§ L'inedito

La notte




Enzo Panareo



Di tanto in tanto scricchiola qualche mobile.
Si tratta di un rumore sinistro che il silenzio e le tenebre della notte ingigantiscono smisuratamente. E' come un presagio di morte. Subito dopo sopraggiunge uno sgomentante senso di vuoto e subito dopo ancora l'angoscia del pericolo annidato chissà dove. Attimi, in effetti, che durano un'eternità. Poi la coscienza, sgombra, torna placata.
Dalla porta della camera da letto, lasciata aperta per sorvegliare il sonno di Piera - tre anni: un paffuto volto roseo, sotto una commovente coroncina di serici capelli biondi - che dorme nella stanza accanto, arriva affievolito il ritmico ticchettio della goccia che cade dal rubinetto in cucina.
"Per timore di far saltare il rubinetto, non chiude mai bene, la sera, prima di venire a letto. Già, ma forse ha ragione: dove lo trovi, oggi, un idraulico?". Gianni pensa alla moglie.
S'è svegliato di soprassalto. è terrorizzato dal treno che in un lucido sogno in bianco e nero, gli stava venendo addosso. Ha distinto benissimo i due respingenti che avanzando vertiginosamente diventavano sempre più grandi e minacciosi. Tra i due respingenti, gli occhi di fuoco dei fanali anteriori appannati dalla polvere - sembravano iniettati di sangue -, e la parte anteriore, concava e appuntita, della locomotiva. In alto, il fumaiolo sembrava un gigante indemoniato: fumo e vapore producevano un'atmosfera da tregenda. Dal movimento rapido delle bielle e degli stantuffi si sprigionava, con il rumore assordante, un senso d'inesorabile angoscia. Le traversine rugose tra le rotaie si succedevano con un ritmo pazzesco... Ad un certo momento, il volto del macchinista, affacciatosi ghignante da un vano laterale a ridosso della caldaia, è diventato -enorme, poi s'è trasformato in una piovra i cui tentacoli malignamente occhiuti si dibattevano negli sbuffi biancastri del vapore. Poi è rimasto solo quel ghigno umano stampigliato su qualcosa d'indefinibile...
Adesso, con gli occhi aperti sulle tenebre, Gianni ripercorre gli sfilacci residui del sogno. Si tratta ancora d'immagini inquietanti, che, tuttavia, hanno già perduto la loro carica di minaccia. Si sta dissipando tutto, in sostanza. Resta, insieme con un velo di sudore freddo sulla fronte, soltanto il ricordo del treno, verme mostruosamente nero e follemente lanciato nel vuoto. Ma anch'esso va perdendo i contorni della realtà e nella memoria incupita e trepidante s'è giù confuso con il buio, nella cui assurda inconsistenza Gianni pare aver fatto naufragio, senza, peraltro, trovare un pensiero al quale appigliarsi.
Ce ne sarebbero tanti, in verità - sebbene la vita stia scorrendo tranquilla per loro tre -, ma lì per lì non riesce a trovarne nessuno.
Pensa ad una sua lontana compagna di scuola - roba di nove o dieci anni fa -, della quale s'era perdutamente invaghito. Adesso, l'ha saputo lo scorso Natale, Corinna fa l'infermiera in un ospedale del Settentrione. Sembra che sia molto apprezzata sul piano professionale. Pensa adesso Gianni: "Chi l'avrebbe mai detto. Corinna era un temperamento che s'emozionava facilmente. Era sempre in ansia... Quando vedeva un po' di sangue sembrava impazzire per la paura". Sorride: Corinna gli piaceva. Aveva belle gambe, lunghe e ben tornite. Insomma, da rotocalco femminile. Peccato, non averle mai potuto strappare un bacio. E sì, che le occasioni non gli erano mancate. La sua memoria, fluidificata dal compiacimento, torna a quella sera, allorché, intrappolati nella villa comunale - era piuttosto tardi -, per uscire dovettero arrampicarsi sull'inferriata di recinzione e lasciarsi cadere giù. Corinna piangeva pensando a quel che avrebbe dovuto inventare a casa per giustificare il ritardo. Ma sì, quella sera s'erano baciati a lungo: se n'era dimenticato. Erano andati ad una festa ed al ritorno s'erano rifugiati in villa... Ma era successo una sola volta!
