Accesi
la radio per caso, e la sintonizzai sulla lunghezza d'onda di Radio
Radicale. Stentavo a credere alle mie orecchie. Il mezzo è messaggio,
ha scritto McLuhan. Che messaggio veniva fuori? Telefonavano in migliaia,
tanto che - mi pare - alla "diretta" si dovette aggiungere
la "differita". E giù il più terrificante turpiloquio
mai inventato, esibito, amplificato, enfatizzato. Nacque il caso. Proteste
e incoraggiamenti, interrogazioni parlamentari e analisi dei soliti
"esperti" seppero, come sempre, bilanciarsi. Questa storia
durò per alcuni giorni e altrettante notti. Nordisti e sudisti
si insultarono senza tregua, gli uni e gli altri vicendevolmente stimolati,
provocati, aizzati. E condizionati. Il complesso di Stoccolma ebbe la
massima espressione planetaria proprio nel nostro Paese. Razzisti e
perdigiorno, gay e stalloni, baldracche e casalinghe, studenti, lavoratori,
professionisti, con le debite eccezioni di chi - esterrefatto chiedeva
ragione e ragioni, misero in scena la più gigantesca fiera della
volgarità nazionale. Infine, stanchi ma non sazi, chiusero i
telefoni. La Grande Emersione razzista era realizzata.
C'era già tutto nelle nostre insondabili latebre. Anche il cancro
razzista. Si erano contati già piemontesi, lombardi, ladini,
tirolesi: quelli "puri", naturalmente. Avevamo sottovalutato
quelle "conte". Al più, le avevamo seguite con ironica
noncuranza. La storia ci aveva insegnato che, tranne forse gli aborigeni
australiani e gli indios amazzonici, da un po' tutte le parti della
penisola c'erano passati tutti, e spesso molti insieme. Sangue, linguaggi,
usi, riti: li hanno evoluti le contaminazioni, non le conservazioni
sotto vuoto spinto, e meno che mai quelle in formalina. E invece, eccole
lì, le vocazioni delle specie protette. Ecco la confusione tra
identità e lager antropologico. Ed ecco la grafomania, il bla-bla,
e la difesa del territorio, dei fonemi e dei morfemi, dei codici tribali,
delle inviolabili frontiere del villaggio. E un passo più in
là è Europa!
Scorrere le "Lettere al Direttore" (ne riportiamo un campione
abbastanza articolato ed emblematico, ma la "letteratura"
in merito è vastissima) è rivelante. C'è, alla
base di tutto, una totale ignoranza dei problemi del Sud, della gente
e della cultura del Sud, dell'intelligenza e delle risorse creative
del Sud. E c'è un'altrettanta totale rimozione dei problemi,
ugualmente profondi e laceranti, del Nord. E niente e nessuno che lavori
alla nascita di una coscienza diversa, di una koinè che federi
e aggreghi. Sembra quasi una scelta, la via opposta che si sta percorrendo.
Qualcosa di torbido, e di drammatico, sta prendendo corpo nella nostra
società.Se così è, il disegno è cinicamente
finalizzato. Ma a che cosa?
L'idea vetero-coloniale
Il campione di
lettere che riportiamo è limitato nel tempo. Ma atteggiamenti,
prese di posizione e spropositi antimeridionali sono tutt'altro che
recenti. Riportiamo, ad esempio, una lettera spedita a "Repubblica"
due anni e mezzo fa, che riassume i più diffusi pregiudizi
contro il Sud.
Proposte per
il Sud
Mi sembra che
i tempi siano maturi per assumere una posizione politica trasversale
allo standard economicistico attuale sul Mezzogiorno e dire qualcosa
che è probabilmente già nella mente di molti.
E' chiaro a questo punto che nel Sud stiamo gettando denaro contro
un problema che non è un problema di denaro, perlomeno non
solo di denaro. Appare chiaro che non è perseguibile per il
Sud un obiettivo di nordizzazione. La identificazione dell'obiettivo
per il Sud attraverso l'analisi del divario con il Nord è un
metodo possibile, ma non l'unico e non il più efficace. Tutti
siamo qualificati ad esprimere in maniera autonoma degli obiettivi
per il miglioramento del Mezzogiorno, semplicemente ponendoci la domanda:
"Ma tu ci vivresti?".
La risposta è: "No, se non migliorano le condizioni di
organizzazione della vita civile, di igiene, di affidabilità
di tutti, di atteggiamento di fronte al vivere associato, di legalità,
ecc.". Questi obiettivi non sono perseguibili attraverso l'infusione
di denaro perché essi costituiscono a loro volta il presupposto
fondamentale perché l'infusione di denaro si trasformi in reale
sviluppo economico.
Cosa vuoi dire "essere presente in maniera qualificata?".
Vuoi dire che ogni individuo che opera all'interno delle strutture
sopra indicate deve essere in grado di portare nella Società
Civile un piccolo "delta" di miglioramento sull'esistente
in virtù del suo rapporto con lo Stato, quale suo dipendente
o delegato a qualche funzione. Ancora: l'essere parte di un corpo
più vasto della microrealtà in cui opera deve far sì
che il singolo sia in grado di imprimere una accelerazione al processo
di evoluzione della società nel Sud.
Come si ottiene tale apporto degli individui? Un modo che vedo è
quello di mandare al Sud uomini e donne motivati e di farli ruotare
sul territorio. Si tratta di creare un sistema di gestione del personale
del Settore Pubblico Allargato che incentivi e premi l'operare al
Sud. Operativamente: tale rotazione deve avvenire a tutti i livelli
ed è naturale che si cominci dai vertici delle organizzazioni.
