Non
abbiamo alibi, siamo tutti avvertiti: abbiamo di fronte a noi ancora
due o tre anni di prosperità. Tanto vale goderceli, perché
poi, dal 1990, o al massimo a 1991, il mondo entrerà nella più
terribile depressione che si sia mai vista. A confronto, il grande crack
del 1929 sarà una cosa da nulla. Tutto incomincerò, come
al solito, dalla Borsa di New York, che subirà un tracollo dell'85
per cento, trascinandosi dietro fallimenti a catena di migliaia di banche.
I risparmi di milioni di famiglie svaniranno nel nulla e la disoccupazione
salirà a livelli incredibili, non meno del 25 per cento. Sarà
un cataclisma di proporzioni planetarie, che produrrà anche rivolgimenti
sociali di portata storica.
Chi è che mette in giro queste previsioni apocalittiche? Il solito
profeta che spunta fuori inevitabilmente alla fine di ogni millennio
per predicare la fine del mondo? il rappresentante di qualche setta
di fanatici religiosi (negli Stati Uniti proliferano a vista d'occhio)?
Niente di tutto questo. E', invece, un tranquillo economista indiano
che vive negli States, il professor Ravi Batra, che insegna alla Southern
Methodist University. Il suo libro, dal titolo sinistro "The great
depression of 1990" (La grande depressione degli Anni Novanta),
ha avuto un enorme successo negli Stati Uniti. La prefazione è
stata scritta da Lester C. Thurow, uno dei più noti economisti
americani, e fra gli studiosi si è aperto un dibattito che dura
tuttora. Un autorevole critico del New York Times ha parlato di "indagine
suggestiva e inquietante". Ma che cosa dice esattamente quest'opera?
Uno sbocco
inevitabile
Il professor Batra analizza la situazione degli Anni Ottanta e trova
straordinarie somiglianze con gli Anni Venti, culminati con la grande
depressione. In vista di un analogo, inevitabile sbocco, l'economista
arriva persino a dare dei preziosi quanto bizzarri consigli alle persone
comuni: come attrezzarsi per superare i sei lunghi anni di depressione
(tanto durerà il cataclisma), come adoperare i risparmi nel
migliore dei modi, che cosa comprare, che cosa vendere. Al Presidente
degli Stati Uniti si rivolge invece per dare dei consigli che possano,
se non scongiurare del tutto - visto che ormai le premesse del crack
ci sono tutte -almeno attenuare gli effetti più prorompenti
della crisi.
L'argomento principe usato da Batra per dimostrare l'ineluttabilità
di una nuova grande depressione è l'eccessiva concentrazione
della ricchezza del Paese in poche mani. Nel 1929 questa concentrazione
toccò il suo punto più alto: VI per cento della popolazione
deteneva il 36,3 per cento dei beni; e questo, grazie alla politica
fiscale degli Anni Venti, che favorì i ricchi a danno delle
classi medie e povere. Negli Anni Ottanta un'analoga politica fiscale
portata avanti dall'amministrazione Reagan sta pericolosamente avvicinando
la concentrazione della ricchezza a un punto critico: nel 1983, l'1
per cento degli americani possedeva già il 34,3 per cento del
patrimonio. Anche nelle altre grandi depressioni del passato si era
notato, secondo il professor Batra, questo trend.
E' in virtù di un'eccessiva concentrazione della ricchezza
che una normale recessione, che dura in genere qualche mese, può
trasformarsi in una terribile depressione che dura anni e provoca
sconvolgimenti di grande portata. In che modo? Via via che la ricchezza
si concentra, aumenta il numero di coloro che hanno poco o niente.
Queste persone, per portare avanti la loro attività economica,
hanno bisogno di rivolgersi alle banche per avere dei prestiti. Ma
alle loro spalle non c'è una ricchezza sufficiente a coprire
eventuali periodi negativi, quando, per qualsiasi motivo, c'è
un crollo della domanda aggregata. E finiscono per fallire, creando
grosse difficoltà alle banche.
Troppi soldi in mano a pochi provocano anche un aumento degli investimenti
speculativi. "Quando una persona diventa ricca - scrive Batra
- diminuisce la sua avversione al rischio". Nasce così
una febbre speculativa che alimenta la Borsa al di là di ogni
rapporto col valore reale delle azioni. In questa febbre vengono trascinati
anche coloro che ricchi non sono, e che comprano titoli con la speranza
di facili guadagni.