Adesso Corinna s'è sposata ed ha avuto due figli. Forse, fisicamente s'è mantenuta bene. Gianni non pensa al sesso, sebbene allora quello fosse, a proposito di Corinna, un suo chiodo, maledettamente conficcato nel suo animo. Che cosa avrebbe dato... Ma Corinna da quel lato era rimasta sempre inespugnabile. Comunque, sembra che Corinna sia ancora una bella donna. Tutto questo Gianni l'ha saputo da un suo cognato che è andato a lavorare nella città nella quale è andata ad abitare Corinna dopo che s'è sposata. Riflette ancora Gianni, con un certo sentimento di soddisfazione: "Tutto sommato, non è che Corinna, rifiutandosi a me, sia andata meglio: un operaio, in fondo, ha sposato: buono, affettuoso, ma sempre operaio ... ". Lui, invece, è ragioniere in una grossa ditta. Ma non è forse vero che gli operai, oggi, stanno meglio degli impiegati?
Gli viene in mente, fulmineamente, la figura del dirigente, il suo superiore diretto. E' il dottor Investa, che da anni dirige il reparto contabilità nella grande industria di maioliche artistiche. Veramente, non è simpatico come temperamento: duro, irritabile, litigioso anche. E la faccia, poi? Dove la metti quella faccia? E' qualcosa di ripugnante! Ma come ha fatto, per la miseria, la moglie a prenderselo? Peraltro - Gianni sorride - quella è anche carina. Una volta Gianni, mentre la donna saliva in macchina, le ha guardato le gambe e s'è elettrizzato. Chissà che spettacolo Investa, quando fa l'amore con la moglie. Ma forse quella gli mette le corna. Gianni sogghigna divertito: ormai il treno del sogno chissà dov'è andato. Certo che la signora Investa mette le corna al marito. Gianni se ne va convincendo sempre più. Però, Cristo, il reparto contabilità, non c'è che dire, funziona ed Investa, via, diciamolo pure, è un uomo equanime.
Di là continua a venire il rumore della goccia. Che nervi! Come si fa a riprendere sonno in queste condizioni? Ma non si alza per andare a chiudere meglio il rubinetto. In fondo, ha paura che a forzarla, la chiavetta gli resti in mano! Se dovesse succedere, dovrebbe poi provvedere alla meglio. l'aria è fresca e non gli va d'andare in giro per casa. Fuori, da un cielo gonfio vien giù da ore una pioggia sottile e insistente. Di dentro se ne avverte come una sorta di fruscio.
Piera è tranquilla. Gianni dirige lo sguardo in direzione della porta. Coglie il vaghissimo chiarore che proviene dalla stanza nella quale dorme la bambina. Ma che luce manda, al buio, la minuscola lampada posta di fronte all'immaginetta in peltro scadente dell'Angelo Custode: era la bomboniera di prima comunione di un nipotino di Anna. Meglio così, d'altronde: se succede qualcosa, non c'è da preoccuparsi per trovare l'interruttore della lampada centrale, quella che ha i disegni di Topolino, o di quella che sta sul comodino, accanto al lettino, che ha la rete di filo di plastica ai due lati.
Anna, accanto a Gianni, ha un respiro profondo.
"Chissà - pensa Gianni -, forse è lei che sta sognando, adesso".
Vorrebbe, per un solo attimo, conoscere i sogni della moglie quando questa ha respiri così profondi. Pensa che lo divertirebbero moltissimo. Per lui Anna resta sempre una bambina da coccolare e da proteggere. Di questo ruolo si sente fiero. Ogni tanto le porta qualche bambola: sa che le piacciono e vuole vederla sempre felice. Gianni non s'arrabbia mai. Perciò Anna sta sempre tranquilla. E se, poi, conoscendo i sogni della moglie dovesse avere qualche brutta sorpresa? Meglio di noi Sorride imperturbato. Anna, d'altronde, gli vuole veramente bene. Di questo è sicuro: ci mancherebbe altro!
Il respiro profondo s'è ripetuto: ma adesso s'è trasformato in sospiro. Come di chi ha una grande sofferenza interiore e non è riuscito a sfogarsi con nessuno. Ma Gianni non si sente preoccupato: conosce benissimo sua moglie, temperamento un po' ansioso, ma, in sostanza, abbastanza equilibrato. I respiri così sono la conseguenza delle piccole angosce accumulate nel corso della giornata, dedicata quasi tutta a Piera. Ma come impegna sua madre quella bambina!
