§ I temi della cultura

Trent'anni dopo: il primo Statuto dell'Università di Lecce




Mario Marti



A voler essere pignoli fino in fondo, indicare oggi trent'anni di età per l'Università di Lecce è segnale cronologico puramente orientativo; e temo che lo sarà per sempre in futuro, quando, dell'Università di Lecce, si vorrà con la maggiore esattezza possibile segnalare l'anno vero di nascita. Certo, il primo organismo confluito poi nelle successive strutture universitarie, fu il Magistero, che iniziò a funzionare nell'anno accademico 1955-56, tuttavia come Istituto Superiore di Magistero, e non come Facoltà universitaria, essendosi costituito come un Ente autonomo e isolato, autosufficiente, per così dire. Ma l'esistenza di una Università, come è ben noto, è condizionata dalla esistenza di almeno due Facoltà, e quella di Lettere sorse l'anno accademico successivo, 1956-57; e affiancandosi al Magistero, permise la definitiva nascita di una Università con due facoltà, Magistero appunto e Lettere (e Filosofia). Sarebbero però superati i trent'anni, oggi come oggi (febbraio 1988, in cui vengono scritte queste note), se vogliamo partire dal primo anno accademico dell'Università operante e attiva (1956); e ancor più, se si voglia tener conto del precedente anno occupato dal funzionamento dell'Istituto Superiore di Magistero. Pure, se si considerasse come anno di battesimo quello del l'approvazione del relativo, indispensabile, Statuto, trent'anni non sarebbero ancora passati, perché il primo Statuto dell'Università di Lecce è datato al 22 ottobre 1959, e fu promulgato con Decreto del Presidente della Repubblica recante il n. 1408. L'avvenimento burocratico e amministrativo non può annullare però una realtà già viva, fervida, pulsante; una piccola folla di ragazzi e ragazze si recava ogni mattina nelle aule adattate, non belle ma in qualche misura sufficienti, del palazzo vecchio (ma non troppo) della Gioventù Italiana del Littorio presso Porta Napoli, di fronte al "Carlo Pranzo".
C'ero anch'io già fin d'allora, fin dal 1956 nella Facoltà di lettere (dall'anno cioè della sua stessa fondazione), come Professore d'italiano, fresco Libero Docente; l'anno prima avevo ritenuto doveroso rifiutare la proposta di un incarico in Filologia Romanza (nel Magistero), proprio per non tradire la mia sia pure minima, ma specifica, competenza; e debbo dire che non me ne sono trovato pentito. Però ricordo quegli anni di preoccupazione grave, da parte di tutti gli interessati, perché la Università era ancora, dopo quattro anni dall'avvìo di Magistero, Università "privata"; né gli esami sostenuti avevano alcuna validità giuridica, e neanche la frequenza o la iscrizione potevano essere sufficienti a rinviare il servizio militare cui avrebbero dovuto subito assoggettarsi i giovani studenti. Le già precarie iscrizioni erano spaventosamente colate, specialmente a Lettere (solo 11 nell'anno accademico 1958-59, e non tutti propriamente studenti desiderosi di laurearsi); tanto che si profilava sempre più insistente l'ipotesi di sopprimere Lettere e tornare all'Istituto Superiore di Magistero, che quanto a iscrizioni teneva meglio. Strano a dirsi (ma a pensarci bene, poi neanche tanto strano): il territorio rispose con entusiasmo all'appello di compartecipazione e di contributo economico; era nato il Consorzio Universitario Salentino, nel settembre del 1955, comprendente ben 88 Comuni più il Capoluogo, insieme con l'Amministrazione Provinciale, con la Camera di Commercio, con l'Ente Provinciale del Turismo, e successivamente anche col Comune e con l'Amministrazione Provinciale di Brindisi; ma non rispose con altrettanto entusiasmo all'appello della iscrizione e della frequenza dei giovani salentini alla nuova Università. Operavano malvagiamente, sotto questo profilo, polemiche nazionali e locali. Ben lungi dal prevedere quello che di lì a poco sarebbe successo per urgenti necessità strutturali, il mondo accademico più ostinatamente, ma anche il mondo politico, sia pure in maniera più morbida, si dicevano recisamente contrari alla istituzione di nuove Università, particolarmente in centri minori e periferici, proprio là dove le esigenze invece erano più forti e più giuste; sembrava che l'apertura di una nuova Università fosse l'inizio della fine del mondo, e proprio del mondo accademico, tutto ancora chiuso nel suo inossidabile potere e tanto geloso di esso da non accorgersi che le vecchie e tradizionali strutture stavano per scoppiare sotto l'irrefrenabile spinta delle affluenti nuove masse studentesche. Il tentativo leccese, così lontano, così emarginato ed eccentrico, fu oggetto di ironica irrisione più e più volte da parte di autorevoli esponenti dell'alta cultura accademica e non accademica; irrisione pubblicamente espressa e illusoriamente documentata su quotidiani, periodici e riviste di enorme diffusione. Un illustre studioso, il quale aveva accettato di far parte del Comitato Tecnico costituito dall'Amministrazione Provinciale di Lecce per la fondazione della Facoltà di Lettere, credette bene doversi dimettere, dissociandosi da un'intrapresa generalmente e variamente condannata.
