§ Risorge il Vecchio Continente?

La sfida europea




Mario Deaglio



Vent'anni fa, le grandi multinazionali americane erano diventate, tramite le loro consociate europee, la vera forza egemone dell'economia del Vecchio Continente. Lo sosteneva Servan Schreiber ne La sfida americana, un brillante saggio che scosse l'opinione pubblica europea. Oggi, nell'indifferenza generale le parti si stanno invertendo: si deve ormai parlare di una sfida europea al mondo imprenditoriale americano.
Questa sfida ha una data d'inizio abbastanza precisa: dall'ottobre 1985, da quando, cioè, la caduta del dollaro ottenne una sanzione ufficiale, le grandi imprese europee stanno acquistando società americane al ritmo di circa due-tre miliardi di dollari al mese. Sono già passate, in tal modo, in mani europee numerose imprese-simbolo del modo di vita americano, dalla rete internazionale degli alberghi Hilton, per la quale il gruppo inglese Ladbroke ha pagato un miliardo di dollari, al prestigioso mensile Scientific American, acquistato per oltre cinquanta milioni di dollari dall'editore tedesco Holtzbrinck, dalle pistole Smith & Wesson alle bibite Canada Dry, dalla vodka Heublein a gran parte degli alberghi Holiday Inn.
L'azione europea non si limita, però, ai soli settori che producono beni e servizi destinati ai consumatori. Il baricentro mondiale della chimica è tornato in Europa, dopo che la tedesca Hoechst si è assicurata, per quasi tre miliardi di dollari, il controllo della Celanese Corporation, divenendo la prima impresa del mondo di questo settore; la francese Rhone Poulenc con una serie di acquisti diversi e l'italiana Montedison con il controllo della Himont sono diventate leader mondiali rispettivamente nei fosfati e nel polipropilene. Nella chimica fine, gli acquisti europei di società americane che producono vernici, inchiostri, colori, cosmetici, sono valutabili in almeno due miliardi di dollari negli ultimi 18 mesi.
La mappa industriale dell'Occidente sta così cambiando in profondità. La presenza europea, del resto, sta aumentando rapidamente in vari altri settori dell'economia americana, dagli alimentari al petrolio. Oltre la metà del cemento prodotto negli Stati Uniti proviene da società sotto controllo europeo; si sta facendo determinante la presenza inglese e tedesca nell'industria libraria. E in un settore tipicamente associato con l'immagine dell'America, e cioè la pubblicità, il peso europeo è forse ormai maggioritario. Qualche mese fa, un altro nome famoso, J. Walter Tomson, è passato sotto controllo inglese.
Come spiegare uno spostamento così imponente? Esso deriva dall'incontro di due diverse visioni della società, due concezioni delle imprese che portano a modi diversi e complementari di valutare la convenienza economica. Per gli americani dell'era di Reagan, l'impresa è un'entità eminentemente finanziaria e il capitale va spostato continuamente per realizzare sempre buoni bilanci che tengano alte le quotazioni in Borsa, permettendo nuovi finanziamenti e ottenendo il favore dei fondi di investimento. Quando una società controllata non soddisfa più queste condizioni, il gruppo di controllo se ne libera, senza alcun rimpianto.
Nella tradizione europea, invece, non si pensa alle imprese solo in termini di utili e di rendimento, ma anche in termini di prestigio, potere e ruolo nella società. In Europa, del resto, dove la proprietà è più concentrata, le imprese sono meno vulnerabili alle scalate di Borsa. E' quindi più facile impostare strategie industriali di lungo termine; le società americane vengono acquistate non già perché daranno profitti immediati, ma perché portano in dote brevetti, laboratori di ricerca, quote di mercato.
Agli europei sembra che con questi passaggi di proprietà di imprese importanti gli americani stiano vendendo i "gioielli di famiglia" e che evitino di affrontare il loro vero problema, quello di un grande Paese che vive al di sopra delle proprie risorse e che, prima o poi, sarà costretto a ridurre il proprio livello di spesa. Gli americani potrebbero rispondere che, per loro, parlare di imprese come gioielli di famiglia è privo di significato. Per questo, nelle decine di grandi contratti che sanciscono il passaggio in Europa di molti centri decisionali di investimenti e strategie, tutti, al momento della stretta di mano, sembrano soddisfatti.
Ci sono però motivi di preoccupazione.


Queste strette di mano, questa mutua soddisfazione per motivi così differenti, indicano in realtà un ampliamento della distanza culturale tra le due società, un tempo molto vicine tra loro.
L'America, dunque, è diversa. E le imprese europee che risbarcano oltre Atlantico non hanno sicuri modelli culturali da offrire e quindi neppure prodotti sicuri. Non ci sono equivalenti europei delle calze di nylon, della Coca Cola, della musica popolare con cui gli americani si presentarono in Europa dopo la seconda guerra mondiale. La vera sfida europea non potrà non essere una proposta di modelli di vita, di modi di organizzare la produzione; se si limiterà al piano finanziario, questa nuova presenza europea sulla scena economica americana potrebbe rivelarsi soltanto una fugace parentesi.


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