§ Le grandi civiltą / Islam

Ad Oriente di Cristo




Tonino Caputo, Gianfranco Langatta
collaborazione: Muhammad Kabir, Alfio Patanè



Un Paese sterminato e desertico, segnato da alcune oasi verdi, con un clima arido e inclemente: questa è l'Arabia. Così era millenni fa, così è rimasto ai nostri giorni, con pochissime apprezzabili differenze, anche se la scoperto del petrolio ha aperto orizzonti di ricchezza e di prosperità: che comunque sono privilegio di pochi. E' necessario tuttavia distinguere, ha scritto uno storico, fra la maggior parte del territorio, dove si alternano deserti di sabbia e altrettanto aridi altipiani basaltici, e alcune frange, che confinano con la Siria e con la Mesopotamia a nord, con l'Oman ad est e soprattutto con lo Yemen a sud-ovest, là dove gli alti rilievi e il soffio del monsoni trattengono l'umidita, promuovendo una vegetazione e colture estranee al resto dell'Arabia, eccettuate le oasi.
Storici greci e latini, da Erodoto a Diodoro Siculo, da Strabone a Plinio il Vecchio, testimoniano di antiche civiltà fiorite nelle zone fertili della penisola araba, nel sud soprattutto, ma anche altrove. Queste testimonianze sono confortate da recenti scavi archeologici che hanno messo in luce avanzi di grandiosi edifici, di templi, di acquedotti, di dighe, non troppo dissimili da quelli lasciati da Assiri, Babilonesi, Egizi, Cretesi. Accanto all'Arabia sterile, senz'acqua, vi fu dunque un'Arabia fertile, ricca di miniere d'oro, di pietre preziose, di aromi (mirra, laudano, incenso), con montagne folte di pini, di ginepri, di piante aromatiche e fruttifere. Gli storici parlano di un'Arabia felix, posta nelle regioni costiere sud-occidentali, fortunata per salubrità dell'aria, mitezza del clima, abbondanza e varietà del prodotti: un'Arabia non già separato dal mondo, ma stretta in rapporti di commercio con le civiltà dell'Asia anteriore, dell'Africa (Etiopia), dell'India e persino della Cina, e perciò in grado di svolgere un importante ruolo di mediazione tra Occidente e Oriente. Migliaia di cammelli carichi di merci risalivano la penisola da sud a nord, lungo le piste che facevano capo ai centri della Mecca e di Medina, dai quali risalivano verso la Siria e la Palestina. Resti monumentali attestano il fiorire nello Yemen di formazioni statali di tipo monarchico, di progredita vita sociale: il regno dei Minei e quello dei Sabei. Quest'ultimo, il più splendido, fiorito a cominciare dal 950
a.C., e del quale è cenno anche nella Bibbia, dove si racconta di una visita fatta a Salomone dalla regina di Saba. La sua capitale, Ma'rib, sorgeva presso la più antica diga del mondo, il cui crollo, come si legge nel Corano, distrusse la capitale stessa (542 d.C.) e pose fine al regno. Altri due Stati arabi furono, nel nord, quello dei Nabatei, con capitale Petra, in Cisgiordania, e quello di Palmira, in Siria: l'uno e l'altro gravitarono nell'orbita del mondo ellenistico e romano. Il regno di Petra fu assorbito da Traiano nella provincia romana di Arabia, quello di Palmira fu sottomesso nel 274 d.C. dall'imperatore Aureliano. Vi furono, dunque, notevoli civiltà a sud e a nord del Paese, destinate a cadere sotto i colpi dei Romani, degli Abissini, del Persiani. Vero è che la nuova civiltà islamica, sorta dalla predicazione di Maometto, non deriverà tanto da questi regni periferici permeati in vario modo da influenze culturali esterne, ma dal mondo spirituale delle tribù dell'interno, dalle tradizioni religiose dei beduini, i "figli del deserto", e dalle popolazioni sedentarie della Mecca e di Medina: ma ad essi, in filigrana, rimanda per alcune rimarchevoli radici.
Nonostante il comune sentire religioso e quello che Cahen definisce "il vago senso di unità araba, che si manifestava in una lingua poetica comune e già elaborata", queste tribù nomadi vivevano, prima della comparsa di Maometto, disperse e in perpetua rivalità. Soli centri urbani con popolazione fissa erano la Mecca e Yathrib (Medina). La religione consisteva in un rozzo politeismo: ciascuna tribù aveva il proprio dio, o piuttosto demone o idolo, rappresentato in forma di albero, di pietra, e custodito nel recinto sacro, posto al centro della Mecca. Qui, sospese rivalità e guerriglie di comune accordo, si recavano in pellegrinaggio gli Arabi. E nell'edificio della Kaaba era custodita la "pietra nera", forse un meteorite, che di diceva portato dall'arcangelo Gabriele e che era oggetto di venerazione generale.
L'esigenza di una religiosità meno primitiva (anche per l'influsso delle comunità ebraiche e cristiane presenti) era rappresentata dagli Hanif, singolari personaggi dell'Arabia preislamica, che dell'Islam sono considerati "lievito e presagio". "Insoddisfatti del rozzo politeismo patrio", scrive il Gabrieli, "vissero apportati e pensosi, cercarono con nobile inquietudine il divino. L'Islam li considerò a buon diritto, per tale presentimento e ricerca, suoi precursori".
Di questa accozzaglia di pastori e di predoni Maometto fece un popolo di conquistatori e di geniali creatori di una nuova, splendida civiltà. Era nato attorno al 570, alla Mecca, da nobili decaduti a mercanti, negli anni stessi dell'invasione longobarda in Italia. Trascorse come cammelliere una giovinezza dura e travagliata. Un buon matrimonio lo liberò dal bisogno. Nei suoi viaggi apprese da Ebrei e Cristiani il principio del monoteismo. Seguendo la vocazione interiore di uomo di religione, si immerse in lunghi anni di meditazione, fino a farsi predicatore della nuova fede, incentrata sull'abbandono assoluto al Dio unico e onnipotente. Per questa concezione di dedizione totale, la nuova religione fu detta "Islamismo" (Islam significa sottomissione alla volontà di Dio), e "muslim" (da cui "musulmano") fu detto il credente di Allah.
