§ Italiani nel mondo

Repubblica del denaro




Flavio Albini, Antonio Foresi



Ma chi l'ha detto che Carlo De Benedetti, sbarcando in Belgio per l'attacco alla gigantesca Sgb, abbia aperto un'epoca pionieristica? Non occorre proprio "affondare nella memoria" per ritrovare decine e decine di migliaia di emigranti, soprattutto meridionali, (qualcuno rammenta i morti di Marcinelle?), molti dei quali poi diventati residenti, con attività imprenditoriali di tutto rispetta. Niente di inedito, dunque, con la grande operazione dell'ingegnere d'assolto. Al contrario, invece, com'è stato ricordato in più occasioni, la presenza e il ruolo innovativo dell'imprenditore-emigrante, instancabile meteco che non smette di spostarsi da un'area all'altra dell'Europa, e del mondo, che trova e supera non poche difficoltà nel farsi accettare, ma che in ogni caso riesce a fornire un servizio qualificato nella società che lo ospita, è un tema ricorrente della storia economica del vecchio continente, dal Medio Evo ai nostri giorni.
La via di Londra che per secoli è stata l'aorta della City è Lombard Street, in onore di quei mercanti e banchieri dell'Italia centro-settentrionale che dalla seconda metà del Duecento e fino alla metà del secolo successivo, prestano i loro denari ai sovrani dell'Inghilterra, subendo tutte le conseguenze della loro insolvenza. I "lombardi" sono in particolare toscani. A costoro sono affidate le finanze europee del pontefici. Bonifacio VIII non esita a definirli "il quinto elemento dell'universo".
Nelle città della Champagne, dove per oltre un secolo svolgono operazioni di clearing, Filippo il Bello affida ai "lombardi" la direzione della Corte dei Conti. Nel 1292, il primo contribuente di Parigi è il mercante piacentino Gandolfo d'Arcelli. Nei Racconti di Canterbury, di Chaucer, il protagonista del "Racconto del mercante" è un lombardo di Pavia. la Compagnia del Bardi, nei primi decenni del Trecento, oltre ad essere insediata in una decina di città italiane, ha una ramificazione di interessi che si estende a Londra, Bruges, Parigi, Avignone, Nizza, Marsiglia, Barcellona, Siviglia, Maiorca, Cipro, Costantinopoli, Rodi.
Il cronista portoghese Fernao Lopes segnala la presenza dei mercanti genovesi e milanesi dalla seconda metà del Trecento. Le loro attività a Lisbona continuano molto a lungo: non per nulla Cristoforo Colombo vi giungerà un secolo dopo al servizio del Centurione, degli Spinola e del Negro. Le navi con le quali Cabral esplora le coste dell'Africa e quelle del Brasile sono armate con capitali genovesi. Gli archivi notarili di Siviglia sono costellati di atti sottoscritti da genovesi che vi sono residenti: Grimaldi, Lomellino, Garibaldo, Adorno, Pallavicino.
Il tracollo del Bardi e del Peruzzi, a metà del Trecento, era stato soltanto uno sgradevole episodio: i banchieri fiorentini avevano imprestato denari a una corona già sufficientemente spregiudicata per non restituirli; ma è un episodio di una storia assai più lunga, che vede i mercantibanchieri italiani agire come una delle forze dominanti della finanza europea fino alla metà del Cinquecento. L'onnipresenza dei passeri e dei fiorentini è consacrata persino nei proverbi.
Le imprese internazionali dei fiorentini lasciano il segno anche nella letteratura memorialistica. Tra i ricordi dei "mercanti-scrittori", studiati e raccolti da Vittore Branca, troviamo quelli di Bonaccorso Pitti, personaggio estroso e spregiudicato; il senso dell'impresa economica e quel suo "scavallare avventuroso per l'Europa", come scrive Branca, recano le tracce di un codice cavalleresco e nello stesso tempo sono il segno di un nuovo orgoglio oligarchico che lo proteggono da qualsiasi senso di inferiorità rispetto alle aristocrazie europee, nell'autunno del Medio Evo. Sulle piazze di Anversa e di Bruges, dove si segnalano per dinamismo e spregiudicatezza anche gli Affaitati di Cremona, i toscani continuano ad operare con bella sicurezza.