Gli incentivi potrebbero essere monetari o in natura (casa, anni di
anzianità, ecc.). Si dovrebbe cominciare con un piccolo programma
sperimentale: un Commissario delegato, con facoltà di deroga
dai regolamenti vigenti, dotato di un piccolo budget di spesa con
il quale far fronte agli oneri sopra descritti. In maniera non coercitivo,
questo signore dovrebbe stimolare il comportamento delle diverse organizzazioni
nella direzione sopra indicata. Le organizzazioni stesse infatti dovrebbero
trovare nel programma un proprio tornaconto e riscontrare una maggior
efficacia delle proprie operazioni al Sud. A fronte della spesa sostenuta,
il Commissario dovrebbe render conto al Ministro per il Mezzogiorno
della produzione di "anniuomo di presenza qualificata dello Stato
nel Sud".
Paolo D'Anselmi, Milano (La Repubblica, 27/28 luglio 1986).
Già nell'84, comunque, l'onda lunga del razzismo aveva raggiunto
la penisola. L'Italia si era ridivisa in nordici e sudici, secondo
il celebre stereotipo dell'emiliano Camillo Prampolini, capopopolo
del primo socialismo. Era aumentata l'insofferenza verso i meridionali,
e nello stesso tempo si era esasperata la loro reattività.
Il "Gazzettino" di Venezia pubblicava lettere farneticanti:
"Impediamo i matrimoni con i meridionali, generano solo bastardi",
e un magistrato apriva un'inchiesta, ravvisando il reato di "istigazione
all'odio razziale". Forattini pubblicava vignette raffiguranti
un orecchio mozzato, al posto della Sardegna, dopo il sequestro Bulgari,
e la testa di un coccodrillo in lacrime, al posto della Sicilia, dopo
l'assassinio di Carlo Alberto Dalla Chiesa. Il che faceva subito generalizzare
con le equazioni sardo = rapitore, siciliano = mafioso, napoletano
= camorrista. A Milano comparivano le scritte anti-Sud: "Terroni,
tornate in Sudistan", "Sequestratori, tornate in Sardistan".
La Calabria diventava "Saudita". La "Lega LPL"
(Liguria-Piemonte-Lombardia) lamentava vittimismi da colonizzazione
meridionale e intanto mandava a dire con le scritte sui muri: "Meridionali,
o imparate l'educazione o verrete eliminati": Si scatenavano
gli scrittori nordisti, Arpino primo fra tutti, prendendo a pretesto
un film di Arbore, di accentuata riflessione meridionale. Replicava
il regista Monicelli: "Arpino è un razzista, come lo sono
tutti i torinesi". Si indignavano Giuseppe Galasso, storico napoletano,
e Napoleone Colajanni, Enzo Scotti e Giovanni Berlinguer. "Ma
la più razzista di tutte", dichiarava Sergio Saviane,
giornalista di pura schiatta veneta, "è appunto la mia
gente. Basti pensare che quelli di Belluno chiamano quelli di Treviso,
cittadina distante appena 50 chilometri, "marochin"".
Il linguista Gianfranco Folena, toscano, docente a Padova, commentava:
"Certo, se guardiamo le scritte graffite sui muri, i veneti ce
l'hanno con tutti, persino con i toscani. Ma i razzisti della "Liga"
sono isolati... Il loro capo, del resto, è sempre stato poco
dotato, l'ho avuto come allievo e non brillava certo. Alla fine si
è laureato in rumeno, perché era più facile".
E lo storico veneto Vittorio Branca: "In una società che
tende a livellare tutti, è comprensibile il ritorno alle radici
e alle "piccole patrie"... Ma quando vien fuori il razzismo,
allora bisogna condannare con energia. E poi, che cosa sarebbe stato
il boom del Nord senza il Sud?".
Razzismo
Lettere al
direttore
Contro i meridionali
Caro direttore,
mi consenta di replicare alla lettera del sig. Carlini del 30-4. E'
inconfutabile la nevrotica antipatia che il Nord ha sempre nutrito
nei confronti di Maradona; mi chiedo come mai questo non sia accaduto
nei confronti di giocatori - stranieri e non - che peggio di lui si
sono comportati e non solo a livello etico e morale - o andando per
vetrine invece di allenarsi - ma anche giuridico.
Questi stretti rapporti di amicizia tra la tifoseria del Nord e del
Sud sono noti solo al sig. Carlini e vorrei sapere da cosa li ha dedotti
perché per ciò che concerne Bergamo e Milano proprio
non mi risultano (preciso che sono interista e chiaramente seguo anche
l'Atalanta). Forse le partite le guarda solo in Tv e allora sarebbe
opportuna una puntatina allo stadio cosicché i suoi occhi e
le sue orecchie potrebbero vedere e sentire slogan antiterroni non
propriamente amichevoli e pacifici.
A Bergamo - due anni fa - la tifoseria atalantina ha accolto il Napoli
con amorevoli striscioni del tipo "Benvenuti in Italia",
"morte ai terroni" tanto per citare i più riferibili.
Ora - essendo l'Atalanta in serie B - la stessa sorte capito sistematicamente
alle squadre centromeridionali che vengono a Bergamo a giocare, senza
che alcuno prenda le distanze da questi episodi, tantomeno la squadra
ospitante, che dovrebbe rifiutarsi di entrare nel campo fino a che
gli striscioni non siano spariti, anche solo per rispetto nei confronti
dell'ospite.
Non capisco per quale evangelico motivo si debba offrire l'altra guancia
ai ripetuti ceffoni, e mi chiedo se come noi il sig. Carlini non si
sia indignato quando queste cose sono emerse anche a Milano.
In ogni caso la tifoseria del Napoli è generalmente corretta
e l'ha ampiamente dimostrato, quindi, il sig. Carlini, i suoi timori
per possibili risse e accoltellamenti li rivolga al movimento lombardo
che durante queste manifestazioni distribuisce volantini ed esagita
ad arte gli animi; li rivolga ai tifosi che fanno proprie certe idee;
li rivolga alle squadre ospitanti ed ai loro dirigenti che forse più
di tutti, con il rifiuto sopradescritto, potrebbero concretamente
fare qualcosa.