In queste circostanze, basta una scintilla come una recessione per
far entrare il sistema in una grande depressione. Seguono un collasso
del sistema finanziario, con fallimenti di banche e di industrie a
catena, un aumento vertiginoso dei disoccupati, rivolgimenti sociali.
C'è inoltre un elemento che renderebbe la depressione del 1990
la più grave della storia del mondo. Batra nota infatti che
l'economia americana ha avuto una grande depressione ogni trenta o
sessant'anni: 1780, 1840, 1870, 1930. "Quando si salta una depressione,
alla scadenza del sessantennio si sconta un effetto cumulativo che
porta a una catastrofe".Così è stato nel 1840 e
nel 1930. Così, secondo l'economista, sarà il grande
crack del 1990, che sarà di portata eccezionale per altre due
circostanze: da una parte, le economie del mondo sono oggi molto più
interdipendenti che nel 1929; dall'altra, gli Stati Uniti sono divenuti
il primo Paese debitore del mondo (il debito estero ha raggiunto nel
1986 i 250 miliardi di dollari).
C'è una possibilità che la grande depressione del 1990
semplicemente non si verifichi?"Certo - risponde l'economista
indiano, che dopo avere allarmato i lettori per 140 pagine si tira
per la prima volta un poco indietro - tutto è possibile, ma
a meno che non vengano prese immediatamente drastiche misure, è
improbabile che ciò avverrà". Le misure dovrebbero
tendere a ripristinare una più equa distribuzione della ricchezza.
Da bocciare, quindi, tutta la politica fiscale reaganiana, compreso
il Tax Reform Act del 1986. Il primo obiettivo dovrebbe essere quello
di introdurre una tassazione più pesante sulle successioni,
le prime colpevoli della concentrazione della ricchezza. Poi bisognerebbe
ridurre l'enorme deficit causato dalle alte spese per la difesa e
per combattere il crimine. Come? "Un terzo di queste spese dovrebbe
essere coperto da una tassa federale sulla proprietà".
Inoltre, dovrebbe esserci un ritorno massiccio della tassazione progressiva.
Altre misure dovrebbero impedire alle banche di prestare denaro a
fini speculativi.
E se alla fine questa depressione prende piede lo stesso, che cosa
possono fare le persone comuni per difendersi? Questi gli strani consigli
dell'economista Batra: cominciare subito a risparmiare (una famiglia
di quattro persone avrà bisogno di almeno 57 milioni per sopravvivere
nei primi quattro anni di crisi più dura); ridurre il più
possibile i debiti; fino al 1989 comprare tranquillamente azioni,
obbligazioni e quote di Fondi comuni; dopo la metà del 1989,
vendersi tutto, compresi gli immobili, il cui prezzo calerò
durante la depressione, tenendo soltanto titoli del Tesoro e obbligazioni
con il massimo di affidabilità; cominciare, sempre verso la
fine del 1989, a comprare monete d'oro e d'argento e azioni di società
aurifere; dopo il 1991, se la depressione ha effettivamente luogo,
consumare un reddito di sopravvivenza e tenere soltanto soldi liquidi
e metalli preziosi, parte in casa e parte in una cassetta di sicurezza.
C'è da sperare che nessuno creda a Batra; altrimenti, la grande
depressione potrebbe essere causata proprio dai suoi consigli.
E' pur sempre
un guru indiano
Ma tutta questa analisi è davvero attendibile? Da quali premesse
filosofiche parte il professor Ravi Batra? Il suo metodo di lavoro
si può considerare propriamente scientifico? "Il libro
- dice Batra - come del resto buona parte del mio lavoro più
recente, deriva dalle idee del mio maestro Prabhat Ranjan Sarkar".
Questo è un guru indiano che - secondo Batra - ha arricchito
con le sue teorie un po' tutte le discipline, dall'economia alla politica,
dalla linguistica alla poesia, dall'arte alla psicologia. Un vero
maestro spirituale, e per di più poliedrico.
Del suo maestro, Ravi Batra non dice però che fu arrestato
da Indirci Gandhi per omicidio e che il suo culto prevede danze, sacrifici,
processioni, cremazioni, con i fedeli che agitano coltelli e teschi.