Gli affari internazionali dei mercanti fiorentini trovano il loro posto nella trattatistica, diventano oggetto di quell'orgoglio per le glorie della famiglia che costituisce uno dei temi dominanti delle pagine di Leon Battista Alberti, piene di fervida ammirazione per i grandi affari, per le grandi idee, per i grandi guadagni. Per esempio, le fortune "di quegli nostri Alberti, quando e' facevano per terra venire dall'ultima Fiandra insino a Firenze lane ad un tratto quanto bastava a tutti e' pannieri di Firenze e gran parte della Toscana".
Nel 1434, Jan Van Eyck ritrae i coniugi Arnolfini, banchieri lucchesi ormai definitivamente stabilitisi a Bruges, in un quadro pieno di ironia. Solo l'affermazione di Amsterdam, nel Seicento, segna il relativo declino di queste forze. Tuttavia, la presenza europea della finanza italiana continua ad essere rilevante ancora per molto tempo. In Inghilterra, dopo il crollo dei Bardi e dei Peruzzi, si faranno vivi i Frescobaldi, gli Scali, i Medici, e, in epoca elisabettiana, il geniale affarista Orazio Pallavicino, che ricava un utile gigantesco da un credito alla corona britannica. Lo storico Hermann Kellenbenz ricorda i servigi resi al commercio veneziano dal Capponi a Danzica, dal Pestalozzi a Vienna, dal Torrigiani a Norimberga, dal Montelupi e dal Troilo a Cracovia, dal Viatis e dal Fiester a Breslavia. I fiorentini sono anche largamente presenti a Cadice e a Siviglia: Filippo Strozzi il Giovane, versatile e geniale imprenditore di statura internazionale, crea in Spagna una delle più attive società del suo impero.
L'esperienza dei "lombardi" e del loro lontani successori, certamente non è un caso atipico e disegna i primi lineamenti di quella che Aldo De Maddalena ha definito Ma repubblica internazionale del denaro", la rete dei rapporti che legano i maggiori operatori finanziari europei con le amministrazioni statali e con le piazze mercantili del continente. Il primo capitalismo europeo viene tenuto a battesimo anche dagli imprenditori emigranti che si concentrano in quella "via del capitale", che collega le Fiandre con l'Italia settentrionale, da Anversa a Firenze. Emigrano gli, ebrei dal Portogallo e dalla Spagna.
Emigrano i tedeschi dalla Baviera. Emigrano i fiamminghi verso Francoforte, il porto di Amburgo e le città baltiche. interrogarsi sulle origini del capitalismo europeo significa anche ripercorrere gli itinerari di questa diaspora di forze imprenditoriali dai vecchi centri in decadenza dell'Europa cattolica, verso le aree che in epoche precedenti avevano già in qualche misura conosciuto quella lezione del protocapitalismo medioevale.
Che cosa faranno gli italiani? I genovesi fanno grossi affari sul commercio atlantico verso la Spagna. Questa ha riportato la gloria della scoperta americana; ma sono le finanze di San Giorgio, ben piantate nelle città portuali spagnole, a cogliere l'occasione del grandi traffici che si sviluppano dopo i viaggi di scoperta e di esplorazione.
Soprattutto, lo ricordava Hugh Trevor Roper in un celebre saggio, vanno in Svizzera. le prime fortune delle città elvetiche non furono fatte dai discepoli di Giovanni Calvino, come si dovrebbe pensare sulla scorta di Max Weber, ma da certi mercanti-banchieri "lombardi" che si chiamavano Burlamacchi, Diodati, Calandrini, Minutoli, Balbani, e via dicendo. Questi dovranno fare i conti con un'altra ondata di immigrazione, quella dei calvinisti francesi, ma la loro precedenza è indiscutibile. Tra i casi di emigrazione di forze imprenditoriali dalle città italiane, non si dovrebbe poi dimenticare che i Warburg, una delle grandi dinastie finanziarie che attraversano orizzontalmente la storia del capitalismo europeo moderno e contemporaneo, trae origine dal ceppo pisano del Dei Banco. I gioiellieri parigini Meller sono del Mellerio emigrati dalla Val Vigezzo all'inizio del Cinquecento. Ancora oggi operano attivamente nella capitale francese.
