§ 1992: quali frontiere

Una Banca centrale per banche europee




Mario Schimberni



Il motore dell'integrazione europea è riavviato. Dopo dieci anni dalla firma degli accordi di Brema (luglio 1978), che sancirono la nascita di un nuovo meccanismo istituzionale europeo (lo Sme) e stimolarono lo sviluppo inatteso di un mercato europeo (quello dell'Ecu), si è ricominciato a parlare di istituzioni europee, di nuovi meccanismi decisionali, di riforma del Trattati da completare in vista del 1992. Le proposte del ministro francese dell'Economia e gli impegni del ministro degli Esteri tedesco davanti al Parlamento europeo, nel gennaio scorso, hanno trovato una risposta da parte del governo italiano ad avvicinare l'orizzonte temporale di alcune riforme nel campo della politica monetaria, e in particolare della creazione della Banca centrale europea.
Il principio adottato dalla Cee nel processo di integrazione finanziaria è diverso rispetto a quelli adottati per i processi di integrazione nei settori agricolo e industriale. Questi ultimi sono stati, seppure in maniera diversa, processi "guidati". Quello finanziario sarà un processo determinato dalla liberalizzazione e dalla concorrenza, con la sola condizione di una armonizzazione minimale delle regolamentazioni nazionali. Ciò muta lo scenario della politica monetaria e le condizioni della sua efficacia.
In un quadro di piena mobilità dei capitali, è richiesta una rinuncia o alla stabilità del tasso di cambio - che è da escludere, se vogliamo evitare di introdurre elementi di instabilità nelle relazioni commerciali all'interno della Cee - o alla autonomia delle politiche monetarie. Obiettivi nazionali non convergenti delle politiche monetarie sarebbero insostenibili: i movimenti speculativi, facilitati dalla liberalizzazione, verrebbero moltiplicati dalla consapevolezza dell'esistenza di tali divergenze. Se ciò avvenisse, le differenze tra le economie europee verrebbero accentuate, e non ridotte, da un mercato liberalizzato.
Come l'esperienza dell'autunno '87 insegna, le tensioni sui tassi di cambio possono riflettere squilibri non di carattere reale, ed essere provocate da mutamenti delle aspettative, non sempre "razionali", a volte effimere, degli operatori e degli speculatori.
La domanda cui si dovrebbe rispondere oggi è la seguente: è sufficiente il coordinamento delle politiche monetarie nazionali per evitare speculazioni destabilizzanti, e rendere credibile il disegno di integrazione economica e monetaria? Credo che la risposta debba essere negativa. La riduzione dei tassi di inflazione e del loro differenziale nei principali Paesi europei ha ridotto l'accettabilità di un modello di coordinamento basato sulla leadership tedesca. Anche altri Paesi hanno acquisito una credibilità dal punto di vista della disciplina monetaria interna, e vogliono partecipare alla definizione degli obiettivi delle politiche. Ciò rende complesso e incerto il coordinamento delle politiche, in particolare quando i flussi monetari siano resi più liberi.
Più che di coordinamento tra politiche nazionali, c'è bisogno di una politica unica. Essa implica l'esistenza di un'autorità in grado di realizzarla, cioè una Banca centrale europea. Il mercato unico europeo, condizione per l'efficienza e la competitività del sistema imprenditoriale, richiede una politica monetaria comune. l'obiettivo della Banca centrale unica assume rilevanza anche per gli operatori di mercato, oltre che per i soggetti politici e istituzionali.