Giusi Coppola, Bergamo (Il Giornale, 31/5/1988)
A proposito
di razzismo
A proposito di
Italia razzista, La pregherei di rispondere ad alcuni miei interrogativi:
1) Siamo noi semplici cittadini italiani che quotidianamente sgomitiamo
con questi gruppi, ad essere razzisti o è razzista chi permette
a questa gente di entrare in un paese con usi e costumi differenti
e umiliarsi a svolgere i lavori più malpagati e per questo
denigranti, a sentirsi emarginati e i più sfortunati a ridursi
all'accattonaggio anche se mascherato da bancarellaro?
2) Perché gli zingari devono accamparsi solo nelle borgate
già malservite, e non nelle belle ville di Roma dove c'è
tanta acqua e tanto verde per i loro bambini?
3) Perché ad un semaforo quando si avvicina un polacco per
pulire i vetri della mia auto, io mi vergogno?
4) Come mai l'Italia sempre in deficit, con milioni di disoccupati,
con milioni di emigranti, con la borsa sempre in disavanzo, ha bisogno
d'importare manovalanza? Soffriamo di raptus d'importazione?
Oddio, mi sorge ancora un dubbio! Che sia la regola dell'interscambio?
Non mi ci raccapezzo più. Se loro ci danno, noi che gli diamo?
Oppure noi prendiamo e loro che ci danno? Ma forse è il tarlo
del razzismo che mi rode.
E.N.D. (Il Messaggero, 1/6/1988)
Invasione africana
Dopo aver assistito
alla marea di discussioni sull'invasione africana prossima ventura,
sorge spontanea la domanda più ovvia: perché non limitare
l'immigrazione? Al contrario, vengono proposte le cose più
curiose: dar loro un sussidio, l'iscrizione al collocamento, c'è
chi parla addirittura di precedenza nell'assegnazione di una casa!
La parola d'ordine è: "Dobbiamo organizzarci". La
meta da raggiungere è la nuova "società multirazziale"!
Organizzarci a cosa? A dar loro ciò che milioni di famiglie
italiane hanno aspettato per anni o non hanno mai avuto?E la società
multirazziale come la realizzeremo, dopo che è già fallita
miseramente in tutti i paesi europei più ricchi e cosmopoliti
del nostro?
Gli increduli possono visitare certe amene periferie di Londra o di
Parigi o il quartiere Kreuzberg di Berlino o, semplicemente, assistere
al film "Sammy e Rose vanno a letto" che, titolo a parte,
è un'eloquente rassegna di ciò che potrà essere
la società multirazziale, quella che ci promettono i nostri
governanti e i vari Norberto Bobbio e Natalia Ginzburg. Essi non temano,
comunque: le loro dimore patrizie non saranno certo sfiorate dall'orda...
No, non è così che si dà una mano al terzo mondo,
se è questo ciò che più preme. Mentre il nostro
dovere morale sarebbe quello di aiutare con ogni mezzo i loro Paesi
per renderli vivibili, noi continuiamo ad invitare qui un'armata di
disperati senza futuro. Mentre il buon senso, per non dire il normale
istinto di conservazione, consiglierebbe una politica di visti e di
controlli sanitari selettivi, noi insistiamo con i provvedimenti demagogici,
nell'attesa che la storia ci confermi, nella maniera più atroce,
che essi si ritorcono puntualmente contro coloro che dovrebbero beneficiarne.
Alberto Terrile (Il Secolo XIX, 1/6/1988)
"Petrosa
ai sogni"
Caro direttore,
la lettera del signor Zanello da Milano mi pone un inquietante interrogativo.
Tra i lettori del "Giornale", oltre ai giovani in cerca
di un'identità libera da pregiudizi e preconcetti, c'è
una larga fetta, purtroppo, di "popolo grasso" che legge
il nostro quotidiano per sentirsi gratificato, per dire "ecco,
anch'io la penso così".
Il "Giornale" ha aperto gli occhi a codesti signori sulle
menzogne del sinistrume e sulle trame eversive dei brigatisti. Adesso
vorrebbero che il loro sano ambiente venisse ripulito da criminali,
politicanti, parassiti, in una parola dal meridionale. Non vorrei
scomodare la Storia, perché con lei si rischia sempre una magra
figura, ma mi piacerebbe far notare che per moltissimi anni, dopo
l'Unità d'Italia il governo fu in mano ai settentrionali (vedi
piemontesizzazione), e il Paese non ne gioì certo.
Il Nord allora si impadronì del potere economico e se l'è
sempre tenuto stretto, schifando in seguito i posti statali, soprattutto
per lo stipendio vergognoso. Adesso si scopre, pur maneggiando l'economia
del Paese, colonizzato.
Alla faccia della colonizzazione! Addirittura i giovani nordisti riscoprono
che fare il carabiniere, durante il servizio militare, è bello,
non più indecoroso, perché si prendon tanti "ghei".
Diciamocelo chiaro e tondo, caro direttore. Gira e rigira è
sempre questione di soldi. Aveva ragione Quasimodo a bollare questa
gente come "petrosa ai sogni". Anche se poi le Antologie
hanno cancellato il verso.
Domenico Livoti, Chiavenna (SO) (Il Giornale, 2/6/ 1988)
Nuova politica
per il Sud
Caro direttore,
lo sperpero di denaro che da decenni il nostro Stato riversa in avventure
industriali nel meridione aveva, in origine, una suo logica. Si pensava
che la creazione di fabbriche in una regione dove non vi era nessuna
tradizione né industriale né imprenditoriale, fosse
il volano che, piano piano, avrebbe messo in moto tutta una serie
di artigiani intorno alla fabbrica, e poi, nel tempo, sarebbero cambiate
le abitudini e avrebbe potuto nascere una cultura imprenditoriale.