Questo gran movimento di risorse umane ed economiche continua ad essere un segno della vitalità italiana fino alle propaggini estreme del Rinascimento, ma si affievolisce nei due secoli successivi. Inoltre, l'Italia non rappresenta certo l'eccezione, almeno sul piano del trasferimento di forze imprenditoriali e di buone idee. Il capitalismo, come fenomeno espansivo e diffusivo, deve moltissimo alla circolazione internazionale degli uomini, del capitali e delle idee. Anzi, tende spesso a identificarsi con essi.
L'emigrazione degli imprenditori tocca in misura diversa molte aree della società europea nell'età moderna e contemporanea. Certamente non riusciremmo a spiegare la forza economica degli Stati Uniti senza il concorso delle braccia immigrate dai quattro angoli della terra; ma nemmeno senza il concorso delle forze imprenditoriali provenienti dalla Gran Bretagna e dalla Germania, dalla Russia e dalla Francia. E anche, sia pure in misura più limitata, dall'Italia.
Nell'America settecentesca troviamo il casalese Joseph Ottolenghi, un ottimo imprenditore della seta, uomo di spessore e anche di brillante vocazione didattica: pubblica, a Philadelphia, un buon trattato di tecnica della manifattura serica. L'Ottocento, e ancora il quindicennio che precede il primo conflitto mondiale, è il secolo della grande migrazione. Le succes-stories degli italiani non mancano. Domenico Ghirardelli passa dal commercio ambulante di dolciumi alla produzione in grande di cioccolata. I gesuiti Domenico Giacobbi e Nicola Congiato diventano grandi imprenditori del vino californiano, in particolare di un prodotto destinato a grande fortuna, il Jesuits BIack Muscat. Non si può negare che abbiano lavorato con molto impegno nella vigna del Signore. Nell'industria agro-alimentare californiana le capacità di questa imprenditorialità popolare si affermano in modo vistoso. Ma anche il settore bancario vede all'opera alcuni personaggi di grande vocazione, come James Fugazi, Felice Argenti e Andrea Sbarboro, ma soprattutto Amedeo P. Giannini, il fondatore della Bank of America, interprete e inventore di un capitalismo non solo popolare, ma anche populista, poi passato alla leggenda. A parte il caso del lombardo Fugazi e del siciliano Giuseppe Di Giorgio, il nucleo regionale predominante è quello ligure. L'avvio delle attività commerciali, industriali o bancarie degli italo-californiani si svolge spesso in un ambito ristretto, segnato dai confini della comunità etnica; ma in tempi più o meno rapidi esce dalla "enclave" culturale e regionale nella quale era nata, per penetrare nel complesso del sistema.
Tempi più recenti offrono altri casi emblematici: tra i tanti, il più significativo è quello di un immigrato di seconda generazione, Lee Jacocca. La storia del suo successo personale è già eloquente, ma soprattutto il suo feroce conflitto con Henry Ford II è denso di significato: tra il rappresentante di una vecchia dinastia imprenditoriale, appesantito dal nome e dal ruolo, e il manager duro, grintoso, carismatico, il vero "americano", quello che incarna i valori più autentici, le ragioni più profonde della grande industria contemporanea è il figlio del pizzaiolo napoletano, non il blasonato erede della famiglia che per tanto tempo era stata sinonimo di automobile, in America e nel mondo.

