§ Politica regionale

CEE ad un bivio




Franco Compasso



Con l'allargamento della CEE alla Spagna e al Portogallo, dopo l'ingresso della Grecia, i problemi delle regioni meridionali dell'Europa vengono prepotentemente alla ribalta ed impongono alle istituzioni comunitarie l'urgenza di definire una nuova filosofia della politica regionale.
E, d'altra parte, tanto la revisione del regolamento del FERS quanto la riforma dei fondi strutturali indicano la volontà di avanzare sulla strada di una radicale riforma della strategia politica e dei meccanismi operativi della politica regionale. In questo quadro, va sottolineato che la Commissione delle Comunità Europee ha recentemente presentato al Consiglio e al Parlamento un progetto di proposta d'insieme (COM 87/376) finalizzato all'obiettivo di elaborare una nuova normativa generale in materia di fondi a finalità strutturali. Le regioni del Mezzogiorno d'Italia sono direttamente interessate al buon esito della riforma dei fondi strutturali, che è la premessa della radicale revisione della logica della politica regionale.
La Commissione per la politica regionale e l'assetto territoriale, presieduta dall'on. Pancrazio De Pasquale, ha avviato un approfondito esame delle proposte della Commissione esecutiva ed ha, anzi, assunto l'iniziativa di visite di studio nelle aree più deboli e sfavorite della Comunità per una più concreta e realistica analisi dei problemi e per una più adeguata indicazione degli obiettivi, della metodologia degli interventi, della specificità delle azioni, delle disponibilità finanziarie.
Ed è in questo ampio contesto di verifica e revisione della politica regionale che la Commissione ha svolto la recente visita di studio in quattro regioni della Spagna: Andalusia, Castiglia-León, Estremadura e Galizia. A Siviglia, in una riunione allargata ai vertici istituzionali delle quattro regioni e alla presenza del ministro per l'economia, Almeria, la Commissione per la politica regionale è stata in grado di tracciare un bilancio politico della visita e di approfondire orientamenti e proposte in vista della riforma della politica regionale. Non a caso, tra le 17 comunità autonome della Spagna, la Commissione ha ritenuto di visitare quattro regioni interne, la cui situazione economica è caratterizzata da un profondo malessere, da squilibri strutturali e territoriali, da acuti problemi, quali la disoccupazione ed il basso tasso di attività della popolazione. Tutto ciò aggrava i divari all'interno della Spagna, dove la produzione industriale e l'occupazione sono concentrate solo in alcune aree come la Catalogna, Valencia, Province Basche e il territorio metropolitano di Madrid. Il ministro dell'economia, Almeria, ha confermato a Siviglia, davanti alla Commissione per la politica regionale del Parlamento Europeo, che il governo spagnolo è impegnato a realizzare - come d'altronde avviene negli altri Paesi della Comunità - strumenti di cooperazione e di coordinamento tra potere centrale e poteri regionali. Da qualche anno è stato istituito un Consiglio di coordinamento tra il governo centrale e le 17 comunità autonome.
Ci chiediamo: servirà quest'organismo a dare impulso e vigore ad una politica economica che realizzi il superamento dei divari all'interno della Spagna? Anche in Italia esiste da anni il Comitato delle Regioni, un ministero (senza portafoglio) delle regioni, un ministero (senza portafoglio) per il coordinamento della politica comunitaria: chi ha mai coordinato i vertici di questi organismi, e che cosa è stata mai coordinata? I risultati sono sotto i nostri occhi: e sono risultati negativi. Non bastano gli organismi istituzionali di coordinamento: è necessaria, al fondo di ogni azione, una decisa volontà politica che, tanto a livello nazionale (in Italia non meno che nella Spagna) quanto a livello comunitario, sia finalizzata all'obiettivo del superamento degli squilibri e dei divari.
Dalla visita alle quattro regioni della Spagna emerge una realtà non dissimile da quella di alcune regioni sfavorite del nostro Sud: l'Estremadura (con il 28,6% della disoccupazione ed un PIL pro-capite del 47%) ha problemi non dissimili dalla nostra Calabria, mentre la Galizia ha caratteristiche analoghe alle confinanti regioni del Portogallo settentrionale, con una bassa produttività del settore agricolo, condizionato dall'eccessivo frazionamento di aziende agricole di piccola dimensione. Una radiografia esatta delle reali condizioni socio-economiche delle quattro regioni interne della Spagna si evince da alcune indicazioni statistiche, che di seguito pubblichiamo, desunte dalla terza Relazione periodica sulle regioni della Comunità:

Dall'esame del quadro complessivo e dei singoli parametri ed indicatori statistici è possibile avanzare alcune riflessioni. Le regioni periferiche della Spagna sono condizionate nel loro sviluppo dall'insufficiente sistema dei trasporti e dei collegamenti con il resto della penisola. È necessaria una intensa politica per lo sviluppo delle infrastrutture nel sistema dei trasporti, in particolare nella Galizia e nell'Estremadura. In Andalusia (che, dal punto di vista demografico, è la regione più importante delle quattro visitate) il punto di crisi della situazione economico-sociale è costituito dal tasso di disoccupazione, anche se l'agricoltura svolge un ruolo fondamentale nell'economia regionale e si registrano consistenti insediamenti industriali nell'area della Baia di Cadice e nella zona industriale di Huelva, nella quale esistono anche problemi di equilibrio ambientale. Un turismo incontrollato e senza un minimo di programmazione, l'inquinamento nella zona industriale di Huelva, il degrado ambientale pongono all'Andalusia l'esigenza di realizzare un piano di sviluppo integrato che tenga conto della molteplicità e complessità della sua realtà economica.
Una nuova politica di razionalizzazione del settore agricolo si pone per la regione della Castiglia-León, la più estesa delle regioni spagnole per l'ampiezza del suo territorio: su una popolazione di 2,6 milioni di abitanti (la densità è bassissima) il 30,3% è ancora dedito all'attività agricola, ma conferisce solo il 10% alla formazione del PIL regionale. I dati del quadro statistico relativi alla disoccupazione (18,2%) e al PIL pro-capite (70%) non debbono trarre in inganno perché si tratta di occupazione che gravita su Madrid.
La situazione socio-economia delle quattro regioni spagnole indica a chiare lettere che la politica regionale deve attivare strumenti di intervento più incisivi ed adeguati, avendo per obiettivo la rottura della stagnazione economica e dell'isolamento e per favorire l'occupazione delle regioni più sfavorite anche al fine di bloccare le migrazioni interne. Bisogna altresì evitare, come purtroppo è accaduto in Italia, che i processi di ristrutturazione industriale (in quelle poche aree dotate di investimenti produttivi) tornino a vantaggio delle aree più forti.
La nuova logica del FESR deve essere indirizzata alla crescita e al decollo delle economie regionali caratterizzate da profondi e storici ritardi strutturali e alla riconversione delle aree industriali in difficoltà.
Alla fine del 1986, alla Spagna sono stati erogati circa 660 miliardi di ECU (il 98% destinato solo alle infrastrutture) mentre si prevede che per il prossimo biennio essa potrà utilizzare fino al 24% delle disponibilità finanziarie complessive del FESR, senza contare la quota di sua spettanza per i programmi comunitari come STAR e VALOREN (cioè nei settori delle telecomunicazioni e delle risorse energetiche).
Come per le altre regioni periferiche, anche per la Spagna gli aiuti agli investimenti produttivi rappresentano solo un elemento della politica regionale della CEE: questa politica per essere efficace deve incidere sulle strutture dell'attività economica e favorire il superamento di squilibri e distorsioni. Se si vuole veramente rendere operante l'obiettivo dei Trattati istitutivi della CEE, occorre realizzare una politica economica comune che favorisca e promuova lo "sviluppo armonioso" di tutte le regioni comunitarie. In caso contrario avremmo legittimato l'Europa a due velocità, che è l'esatto contrario della crescita equilibrata della Comunità e del decollo delle regioni più periferiche e sfavorite.


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