"Ma che motivo ha di preoccuparsi?" si chiede ancora Gianni.
Allunga, lentamente, sotto la coperta la mano destra alla ricerca di Anna. Incontra, dove se l'aspettava, la soffice sfericità di una mammella adagiata sul lenzuolo, accarezza il bottoncino teneramente rugoso del capezzolo. Capisce che Anna sta dormendo di lato, con mezzo volto sul guanciale. Preme lievemente ed è intenerito da quella dolcezza che se ne sta lì, innocente ed indifesa. Pensa ad una falda di cotone. Cerca l'altra mammella e non la trova. Intuisce che è premuta sotto il fianco sinistro di Anna. Ritrae la mano, poi l'allunga di nuovo. Non intende svegliare sua moglie che dorme tranquillamente, tuttavia è più forte di lui. Adesso esplora quel corpo inerte, caldo di sonno, soffice, quasi immateriale in quella notturna dimensione d'incoscienza. Per un attimo, nella fantasia ormai accesa di Gianni è come se Anna fosse tutte le ragazze dell'età sua. In effetti, Anna non ha che ventiquattro anni e, malgrado i nove mesi di gestazione maledettamente difficile, si mantiene bene. Sui fianchi, per esempio, non sono apparse quelle orrende smagliature del tessuto che subito si notano, dopo il primo parto, nelle donne.
La mano di Gianni percorre il corpo di Anna con inesprimibile soavità. Evita, dove può, la leggerissima camicia da notte che s'è come arrotolata intorno a quel corpo. Quella escursione tattile, come una fantasia rappresentata sulla ribalta della notte, dà a Gianni un piacere sconfinato. E' la sua donna, quella! Che egli ama veramente. Gianni è percorso da un brivido, si sente traboccante d'affetto. Si commuove anche. E' un piacere, quello che adesso sta provando, che lo inebria, perché, in fondo, ci trova anche qualcosa di perverso, magari di proibito.
La mano, adesso, indugia sui glutei, ne valuta la giovanile sodezza, l'elasticità, ne segue le curve morbide ed invitanti. Gianni pensa per un attimo alle gote rosse ed ai tondi culetti di certi angeli dipinti nel Rinascimento o scolpiti, piuttosto grossolanamente, nella pietra tenera negli anni del Barocco e ancora allietanti lo sguardo nei festoni o intorno agli altari delle chiese di quell'epoca.
Gianni si compiace con se stesso per questi riferimenti di natura intellettuale.
Gli è sempre piaciuto leggere ed arricchire le cognizioni che ha, che gli sono rimaste dalla scuola. Peccato che il lavoro gli porti via quasi tutta la giornata e la sera, quando potrebbe leggere un po', è stanco. Magari deve aiutare Anna o giocare con Piera.
Gianni sta un momento in forse e s'accosta un po' a sua moglie. Il respiro di Anna non è più regolare. La ragazza si muove un po': ha cambiato posizione. In una sorta di torpore sonnambulico, gli prende la mano e gli chiede, con voce tenue, un filo appena, di smetterla. Non è ancora l'alba ed ha sonno. Ma quella carezza prolungatamente insinuante, fatta da mano esperta, che ormai conosce benissimo il suo corpo agile, le piace. le dà un senso di benessere interiore, di felicità solare, che tonifica il riposo conseguito con le ore di sonno pieno. A sua volta, Anna prende ad accarezzare il corpo di Gianni: non è massiccio, muscoloso come si pensa che piaccia alle donne un corpo maschile, ma è atletico. Gianni da militare è stato ufficiale del bersaglieri. Peccato non aver potuto continuare la carriera: speravano entrambi in questa risorsa. Allora erano fidanzati e sull'orizzonte di Gianni non si vedeva niente. Da quel corpo Anna si sente protetta: Gianni l'ama e glielo dimostra. Anna bacia il marito sulla guancia con trasporto e sorride. Ma Gianni non la vede sorridere. Sa, tuttavia, che sta sorridendo.
Per ora, chiaramente, il sonno se n'è andato del tutto...