Nell'America Latina l'imprenditorialità italiana, alla fine dell'Ottocento, era già sufficientemente forte da trovare ampio riconoscimento nelle grandi esposizioni industriali. L'imprenditore bustese Enrico Dell'Acqua, geniale e fortunato organizzatore del l'esportazione italiana in America del Sud, è il "principe mercante" di Luigi Einaudi, quasi il simbolo di una nuova vocazione del Paese ad operare su scala internazionale. L'esperienza di Dell'Acqua èanche lo spunto di una grave esortazione: "Il nostro Paese ha bisogno che i possessori del capitale non ozino, contenti del quattro per cento fornito dai titoli di consolidato o dai fitti terrieri, garantiti dal dazio sul grano, ma si avventurino in intraprese utili a loro e alla nazione intera (...). Finché noi seguiteremo a dare al mondo, all'interno, l'esempio di uno Stato feroce tassatore e oppressore di ogni iniziativa privato, di un proletariato miserabile e ignorante e di classi dirigenti oziose, fastose e timide, e all'esterno lo spettacolo di una emigrazione povera e vagante apparentemente solo per adempiere alla funzione economica di fare ribassare il saggio del salari, noi rimarremo sempre un popolo di malcontenti e di impotenti, malgrado la lustra di un grande esercito e delle colonie africane".
Il successo di Dell'Acqua assumeva un significato esemplare nell'utopia einaudiana, sogno di una borghesia demiurgica sprezzante di comode rendite e di chiusure corporative. Ci sarebbe piuttosto da chiedersi se i protagonisti di alcune irresistibili ascese e fortune in Brasile (Matarazzo, Lunardelli, Borghi, Morganti), in Cile (Perfetto) o in Uruguay (Pittaluga), rispondessero in tutto al modello ideale delineato da Einaudi.
In ogni caso, nella fase della prima industrializzazione italiana, il flusso di risorse imprenditoriali e di forze direttive verso altri Paesi non viene meno. Il milanese Gaetano Bonelli, singolare figura di scienziato, inventore, imprenditore, e funzionario dello Stato sabaudo, (fu Direttore dei Telegrafi elettrici di Torino), raccolse in Inghilterra i capitali per la costituzione della Bonelli's Electric Telegraph Company: attraverso questa società diffuse nel Regno Unito il "tipotelegrafo", un'apparecchiatura per la trasmissione di caratteri in originale, applicata per la prima volta sulla linea Manchester-Liverpool, nel 1860.
Prima di lanciare la Società di Prodotti Chimico-Farmaceutici a Milano, in via Guastalla, nel 1888, Achille Bertelli passa sette anni in America: a San Francisco investe i suoi capitali nella produzione e nel commercio del medicinali. Dagli Stati Uniti importa la fabbricazione della "catramino", un prodotto per la cura delle affezioni respiratorie, che farà anche le prime fortune della sua impresa milanese.
Se andiamo a scorrere i profili di emigranti italiani che avevano sfondato nelle non facili terre di Francia, pubblicati dal giornale La Patria Italiana, nel 1918, troviamo una costellazione di nomi provenienti dal Piemonte, dalla Lombardia, dal Veneto, dall'Emilia e da Napoli.
A Nizza, negli anni Trenta, passata da tempo la stagione di Cabiria e delle prime glorie cinematografiche, Giovanni Pastrone avvia una qualificata produzione di pistoni e di segmenti, destinata a vetture di prestazioni elevate. E tra le aree geografiche nelle quali l'imprenditorialità italiana ha lasciato qualche traccia, non andrebbero dimenticate la Turchia e l'Egitto.
Nel 1946, Agostino Rocca, fondatore della Finsider con Oscar Sinigaglia, si trasferisce in Argentina, dopo essere stato prosciolto dall'accusa di collaborazionismo: crea l'impero sudamericano della Techint, per poi conquistare posizioni di forza in Europa ed in Estremo Oriente.
Ai tempi del primo accordo Fiat con il governo sovietico (1965-1966), Piero Savoretti venne definito "un nuovo Marco Polo". Dal 1954, anno in cui aveva varcato la cortina di ferro, Savoretti ha suscitato, guidato e curato per trent'anni i rapporti delle maggiori industrie italiane, private e pubbliche, col governo di Mosca.
Ai tempi di Bonifacio VIII, uomini di talento venivano elevati al rango di quinto elemento dell'universo. E' difficile immaginare come quel pontefice avrebbe potuto definire gli imprenditori italiani, del Nord e del Sud, che hanno riempito di ponti, di strade, di dighe, di edifici, i cinque continenti.
Oggi viviamo in un mondo diverso. I capitali, le informazioni e la cultura possono circolare senza che gli uomini debbano seguirli fisicamente. Forse il vero passaggio dal feudalesimo al capitalismo è questo. Mentre si prospetta la completa apertura delle frontiere europee, non è certo il caso di agitare il tricolore, meno che mai di rivestire di panni borghesi il mito della "grande proletaria", vecchio e sbagliato già nel suo nascere. La storia si ripete in un senso ideale, soltanto nel pensiero e nella coscienza di chi guarda al passato e lavora per il futuro, non nella presunta ciclicità di una storia in cui non accade mai nulla di nuovo. Comunque, come sempre, buona fortuna, principe mercante!