A differenza di Cristo, che si era proclamato figlio di Dio, Maometto si presentava solo come profeta di Allah, e dunque banditore delle verità annunziategli da Dio stesso e da Gabriele per mezzo di voci e di messaggi. Altri profeti, prima di lui, quali Mosè e Cristo, avevano rivelato agli uomini una parte delle verità, ma solo lui, Maometto, era il vero, definitivo annunziatore e interprete della parola di Dio. Si diede perciò a predicare a quarant'anni i principii fondamentali della nuova fede: l'immortalità dell'anima, la resurrezione dei morti, il giudizio universale, il paradiso per i fedeli di Allah, l'inferno per i malvagi e i miscredenti. Fece un gran numero di proseliti soprattutto tra i ceti più poveri. Di qui, l'avversione dei sacerdoti della Kaaba e dei ricchi mercanti della Mecca, che detenevano il potere politico. Costoro videro nella predicazione di Maometto una grave minaccia per i loro privilegi sociali ed economici; perciò lo perseguitarono, costringendolo ad abbandonare la Mecca per Medina, che divenne allora "la città del profeta". L'anno della fuga (o égira, come si dice in arabo), il 662 d.C., costituisce per gli Arabi l'inizio della loro era.
Il successo della sua predicazione gli consentì di tornare da trionfatore alla Mecca. Sopravvisse solo due anni. La sua religione aveva già segnato un grande destino.
Noi abbiamo un debito enorme nei confronti degli Arabi e della civiltà araboislamica. Proprio nel tempo in cui i Paesi dell'Europa occidentale regredivano verso forme primitive di convivenza civile e la vita economica, cessati gli scambi e i commerci, era ridotta nei limiti angusti dei latifondi feudali e dei monasteri benedettini con le loro terre intorno ("economia curtense"), gli Arabi davano vita ad una civiltà moderna, che riverberava la sua luce ovunque. Monumenti dell'arte araba testimoniano ancora oggi l'eccellenza di quella civiltà: dalla moschea di Cordova all'Alhambra di Granada, dall'Alcazar di Siviglia al convento di Monreale (arabo-normanno), dalle strutture architettoniche e scultoree (arabeschi) alle scienze umanistiche e tecniche. Splendidi furono i progressi nella filosofia (Averroè), nella medicina (Avicenna), nell'astronomia e nella matematica ("algebra" èparola araba), negli studi giuridici, nelle opere letterarie ("Mille e una notte"), in quelle storiche. Di fatto, mentre il Cristianesimo altomedioevale disprezzò i valori economici e privilegiò l'ascesi, gli Arabi fondarono la loro civiltà sull'operosità e sul lavoro. Ciò spiega come la loro tecnica abbia registrato tanti progressi, anche per i contatti intrattenuti con India e Cina. Nel campo dell'agricoltura, conquistarono vaste zone incolte grazie ad ingegnosi lavori di idraulica e di irrigazione, che trasformarono piaghe deserte in splendidi giardini di aranci e di limoni; introdussero in Spagna e in Sicilia le colture del riso, del gelso, della canapa, del cotone, del carciofo, degli spinaci, della canna da zucchero. Nell'industria tessile, fabbricarono nuove stoffe, si resero famosi per i cuoi lavorati (il "marocchino"), produssero splendide sete (i "damaschi") e tele finissime (le "mussole"). Uno dei loro prodotti più diffusi fu la carta, che essi avrebbero conosciuto grazie ad alcuni prigionieri cinesi. Nel campo della navigazione, introdussero nuove tecniche che lasciarono il segno persino nel nostro linguaggio marinaro: arsenale, darsena, dogana, ammiraglio, sono termini di derivazione araba. Non ultimo merito, nelle regioni nelle quali dominarono, la diffusione della piccola proprietà contadina, ricavata dai latifondi feudali.
Non si debbono tacere, tuttavia, alcuni sconcertanti aspetti della vita sociale, comuni a tutta la società arabo-islamica: la schiavitù istituzionalizzata, la pratica della guerra e della razzia come mezzo per procacciarsi schiavi, per cui le popolazioni cristiane delle regioni costiere del Mediterraneo vissero per secoli nel terrore delle incursioni "turche" dal mare, l'iniqua inferiorità giuridica della donna (teorizzata comunque anche dai dottori della Chiesa ed entrata nella prassi dell'Occidente medioevale). E va messo in rilievo che la predicazione di Maometto, di per sé liberatrice, non produsse un effettivo rivolgimento sociale, dal momento che il potere politico restò nelle mani delle potenti famiglie mercantili: e ogni tentativo di insurrezione popolare fu sempre, sistematicamente e crudelmente, represso.
Com'è noto, la maggior parte degli storici fissa la fine dell'Evo antico al 476, anno della deposizione di Romolo Augustolo da parte di Odoacre. la legittimità di questa data è stata contestata dal Pirenne, che indica invece nella rottura dell'unità mediterranea da parte degli Arabi nel secolo Vili l'avvenimento capitale, meritevole di essere assunto ad autentica linea di displuvio tra l'età antica e la moderna. Con l'Islam, scrive, "un nuovo mondo entra nel bacino del Mediterraneo. Ha inizio una lacerazione che durerò fino ai nostri giorni. Sulle rive del Mare nostrum si stendono ormai due civiltà differenti ed ostili [ ... ]. Il mare, che era stato fino allora il centro della cristianità, ne diviene la frontiera. L'unità mediterranea è rotta". Questa rottura determinò l'inarrestabile processo di ruralizzazione dell'economia europea, per cui si crearono i presupposti della feudalizzazione del mondo romano-germanico.