Eppure, oggi, col senno del poi e con una prospettiva trentennale rivolta al passato, quell'intrapresa può essere considerata come la punta di diamante che per la prima volta riesce a trapanare la catafratta difesa della tradizionale e intoccabile dislocazione delle Università in Italia (due sole insomma in tutta l'Italia meridionale, Napoli e Bari); e può essere considerato un atto di grande saggezza e di giuste previsioni l'aver evitato che le spinte alla creazione di una Università a Lecce si appagassero del solo Istituto Superiore di Magistero (come era avvenuto a Salerno). Per giunta, non si trattava - per la prima volta, credo - di una concessione discesa dall'alto, bensì di richieste che nascevano dal basso, dalle popolazioni stesse, con la costituzione del Consorzio Universitario Salentino, voluto e guidato dall'Amministrazione Provinciale. E alla irresponsabile e dannosa irrisione su piano nazionale, accademico in modo specifico, e culturale in più ampia misura, facevano riscontra tensioni e scetticismi locali; l'atavico autolesionismo salentino; l'incredibilità istintiva degli eterni emarginati nei riguardi di un traguardo così lontano e irraggiungibile; la sorda lotta di quei docenti delle Scuole Medie Superiori (in particolare dei Licei Classici e di quei lusingati personaggi della cultura provinciale, i quali si sentivano amareggiati e si ritenevano offesi per essere stati (giustamente, per altro, almeno nella stragrande maggioranza dei casi) lasciati da parte. L'alta e colto borghesia salentina osservò un sovrano distacco e ostentò una notevole indifferenza. Perciò, quando, nell'ottobre del 1959, giunse e si diffuse come un lampo la notizia che lo Statuto della Libera Università degli Studi di Lecce era stato approvato e firmato, e che l'organismo fin allora "privato" era stato "pareggiato", con tutte le relative benefiche conseguenze, la gioia e l'entusiasmo di tutti noi, che avevamo tanto a cuore la felice riuscita dell'iniziativa e che su di questa avevamo puntato le carte del futuro, si identificarono anche in un respiro di sollievo profondo e liberatore. Naturalmente, cominciarono a moltiplicarsi le iscrizioni, e a prender corpo i nuovi problemi di strutture e di crescita.