La teoria si è dimostrata errata, perché tutto questo
non è avvenuto e continuare a buttare soldi in questa direzione
è vergognoso.
Ma allora quale politica per il Mezzogiorno? Si potrebbe copiare quello
che fanno quasi tutte le altre nazioni per attrarre capitali e know
how nelle aree depresse: basso costo del lavoro, basse tasse, trattamenti
doganali preferenziali, poca burocrazia.
E' certo comunque che una nuova politica per il Mezzogiorno è
necessaria.
Mario Alverà, S. Donà del Piave (Il Giornale, 4/6/1988)
Il Veneto che
vuole bene al Sud
L'episodio di
Mirano (Venezia) pubblicato su la Stampa del 29 maggio, mi lascia
disgustato, ma non mi stupisce, in quanto sono nativo di un paese
del Polesine (Ro) che diede i lustri a Giacomo Matteotti e da molti
anni risiedo in Alta Italia, ma non ho mai dimenticato che per molti
miei corregionali veneti la mia provincia veniva definita il Meridione
del Nord.
Sarebbe semplicistico considerare quanto accaduto a Mirano una ragazzata.
Certo servirebbe a giustificare le bigotte coscienze di molti cittadini
veneti. Io amo la mia terra, ma amo soprattutto l'Italia che è
la mia nazione e mi rincresce apprendere lo squallore morale di simili
episodi.
Credo nel Veneto, per il lavoro, l'operosità, le iniziative,
il sapersi rimboccare le maniche al momento opportuno, ma vorrei che
quella parte razzista che c'è, ipocrita e numerosa, comprendesse
che il Veneto non è Stato a sé, ma un tassello della
nostra meravigliosa Italia e che sui confini regionali non esistono
controllori razziali.
Voglio esprimere la mia solidarietà alla giovane vittima dell'increscioso
accaduto, nella speranza che possa presto dimenticare e sarebbe dovere
delle autorità politiche affrontare questo problema, al fine
che nuovi episodi non vengano a ripetersi.
Agli autori del gesto, vorrei dire che esiste anche un Veneto che
è cresciuto intellettualmente ed imprenditorialmente, che vive
e lavora su rapporti di interscambio con altre regioni e soprattutto
con altre nazioni.
Massimo Porra, Brissogne (Aosta) (La Stampa, 5/6/1988)
Sul grave episodio accaduto a Mirano (Venezia) mercoledì 25
maggio scorso al quale fanno seguito altri episodi simili accaduti
recentemente nel nostro Paese, nella nostra qualità di genitori
adottivi, richiamiamo l'attenzione di tutti gli educatori affinché
si intraprenda opera di sensibilizzazione soprattutto nelle scuole
per far chiarezza sui temi della convivenza umana, sugli indispensabili
rapporti di parità, di comprensione e di condivisone.
Su questi stessi valori facciamo inoltre appello ai mass media affinché
attraverso la notizia di cronaca sappiano rilevare la gravità
di questi episodi razzistici, forieri di sofferenza fisica e psichica.
La pace e la serenità di una nazione si raggiungono anche attraverso
l'impegno di tutti a combattere serenamente ogni forma di razzismo
e di intolleranza.
Centro Internazionale Famiglie Pro Adozione (Torino) (La Stampa, 5/6/1988)
Il primo comandamento
Papa Giovanni
XXIII aveva saggiamente rivoluzionato certi dogmi della Chiesa Cattolica
Romana e così è stata liberalizzato la lettura della
Sacra Bibbia in tutte le famiglie, a tutte le persone che vogliono
prendere conoscenza degli insegnamenti del libro dei libri. Il libro
che mai e poi mai sarà distrutto perché è la
verità in modo assoluto.
Forse però saranno troppo pochi quelli che la leggono e che
vogliono imparare per ristrutturare la propria vita e il rapporto
con il prossimo "fratello", perché Dio è padre
di tutti, bianchi e neri, gialli, abitanti dei quattro continenti
di questa terra, di questo pianeta creato da Dio stesso.
L'ecumenismo è solo un inizio della vera unione fra fratelli
e sorelle sino a quando non ci si spoglia del nostro ideologismo e
ci si riveste della grazia del Signore che è venuto a predicare
e a morire su quel legno infamante per redimerci, per salvarci tutti
uniti nel Suo amore e reciproco amor fraterno. Ci ha lasciato il più
importante comandamento che supera i 10 comandamenti: "Ama il
tuo prossimo come te stesso".
A questo punto domando a tutti i razzisti: come si giustificano leggendo
queste verità, questi sacri insegnamenti? Abbiamo il razzismo
fra italiani: i genovesi che qualificano con disprezzo "foresti"
quanti vivono qui e sono nati altrove, e così è per
altri qualificati "terroni" perché meridionali.
Ma ora maggiormente rigurgita un razzismo contro quelli che vengono
da altre nazioni. I capi dei vari Stati anziché migliorare
il tenor di vita del proprio popolo lo lasciano sempre più
nella povertà e nello sbando a cercarsi in altri Stati un mezzo
per vivere o sopravvivere. Non è solo di oggi questo problema,
anzi lo è sempre stato per tutti i popoli. Non vogliamo noi
stessi italiani ricordare quanti sono i nostri "ernigrati"
del passato e dell'oggi in tutti i continenti?
Eunice Biglione (Il Secolo XIX, 8/6/1988)
"Terrone"
può anche essere non spregiativo
Caro direttore,
in questi giorni la stampa ha fatto molto chiasso per il titolo "terroni"
che pare scritto da abitanti del Bergamasco. Se vogliamo, questo aggettivo
non dice proprio nulla, solo delle menti lacunose possono considerarlo
"dispregiativo", ma occorre ricordarsi che nel Nord Italia
si dice anche "maledetti toscani", "tirchi genovesi",
"avari biellesi", "polentoni bergamaschi", e tutti
ci ridono sopra, mentre quando si dice "terrone", apriti
cielo! Perché non facciamo uno sforzo e ricordiamo le origini?