Italiani nel mondo
Mercanti, usurai, schiavisti

Costantinopoli
Mercanti di tutte le qualità vengono qui da Babilonia, dalla Persia, dalle Indie, dall'Egitto, da Chanaan, dalla Russia, dall'Ungheria, dal paese del Peceneghi e del Khazari, dalla Lombardia e dalla Spagna. E' una grande città [Costantinopoli] commerciale, dove i mercanti vengono da tutti i paesi del mondo per mare e per terra; e non c'è alcun'altra città al mondo che le sia paraganabile salvo Baghdad, la grande città dell'Islam.
(Dall'Itinerario di Beniamino da Tuleda, XII secolo)

Gerusalemme
Sia noto a tutti che io, Amalrico, conte di Ascalona, per volontà e sollecitazione del mio fratello e signore Baldovino, re di Gerusalemme, dono, concedo e confermo a te, Villano, venerabile arcivescovo di Pisa, insieme con i consoli di detta città e con i Pisani tutti, la metà di ogni diritto che mi spetta e permetto che i Pisani possano entrare, uscire, comprare e vendere in Giaffa per terra e per mare. Dono inoltre ai Pisani una piazza in Giaffa affinché vi costruiscano case per sé e se ne servano come loro mercato; concedo ai medesimi un'area per fabbricarvi una chiesa, se il Patriarca di Gerusalemme lo concede.
(iscrizione nella Chiesa del Santo Sepolcro, a Gerusalemme, giugno 1157)

Parigi
Nessun "lombardo" o usuraio abituale che possieda documento di credito nei confronti di persone, la cui scadenza sia passata e l'abbia conservato dieci anni senza esigere il suo credito, trascorsi i dieci anni, posso essere udito in qualsiasi cosa e allora il debito dell'obbligazione sia tenuto per nullo.
(Ordinanza di Filippo IV il Bello, 1307)

Indie occidentali
Nell'anni di nostra Redenzione 1591, alli 20 di maggio, essend'io di anni 18, mi partii di questa città di Firenze per andare in Spagna in compagnia ed al servizio di Nicolò Parenti mercante fiorentino, con il quale mi imbarcai a Livorno sopra il galeone di Pietro Paolo Vassallo genovese, che arrivò dopo venti giorni di prospera navicazione in Alicante; del quale luogo noi per terra andammo a Siviglia, città della provincia d'Andalusia, nella quale il detto Parenti doveva fare la sua residenza ed io per commandamento di mio padre restare al suo servizio, per imparare da esso quella professione di mercante. Di poi, essend'io stato quivi sino all'anno 1593, venne il suddetto mio padre, Antonio Carletti, di Firenze nella città di Siviglia, dove fece pensiero e risoluzione, per aumentare le sue facultà, di mandarmi al viaggio di Capo Verde, per quivi comprare delli schiavi neri, per portarli all'Indie occidentali e quivi venderli. [ ... ] E perché questi viaggi e navicazioni dell'Indie non possono farsi d'altri che dalla propria nazione spagnola, noi come Italiani e forastieri venivamo a cascare in pregiudizio di perdere tutto l'avere che avessimo messo in un tal negozio, se mai si fusse saputo essere nostro. Talché, per rimediare a questo inconveniente, ordinò mio padre che tutto si negoziasse sotto nome di terza persona, la quale fu la moglie di Cesare Baroncini, di nazione pisana, maritato in Siviglia; ed a me da esso mi fu dato procura e piena facultà d'amministrare questo negozio come suo agente, e poi in secreto si fecero incontra altre scritture che manifestavano la verità di questo fatto.
(Francesco Carletti, Ragionamenti del mio viaggio intorno al mondo, 1594-1606, "Primo ragionamento dell'Indie cccidentali", Biblioteca Angelica di Roma, cod. 1331 -T. 3. 22.)