Ed eccolo qui, lo Statuto, il primo Statuto, della Libera Università degli Studi di Lecce, approvato con D.P.R. 22 ottobre 1959 e firmato dal ministro Medici, della Pubblica Istruzione. E' un fascicoletto di 42 pagine con una sobria e disadorna copertina grigioverde, ormai un po' ingiallita, stampato nel 1960 dalla Editrice Salentina di Galatina. Sono esattamente 99 articoli raggruppati in 9 "Capi", uno solo del quali, quello riguardante l'"Ordinamento generale degli studi", risulta diviso in tre sezioni ("Norme generali"; "Facoltà di Lettere e Filosofia"; "Facoltà di Magistero"). A guardarlo ora, così esile e modesto, quasi timido a farsi perdonare dell'esser nato, fa una certa tenerezza, pensando a quello che in soli trent'anni (meno d'un soffio, rispetto alla prevedibile vita plurisecolare d'ogni istituto universitario) s'è disviluppato inizialmente da esso: circa 10.000 studenti, 4 Facoltà, una decina di Dipartimenti, rispetto ai quali resistono ancora pochi Istituti, centinaia e centinaia d'insegnamenti, una decina di corsi di laurea, centinaia di docenti di prima e di seconda fascia con relativi posti di ruolo e decine di Ricercatori e Assistenti, una ricchezza bibliografica d'alto livello e specializzata, che può essere collocata al terzo posto nell'Italia meridionale (dopo Napoli e Bari), un personale amministrativo e subalterno numeroso per centinaia e ben addestrato, nuovi e vecchi edifici utilizzati (accanto alla cara vecchia dimora dell'ex GIL) o costruiti, Rettorato e Uffici, Palazzo Parlangeli, Palazzo Casto, Villa Fiorini, Villa Tresca, e ora anche Palazzo Carrozzini, Istituto Principe Umberto, e così via per l'avvenire; speriamo. E intanto sono a buon punto, finalmente, i nuovi edifici presso Monteroni (la prima "stecca", destinata, mi pare, a lettere). Via, siamo onesti e ragionevoli. In soli trent'anni si è fatto davvero tanto; e bisognerebbe partire dalla data del l'approvazione del primo Statuto almeno, e cioè dall'anno accademico 1959-1960; e non sarebbero dunque ancora trent'anni. Fa proprio tenerezza, questo fascicoletto un po' ingiallito e probabilmente ormai raro; come la culla di un neonato, messa ormai da parte perché il neonato ha imparato a camminare da sé. Forse si sarebbe potuto fare di più e di meglio; ma quanto è stato fatto si può ritenere che possa appagare almeno la storia. Gli uomini, purtroppo, mai.
Generalmente considerato, il primo Statuto dell'Università di Lecce ricalca la rete dispositivo del Testo Unico per le Università italiane, e la adatta, con serena intelligenza, alle condizioni specifiche della neonata e dell'ambiente in cui è destinata a vivere. Insegnamenti fondamentali comuni; insegnamenti fondamentali per i singoli indirizzi; insegnamenti complementari e a scelta; biennalizzazioni e triennalizzazioni; elenco di discipline statutarie sfoltito ben bene rispetto a quello del Testo Unico, con uno sguardo sempre rivolto a un generale quadro didattico ben unitario e organico; doveri dei docenti e degli studenti; autorità accademiche; personale amministrativo e ausiliario. Qualche volta, nell'adattamento del modello statale alla nuova organizzazione, si nota un maggiore rigore di controllo, un'attenzione più severa e restrittiva. Questo succede, per esempio, all'art. 15, ultimo comma di p. 10, dove si dispone che "Due degli insegnamenti complementari possono essere sostituiti dallo studente con due discipline di altri corsi di studi della stessa o anche di diversa Facoltà dell'Università degli studi di Lecce" (Testo Unico); e si aggiunge però: "In quest'ultimo caso è necessaria l'approvazione della Facoltà di Lettere e Filosofia". La necessità di un controllo diretto e di una guida sicura, ma non rigidamente dura e cieca. Nel successivo comma infatti si da la facoltà allo studente di biennalizzare un qualsivoglia insegnamento in due anni anche non immediatamente successivi, utilizzando lo spazio facoltativo lasciato libero dalle disposizioni del Testo Unico, che non prevedono possibilità siffatta. Ancora. Il legislatore leccese interviene di suo, quando impone allo studente di dichiarare, prima della domanda d'iscrizione al secondo anno di corso, quale indirizzo egli intenda seguire; che è non una limitazione di libertà, ma un richiamo all'attenzione, alla buona volontà e alla coerenza, senza tentennamenti o tortuosità dovuti alla difficoltà degli ostacoli da superare (art. 15, terzultimo comma). Forse ancora più significativa la integrazione che si legge all'art. 11, comma 2, interpretabile come desiderio di ordine e di giustizia, ma anche come gelosia di potere accademico. Il comma prevede la convocazione, "alle adunanze concernenti determinati oggetti" del professori incaricati e rappresentanti dei liberi docenti; e il legislatore leccese ha ritenuto necessario specificare i "determinati oggetti", aggiungendo: "escluse però le questioni riguardanti la composizione della Facoltà, e le proposte di nomina o conferimento d'incarichi". Forse non c'era bisogno alcuno di questa integrazione, dai momento che di materia siffatta la legge dello Stato affida la competenza (o almeno la affidava) ai soli professori di ruolo facenti parte del Consiglio; e tuttavia l'estensore dell'articolo ha voluto mettere, a quanto pare, le mani avanti, ed evitare equivoci.