Le popolazioni del Nord sono venute dal Nord Europa, mentre le popolazioni
del Sud sono venute dalla Grecia, dall'Africa e quindi esiste dai
tempi dei tempi una divisione che purtroppo (malgrado quello in camicia
rossa) si sente. I meridionali più di tutti quando sono al
Nord cercano in tutti i modi di ritornare al loro paese d'origine,
li capisco ed hanno ragione. Per lavoro ho molto vissuto al Sud; ero
giovane e dopo un paio d'anni quando tornavo mi portavo la segretaria
perché allergico alle donne del Sud. Dopo l'ultima guerra i
Governi che si sono succeduti avrebbero dovuto creare anche al Sud
le condizioni di vita del Nord con industrie, commerci, ecc. ecc.;
oggi non esisterebbero gli agglomerati-dormitorio dell'hinterland,
ed anche al Sud avrebbero un futura come al Nord.
Lettera firmata (Il Giorno, 8/6/1988)
Spesso è
campanilismo
Caro direttore,
la prego di voler consentire ad un Walser da parte di padre ed abruzzese
da parte di nonno materno, di portare una parola distensiva sull'attuale,
antipatica schermaglia attinente il cosiddetto "razzismo",
che razzismo proprio non è per questi motivi:
a) il razzismo è una teoria pseudo-scientifica, tendente ad
affermare la superiorità di una sulle altre razze;
b) tutti coloro che attraverso i giornali a i mass media ne parlano
dimenticano che, sui dizionari di tutte le lingue, esiste anche la
parola "campanilismo", che è tutt'altra cosa.
In Spagna, la chiamano "patrioteria de lugar", in Francia,
"esprit de clocher" e in Inghilterra "parish jealousy",
ovvero gelosia di parrocchia. Come si vede, tutto il mondo è
paese.
Io personalmente non ho mai chiamato "razzisti" i mascalzoni
che mi bucavano le gomme della bicicletta quando andavo fuori città
a far ballare le ragazze dei loro paesi e, tantomeno, coloro che per
tradizione sbarrano la strada allo sposo di altro paese che impalma
una ragazza del luogo (tronchi d'albero, frasche, corde varie, ecc.);
è solo campanilismo sano come, credo, lo si vive in tutte le
regioni italiane.
Egidio Nanotti (Il Giornale, 9/6/1988)
Il coraggio
di opporsi
Caro direttore,
nel Sud abbiamo la Mafia, la Camorra, ecc., è giusto che tutta
l'Italia combatta contro questa piaga ma occorre che in prima fila
ci siano i nostri fratelli del Sud. Lo sappiamo che nel Sud non sono
tutti mafiosi, che ci sono ottimi cittadini, che sono intelligenti
ma sono loro che per primi devono sradicare questa gramigna sociale.
E' l'omertà che deve sparire.
Certo che ci vuole coraggio per opporsi alla malavita, ma se i meridionali
giustamente non vogliono essere discriminati o respinti dai "nordici"
devono essere loro i primi ad essere uguali a noi.
P.S. La prego di giudicare lei se è il caso di pubblicare la
mia firma dato che ho 73 anni e vivo solo in una casa isolata.
Lettera firmata, Cervo Ligure (Il Giornale, 9/6/1988)
E' assurdo
il razzismo in una società moderna
Sembra assurdo
che alle soglie del Duemila sia riproposta la triste realtà
del razzismo.
Dopo tante differenze, lotte e conquiste per il riconoscimento dei
diritti umani a tutti i figli di Dio, questo grave sintomo di inciviltà
e barbarie non è ancora scomparso dalla nostra società.
Quando eravamo sicuri di essere lontani mille miglia da questa situazione,
ecco che le distanze si annullano e la verità viene a galla.
Allora è vero! Il popolo italiano è razzista? Alcuni
episodi sembrano rispondere di sì; vorrei che appartenesse
ad un'altra Nazione la notizia di quella donna eritrea, offesa e costretta
a scendere da un autobus perché accusata di essere sporca negra.
Quello che più mi fa rabbia è che si tratta di gente
rispettabile, che va a messa la domenica, che si occupa di problemi
sociali, che si prodigo per il prossimo, per gli animali abbandonati
e poi non batte ciglio e non prova vergogna nel cacciare una "negra"
da un autobus.
E' vero che ormai tutte le spiagge italiane ed i luoghi turistici
sono il campo di azione di marocchini e di "Vu' cumprà",
ma ciò non giustifica comportamenti razzisti.
Eppure non voglio essere così pessimista da fare di tutta l'erba
un fascio, da condannare tutta una nazione etichettandola razzista.
Naturalmente ci sono molti che la pensano diversamente e non badano
al colore della pelle e alla nazione di provenienza, ma vedono nel
prossimo l'uomo simile a se stesso? Siamo sinceri, a chi di noi farebbe
piacere o meglio chi riuscirebbe a restare indifferente se venisse
trattato come essere inferiore solo perché diverso fisicamente?
Credo nessuno, anche se tale comportamento fosse giustificato da qualsivoglia
motivo.
Gino Ciro Nundi - Macchinista FF.SN. - Foggia (Gazzetta del Mezzogiorno,
9/6/1988)
Quel senso
di fastidio
Caro direttore,
il problema del razzismo, di cui tanto, troppo, si dibatte in questi
tempi, solleva in molte persone qualche interrogativo circa il proprio
comportamento. In attesa che qualche settimanale con le sue domande
a punteggio possa portare un poco di luce ai dubbiosi in merito, vorrei
presentare attraverso il nostro Giornale alcune mie considerazioni.
Molto di ciò che si fa risulta spesso condizionato dalla realtà
esterna, così che una stessa azione acquista diverso significato
a seconda del soggetto e dell'oggetto. Questo è un fatto assodato
che mi pare abbia anche una certa validità. Ma di qui a trarne
una legge di valore universale ce ne corre.
