§ Contributi

Crescita prigioniera delle infrastrutture




Romano Prodi



E' comune opinione che la fine degli Anni Ottanta presenti per l'Italia un punto di svolta a causa delle scelte che si impongono su temi di grande importanza per lo sviluppo economico nazionale: fra tali scelte spiccano, per importanza, tutte quelle che andranno a determinare il livello e la struttura degli investimenti in costruzioni.
Negli Anni Settanta ed Ottanta vi è stata una rapida evoluzione nelle intensità d'uso delle armature urbane e delle infrastrutture ed a questa evoluzione non è corrisposta una parallela crescita né quantitativa né qualitativa delle stesse: si pensi all'accresciuto traffico di merci e di persone ed alla corrispondente mancata costruzione di nuovi porti, autostrade, vie di comunicazione in generale, con conseguenze negative evidenti a tutti, consumatori e produttori.
Si è venuta così a creare notevole discrepanza tra il fabbisogno e la disponibilità di capitale investito in costruzioni: questa frattura si sta progressivamente rivelando con maggiore evidenza e induce conclusioni negative sulla semplice disponibilità di mere operazioni di manutenzione delle dotazioni attuali. Stato delle città, nel senso di condizioni residenziali ed urbane; stato delle infrastrutture, ovvero condizioni delle strutture per la produzione e la comunicazione: questi sono i temi di una politica di settore che pare obbligatoriamente porsi come strumento per la trasformazione dell'ambiente dove ci si insedia, ci si muove e si produce.
E' così necessario un nuovo ciclo di interventi sulle infrastrutture di servizio alle attività produttive e sulle aree urbane che in particolar modo risentono di una configurazione territoriale non più adeguata ai tempi ed alle dimensioni dei fatti economici che in esse si svolgono. Ne sono fra l'altro una prova evidente le grandi e piccole aree industriali ed artigianali dismesse e le stesse aree demaniali (militari e non) che occupano ovunque, a macchia di leopardo, vasti spazi di altissima utilità ed privata e collettiva. Ma anche fatti meno evidenti, come la cattiva utilizzazione del patrimonio edilizio residenziale a causa dei numerosi ostacoli alla mobilità al suo interno.
A queste considerazioni si può aggiungere, ragionando "alla Keynes", il ruolo degli investimenti in costruzioni visti come domanda aggregata che moltiplica il reddito, sostiene il ciclo economico e promuove l'occupazione, anche se questa argomentazione, ormai classica, è secondaria rispetto al nostro ragionamento. Tutto ciò porta a immaginare uno scenario edilizio caratterizzato dal cambiamento con una conseguente mutazione dei meccanismi che presiedono al suo attuale funzionamento (o non funzionamento). Se gli operatori di questo strategico settore sapranno capire le dinamiche e le tendenze, e se sapranno favorirle, si apriranno favorevolmente le condizioni per la crescita economica complessiva del Paese, pena, al contrario, il consolidarsi di un vincolo sempre più opprimente.
Quanto costi e quanto offra, al benessere ed al prodotto nazionale, il disporre di una armatura di costruzioni bene utilizzata e distribuita, è un conto che nessuno ha ancora fatto, ma che varrà la pena affrontare - e per farlo occorrerà disporre di adeguate conoscenze - se si vorrà decidere, in un quadro che tenga conto di tutte le interrelazioni, secondo principi elementari di razionalità economica.

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