Molto opportuno e congruo appare il dispositivo dell'art. 86, che regola i rapporti fra la libertà dello studente di formulare e di seguire un proprio piano di studio e la responsabilità attribuita alla Facoltà di salvaguardare la preparazione scientifica e professionale dei giovani. Il primo comma prevede la formulazione di un piano di studio generale da parte della Facoltà, e fa obbligo di attenervisi a tutti gli studenti i quali aspirino all'esenzione delle tasse o all'erogazione di sussidi. Ma agli studenti stessi (secondo comma) è riconosciuta la possibilità di "organizzare come credono" il loro piano di studi, il quale tuttavia, se è diverso da quello consigliato dalla Facoltà, è soggetto all'approvazione del Preside "almeno all'inizio del secondo anno di studi". Poi tutta questa materia è andata in frantumi con la legge della cosiddetta liberalizzazione dei piani di studio intervenuta nel 1969, la famosa e famigerata n. 910. E sarebbe tempo, anzi, di uscire finalmente - sono passati quasi vent'anni - dalla tempesta sperimentale delle ipotesi tutte possibili, per entrare nel porto di certezze fisse e valide per tutti. la situazione si presenta ormai del tutto matura, anche per evitare le ricorrenti contestazioni, dovute spesso a motivi del tutto privati, personali, extrascolastici, riguardanti appunto l'approvazione dei piani di studio cosiddetti "personali" o "individuali", o la scelta d'argomento per la tesi rivolta ad insegnamenti di altra Facoltà. I Consigli di Corso di laurea sono continuamente esposti ad accuse di fiscalismo, laddove è loro dovere difendere la serietà della ricerca scientifica e la coerenza e la organicità di un piano didattico congruo alla formazione professionale. Con la 910 lo Stato s'è scaricato di una responsabilità certamente sua, almeno fino a quando saranno validi e del tutto condizionanti i titoli di studio da esso rilasciati, ma altrettanto certamente impopolare e rovesciata sulle Facoltà. Per conto suo l'esile Statuto della libera Università di Lecce aveva risolto in maniera equilibrata ed intelligente la spinosa questione.
Alla quale si collega (mi si permetta l'ardire sintattico, con punto e a capo) quanto vi è previsto per la discussione delle tesi di laurea. Per la scelta della disciplina nella quale laurearsi, l'art. 18, che regola la materia, non pone condizione alcuna, perché evidentemente il legislatore, trenta anni fa, non pensava neanche lontanamente che lo studente potesse aspirare a laurearsi in una disciplina insegnata in un'altra Facoltà che non fosse la propria. Fissa invece una condizione ben ragionevole: che egli cioè, per potere laurearsi in una qualsiasi disciplina della sua Facoltà, dovesse aver superato, in essa, almeno un esame biennale. Giusto, no? Ma anche questa disposizione è stata spazzata via. Così come ormai sono soltanto un caro ricordo di tempi passati le modalità che tutti erano tenuti a seguire per la discussione e per la votazione qui a Lecce. Intanto, il tema doveva essere depositato in Segreteria un anno prima che fosse presentata la dissertazione. Misura eloquente per indurre discenti e docenti a pensarci in tempo e a lavorarci sodo e a lungo ("tema concordato col professore della disciplina"). Inoltre, l'elaborato doveva essere consegnato un mese prima della data fissata per la discussione, "senza possibilità di proroga"; certamente per concedere alla Segreteria il tempo necessario ai controlli amministrativi e alla distribuzione degli elaborati ai relatori e correlatori. I quali dovevano essere tre, e non due soli, come dappertutto s'usava già: un relatore principale e due correlatori scelti dal Preside tra quanti ne avessero fatto richiesta ("0 gran bontà dei cavallieri antiqui!") sulla base di riassunti presentati dal laureando. La norma di far avere a tutti i docenti che non fossero relatori un articolato riassunto della tesi, obbediva palesemente al proposito di coinvolgere tutti i componenti della Commissione nella discussione (e di evitare, per conseguenza, distrazioni, chiacchiericci, letture di giornali ... ); però sottoponeva il laureando a un'ulteriore fatica e a un'ulteriore spesa, a prescindere dal fatto che quei riassunti rimanevano subito abbandonati e inutilizzati, mucchi di carte da buttar via. La cosa effettivamente si svolse in questo modo nella Libera Università di Lecce, almeno fino alla statizzazione e alla promulgazione del nuovo Statuto; e bisogna dir pure che per la discussione occorreva molto tempo (tre relatori!), e che infine nessuno leggeva - o leggeva con qualche utilità - quei sudati riassunti. Tuttavia, anche questo è un elemento probativo dell'attenzione e della passione didattica che percorre quei primo Statuto.