Se in un appartamento vicino al mio si installasse una famiglia di
disturbatori, col significato che si dà comunemente a tale
termine, cioè di maleducati, rientrerebbe nella normalità
la mia rimostranza. Ma se per caso si trattasse di zingari, africani
o emiliani (capito l'antifona?), apriti cielo. L'accusa di razzismo
non me la leverebbe nessuno.
Io che, sinceramente, saprei esserne all'origine solo motivi di viver
comune, di libertà individuale o di decoroso abitare, non mi
sentirei razzista. Al punto da ritorcere l'accusa e tacciarne chi
con mentalità evidentemente malata ne fosse il propositore.
Altro esempio, a scala nazionale. Da sempre, ed ancora oggi, come
la Cambogia e l'Afganistan insegnano, popoli invadono, dominano e
poi sotto la spinta di eventi abbandonano parti di mondo. Noi con
l'Etiopia e la Libia. Diverse nazioni europee altrove. Rientrava nell'ottica
e nel revanscismo dei tempi. E a cinquant'anni di distanza c'è
ancora qualche italiano che si cosparge il capo di cenere? Oh via,
non rendiamoci ridicoli. Morti ce ne sono stati da entrambe le parti,
come sempre ce ne sono nelle guerre. Abbasso quindi la guerra. Ma
l'occupazione che ne è seguita ha portato a quella gente progresso,
sissignori, e strade e scoperte di giacimenti coi quali possono fare
i ricconi senza lavorare, se lo vogliono. Ci hanno cacciato, ci siamo
ritirati, abbiamo preso i nostri bei pesci in faccia. Loro hanno avuto
la loro indipendenza e le loro ricchezze. Noi siamo tornati, anzi,
abbiamo continuato il mai smesso lavoro e la ricerca. Non basta? Cosa
ci vuole ancora? Erano duemila anni indietro e li abbiamo portati
all'oggi. Mi pare un bilancio positivo.
Adesso vedo in giro, e le città si vanno inzeppando, gente
d'altre nazioni, d'altri continenti, zingari, colorati, senza licenza
di commercio, forse senza passaporto, con permessi forse fasulli,
che traffica al limite dell'elemosina o peggio, con insistenza o pericolosità:
sinceramente provo un senso di fastidio. Sono razzista?
Carlo Azzi, Mantova (Il Giornale, 10/6/1988)
L'Italia è
razzista?
Caro direttore,
a proposito delle polemiche sul rinascente razzismo, l'Italia può
essere classificata un Paese moderatamente razzista.
Questo razzismo è abbastanza naturale, perché nasce
dalla difesa del "gruppo" e del "territorio",
come avviene perfino tra gli animali, da che mondo è mondo.
Sono naturalmente razzisti gli svizzeri per una considerazione semplicissimo:
se essi aprissero le porte del loro ricco Paese, la Svizzera smetterebbe
di essere la Svizzera. Può succedere anche per l'Italia e la
Francia, se non vengono presi provvedimenti cosiddetti "razzisti",
ma non certo impopolari. Si tratta di una difesa istintiva, e risponde
ad una logica progressista che vede i popoli vivere e prosperare là
dove hanno le radici storiche. Il problema del sottosviluppo non si
risolve aprendo le frontiere dei Paesi "ricchi" come il
nostro, che però non sa dove mettere tre milioni di disoccupati.
Pier Giorgio Bargi, Montecatini (Il Resto del Carlino, 12/6/1988).
Un adesivo
sulle auto: "Gran Ducato di Toscana"
Cara Unità,
ogni giorno apprendiamo nuovi inquietanti episodi di razzismo e xenofobia.
Ma come?, nell'epoca dell'elettronica e della telematica, in una fase
in cui nel mondo con Gorbaciov, viene affermandosi "un nuovo
modo di pensare" che vede Usa-Urss auspicare addirittura di farsi
una "passeggiata" insieme sul pianeta Marte e in cui si
parla di "unificazione d'Europa", esiste ancora chi "colpevolizza"
(recandogli violenza) una persona "rea" di esprimersi con
l'"accento napoletano" o per avere la "pelle"
nera? Eppure i fatti inquietanti ci dicono che è così,
perché evidentemente il progresso scientifico e tecnologico
non ha saputo risolvere problemi e contraddizioni epocali come il
diritto al lavoro.
Quando la crisi (che in Italia non è solo economica, ma anche
politico- culturale-sociale) si fa più acuta per tutti, l'immigrato
viene visto come colui che viene a "rubare il pane", a rubare
il "posto" di lavoro in un Paese non suo. Non importa se
in quel Paese egli suda, lavora, facendo aumentare, nell'insieme,
la produzione di beni e servizi a beneficio quindi dello sviluppo
produttivo-economico e sociale del Paese stesso. E non importa nemmeno
la cultura e il sapere di cui l'immigrato è portatore. In una
società in cui i valori esaltati sono quelli cinici del capitalismo,
dell'individualismo, non ci sarebbe posto per ben più alti
valori, quali la solidarietà di classe e la solidarietà
di tutti gli oppressi e gli sfruttati.
E badate bene, non ci sarebbe posto non solo perché il movimento
operaio attraversa una non facile crisi politico-sindacale-culturale,
ma anche perché i partiti che storicamente lo rappresentano
hanno, come dire, abbassato la guardia, perché ciò avrebbe
necessitato di aprire una lotta tesa ad affermare tali valori. Ecco
allora emergere le "leghe antimeridionali" anche in quelle
realtà da anni amministrate da Giunte di sinistra. Un singolare
episodio che mi preme segnalare, l'ho colto nella città dove
vivo e anche nella vicina Firenze: riguarda un autoadesivo esposto
da numerose automobili recante la scritta "GRAN DUCATO DI TOSCANA"
con lo stemma ducale del tempo che fu. La logica razzista e xenofoba
di tale adesivo teorizza la Toscana "libera" dagli stranieri,
meridionali compresi. Il problema apparirebbe quasi ridicolo, se non
fosse tristemente serio e angosciante.