Storia di due fallimenti

Nel detto anno 1345, nel mese di gennaio, fallirono quelli della compagnia del Bardi, i quali erano stati i maggiori mercatanti d'Italia e la cagione fu ch'eglino aveano messo, come feciono i Peruzzi, il loro e l'altrui nel Re Edoardo d'Inghilterra e in quello di Sicilia; che si trovarono i Bardi dovere avere dal Re d'Inghilterra, tra di capitale e di riguardi e doni promessi per lui, novecentomila fiorini d'oro, e per la sua guerra con il Re di Francia non li potea pagare, e da quello di Sicilia doveano avere da centomila fiorini d'oro. E i Peruzzi doveano avere dal Re d'Inghilterra da seicentomila fiorini d'oro e da quello di Sicilia da centomila fiorini d'oro [ ... ] onde convenne che fallissono ai cittadini e forestieri a cui doveano dare solo i Bardi più di cinquecentocinquantamila fiorini d'oro. Onde molte altre compagnie minori e singulari persone, che aveano il loro nelle mani del Bardi e del Peruzzi e degli altri falliti ne rimasono diserti e tali per questa cagione fallirono. Per lo quale fallimento del Bardi e del Peruzzi e degli Acciaiuoli e Bonaccorsi e Cocchi e Antellesi e Corsini e quei da Uzzano Perondoli e più altre piccole compagnie e singulari artefici che fallirono in questi tempi e prima e per gli incarichi del Comune e per le disordinate prestanze fatte ai signori [ ... ] fu alla nostra città di Firenze maggiore ruina e sconfitta, che nulla mai avesse il nostro Comune, se consideri bene, o lettore, il dannaggio di tanta perdita di tesoro e pecunia perduta per li nostri cittadini [ ... ]. I Bardi renderono per patto le loro possessioni ai loro creditori soldi nove, denari tre per lira, che non tornarono al giusto mercato soldi sei per lira. I Peruzzi patteggiavano a soldi quattro per lira in possessione nelle dette de' sopradetti signori e i miseri creditori diserti e poveri.
(Giovanni Villani, Cronica, XII, 55)

Italiani nel mondo
E non saranno accoppati come bestie feroci

La grande Proletaria si è mossa.
Prima ella mandava altrove i suoi lavoratori che in patria erano troppi e dovevano lavorare per troppo poco. Li mandava oltre le Alpi e oltre mare a tagliare istmi, a forare monti, ad alzare terrapieni, a gettar moli, a scavar carbone, a scentar selve, a dissodare campi, a iniziare culture, a erigere edifizi, ad animare officine, a raccoglier sale, a scalpellar pietre; a fare tutto ciò che è più difficile e faticoso, e tutto ciò che è più umile e perciò più difficile ancora: ad aprire vie nell'inaccessibile, a costruire città, dove era la selva vergine, a piantar pometi, agrumeti, vigneti, dove era il deserto; e a pulire scarpe al canto della strada. Il mondo li aveva presi a apra i lavoratori d'Italia; e più ne aveva bisogno, meno mostrava di averne, e li pagava poco e li trattava male e li stranomava: Carcamanos! Gringos! Cincali! Degos!
Erano diventati un po' come i negri in America, questi connazionali di colui che la scoprì; e come i negri, ogni tanto erano messi fuori della legge e della umanità, e si linciavano.
Lontani o vicini alla loro patria, alla patria loro nobilissima su tutte le altre, che aveva dato i più potenti conquistatori, i più sapienti civilizzatori, i più profondi pensatori, i più ispirati poeti, i più meravigliosi artisti, i più benefici indagatori, scopritori, inventori, del mondo, lontani o vicini che fossero, queste apre erano costrette a mutar patria, a rinnegare la nazione, a non essere più d'Italia [ ... ].
Ma la grande Proletaria ha trovato luogo per loro: una vasta regione bagnata dal nostro mare, verso la quale guardano, come sentinelle avanzate, piccole isole nostre; verso la quale si protende impaziente la nostra isola grande [ ... ]. Là i lavoratori saranno, non l'apre, mai pagate, mai pregiate, mal nomate, degli stranieri, ma, nel senso più alto e forte delle parole, agricoltori sul suo, sul terreno della patria; non dovranno, il nome della patria, a forza, abiurarlo, ma apriranno vie, coltiveranno terre, deriveranno acque, costruiranno case, faranno porti, sempre vedendo in alto agitato dall'immenso palpito del mare nostro il nostro tricolore.
E non saranno rifiutati, come merce avariata, al primo approdo; e non saranno espulsi, come masnadieri, alla prima loro protesta; e non saranno, al primo fallo d'un di loro, braccheggiati, inseguiti, accoppati tutti, come bestie feroci. Vivranno liberi e sereni su quella terra che sarà una continuazione della terra nativa, con frapposta la strada vicinale del mare. Troveranno, come in patria, a ogni tratto le vestigia dei grandi antenati. Anche là è Roma.
(Giovanni Pascoli, Intervento a favore della spedizione in Libia, Discorso al teatro di Barga, 25 novembre 1911)


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