Vorrei infine ricordare una singolare curiosità circa la composizione del Consiglio d'Amministrazione. Alludo all'art. 7. Naturalmente, il Consiglio d'Amministrazione di una Libera Università ha una sua struttura necessariamente diversa da quella delle Università statali. A Lecce entravano a farne parte il Rettore, ovviamente, un professore per ciascuna Facoltà, un rappresentante del Governo, tre rappresentanti del Consorzio Universitario Salentino, un rappresentante, rispettivamente, della Provincia, della Camera di Commercio e del Comune di Lecce. Dopo di che, ecco che cosa proponeva il comma 2: "Enti o privati, che concorrono al mantenimento dell'Università con un contributo superiore a l. 2.000.000 (due milioni) una tantum o con un contributo annuo non inferiore a L. 500.000 (cinquecentomila), [si ricordi che siamo nel 1958! ] hanno pure diritto di designare, ciascuno, un proprio rappresentante che, nel secondo caso, durerà in corica fintantoché sarà corrisposto il contributo". E fu troppa speranza; e fu troppa fiducia. Tant'è vero che il comma successivo, il 3, prevedeva l'aumento parallelo di professori e di rappresentanti del Consorzio, nell'ambito del Consiglio d'Amministrazione, appetto all'acquisizione di nuovi componenti eventuali attraverso l'erogazione delle somme previste, per non turbare l'equilibrio della composizione, e quindi delle decisioni. Che io sappia, non ci fu mai la possibilità di applicare siffatta disposizione, perché non ci fu mai - fino a quando l'Università non fu statizzata nel '67 - chi fosse disposto a pagare per usufruirne.
Questa è una delle prove di quello che si affermava innanzi: cioè che l'alta e colta (e pure ricca) borghesia leccese mantenne, nei confronti dell'Università, un sovrano distacco e una notevole indifferenza. Ora forse neanche del tutto superato, quei sovrano distacco.
L'Università di Lecce dunque nacque come Istituto Superiore di Magistero "privato" nell'anno accademico 1955-56; come Università "privata" nell'anno accademico successivo, con la istituzione della Facoltà di Lettere e con la trasformazione dell'Istituto Superiore di Magistero in Facoltà di Magistero; e come Università "pareggiata", a tutti gli effetti, col D.P.R. del 22 ottobre 1959, n. 1408. Questi primi anni di storia si possono leggere fra le righe del primo Statuto pubblicato dalla Editrice Salentina di Galatina nel 1960, con tanta maggiore penetrazione ed emozione per quanto maggiore è stata la compartecipazione alla vita piena e fervida di quegli anni, come è accaduto a chi scrive queste parole. Ma perché, per dar vita all'istituzione, furono scelte, inizialmente, due Facoltà umanistiche? E', questo, un interrogativo che ritorna spesso quando si parla di queste cose; ed è un interrogativo che viene, di solito, unito con due riflessioni conseguenti: che le Facoltà umanistiche sono improduttive sotto il profilo del progresso economico; e che esse costituiscono, principalmente, una fabbrica di disoccupati. E' sperabile che oggi queste considerazioni siano meno diffuse e più topiche di quanto lo fossero ieri; nel senso che le due vecchie e madri Facoltà umanistiche dell'Università di Lecce sono venute a far parte di un complesso più vasto ed organico, destinato, considerati gli auspìci e i programmi, ad allargarsi e ad accrescersi. La cultura umanistica avrà qui una sua collocazione precisa e limitata, e sia pure d'alto livello e di suprema specializzazione. Ma a questo proposito non posso davvero esimermi dal riportare, qui di seguito, un breve squarcio della relazione firmata dal Presidente pro tempore dell'Amministrazione Provinciale di Lecce, che allora era il sempre compianto Girolamo Vergine (stampata nel 1958 dalla Tipografia Guido di Lecce). Eccolo: "L'Università che il Consorzio Salentino desidera far nascere