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Il corsivo
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I colonizzatori dell'invisibile |
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Giuliana
Giuliani
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Ci
sono, nella storia delle civiltà umane, fenomeni specifici, legati
al tempo, particolari e fenomeni costanti nel tempo, ovunque diffusi
e, perciò, universali: tra questi è certo da porre la
superstizione. Sarà bene chiarire subito il significato del termine
e considerarlo in senso lato, poiché in esso facciamo rientrare
la serie indeterminata di pratiche e credenze che, a seconda della loro
specificità, chiamiamo magia, occultismo, cartomanzia, oniromanzia,
astrologia, e l'elenco potrebbe continuare ancora a lungo. Superstizione
è"porre sopra" e qui subito il termine diviene ambiguo
e polivalente: "sopra" rispetto a chi o a che cosa? La determinazione
che potrebbe seguire l'avverbio cambia l'orientamento della ricerca
e della riflessione poiché altra è la via da seguire se
intendiamo "sopra la possibilità o la capacitò di
conoscenza umana" o sopra la natura stessa dell'uomo. La scelta
di tale determinazione ci conduce verso percorsi a differente sistema
di riferimento: la prima contiene il senso dell'infinita ricerca, lasciando
spazio alla convinzione che il potere conoscitivo dell'uomo ha dei limiti
costantemente modificabili e valicabili anche se temporaneamente lontani,
l'altra proietta in un mondo inattingibile verità metafisiche
e trascendenti a cui può partecipare solo per misteriosa rivelazione
dell'invisibile. Il mondo è per l'uomo, prima di tutto, visibilità
ed ogni forma di conoscenza non è che traduzione logico - linguistica
di nessi tra elementi dei visibile; conoscere è spiegare, rintracciare
le relazioni tra i fenomeni e la loro stabilità: quando ciò
è possibile nascono i grandi sistemi esplicativi delle grammatiche
e sintassi scientifiche e filosofiche.
La conoscenza del mondo acquista nobiltà, produce sicurezza e si configura come possibilità di dominio e riproducibilità. Ma ogni tappa di questo interminabile percorso è il risultato di infiniti tentativi ed esperimenti che vengono relegati nella subcultura ogni qual volta la visibilità viene sistemata come espressione, acquistano lo status meno nobile, disprezzato, temuto della superstizione. Eppure il mondo non cessa di presentarsi come invisibile o come possibilità di diverse sistemazioni espressive della visibilità i cui confini rimangono sconosciuti e indeterminati: verso tali confini si muove costantemente la schiera dei colonizzatori dell'invisibile, simili a coloro che si avventurano in terre sconosciute per impadronirsene, sistemarle, sottoporle all'ordine costituito e renderle produttive perché dominabili. Il composito esercito di indovini, stregoni, cartomanti, alchimisti, spiritisti non demorde dal tentativo di valicare i confini del noto per colonizzare l'ignoto. E che cos'è il noto se non la capacitò acquisita di dare nomi certi e comunicabili alle percezioni dei fenomeni? Perciò l'ignoto resta il campo aperto a tale tentativo. Di fondo la ricerca filosofica, religiosa e scientifica non si è mai nascosta tale oscuro ed ineliminabile presupposto che, forse è così inconscio, da non essere mai considerato coscientemente e razionalmente. Sempre le culture dominanti, dopo essere divenute tali proprio grazie ad una loro acquisita esprimibilità e comunicabilità dell'ordine concettuale - espressivo, hanno cercato, spesso con il ricorso alla violenza e alla sopraffazione, di imporre e mantenere tale sistema come fondamento del loro dominio. La cultura dominante preconsciamente sa di reggersi sui predicati che il linguaggio ufficiale attribuisce ai fenomeni, sulla categorizzazione imposta. Non è un caso se le conoscenze non ufficiali si sono sempre diffuse tra le classi subordinate, elevandosi a sistemi dominanti quando la classe che ne era portatrice è riuscita ad imporsi sul piano economico-politico. Ciò accadde quando il sistema copernicano divenne funzionale ad una società di commercianti e navigatori, rispetto alla staticità del sistema oristotelico - tolemaico altrettanto funzionale ad una società che si considerava inamovibile e costruita per l'eternità dall'imperialismo giuridico - politico dei Romani di cui si era fatta portatrice ed erede la Chiesa romana, trasformandolo in imperialismo simbolico - culturale. Allora, se seguiamo tale percorso di ricerca e ci poniamo in questa prospettiva, la storia dell'umanità ci appare come una lotta continuo, assai difficile da cogliere perché assai dilatata negli orizzonti del tempo e dello spazio, tra sistemi simbolici, tra recitò simbolizzate, tra linguaggi tendenti ad imporre un'unica