltre 5 miliardi di dollari, compensando quasi per intero i deflussi
avutisi nell'agosto e nella prima decade di settembre. L'afflusso di valuta è continuato da ottobre in poi.
Il massimale è stato disegnato per riportare il tasso di crescita dei prestiti bancari in lire dal 14%, su base annua, registrato ad agosto, all'8% alla fine dell'87, valore coerente con lo sviluppo del reddito nell'anno. Il rientro non dovrebbe essere particolarmente difficile per le banche, né gravoso per il sistema produttivo dato che, come alcune prime indicazioni sembrano confermare, esso dovrebbe avvenire principalmente attraverso il taglio di impieghi di grosso importo a tassi molto bassi. In relazione all'espansione degli investimenti in macchine e attrezzature, più accentuata potrà risultare la crescita dei prestiti degli istituti di credito speciale. Questi sono stati invitati dalla Banca d'Italia a non sostituirsi alle banche nella concessione del credito a breve. Come risultato degli andamenti degli impieghi bancari e di quelli degli istituti di credito speciale e delle notevoli emissioni di obbligazioni da parte del settore non statale, il finanziamento totale a questo settore è aumentato nell'anno entro o poco al di sopra del margine superiore della fascia prevista. Complessivamente, il credito totale interno è cresciuto del 13% circa, pari a 150 mila miliardi, rispetto all'11% programmato. Al suo interno si conferma la prevalenza dell'indebitamento dello Stato, che ha raggiunto il 70% del credito totale, contro il 30% affluito al settore privato.
Nonostante il peggioramento della bilancia dei pagamenti e il volgersi dei risparmiatori agli investimenti in titoli esteri, la crescita maggiore del previsto del credito sosterrà quella delle attività finanziarie all'interno, aumentate di 142.000 miliardi, pari al 13% circa. Un'espansione di questa entità, seppure superiore di un punto percentuale al tasso programmato, rappresenta un rallentamento netto rispetto al 17% dell'86. Molto inferiore dovrebbe risultare, nel flusso di questo aggregato, il peso delle quote dei fondi comuni. Infatti, l'acquisizione di queste attività, come pure quella diretta di azioni, è stata fortemente ridimensionata dal ripiegarsi delle quotazioni azionarie e dall'esaurirsi stesso della fase di aggiustamento dei portafogli, connessa con l'introduzione e lo sviluppo dei nuovi intermediari in titoli.
L'insieme degli eventi che ho finora descritto si è accompagnato a una crescita della base monetaria, nei primi nove mesi dell'anno, di 6.500 miliardi circa, corrispondenti a un tasso annualizzato dell'11%. Nel determinare questa crescita, dominante è stato l'effetto del finanziamento del Tesoro, pari nel periodo a oltre 13.000 miliardi, mentre il settore estero ha distrutto base monetaria per 3.500 miliardi.
Pur in presenza del massimale, oltre che nell'ultimo trimestre '87, anche nel primo dell'88 la Banca centrale eserciterà una regolazione attenta delle variabili che le sono istituzionalmente affidate. L'azione di controllo della liquidità del sistema è necessaria per evitare che fenomeni di elusione del massimale ne minino l'efficacia. I provvedimenti contenuti nella Legge finanziaria e quelli di accompagnamento dovranno produrre un alleggerimento della pressione esercitata dal fabbisogno statale sul mercato finanziario e riportare i risparmiatori verso l'investimento in titoli a medio e a lungo termine.

La manovra
I risultati macroeconomici essenziali che la manovra delineata con la Legge finanziaria si propone mi sembra possano essere così riassunti: una crescita del Pil di poco meno del 3%; un disavanzo contenuto della bilancia dei pagamenti correnti; un tasso annuo di inflazione al consumo del 4,5%. Il raggiungimento di questi risultati, e segnatamente dell'ultimo, implica un'incisiva azione di politica economica, nelle sue tre componenti: di bilancio pubblico, dei redditi, monetaria.
Coerentemente con le suddette indicazioni macroeconomiche, la Banca d'Italia ha predisposto un quadro creditizio e monetario che ipotizza una crescita dei finanziamenti al settore non statale dell'8%, lievemente superiore a quella del Pil, ma in linea con quella degli investimenti. L'obiettivo suddetto si intende iscritto in una fascia di 2 punti percentuali in più o in meno per tenere conto dei fenomeni di innovazione finanziaria.
Dato l'impegno di mantenere il fabbisogno dello Stato entro i termini prefissati, il credito totale interno dovrebbe aumentare dell'11% circa. Di altrettanto dovrebbero crescere le attività finanziarie complessive, la cui consistenza arriverebbe a sorpassare di quasi un terzo il prodotto nazionale. La crescita della moneta, nella definizione di M2, dovrà essere molto più contenuta di quella del complesso delle attività finanziarie e prossima a quella del reddito nominale; essa sarà mantenuta entro una fascia compresa tra il 6 e il 9%. La realizzazione di questi obiettivi monetari e creditizi non è certo agevole: basti considerare che essa richiederà un aumento del debito pubblico tenuto dai risparmiatori a un tasso pressoché doppio di quello del reddito nazionale.
L'ammontare dei titoli in scadenza nell'88 può essere stimato in 350.000 miliardi circa, valore pari a un terzo del Pil. Solo per assicurare il rinnovo del debito, saranno necessarie in media ogni mese emissioni lorde per circa 30.000 miliardi. Ad esse si aggiungeranno le emissioni di importi che pongono il nostro Paese in posizione anomala rispetto agli altri Paesi industriali: la loro entità indica di per sé il condizionamento che la gestione del debito pubblico esercita sul governo della moneta. Una risposta del mercato inferiore anche di poco alle attese renderebbe problematico il controllo delle riserve bancarie e il rispetto degli obiettivi della politica monetaria. Le difficoltà di tenuta degli equilibri fondamentali del sistema, difficoltà che hanno origine in primo luogo nella condizione della finanza pubblica, sono state rese nuovamente palesi di recente dalle tensioni valutarie e dall'indebolimento del mercato finanziario. Un'azione incisiva di tutte le componenti della politica economica sul fronte della finanza e su quello dell'inflazione è l'unica garanzia per superare definitivamente le vicende presenti e per evitare un loro ripetersi.
Mi si consenta un'ultima notazione: Parlamento e governo hanno deciso, approvando formalmente non molti mesi fa l'Atto unico europeo, di portare a compimento, e di consolidare, il processo di liberalizzazione valutaria e di più stretta integrazione, reale e finanziaria, dell'economia italiana in quella europea e internazionale. Una più ampia liberalizzazione favorisce lo sviluppo, ma costituisce al tempo stesso un duplice vincolo: richiede coerenza ancora maggiore nella politica economica, sottopone ad un più rigoroso vaglio internazionale la credibilità del Paese.


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