Ma da Sarkar l'economista indiano ricava soltanto (almeno così
sembra) la concezione di una forma di determinismo storico, "secondo
il quale la storia segue un certo schema, che è osservabile
e che può essere usato per prevedere il futuro corso degli
eventi". Sarkar divide la storia umana in "cicli" che
si ripetono senza sosta, ognuno dominato da una classe sociale: i
"Guerrieri", che basano la propria supremazia sul proprio
fisico (atleti, militari, etc.); gli "Intellettuali", che
sono dotati di un'intelligenza superiore e che si servono di essa
per guidare gli altri; gli "Acquisitori", una classe ossessionata
dal desiderio di arricchirsi; i "Lavoratori", la classe
formata da chi ha un'occupazione manuale e che "manca d'iniziativa,
ambizione, voglia di aver successo".
Queste quattro classi sono presenti in qualunque società e
dominano, per così dire, a turno. Oggi, l'America, secondo
l'analisi di Batra, è nella fase finale dell'età degli
"Acquisitori": l'amministrazione di Reagan ha fatto di tutto
per aiutarli e ha così prodotto, con una serie di leggi e di
misure amministrative, proprio il germe della grande depressione degli
Anni Novanta: una eccessiva concentrazione della ricchezza in poche
mani.
E' appena il caso di dire che la teoria delle quattro classi sociali
farebbe rizzare i capelli a qualsiasi sociologo occidentale, al quale
è completamente estranea un'idea così riduttiva della
complessità sociale. Senza considerare che le classi indicate
dal santone indiano si distinguono più per un'attitudine psicologica
che per una situazione oggettiva, sia economica sia di status.
Ma non sono
idee nuove
Per quanto riguarda il determinismo storico, non è affatto
(come nota lo stesso Batra) una novità. "Già Platone,
Aristotele, Spengler e Toynbee hanno, fra gli altri, tentato di risolvere
questo puzzIe".E' vero, dunque, che l'idea non è nuova,
e che continua ad essere oggetto di discussione, ma non si presenta
mai in maniera così rozza e semplicistica come fanno Sarkar
e il suo allievo Batra. "In realtà - scrive nella prefazione
al libro Lester C. Thurow, docente di Management ed Economia al prestigioso
Massachussets Institute of Technology - la storia è una combinazione
di costanti che si ripetono e di elementi del tutto unici. I due approcci
non sono dunque antitetici. La storia è troppo complicata e
ha troppe sfaccettature perché un solo analista o un solo approccio
possa esaurirla".
Anche se viziato da tutti questi limiti, il libro di Ravi Batra si
presenta tuttavia suggestivo, e questo spiega anche il suo enorme
successo. L'opera appare come un inestricabile coacervo di profezie
orientali di stampo metafisico e di analisi economiche reali, in molti
casi convincenti. E' come se un profeta utilizzasse argomenti e dati
statistici inoppugnabili per dimostrare la verità delle sue
previsioni.
Non c'è dubbio, infatti, che molte indicazioni siano verosimili.
Non è un caso che in questi ultimi due-tre anni si sia sviluppato
un dibattito tra gli economisti americani sul tema: "Can it happen
again?", può una grande depressione ripetersi? L'eco di
questi dibattiti si può ritrovare sempre più spesso
sulla stampa. L'ultimo numero della rivista U.S. News titola in copertina:
"E' tempo di uscire dalla Borsatoro?". E all'interno si
fanno preoccupanti analogie tra il lungo boom di Wall Street negli
Anni Venti e quello degli Anni Ottanta.
Il pregio del libro di Ravi Batra, al di là dell'effettivo
valore delle sue previsioni, è quello di aver stimolato un
dibattito che ha costretto gli economisti a scendere in campo, pronunciandosi
sull'eventualità di un nuovo 1929. Il tema, alla fine, è
diventato la capacità delle istituzioni monetarie e del governo
di evitare una grande depressione dagli esiti catastrofici. In genere,
gli studiosi mettono l'accento sulle differenze che rendono quanto
mai improbabile il ripetersi meccanico del crack. Oggi, si afferma,
il governo non commetterebbe mai gli stessi errori di sessant'anni
fa. Eppure, l'ombra del dubbio rimane: nonostante le rassicurazioni,
la tesi di una grande depressione diventa sempre più popolare
anche fra i non addetti ai lavori. Ha scritto Leonard Silk, commentatore
del New York Times: "L'analisi di Batra è brillante, plausibile,
suggestiva e tremendamente inquietante".
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