in Lecce intende ( ... ) accrescere per quanto può la disponibilità di quei mezzi e metterla a portata di mano di quella parte della masso studentesca a cui fin oggi è rimasta meno accessibile, e favorire in loco gli studi e le ricerche su quanto del patrimonio civile di questa terra è rimasto finora confinato al margine della cultura nazionale o abbassato al livello di quella dilettantesca e provinciale; laddove in tutti i campi, dalla archeologia alla linguistica, dalle arti alla letteratura, dalla geografia alla storia e allo sviluppo di pensiero che la alimenta, esso vanta non solo un corso millenario, ma un significato il cui valore merita di essere messo in luce nella coscienza della Nazione e nel campo dell'alta cultura". E' un'ipotesi che, nonostante talune resistenze dovute, inizialmente, a miope e spocchioso provincialesimo di giovani studiosi emergenti in sede, e fortemente convinti che "provinciale" fosse l'oggetto locale della ricerca e non invece il metodo, la mentalità, la disposizione intellettuale, il tipo d'approccio culturale; un'ipotesi, dunque, che è andata prendendo corpo di realtà viva lungo questi due ultimi decenni, in ogni campo. Eppoi, come si potrebbe negare la profonda, connaturata vocazione dei salentini colti verso quelle che giustamente vengono definite "scienze umane"? verso l'arte, la poesia, la letteratura, l'indagine storica, la filosofia? Non è del tutto naturale che i frutti culturali siano corrispondenti a quella atavica vocazione e la continuino? Dio mi liberi da ogni forma di cieco campanilismo e mi scrolli da dosso ogni granello di polvere provincialesca; ma se mi guardo intorno, non vedo che poeti e prosatori in lingua e in dialetto, pittori e scultori appassionati e vivi e polemici, e scrittori di storie antiche e moderne anche locali, e in tutti, a ogni livello, una forza, una capacità logica e perfino capziosa, che si risolve magari in un brillìo d'intelligenza lampeggiante d'intuizione. Come poteva non nascere qui nel Salento una Università "salentina" sulla base di due Facoltà umanistiche? L'opposto sarebbe stato, probabilmente, un miracolo contro natura.
Ma con esse nacque - si afferma - una fabbrica di disoccupati. Qui il problema si complica e si aggroviglia; non è così semplice, o semplicistico. Lettere e Magistero a Lecce sono tanto "fabbrica di disoccupati" quanto lo sono tutte le Facoltà di Lettere e di Magistero sparse per l'Italia intera, molte delle quali nate dopo, e alcune molto dopo, l'istituzione di Magistero a Lecce (1955-56). li quadro generale è quello, gravissimo, della disoccupazione intellettuale (oltre che manuale, s'intende), alla quale contribuiscono purtroppo non solo i laureati di lettere e di Magistero, ma anche altri di numerose Facoltà, da Giurisprudenza a Scienze Sociali, da Farmacia a lingue, a Psicologia, perfino a Medicina, e via dicendo. Il nòcciolo della dolorosa questione non sta certo nei laureati di Lettere e Magistero di Lecce, i quali rimangono senza fissa occupazione. Aggiungerei fermamente che all'epoca in cui si dette vita qui a Lecce al Magistero (e poi subito anche a Lettere), cioè a metà degli anni Cinquanta, c'era una straordinaria disponibilità di lavoro nelle Scuole Medie di primo e di secondo grado, perché fu quello il periodo in cui esse andavano moltiplicandosi nei capoluoghi del Salento e nei centri maggiori e minori delle tre provincie. Si pensi solo un attimo alla incidenza e alla consistenza scolastica nel Salento fino agli anni Cinquanta (al termine della disastrosa guerra) e alla incidenza e consistenza sviluppatasi nei successivi lustri. Né lo sviluppo del Salento nel campo dell'istruzione scolastica primaria e secondaria fu fenomeno locale e isolato, bensì fu fortemente emblematico di quanto succedeva nel resto della intera