Dopo un po' Gianni ed Anna odono un rombare di macchine nella notte che si prepara a scivolare verso l'alba. E' come se avanzasse, con uno scalpiccio ininterrotto, registrato in chissà quali profondità della storia, l'autocolonna di un esercito in marcia.
Gianni ed Anna stanno supini, uno accanto all'altra, annidati nel loro calore e si tengono per mano, come due bambini atterriti. Con gli occhi rivolti al soffitto, che non vedono, hanno paura. Fiutano il pericolo.
- Rientrano - osserva laconicamente Anna. la sua voce è un impercettibile sussurro. Anna non li ha uditi partire: dormiva tranquillamente. Adesso pensa a Piera che sta di là.
- Già - le fa eco Gianni e la sua voce non è più forte di quella della moglie -, rientrano. Chissà dove li hanno chiamati. Dev'essersi trattato di qualcosa di grosso: sono due o tre macchine.
- Forse un grosso incendio - ipotizza Anna ed ha un brivido: avverte l'insidia e cerca di esorcizzarla facendosi piccola, invisibile.
Ma il rombo degli automezzi del vigili del fuoco è cessato e nel cortile della caserma, a pochi passi dal condominio nel quale abita Gianni, con la moglie e la bambina, le macchine sono ferme ai loro posti. Qualcuno provvede ai rifornimenti, dato che le macchine devono essere pronte per ripartire in qualsiasi momento, in seguito ad un'eventuale chiamata. Un anziano vigile, toltosi l'elmo, interroga il cielo per cercare di capire quando smetterà di piovere. Guarda in alto e non vede che una nuvolaglia minacciosamente bassa dalla quale continua a venir giù la pioggia.
Gli uomini che hanno operato, intanto, si spogliano. Sono bagnati perché hanno lavorato sotto la pioggia minuta e penetrante. E meno male per la pioggia che ha di molto agevolato il loro lavoro.
Ma ormai è vicina l'alba: il turno sta per finire. Qualcuno, poggiato un fornellino a gas sul davanzale, accanto alla branda, si prepara un caffè. Si sente il gorgoglio della bevanda che sale e l'aroma che si diffonde nella. camerata. Qualche altro riprende la lettura del rotocalco abbandonato sulla coperta nel momento in cui era scattato l'allarme. Uno già ha ripreso a dormire, allungato sulla coperta della branda: s'è tolti gli stivali, il cinturone e la giacca. Se non c'è qualche altra chiamata potrà dormire fino alla fine del turno: circa un paio d'ore.
Maurizio e Rosario, in un cantuccio, seduti, commentano sommariamente le varie fasi dell'intervento. Tentano delle deduzioni. Che, in effetti, sono riservate al graduato che li ha guidati nello spegnimento dell'incendio e che dovrà fare un circostanziato rapporto. Sull'origine dell'incendio i dubbi possono essere molti: aveva preso fuoco il cantiere di un palazzo in costruzione alla periferia della città. Bruciava tutta la legna che doveva servire ai carpentieri per innalzare i palchi. Un metronotte s'era accorto delle fiamme e aveva dato l'allarme ai pompieri. Quando questi erano arrivati le fiamme erano già alte. Nei pressi s'era fermata la macchina della polizia. Un uomo stava già telefonando alla sala operativa della questura. Era solo per avvertire: i vigili del fuoco stavano arrivando in quel momento. Seduto accanto al posto di guida, il poliziotto con il microfonino vicino alla bocca, sollevando la testa, vedeva i lampeggiatori delle macchine dei pompieri. Il metronotte aspettava per far testimonianza.
Gianni vorrebbe riprendere sonno. S'accorge che Anna dorme. Di là la bambina ha un gemito.
Gianni pensa a tante cose. Vorrebbe un maschio. Piera è già grandicella ormai e non è loro intenzione lasciarla sola. Gianni era figlio unico: ha già perduto i genitori. Nel giro di tre anni se ne sono andati entrambi: tumore per tutti e due! Ma non vuole che anche Piera faccia l'esperienza del figlio unico.
"Non è stato facile" pensa Gianni a proposito della sua condizione di figlio unico. Rimpiange di non aver mai conosciuto l'affetto fraterno. Per questo è stato malagevole, i primi tempi, quando conobbe Anna, entrare in confidenza con i due cognati. li sentiva estranei, non riusciva a comprendere il significato ed il calore della loro amicizia per lui. Pensava, e adesso ne sorride, che gli manifestassero simpatia soltanto perché sottraeva alla loro responsabilità la sorella. E Anna dovette faticare un bel po' per convincerlo che gli volevano bene disinteressatamente.