Saverio Fortunato, Prato (L'Unità, 12/6/1988)
Le cause genetiche
del razzismo
Sul "Corriere"
del 10 maggio si potevano leggere due articoli sul razzismo in Italia:
uno, firmato da Giuliano Zincone, affermava che i giovani sarebbero
per natura antirazzisti, se la società degli adulti non li
corrompesse; l'altro, nelle pagine dedicate alla città, raccoglieva
le opinioni di alcuni liceali milanesi che tendevano a dimostrare
la loro completa tolleranza nei confronti dei lavoratori stranieri
in contrasto coi loro coetanei romani che in un recente sondaggio
avevano mostrato più di un pregiudizio verso gli immigrati.
Chi avesse letto però, nella stessa edizione del "Corriere",
anche l'articolo sulle cause genetiche dell'altruismo che appariva
nell'inserto del "Corriere delle Scienze", avrebbe potuto
dedurre che sia Zincone, sia i giovani liceali si sbagliavano: infatti,
se si accetta la teoria che si favoriscono i propri consanguinei in
quanto portatori in misura maggiore o minore delle nostre stesse informazioni
genetiche e che si è disposti ad aiutarli nella lotta per la
sopravvivenza e la riproduzione quanto più sono parenti stretti,
allora si può affermare che l'uomo è per natura "razzista",
nell'estensione data oggi a questo termine, e non il contrario. Gli
uomini sono tutti uguali biologicamente, quindi avranno reazioni per
lo meno simili a seconda degli "input" di immigrazione che
si verificherà in un dato aggregato (continente, nazione, regione)
in un certo lasso di tempo. Queste considerazioni dovrebbero portare
a mettere fine alla futile questione su quali popoli sono più
razzisti e quali meno. In genere lo saranno di più i popoli
recettori di immigrazione, soprattutto nelle fasi iniziali del processo
migratorio, quando gli indigeni non sono ancora abituati alla coabitazione;
lo saranno di meno i popoli che subiscono poca o nessuna immigrazione
e meno di tutti i popoli che emigrano. E' privo di significato allora
tacciare di razzismo i francesi che hanno il 10% della popolazione
costituita da immigrati extraeuropei, ed è comprensibile che
a Roma, dove gli immigrati clandestini sono più numerosi che
a Milano, le reazioni siano diverse. Se riusciamo ad accettare l'orribile
notizia che tutta l'umanità è un po' "razzista",
a causa anche dell'evoluzione che l'ha portata a sopravvivere sino
a questi tempi, smettendo di porci domande vane, possiamo adoperarci
per rimuovere il problema delle migrazioni di masso della base, vale
a dire, favorendo lo sviluppo economico di quelle aree del globo che
più alimentano le schiere degli immigrati, in modo che il flusso
in uscita da queste aree prima si attenui e, col tempo, si annulli,
così come è avvenuto per il nostro Paese.
Fabio Rampoldi, Milano (Corriere della Sera, 12/6/1988)
Le Lighe risolvono
i problemi?
Caro direttore,
sono un suo ammiratore ed estimatore che si fa vanto di avere letto
tutti i suoi articoli, prima sul "Corriere della Sera",
poi sul "Giornale". Dopo di lei ha particolarmente apprezzato
ed ammirato il suo amico e collaboratore Cesare Zappulli, la cui scomparsa
mi ha profondamente addolorato e del quale soffro la mancanza.
Non sempre ho condiviso le sue idee e l'interpretazione che dava degli
avvenimenti, ma si è trattato di aspetti marginali che non
potevano nemmeno sfiorare il diletto che mi dava la lettura dei suoi
articoli. D'altronde lei sa bene, e se ne vanta, che i lettori de
"Il Giornale" non sono dei trinariciuti.
Questa ultratrentennale concordanza con le sue idee non è certamente
in discussione, ma, pur non avendo mai scritto ad un giornale, sento
il dovere di esprimere tutta la mia disapprovazione per gli articoli
contro i movimenti autonomistici in genere e contro la "Lega
Lombarda" in particolare, apparsi in questi ultimi tempi su "Il
Giornale".
Ci si stupisce del successo della Lega Lombarda e poi si elencano
tutta una serie di motivi che lo giustificano, a cominciare dai principali
e cioè la man bassa fatta dai meridionali nelle cariche politiche,
nella magistratura, nell'insegnamento, negli uffici pubblici, nei
servizi, ecc.
Si dà dei razzisti agli abitanti di regioni che hanno accolto
gli immigrati con la massima ospitalità, solo perché,
accortisi di essere stati scalzati dalle attività terziarie,
reclamano norme che garantiscano una presenza proporzionale anche
in questo settore di attività, oggi fondamentale. Si finge
di non capire i motivi del sorgere di sentimenti xenofobi in popolazioni
che nei secoli passati hanno dato i natali a illustri ed illuminati
politici, economisti, sociologi, umanisti, dimenticando che se quei
grandi vivessero oggi in Lombardia, sarebbero costretti ad esercitare
umili mestieri.
La verità è che mentre le popolazioni del nord in genere,
e i lombardi in particolare, erano interamente impegnate a produrre
beni reali con tale abnegazione, vitalità e capacità
da fare dell'intera nazione una delle più progredite e ricche
del mondo, la gente del sud penetrava sempre più capillarmente
nei settori gestionali della ricchezza e del potere, realizzando di
fatto una vera e propria colonizzazione del nord.
Sia chiaro che questa netta suddivisione dei compiti fra nord e sud,
fenomeno che nelle proporzioni italiane non ha riscontro nel resto
del mondo, non è stata opera d'un qualche demiurgo, ma semplicemente,
pur nella sostanziale omogeneità etnica, conseguenza delle
diverse mentalità, a loro volta dipendenti dai diversi habitat.