Architettura d'Islam

Gli elementi architettonici classici sono il minareto, dal quale il muezzin chiama i fedeli alla preghiera; un ampio cortile aperto, circondato da colonnati con una fontana per le abluzioni; la rotondo per la preghiera, coperta da una cupola centrale col mithrab, nicchia per la preghiera orientata verso la Mecca. Non necessariamente connessi con la struttura della moschea, ma particolari dell'architettura musulmano, l'arco a ferro di cavallo, le volte a galleria di pietra e mattoni, le superfici degli edifici riccamente decorate con mosaici, pietra scolpita, stucco modellato, pitture, mattonelle di ceramica a uno o più colori, scritte decorative. Non tutti questi elementi erano contenuti in una moschea. E alcuni erano caratteristici di strutture locali. La Cupola della Roccia, a Gerusalemme, il primo monumento dell'architettura islamica, costruita nel 691, èun eccellente esempio di fusione di vari elementi culturali per un'opera molto originale. La tradizionale rotondo sormontata da una cupola e circondata da ambulacri è struttura di origine occidentale, ma la decorazione a mosaico e le sculture su pietra con motivi ellenistici orientali danno a questo edificio un aspetto decisamente nuovo. Fra l'altro, è significativo dal punto di vista politico, oltre che religiose, perché con esso si volle dimostrare una superiorità dell'Islam nei confronti di Ebrei e Cristiani, i quali veneravano questo luogo dove, si diceva, Abramo si era preparato al sacrificio del figlio. Il palazzo dell'Alhambra, nella spagnola Granada, è un esempio di architettura "moresca", variazione iberica dell'architettura islamica. E' la realizzazione di un sogno: un edificio che sembra ]evitare sulla terra. L'uso delle doppie, triple e quadruple sottilissime colonne nei cortili, come nella Corte del Leoni, offre una sensazione di immaterialità. Questa Corte era riservata all'harem e alla famiglia reale. Un'altra variazione è rappresentato dal mausoleo Taj Mahal, ad Agra, in India, forse uno dei più celebri edifici dell'architettura mondiale. Costruito nel 1629 da Shan Jahan per suo moglie, è straordinario per le decorazioni: intero corpo è ricoperto di marmo bianco intarsiato con pietre colorate d'ogni genere, che formano un disegno floreale stilizzato.