possibilità di comunicare la percezione del visibile. L'uomo, allora, ha sempre creato stati di guerra, scontri, rivoluzioni solo perché dai suoi quadri espressivi - conoscitivi dipende la sua stessa possibilità di approccio al "reale" che è reale solo perché è esprimibile con sicure e comunicabili categorie. La paura del mondo non è che la paura di non poterlo esprimere e di vederlo, così, vanificarsi e nullificarsi. A tale consapevolezza eraclitea rispose, a mo' di soluzione, la tesi parmenidea come rifiuto della non predicabilità del mondo. Proprio nel pensiero greco si fece, per la prima volta, luce razionale sull'intuizione del mondo come possibilità di intrappolare la luce del visibile in forma caleidoscopicamente determinate e, perciò, di poterle fermare e guardare come stanti e concrete. Infatti, l'intuizione del mondo come mobile oceano di luce, come variabilità di immagini, simile alla massa nebulosa che assume le forme del nostro patrimonio simbolizzante quando le guardiamo, è antica quanto la civiltà, poiché essa emerse solo quando gli uomini furono capaci di proiettare sul mondo il loro desiderio e tentarono di soddisfarlo fermandolo e comunicandolo. il mondo orientale non ignorò l'unica realtà del mare di luce indeterminabile, ricoperto dal velo di Maya della rappresentazione. Ma tutto questo in loro fu mistero e gioco, conoscenza intuitiva ed estatica per pochi, impossibilitò di progettazione per i molti, qui e ora, della vicenda esistenziale mutevole, sospensione dell'esistenza tra l'illusione della realtà e l'inafferrabilità dell'indeterminato quanto indeterminabile. Gli dei, proiezioni degli umani schemi immaginativi, creano il mondo e la modificano a loro piacimento: essi hanno il dono di poter modificare, solo essi suscitano i colori, le forme che ci rendono possibile l'esistenza. La realtà, dunque, è solo ciò che è possibile simbolizzare con un'accettabile continuità, illudendosi, entrando, cioè, nel gioco della sua immutabilità: sono i termini e le origini del mito, sono le immagini archetipiche delle percezioni ineliminabili legate ai desideri biologici e affondanti le radici della loro origine nella necessità della vicenda organica. Nascono i mostri come contrapposizione alla certezza dell'immagine acquisita e comunicata. Il mostro che mangia e che divora, che insidia e che distrugge, l'anomalia della sua forma, l'indeterminatezza dei suoi contorni, la imprevedibilità del suo gesto, l'oscurità o la solitudine della sua dimora, non sono altro che la latente immagine dei visibile che può ancora e sempre manifestarsi come diverso e, perciò, indicibile, incomunicabile, demolitore delle certezze delle immagini comunicabili e vissute come reali. Il nascosto domina così, in ogni epoca e cultura, la vita quotidiana dell'uomo: il risultato è la paura di perdere l'acquisito, il certo, il comunicabile. Se accettiamo tale schema interpretativo, potremo fornirci una spiegazione, certo una delle tante possibili, circa il mondo della superstizione. Il mostro, nel senso in cui lo abbiamo nominato, incombe, ci sta sopra, minaccia la nostra possibilità di esistenza cosciente e per questo bisogna avvicinarlo, pacificarlo, renderlo benevolo, esorcizzarlo, dominarlo anzi, possibilmente conoscerlo. i tentativi umani sono innumerevoli e diversissimi. La musica, nel pensiero del pitagorismo, è il tentativo di cogliere la relazione costante, numerica, tra i rapporti luminosi, il canto un tentativo di comunicazione espressiva col numinoso, la danza una riproduzione ritmica e gestuale dell'ordine cosmico, il rito l'immobilizzazione del mito-simbolo. Attraverso questi tentativi è possibile vivere, stabilire rapporti e relazioni, realizzare desideri. Dove la coscienza di ciò si attenua c'è il tentativo ingenuo ed ossessivo che si esprime in formule, gesti, rituali fissi di cui si avverte la potenza e, contemporaneamente, la terribilità di ogni minima variazione: essa porterebbe sciagura. I gesti e le formule, di cui ogni cultura offre infinita varietà, significano l'inamovibilità, la ripetibilità dell'immagine e perciò del reale. Attraverso di essi ci si garantisce la sicurezza di continuare a vedere il mondo, la credibilità del futuro come estensione della coscienza presente: è la funzione della ripetizione ossessiva della formula e la sua misteriosa sacralità, spesso incomprensibile e priva di senso proprio perché è in comunicazione col nascosto. al teraton non ci si può accostare con l'arroganza e con la tracotanza della chiarezza razionale. Interessante è citare come esempio un componimento religiosa sumerico, scritto prima nel dialetto delle donne, che in seguito si fuse con l'esecuzione degli uomini: padre Mullil
signore di tutti i paesi La divinità
è paternità: il padre è colui che offre la possibilità