Vorrei brevemente delineare alcune delle caratteristiche che questa nuova istituzione dovrebbe avere per essere efficace:
1) la Banca centrale europea dovrebbe avere il potere di fissare i tassi di crescita degli aggregati monetari per ciascun Paese (e per il mercato Ecu) e i relativi tassi ufficiali di sconto;
2) essa dovrebbe avere la caratteristica di "Banca centrale di Banche centrali": potrebbe individuare gli obiettivi di politica monetaria e lasciare alle Banche nazionali il compito di realizzarli attraverso operazioni di mercato aperto; in altre parole, essa utilizzerebbe le strutture attuali per raggiungere i suoi obiettivi;
3) la Banca centrale europea avrebbe la responsabilità primaria per la stabilità monetaria interna (prezzi e tassi di cambio intra-comunitari) e per la definizione delle politiche valutarie verso le valute esterne allo Sme;
4) essa verrebbe riconosciuta dal mercato come "fattore di stabilità monetaria" solo a condizione di una piena autonomia nelle proprie decisioni, e la definizione degli organi di gestione della Banca dovrebbe tener conto di questa esigenza primaria.
Esiste un importante collegamento tra l'obiettivo istituzionale di una Banca centrale comunitaria e lo sviluppo dell'uso privato dell'Ecu sul mercato. Ho ricordato prima la caratteristica di "Banca centrale di Banche centrali", con una "circolazione parallela" di monete nazionali. l'unica circostanza in cui la Banca centrale europea sarebbe banca di per sé (e non solo "banca di banche" sarebbe quella degli interventi sul mercato dell'Ecu. Il potere di emettere biglietti in Ecu, di acquistare e vendere attività finanziarie denominate in Ecu per regolare la liquidità, di acquistare o vendere Ecu contro monete dello Sme o monete esterne: sono unzioni che possono essere svolte direttamente dalla Banca europea, creando progressivamente una dinamica decisionale e operativa interamente europea.
Premessa perché questa possa concretamente avviarsi è che esista un mercato in Ecu. Già oggi vi sarebbero le condizioni tecnico-istituzionali per un intervento delle Banche centrali nazionali sul mercato dell'Ecu a fini di politica monetaria. la Banca d'Italia, ad esempio, possiede alcuni "Ecu privati" nel suo portafoglio di riserve. Se una "funzione-obiettivo" in Ecu non si è ancora sviluppata, è perché essa non è ritenuta necessaria, dal momento che il mercato è ancora ristretto. Si dimostra nuovamente come il futuro dell'unione monetaria europea sia nelle mani tanto delle autorità quanto degli operatori di mercato.
La liberalizzazione del movimenti di capitale pone un ulteriore problema collegato al ruolo che la Banca europea potrebbe svolgere: la tutela della stabilità dei mercati finanziari. la crisi del 19 ottobre 1987 ha probabilmente interrotto il processo di globalizzazione del mercati finanziari internazionali inteso come deregolamentazione ed eliminazione delle barriere, e ha riproposto la necessità di garantire la stabilità attraverso regole e organismi di controllo.
La concorrenza è un "processo di distruzione creativa": essa provoca frequenti scossoni alle strutture economiche, fa emergere nuovi prodotti, nuove tecniche, nuove imprese, elimina vecchi prodotti, vecchie tecniche, vecchie imprese. Questa distruzione creativa, che nei settori industriali è segno di vitalità, applicata ai mercati finanziari può essere dannosa, e lo ha dimostrato.