Certo, ci vuole un altro figlio! Un maschio? La sua aspirazione segreto è un maschio. Gli farebbe piacere avere un maschio. Ma non è questo l'importante. L'importante è che Anna stia bene, che non vada incontro ad un parto difficile com'è stato per mettere alla luce Piera.
E se Anna con un altro parto dovesse morire? Gianni trema.
Per fare un altro figlio, comunque, bisogna che sia d'accordo anche Anna. Questa, invece, adesso che la bambina è cresciuta, vorrebbe mettere a profitto il suo diploma di maestra d'asilo. Ci porterebbe anche Piera, in fondo, e, tutto sommato, la bambina non risentirebbe per il fatto che la mamma s'è messa a lavorare. Un altro stipendio, in casa, sarebbe il benvenuto. Gianni finora non ha voluto che la moglie lavorasse perché si è preoccupato per la bambina, che non poteva essere portata in casa della nonna, la madre di Anna, abbastanza malandata. Comunque, presto o tardi, un altro figlio bisogna farlo. Si vedrò! Anna finirà col convincersi. Ma per ora - pensa Gianni, tranquillizzandosi - è meglio lasciar andare e non toccare quest'argomento.
Se ne sta tranquillo, beato anzi, accanto al corpo fragrante di giovinezza di Anna.
Fuori, la pioggia viene giù a scrosci. Ma che è successo? Gianni è preoccupato. Tra poco dovrà uscire per andare a lavorare. Pensa a Saverio che va su e giù lungo la cinta nord del carcere, nei pressi dello stabilimento nel quale lavora.
Ormai è l'alba e Saverio sta per smontare. Ha fatto l'ultima guardia di quella notte in quel settore di muro di cinta.
Adesso s'è rifugiato nella garitta di forma rotonda posta in un angolo del muro di cinta. Attraverso la porticina d'ingresso guarda giù, in un cortile nudo e illuminato da lampade potentissime. Attraverso le feritoie, invece, guarda all'esterno, nella periferia estrema della città. All'interno, gli enormi parallelepipedi dei padiglioni, con le finestre con le bocche di lupo, sono malinconici e Saverio, riflettendoli, come sempre, ha una stretta al cuore! Quanta umanità abbrutita che soffre, in quegli scatoloni biancastri contrassegnati da finestre cieche. Il mitra sulla spalla comincia a pesare dopo un'ora e passa di andirivieni e l'uniforme di panno grigioverde è umida sotto il pastrano appesantito dalla pioggia. Che nottata! Meno male che è finita: appena smonto corre a casa.
A casa, ad attendere Saverio, c'è solo la moglie, una ragazza semplice, di poche parole, buona. E' molto sofferente. Saverio s'è sposato da qualche anno e non ha figli. Forse non ne avrà mai. Ne avrebbe avuto uno se la moglie non avesse deciso, al secondo mese, di abortire allo scopo di evitare complicazioni al mai di reni, del quale è afflitta da anni. Ma non è stata una buona idea. Almeno, così ha fatto capire il ginecologo: valli a capire questi medici. Oggi dicono una cosa, domani ne dicono un'altra e tu stai lì che aspetti e non capisci quel che devi fare. Pensando alla malattia della moglie, Saverio ha sempre paura. Erano bambini quando, in paese, si sono conosciuti e si può dire che abbiano sempre avuto un sentimento di tenerezza l'uno per l'altra. Per Saverio, Luisa è più di una sorella che una moglie!
"Chissà come finirà questa cosa" pensa Saverio mentre continua ad andare su e giù lungo il tratto di cinta che gli è assegnato da sorvegliare. Con la luce del giorno che sta per sopraggiungere, la luce delle lampade che illuminano i cortili del carcere è innaturale, funerea. Saverio è uscito dalla garitta e s'è assestato ancora una volta il mitra sulla spalla. Ha smesso di piovere e nel cielo s'è fatto quel certo chiarore con il quale nel carcere comincia la giornata.
S'è levata una certa brezza. Saverio, dall'alto della cinta, guarda fuori, verso la città: è cominciato quel certo traffico minuto che è proprio della vita cittadina. Cominciano la loro giornata i netturbini, i rivenditori: costoro dai mercati generali portano le merci ai mercati rionali. E' un traffico continuo di uomini e di automezzi.