di vita, l'archetipo del potere, il codice della realtà. Esso
offre alle donne una lingua, un codice diverso da. quello degli uomini,
perché diverso è l'approccio col visibile dei due mondi
che biologicamente funzionano in modo differente. La relazione che
è possibile stabilire tra le culture del vicino Oriente, l'ebraismo,
il cristianesimo e il mondo grecoromano ci consente di trattare, sia
pure con tutta la superficialità dell'indicazione, questi mondi
culturali come se si trattasse di uno solo, poiché a noi, in
questa sede, non interessano le differenze specifiche ma l'unità
di alcune costanti. La prova di ciò è la costanza e
la continuità delle pratiche magiche e stregonesche presso
tutte le culture del mondo. Il mago, lo stregone, il sacerdote, il
re-sacerdote non sono altro che i custodi di quella porta segreta
che si apre sull'invisibile, che custodisce la realtà come
concretezza e continuità, che è garanzia del passato
solo perché deve essere garanzia del futuro. E' necessario
credere al passato, cioè al fatto che il mondo è stato
per poter avere fiducia che sarà. Tra questi due custodi il
presente acquista credibilità e concretezza. Il passato e il
futuro sono i limiti della terraferma, quelli che salvaguardano i
limiti dell'eterno, mobile oceano della luce. La lotta per la vita
è lotta per la conquista dei limiti comunicabili e perciò
concreti. La figura protettiva del padre garantisce tali confini perché
accetta di parsi al limite e di correre il rischio di guardare al
di là, di dare il nome dell'indeterminata archè. Tali
padri furono Talete, Anassimandro, Anassimene, padri protettivi che
attribuirono un nome all'indicibile; meno protettivo fu Empedocle,
che scoprì nel simbolo terrificante ed eternamente mobile del
fuoco l'impossibilitò di ogni determinazione. La pluralità
dei mondi, il loro eterno variare, la ricerca dell'ubi consistam,
hanno generato la fede, ogni fede in qualcosa che in quanto è
non può cambiare. E' vero che la possibilità del mondo
si regge sulla scommesso della fede, perché se ciò non
fosse l'esito non potrebbe essere che la follia nel contatto con l'indeterminato,
la distruzione di ogni certezza a la mistica follia dell'annichilimento,
della perdita di ogni confine. Tale forse fu la follia di Nietzsche,
di Hölderlin e Van Gogh, dei santi visionari e degli artisti.
Anche la follia che appare come sragione non è che un ordine
diverso dato al mondo, o semplicemente non dato. La storia della cultura
è densissima di tentativi consci o inconsci compiuti dall'attività
immaginativa dell'uomo atteggiata in mille diverse forme. La filosofia
ha tentato ogni possibile sistemazione del mondo, o generando la certezza
dei sapere scientifico o accennando al mistero di ciò che è
al di là del linguaggio. Platone si affacciò sul mondo
dei visibile per rivelare l'attività demiurgica della forma
non altrimenti da Dante o da Gesù. In questi termini è
possibile intravedere una democratizzazione del sapere, in quanto
i capi, i padroni del pensiero, i custodi dell'inconoscibile, i sapienti,
i sacerdoti, gli stregoni, possono rendere partecipi tutti del segreto
che rende possibile modificare la rappresentazione del mondo, consentendo
che ogni uomo se lo costruisca secondo la sua favola personale, non
alienata dagli altrui dogmatismi. Tuttavia questo sapere rimane nascosto
ai più perché essi devono credere alla parola, altrimenti
il mondo comunicabile, nominato e, perciò, reale andrebbe in
frantumi. La solidarietà, la relazione, il rapporto con gli
oggetti non potrebbero esistere. E' bene che pochi, in segreto, sappiano
che il mondo non è, ma è trasformabile e rappresentabile
a piacimento, anche perché questo sarebbe rischio di morte
e di disintegrazione. Gli alchimisti ben conoscevano questo segreto,
il mistero che congiunge la vita dell'indicibile, la pietra filosofale,
la capacitò o la possibilità che tutto si trasformi
nella luce aurea dell'indefinibile. Gesù, attraverso il miracolo,
indica la possibilità di creare il mondo, poiché esso
è come noi lo rappresentiamo: il miracolo è prova della
trasformabilità di ogni rappresentazione: interviene, infatti,
in ogni pratica magica o mistica. Ciò che disorienta in tale
approccio, è proprio quello che si trae, infine, come conclusione:
potremmo creare il mondo a nostro piacimento o, meglio, come risultato
simbolico della nostra personale vicenda esistenziale e non temeremmo
più la morte poiché essa è solo deprivazione
del nostro patrimonio simbolico, costrizione a credere in una realtà
alienata che ci domina, la quale sottintende e rappresenta il dominio
dei pochi sui molti. "Tu hai potere su di me perché io
te lo do" afferma Gesù al gran sacerdote. |
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