§ Il grande crollo

I giorni che cambiarono il mondo




John Kenneth Galbraith



Giovedì, 24 ottobre. E' il primo dei giorni che la storia, quella esistente sull'argomento, identifica col panico del 1929. Se si prendono come criterio di giudizio il disordine, la paura, la confusione, esso merita senz'altro una considerazione del genere...
Il panico non durò tutto la giornata. Fu un fenomeno del mattino. L'apertura di per sé fu tutt'altro che spettacolare, e per un po' i prezzi rimasero fermi. La quantità scambiata, tuttavia, fu rilevante, e ben presto i prezzi cominciarono a cedere. Il ticker si prese indietro di nuovo. I prezzi scesero in misura maggiore e più rapidamente, e il ritardo del ticker continuò ad aumentare. Alle 11 il mercato era già degenerato in una folle, selvaggia corsa a vendere... Alle 11,30 il mercato era in preda a una cieca paura implacabile...
Perlomeno a New York il panico scomparve a mezzogiorno. A mezzogiorno infatti si manifestarono i segni dell'azione di "sostegno organizzato ... ".
Alle dodici i cronisti appresero che una riunione era in corso al 23 di Wall Street, negli uffici della J.P. Morgan & C.Si sparse immediatamente la notizia circa i personaggi presenti: Charles E. Mitchell, presidente del Consiglio d'amministrazione della National City Bank, Albert H. Wiggin, presidente della Chase National Bank, William C. Potter, presidente della Guaranty Trust Company, Seward Prosser, presidente della Bankers Trust Company, e l'ospite, Thomas W. Lamont, il dirigente della Morgan...
La notizia della riunione dei banchieri aveva già raggiunto la sala delle negoziazioni, e il ticker aveva diffuso lontano la parola magica. I prezzi si fermarono immediatamente e ripresero a salire.
In fase di chiusura gli ordini di vendita che continuavano a pervenire da ogni parte del Paese indebolirono nuovamente il mercato. Comunque, a suo modo, la ripresa del Giovedì Nero fu straordinaria come l'ondata di vendite che l'aveva reso così tetro.
Venerdì 25 - Sabato 26. Le contrattazioni continuarono in modo pesante: poco meno di sei milioni il venerdì, oltre due milioni nella breve seduta del sabato. I prezzi, in complesso, furono costanti; le medie salirono un pochino il venerdì, ma scivolarono in giù sabato. Si pensò che i banchieri si disfacessero della maggioranza dei titoli da essi acquistati per puntellare il mercato il giovedì prima. La situazione era migliore e tutti sapevano di chi era il merito. I banchieri avevano mostrato il loro coraggio e la loro potenza, e la gente applaudiva calorosamente e generosamente.
Domenica 27. Ci furono sermoni in cui si mise in risalto che sulla Repubblica era caduta in una certa misura la punizione divina, non del tutto immeritata...
Quasi tutti pensarono che la collera celeste fosse passata e che si potesse riprendere in pieno la speculazione. I giornali erano pieni di previsioni sul mercato della settimana seguente.
Le azioni, si giudicava concordemente, erano tornate convenienti e quindi ci sarebbe stata una precipitosa corsa al loro acquisto.
Lunedì 28. Cominciò sul serio il disastro. Fu il primo giorno in cui iniziò a rivelarsi questo processo alterno di culmine e abisso all'infinito. Fu un'altra terribile giornata. La quantità scambiata fu enorme, quantunque inferiore al giovedì precedente: nove milioni e un quarto, contro quasi tredici. Ma le perdite furono di gran lunga più gravi. Gli "industriali" dell'indice New York Times scesero nella giornata di 49 punti...
Martedì 29 ottobre. Fu la giornata più rovinosa della storia del mercato azionario newyorkese, anzi forse la più rovinosa giornata della storia dei mercati. Presentò insieme tutte le caratteristiche negative delle cattive giornate precedenti. La quantità scambiata fu immensamente superiore a quella del Giovedì Nero; la caduta dei prezzi fu quasi uguale a quella del lunedì.
Le vendite si iniziarono appena aperto il mercato, su scala enorme. Grossi pacchi di azioni venivano offerti per quello che si poteva prendere; nella prima mezz'ora le vendite mantennero un ritmo da 33.000 al giorno. Gli "spiragli d'aria" che i banchieri volevano tappare si allargarono. Ripetutamente e in molti comparti si accumulò una pletora di ordini di vendita, ma non si presentò alcun compratore...
Nella prima settimana la strage aveva colpito gli innocenti. Durante questa seconda settimana, stando alle prove, furono i benestanti e i ricchi a subire un'azione di livellamento paragonabile per vastità e subitaneità a quella diretta oltre un decennio prima da Lenin. Le dimensioni dei pacchetti azionari che venivano offerti facevano pensare che i grossi speculatori vendevano o erano liquidati...
I banchieri si riunirono due volte, il 29, a mezzogiorno e verso sera. Non si senti dire che essi mantenevano un atteggiamento filosofico. Ciò era tutt'altro che sorprendente perché, durante la giornata, una notizia spaventosa si era diffusa in Borsa. Si diceva che il pool dei banchieri, anziché provvedere a stabilizzare il mercato, stava in effetti vendendo azioni! Il prestigio dei banchieri era in verità precipitato più rapidamente dello stesso mercato. Dopo la riunione serale, Lamont incontrò la stampa con lo sgradevole incarico di smentire che essi avevano messo in liquidazione i titoli, o partecipato a un attacco ribassista. Dopo aver nuovamente spiegato, in modo un po' pleonastico, visti gli avvenimenti della giornata, che non era nei propositi dei banchieri mantenere un determinato livello di prezzi, egli concluse: Al gruppo ha continuato e continuerà in cooperazione a sostenere il mercato, e non è stato un venditore di azioni". In effetti, come rivelarono informazioni successive, Albert H. Wiggin della Chase si trovava personalmente a quel tempo in una posizione scoperta per alcuni milioni.
Giovedì, 31 ottobre. Nella breve seduta di tre ore furono trattate oltre sette milioni di azioni, e il mercato fece un altro buon passo avanti. Gli "industriali" dell'indice New York Times guadagnarono 21 punti. Il rendiconto settimanale della Federal Reserve Bank rivelò una diminuzione nei prestiti ai borsisti per oltre un miliardo, la maggiore diminuzione mai registrata in una settimana.
Il fine settimana portò una brutta notizia. Il sabato si annunciò il fallimento della Foshay di Minneapolis, una compagnia da 20 milioni di dollari. Il lunedì, la Commerciai National Bank and Trust Company occupò cinque colonne del New York Times per far conoscere "la nostra certezza e convinzione che la situazione generale industriale e commerciale del Paese è fondamentalmente sana ed essenzialmente intatta". Quel giorno il mercato subì in altro pauroso crollo.

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