nazione. Vorrei ripercorrere con te, amico lettore, i giornali di quel tempo (anni Cinquanta e passa), per ritrovare con te statistiche di disponibilità di posti di lavoro nel campo dell'istruzione elementare, media e Superiore; disponibilità presenti, fresche fresche da utilizzare subito, e disponibilità grandi nella prospettiva dell'immediato futuro, collegate col previsto aumento e con l'auspicata crescita di quella larga fascia d'istruzione. E per ritrovarvi, ancora, frequenti e fervorose raccomandazioni ai giovani d'intraprendere la carriera del l'insegnamento, considerato lo spazio vuoto che s'era venuto a creare in quell'attività e che sarebbe diventato sempre maggiore. Accadde invece, com'è ben noto, ma facilmente obliabile ed in effetti obliato, che lo sviluppo dell'istruzione scolastica della fascia media, giustamente e ammirevolmente richiesto dal basso, ma non altrettanto opportunamente regolato e armonizzato dall'alto, superò di gran lunga la capacità dell'Università italiana di produrre insegnanti; ai tempi brevi del primo rispondevano quelli assai più lunghi della seconda. Né la moltiplicazione dei posti di lavoro didattico, effettivamente avvenuta in tempi relativamente rapidi, poteva attendere fino a quando fossero pronte, anzi pronte gradatamente, le nuove competenze giovanili. E allora successero e si videro cose buffissime, che ricorderanno certamente tutti coloro che oggi hanno una certa età: avvocaticchi che si misero a insegnare le lingue, esclusivamente forniti del loro lontani specifici ricordi scolastici; farmacisti che s'improvvisarono professori di matematica e di scienze; veterinari che non si peritarono di leggere in classe Dante e leopardi; e via dicendo. lo credo che questa sia anche una delle motivazioni (perché il triste fenomeno fu nazionale), non del tutto messa in luce, della ribellione sessantottesca: i sessantottini erano stati alunni di maestri siffatti. E si sa che specialmente nella didattica l'ignoranza èdirettamente proporzionale alla presunzione e all'autoritarismo prevaricatorio. Poi vennero le lotte sindacali, la difesa del posto di lavoro, i concorsi proforma, le ispezioni di sanatoria ecc.ecc.; sicché ben presto dovette essere esposto in fronte al carrozzone il cartellino del "completo".
Come avrebbero potuto prevedere i promotori delle Facoltà di lettere e di Magistero, qui a Lecce, avvenimenti siffatti? Come attribuire loro, con un minimo di giusta serenità, la colpa di aver creato una fabbrica di disoccupati? Il primo Statuto della libera Università di Lecce ne dimostra tutto l'entusiasmo, la buono fede, l'appassionato impegno, in previsione del futuro; e la grande serietà d'intenti. Ma quanto abbia contribuito la presenza dell'Università al l'arricchimento e alla crescita culturale delle popolazioni salentine, nessuno, che abbia un po' di buon senso e l'animo almeno un poco aperto alla verità, potrà mai negarlo; già prima, solo con le due Facoltà umanistiche, e poi con la istituzione della Facoltà di Scienze (1968), che ha allargato lo spettro degli interessi; e ora, e in futuro, con la creazione fresca della Facoltà in Scienze economiche e bancarie. Certo, la crescita culturale non coincide con quella economica e finanziaria; ma crescita culturale vuoi dire crescita civica e civile, vuoi dire arricchimento di sensibilità sociale, capacità di rendersi conto dei valori "altri" e di saperli adeguatamente identificare, apprezzare, esercitare, anche nelle strutture locali, senza dommatiche e provincialesche ammirazioni di ciò che è creduto "grande" sol perché èremoto e lontano. Di questo spirito è infuso l'intero fascicoletto contenente il primo Statuto della Libera Università di Lecce, divenuto ormai quasi un prezioso cimelio. E vi par poco?

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