Negli Stati Uniti, il Rapporto Brady e il Rapporto della Securities and Exchange Commission, sia pure con accenti diversi, evidenziano la necessità di avviare una "re-regulation" che doti il mercato di una struttura che concilii meglio l'esigenza di stabilità con quella dell'efficienza.
Il modello di integrazione dei mercati finanziari europei adottato dalla Cee e definito nell'Atto Unico, risponde solo in parte a questa esigenza. I principii di questo modello sono tre:
- armonizzazione minima delle regole a tutela della stabilità degli intermediari (ratio patrimoniali, norme di contabilità, e altre);
- mutuo riconoscimento delle regolamentazioni nazionali per ciò che concerne gli altri aspetti;
- principio del controllo di ogni intermediario da parte del Paese di origine.
L'obiettivo di un mercato comune del servizi finanziari secondo questi principi viene raggiunto attraverso una semplice liberalizzazione dei movimenti di capitale, della prestazione di servizi finanziari e di stabilimento. Questo modello lascia aperte alcune questioni:
1) la crisi del 19 ottobre'87 ha messo in luce come l'assenza di un efficiente coordinamento del controllo e della vigilanza sui vari segmenti del mercato possa accelerare l'ampiezza della crisi e la sua velocità di trasmissione. Il Rapporto Brady individua nella Federal Reserve l'organismo in grado di garantire questo coordinamento. Il modello di liberalizzazione della Cee lascia irrisolta la questione della segmentazione dei controlli che restano affidati alle autorità nazionali (home country control);
2) il modello della Cee affronta il problema della vigilanza prudenziale per la stabilità degli intermediari, fissando alcuni principii minimi comuni, e lasciando affidati i controlli alle autorità nazionali. Non si fa carico della questione della vigilanza strutturale, cioè della tutela e della promozione dell'efficienza del sistema, che viene affidata all'operare della concorrenza. In molti mercati nazionali, la semplice competizione tra gli operatori è ritenuta insufficiente a garantire l'efficienza del sistema finanziario, sia perché la concorrenza perfetta è irrealistica per le forti tendenze oligopolistiche del mercato, sia perché la concorrenza può generare instabilità, e dunque inefficienza;
3) nel complesso, il processo di integrazione non viene guidato. le strutture e le filosofie di controllo e di indirizzo non vengono rese omogenee, e ciò perpetua una situazione di segmentazione del mercato europeo. Non vengono individuate o stimolate istituzioni, operazioni e politiche di natura europea. Non si definisce, ad esempio, un programma per la creazione di una Borsa europea, non si prevede la figura giuridica della "società europea", non si delinea una politica della concorrenza per il sistema finanziario europeo.
La Banca centrale europea può essere un passo in avanti per la soluzione dei problemi lasciati aperti dall'Atto Unico. Le funzioni di indirizzo, di controllo o di coordinamento del controlli, di tutela della concorrenza e della trasparenza, dovranno essere svolte da un organismo europeo. In alcuni casi, la Banca centrale europea potrà essere questo organismo. Per costituirla, serve una modifica dei Trattati di Roma: il governo italiano e quello francese hanno dimostrato che esiste una volontà politica in questa direzione, e al vertice europeo di Hannover la questione è stata affrontata. E' irrealistico pensare di chiudere le trattative fra le autorità nazionali su questo tema entro la fine del 1989, in modo da riuscire a fare approvare le modifiche ai Parlamenti entro il 1992?