Saverio fiuta nell'aria il vento che cambia. Viene da tramontana e forse porta qualche giorno di sereno.
- Se si mette a tramontana, forse non pioverà più - lo dice a se stesso ed è anche per farsi un po' di compagnia. La vista dei padiglioni, sebbene faccia questo lavoro da alcuni anni - è venuto di leva e non se n'è più andato per il timore di non trovare altro -, gli mette sempre una certa angoscia.
Quando sta dentro è diverso, l'attività non gli lascia il tempo di pensare in che razza di posto è andato a finire. Chi glielo avrebbe detto! Ma se trovasse qualcos'altro se ne andrebbe. Quando, da ragazzo, leggeva sul giornale o sentiva alla radio i nomi dei penitenziari celebri per le rivolte, non sapeva che pensare. Le immagini, in televisione, lo lasciavano, per così dire, esterrefatto. Quando vedeva uomini in uniforme e automezzi avanzare per la guerriglia, e dall'altra parte dei disperati che contrattaccavano, si sentiva perdere. Ma, forse, c'è qualche speranza d'andarsene. S'è raccomandato ad un suo compaesano che ha un posto importante in prefettura. Gli è stato promesso un impiego in una scuola... E meno male che qui sia superiori e colleghi che reclusi gli vogliono bene!
Saverio, malgrado la stanchezza per la notte trascorsa tra la branda e il posto di guardia, due ore e quattr'ore, è contento. Come smonta, a casa riposerò un paio d'ore accanto alla moglie che gli fa trovare una tazza di latte caldo, e poi dal medico. Speriamo che costui esprima una sentenza confortante. Saverio ha molta speranza. Gli viene dalla fede. Da ragazzo, è stato all'oratorio per qualche anno e lì ha imparato ad aver fede in Dio. Sorride e vede, nella luce del nuovo giorno, gli uomini della nuova guardia che sopraggiungono per il cambio.
Saverio porge il mitra al collega, che gli augura una buona giornata. Gli piace il faccione di quest'uomo sorridente che s'accinge alle prime sue due ore di guardia.
- Buona giornata a te, Angelo! - esclama Saverio. Prima d'andarsene, però, deve fare una cosa. Corre un attimo in una sezione per donare una parola di conforto ad un ragazzo arrestato qualche giorno prima per una sciocchezza commessa più per stupidità che per cattiveria. Adesso il ragazzo si dispera e piange sempre. Saverio ne ha una pena sconfinata e darebbe chissà cosa per alleviare la disperazione di quel ragazzo che pensa sempre alla madre inferma.
Saverio esce dal carcere e saluta il piantone con il quale scambia qualche parola sul servizio.
- Te la sei evitata oggi la traduzione, eh Saverio! - dice il piantone sorridendo con una punta di malignità. - Certo - ribatte Saverio - ma stanotte io ho vegliato, mentre gli altri dormivano, non ti pare? - Mentre s'allontana aggiunge, con un tono di voce un po' più alto: e sotto la pioggia che non m'ha lasciato un attimo!
- Sì, sì - s'affretta a dire il piantone a Saverio che sta già dall'altra parte della strada, alla fermata dell'autobus.
Sotto la pensilina c'è già molta gente. Operai, commesse, impiegati, venditori, studenti che debbono prendere il treno, fanno ressa e prendono d'assalto gli automezzi o ne discendono, con un movimento frenetico che da il senso della vita che, come un fiume in piena, avanza e tutto trasporta nelle sue acque limacciose, cariche di detriti. Non c'è spazio per i sentimenti in questa assurda dimensione d'impersonalità. Ognuno bada ai fatti suoi. Ecco perché è rara la bontà oggi nelle città.
Questa è degli uomini semplici soltanto, forse. - Ciao, Gianni.
- Ciao Saverio. Com'è andata?
- Non vedi? Sono tutto bagnato: ho freddo nelle ossa... - A te pensavo stanotte.
- Lo so, ti ringrazio.
- Ciao.
- Ciao.
L'autobus parte, si dirige verso il centro della città. Un raggio di sole squarcia le nuvole ed insegue l'automezzo che trasporta il suo anonimo carico di gente.

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