§ 1992: quali frontiere

Senza clausole di salvaguardia




Guido Carli



L'attuazione del mercato unico europeo sovrasta le aspettative sia del poteri pubblici sia degli imprenditori privati non soltanto europei, ma anche statunitensi e giapponesi, in una prospettiva di sviluppo globale, testimoniata anche da recenti iniziative di acquisizioni e fusioni di società.
A fronte di una situazione internazionale profondamente condizionata dagli effetti dello squilibrio della bilancia commerciale americana - ai quali sono connessi il rischio del riaccendersi dell'inflazione o, alternativamente, quello di un aumento del tassi d'interesse - il sistema monetario europeo gode di una relativa stabilità, sostenuta dalla convergenza delle economie dei Paesi membri.
Tale stabilità è destinata ad aumentare insieme al graduale processo di integrazione finanziaria all'interno della Cee, anche se il progetto di istituzione di una Banca Centrale Europea - avanzato dal ministro delle Finanze tedesco attraverso la costituzione di un Comitato ad hoc -resta privo di contenuto in mancanza di significativi progressi nel processo di integrazione monetaria, che, con la moneta unica, garantiscono la libera ed illimitato conversione a tassi di cambi fissi delle varie monete nazionali.
La Commissione ha sottoposto al Consiglio Europeo la proposta di direttiva volta ad introdurre l'integrale liberalizzazione del movimenti di capitale, che se costituisce un propellente essenziale al processo di unificazione finanziaria, d'altro lato comporterò evidenti limitazioni della sovranità nazionale, tra le quali l'assoggettamento delle politiche salariali a precisi limiti di compatibilità, oltre naturalmente a condizionare la politica del debito pubblico alla libertà di scelta del risparmiatori tra i vari titoli europei. Tale direttiva non esclude la possibilità di clausole di salvaguardia a validità temporanea, ma certamente sarebbe umiliante se il Presidente del Consiglio fosse costretto ad invocare per un Paese, che aspira al quarto posto tra quelli industrializzati, clausole concepite per i più deboli.
Le imprese italiane hanno peraltro dimostrato di poter reggere, in condizioni di parità, la concorrenza di quelle estere, a condizione però di non essere conculcate da un deficit pubblico eccessivo.
Benché si ponga generalmente l'accento sull'entità dello stock del debito pubblico, l'esperienza storica non indica quale sia il livello oltre il quale si ingenera nei risparmiatori la persuasione dell'insolvenza del debitore; ciò che conta è evitare la continuazione dell'esperienza, del tutto sconosciuta nella sua durata agli altri Paesi industriali, che vede dal 1972 ad oggi un significativo deficit di parte corrente del bilancio pubblico italiano. Le tracce di una positiva volontà di intervento presenti nella prima formulazione della legge finanziaria per il 1990 sono state spazzate via dal furore delle fazioni,, e oggi il governo si trova di fronte ad una legislazione che va nella direzione di un aumento delle spese correnti eccedente rispetto a quello delle entrate e comporta un fabbisogno del settore statale incompatibile con l'obiettivo della stabilità monetaria.
L'intento di operare una riduzione del deficit pari a 6-7 mila miliardi per l'anno in corso e a 7-8 mila miliardi negli anni successivi rappresenta, da parte del governo, una scelta prudente, tenendo conto che l'indicazione di obiettivi difficilmente raggiungibili avrebbe potuto scuotere la fiducia nel loro successo. è comunque realistico riconoscere la necessità di accompagnare la riduzione delle spese con l'aumento della pressione fiscale, nonostante i ripetuti segnati di ribellione da parte dei contribuenti.
Il programma di governo sottolinea poi la necessità di modificare la normativa concernente le procedure finanziarie: in proposito, occorre rilevare la necessità di un concorso di tutte le forze politiche, al fine di evitare il rischio di una immediata manomissione del principi di rigore e correttezza eventualmente sanciti attraverso una modifica della legge n. 468 del 1978. Per quanto riguarda la possibilità di utilizzare l'alienazione di cespiti patrimoniali pubblici come strumento per alleviare il deficit pubblico, mentre va segnalato che in tal modo non verrebbe rimossa la distorsione strutturale dell'allocazione delle risorse, va sottolineato, sulla scorto delle esperienze realizzate in questi anni da altri Paesi europei, che tali alienazioni sono possibili ed auspicabili a condizione di essere inserite coerentemente in una visione globale della politica economica e di essere realizzate secondo procedure che garantiscono la trasparenza e la parità del diritti dei risparmiatori.
Si è inoltre dibattuto sull'introduzione della legge anti-trust, in relazione alla quale è opportuno precisare che la dimensione delle concentrazioni del potere economico non può ormai essere più determinata secondo una scala nazionale né attribuendone la relativa competenza esclusivamente ad autorità nazionali. Peraltro, va segnalata la grave carenza a difesa della concorrenza connessa alla mancanza di una normativa che indichi i limiti d'azione delle Partecipazioni Statali, alle quali viene attualmente consentito di ampliare discrezionalmente la loro presenza nel mercato.
in linea generale, va comunque ribadita la necessitò di tutelare la libertà di iniziativa economica come condizione imprescindibile per la realizzazione di una società più giusta, come del resto è stato riconosciuto dalla enciclica pontificia "Sollicitudo rei socialis", che si sottragga alla passività e alla soggezione alla burocrazia ed esalti invece le potenzialità creative della libertà individuale. Dalla creatività e dalla iniziativa dei singoli cittadini si attendono contributi di efficienza non solo ai fini della produzione di beni materiali, ma anche di beni immateriali. L'iniziativa del cittadini può produrre benefici effetti nella generalità del pubblici servizi e correggere gli eccessi dovuti alla pubblicizzazione di tali servizi. Per quanto riguarda la questione europea, va ribadito che un'Europa ricca non può sottrarsi all'obbligo morale di tenere nella dovuta considerazione i problemi e le esigenze dei Paesi sottosviluppati, altrimenti essa sarebbe soltanto un'area geografica di prosperità assediata dalla miseria.

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