1992: scenari
Per l'Ecu 20 super-managers

Fondato nel dicembre '86 su iniziativa dell'ex presidente della Repubblica francese Valery Giscard d'Estaing e dell'ex Cancelliere tedesco Helmut Schmidt, il Comité pour l'Union Monetaire de l'Europe ha lo scopo di riavviare una riflessione ed una iniziativa sul tema dell'unificazione monetaria europeo e dell'Ecu come suo veicolo. La composizione del Comité, i cui membri sono imprenditori, banchieri, uomini politici e di governo, rappresentanti di banche centrali, riflette l'esigenza di considerare il processo di unificazione come il risultato dell'interazione fra istituzioni e forze di mercato, entrambe interessate al completamento di questo processo. L'iniziativa del Comité è rivolta da un lato alla definizione di modificazioni istituzionali (ad esempio, la creazione della Banca centrale europea), e dall'altro allo sviluppo di operazioni private in Ecu sul mercato.
Alla riunione di Parigi del Comité, nello scorso febbraio, è stato definito un progetto di Banca Centrale Europeo, ed un insieme di proposte per lo sviluppo dell'uso privato dell'Ecu.
Oltre a Giscard e a Schmidt, che ne sono co-presidenti, i membri del Comité sono: James Callaghan, ex primo ministro britannico; David Howell, ex ministro britannico; Mario Schimberni, Rinaldo Ossola; Renaud de La Geniere, ex governatore della Banca di Francia, poi presidente della Compagnie Financiere de Suez; Pierre Berengovoy, ex ministro francese; Etienne Davignon, ex vice-presidente della Commissione Cee, oggi direttore generale della Sgb; Wilfried Guth, presidente della Deutsche Bank; Manfred Lahnstein, ex ministro tedesco, poi presidente del gruppo Bertelsmann; J. Sanchez Asiain, presidente del Banco de Bilbao; M. Boyer Salvador, ex ministro spagnolo, oggi presidente della Banca spagnola per il Commercio Estero; Gaston Thorn, ex presidente della Commissione Cee, ex primo ministro lussemburghese, oggi presidente della Banque Internationale de Luxembourg; Anthony O'Reilly, presidente della Heinz Corporation; Niels Thygesen, dell'Università di Copenhaghen; Xenophon Zolotas, ex governatore della Banca di Grecia; Jielle Zijlstra, ex primo ministro olandese, ex governatore della Banca d'Olanda; Josè Silva Lopez, ex ministro delle Finanze portoghese.
Alle ultime riunioni del Comité ha preso parte anche Tommaso Padoa-Schioppa, della Banca d'Italia. Nell'ambito del Comité, Schimberni ha presieduto un gruppo di lavoro sull'uso privato dell'Ecu, in relazione anche alle funzioni della futura Banca Centrale Europeo.

1992: scenari
Investire: come e dove

Investire all'estero: perché no? Dopo i recenti provvedimenti di liberalizzazione valutaria, non c'è più alcun ostacolo. Gli "spalloni" di una volta, attivi al confine con la Svizzera, sono una specie destinata a fulminea estinzione. Nel'92, poi, tutte le frontiere all'interno della Cee dovranno cadere definitivamente.
Il problema è come e dove investire. La scelta dipende da molti fattori. E anche in questo caso è bene diffidare del rendimenti troppo alti, perché la contropartita è, spesso, quella di un rischio altrettanto elevato. Vediamo allora come procedere. Prima di tutto, si deve scegliere il Paese (e quindi la valuta); poi lo strumento (azioni, obbligazioni, titoli di Stato).
Il tasso non è tutto. Occorre considerarlo in relazione alle previsioni di cambio. Ad esempio: se prevediamo che il marco tedesco si rivaluterà nei confronti della lira di un 10% l'anno, basterà un rendimento del 3% per portare l'utile combinato, cioè finale, al 13%. Tenendo conto, oltre tutto, che sulla cedola di un titolo ci può essere una ritenuta fiscale, mentre sul rapporto di cambio no, almeno per il momento.
La scelta, dunque, si deve fare dopo aver valutato attentamente il rendimento di un prodotto finanziario rettificato dall'effetto-cambio. Tanto per dare uno sguardo al passato, basterà ricordare che nell'87 un investitore italiano che avesse comprato azioni alla Borsa di Tokio avrebbe ottenuto un rendimento del 30,3%, a quella di Madrid del 14,7%, e a quella di Londra del 14,4%. E se non fosse stato per il crack mondiale del 19 ottobre, i risultati sarebbero stati ancora migliori. Ovviamente, buona parte del merito va alla differenza di cambio tra la lira e le volute di riferimento. La scommesso, insomma, riguarda la progressiva debolezza della nostra moneta. Sarò, questo, un discorso poco patriottico. Ma, senza dubbio, realistico.
Allora, per cominciare, si può provare con l'Ecu. Lo Stato italiano emette i Bte, che sono Bot denominati in Ecu, il paniere delle monete europee. Le ultime emissioni, anche per effetto della grande richiesta, non sono andate al di là di un 7,95% lordo. Ma di quanto si svaluterò la lira nei confronti dell'Ecu? Ogni punto percentuale sarà un punto in più di rendimento.


Banca Popolare Pugliese
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