Le False Scritture

L'Islam riconosce la validità degli altri Libri. Gesù è, per i musulmani, un profeta (e non il figlio di Dio, che è unico) che preannunciò l'arrivo di Maometto, "sigillo" di tutti i profeti. Ma sostiene che le Sacre Scritture sono state falsificate per confondere le carte. Nell'opera di denuncia delle falsificazioni, l'Islam è ineguagliabile, perché ineguagliabili sono gli Arabi nello spaccare il capello in quattro. Se il Vangelo di Giovanni afferma che il Padre darò un altro paraclito "perché rimanga in eterno tra voi", noi traduciamo la parola greca parakletos in "consolatore". Ma in greco c'è un altro termine assai simile, ed è periklitos, che significa "il lodato" e suona, all'orecchio di un arabo, come la traduzione esatta di Muhammad, Maometto. E' bastato cambiare due lettere, sostengono i musulmani, per capovolgere il concetto evangelico.
"Colui che ha nel cuore l'inclinazione all'errare, è sempre alla ricerca di cavilli, sottigliezze, interpretazioni differenziate", recita una sura del Corano. Denuncia a doppio taglio, che potrebbe rivolgersi contro chi l'ha lanciata. Ci viene in mente un episodio: Maometto aveva un segretario, Abdallah In Sad, al quale dettava i versetti che Dio gli ispirava. In un giorno particolarmente caldo, il Profeta si addormentò, lasciando a mezzo una frase che Abdallah completò da solo. Stupito che nessuno avesse notato l'aggiunta, Abdallah abiurò e Maometto ordinò che fosse ucciso perché non lo potesse diffamare. L'episodio va ben oltre l'aneddoto. Nemmeno la scalfittura d'una punta di spillo su un edificio che mantiene, dopo quindici secoli, tutta la sua validità, e non solo come testo religioso, ma anche come codice civile e penale. Questa è la grande forza dell'Islam, una forza che si può amare o combattere, ma che non può essere ignorata.

Le arti minori

La tessitura dei tappeti fu estremamente varia nelle forme e nei disegni e produsse esemplari d'ogni tipo, compresi quelli "da preghiera" e le coperture da sella. La particolarità del tappeti da preghiera consiste nel disegno centrale, che si conclude in una punta, che doveva essere orientata in direzione della Mecca ogni volta (cinque, ogni giorno) che si invocava Allah. Altri tappeti potevano essere semplici o elaborati, ma quelli eseguiti per i ricchi erano vere e proprie opere d'arte, spesso intessuti di seta, invece che di lana, con fili d'oro o d'argento, e decorati con pietre preziose. La ricchezza di una famiglia, o di un uomo, era rivelato dai tappeti posseduti. Essi erano ritenuti così importanti, che il paradiso musulmano era dipinto come un luogo di giardini lussureggianti, di fontane e di splendidi tappeti.
La produzione di vasellame lucido si sviluppò intorno al IX secolo in Iran. Poiché la maggior parte delle case musulmane mancava praticamente di mobili, le ceramiche erano le poche suppellettili che davano pregio a un arredamento. è un peccato che i musulmani, che si ispiravano al vasellame cinese, non abbiano potuto mai uguagliare gli estremo-orientali in quest'arte, perché non possedevano il caolino, un tipo di argilla che rese straordinaria la porcellana in Cina. E tuttavia i musulmani crearono esemplari davvero pregevoli. L'ingresso piastrellato di una delle stanze di Topkapi, a Istanbul, è un altissimo esempio dei lavori in ceramica musulmani, che dimostra l'uso insistito e ripetuto del disegni geometrici e delle forme stilizzate. Le decorazioni a mattonelle dai colori brillanti erano un elemento gradevole e necessario nell'architettura musulmana che, specialmente negli interni, non veniva arricchita da un arredo abbondante.
Le arcate decorate che si trovano all'ingresso del palazzo di Isfahan suggeriscono anch'esse un'impressione di estrema leggerezza, e non avendo alcuno scopo funzionale, sembrano quasi svanire nel nulla. L'uso degli archi e delle volte decorate è stato sfruttato anche in Sicilia, e in Italia, come elemento decorativo delle chiese cristiane. Si vedano, ad esempio, le chiese di San Giovanni degli Eremiti e di San Cataldo, a Palermo.
E' opportuno ricordare che i musulmani ritenevano una colpa il ritrarre le figure umane in qualsiasi atteggiamento. Senza dubbio, questa tendenza prese le mosse dall'avversione del musulmani per l'idolatria che prevaleva in Oriente. In effetti, però, non vi era una specifica interdizione religiosa e le raffigurazioni di uomini e di animali erano motivi popolarissimi, anche se non raggiunsero mai un alto grado di raffinatezza. Probabilmente, la credenza popolare in una proibizione religiosa impedì lo sviluppo di una ritrattistica simile a quella occidentale.


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