E' in queste considerazioni che vanno ricercati i motivi di fondo
della naturale propensione alle attività terziarie dei meridionali
e della facilità con la quale la gente del nord ha finito col
dedicarsi quasi esclusivamente alla produzione dei beni. Si è
però venuta a creare una eccessiva suddivisione dei compiti
tanto più significativa, quanto maggiore è oggi il rilievo
sociale assunto dalle attività terziarie.
E' in questo contesto che va inserita la battaglia autonomista che
assume pertanto i connotati di lotta di liberazione da una condizione
di servaggio impensabile solo alcuni lustri fa. Nessuno sottovaluta
le difficoltà da affrontare tanto più che ci rendiamo
conto di chiudere la stalla quando i buoi sono scappati. Le posizioni
di potere sono ormai acquisite e le ambizioni, gli interessi, gli
intrecci sono tanti e tali che non sarà facile venirne a capo.
Siamo pertanto consapevoli d'essere all'inizio d'una lotta dura e
lunga, ma ben determinati a portarla fino in fondo, convinti d'essere
dalla parte della storia, della libertà, della giustizia e
nell'interesse degli italiani tutti, sia quelli del nord, perché
non è giusto che siano condizionati e costretti alle attività
più onerose, che quelli del sud perché potrebbe risultare
estremamente precario e pericoloso vivere esclusivamente di attività
terziarie.
Luciano Zanello, Milano (Il Giornale, 19/6/1988)
Le accuse di
razzismo e la storia di un passaporto
Egregio direttore,
porto alla sua attenzione un'altra disfunzione toccata prima delle
elezioni a un elettore e cittadino insignificante, in quanto sono
certo che una lettera al ministero dell'Interno non arriverebbe mai,
e colpire tanti soggetti non mi sembra giusto.
Contro la sciocca accusa di razzismo fatta alle varie Leghe porto
la testimonianza della ghettizzazione fatta ai residenti settentrionali
dai diversi operatori dei vari ministeri del democratico Stato italiano.
Il 27-4-88 consegno il vecchio passaporto scaduto e la richiesta del
nuovo con tutti i crismi richiesti dallo stampato di P.S. della città
di Pavia. Poi, conoscendo i cronici ritardi burocratici di cui fa
le spese una sola parte dei "cittadini", lascio arrivare
il 6-6-88 e in tale data mi presento per il ritiro: il passaporto
non si trova; dopo circa un'ora di ricerca, peraltro molto paciosa,
nei vari tomi borbonici, mi si fa notare (oh stolto!!!) che manca
un conguaglio di ben trecento lire.
Allibito perché, ripeto, lo stampato dei valori era il loro,
faccio subito il nuovo versamento e mi ripresento. Consapevole del
modus operandi mantengo una certa serenità ma richiedo con
fermezza di accelerare l'iter. Non l'avessi mai fatto: mi si risponde
con notevole indifferenza - quasi arroganza - che per loro è
come se si presentasse l'incartamento in quel preciso momento e che
quindi l'attesa normale è di 20 giorni; allora chiedo di prendere
almeno nota della data di riferimento del nuovo versamento conguagliante
il precedente, invece il bollettino e la nota bianca rimangono miseramente
uniti da una labile clip e, dalla sua morbida poltroncina, il capo
dell'ufficio Passaporti della città con evidente astio mi risponde
che non devo suggerirgli cosa fare.
Concludo affermando che siete senz'altro in buona fede quando, pur
conoscendo il pessimo modo col quale è gestita la "cosa
pubblica", accusate di razzismo i vari movimenti autonomisti,
ma si ignora che il termine razzismo significa prevaricazione culturale
ed economica ed è esattamente quello che la forza numerica
di parte del territorio sta mettendo in atto.
Anacleto Busoni, (Il Giorno, 19/6/1988)
Caro Meridione,
noi ti vogliamo bene
Caro Meridione,
siamo i ragazzi della Il G della Scuola Media di Rovetta, paesino
della Bergamasca.
Noi amiamo, come ogni altro, il nostro paese natale, amiamo le montagne
che lo circondano, amiamo la vita a volte dura che in esso si vive,
ma amiamo anche te, "Meridione".
Proprio perché hai sofferto tanto, Ti amiamo come una madre
che ritiene più bisognoso il figlio più debole. Ti amiamo
perché con i Tuoi paesaggi, con le Tue caratteristiche geografiche,
con la Tua fisionomia storica, umano e culturale rendi più
bella e varia l'Italia. Ti amiamo, insomma, per quello che sei.
Forse potrai giudicare queste parole troppo semplici o, magari, non
in grado di lenire il grande dolore a Te procurato da una ormai famosa
"lettera"; tuttavia, noi vogliamo provare, vogliamo farti
sentire la nostra presenza, perché se è pur vero che
esistono molti (forse troppi) "razzisti", sono anche una
realtà i tanti, soprattutto ragazzi, che Ti amano e Ti rispettano.
A dimostrazione di ciò vogliamo dirti di una esperienza sempre
più bella ed avvincente che la nostra classe sta vivendo: uno
studio approfondito sulla Sardegna attraverso una ricerca intitolata
"La Sardegna è anche la nostra terra", iniziato due
anni fa.
Attraverso la conoscenza della civiltà ricca di fascino, di
interesse culturale, storico e sociale di quella terra e il rapporto
epistolare con dei ragazzi sardi, con i quali siamo in corrispondenza,
vogliamo comprendere meglio, accostarci e sentirci parte di uno di
quegli antichi popoli che compongono la nostra nazione ed il mondo
degli uomini.
E' prova semplice, ma sicuramente efficace per forti capire la nostra
apertura ed il nostro amore per tutti ed in particolare per il nostro
Meridione.
I ragazzi della Il G di Rovetta (Il Giorno, 19/6/1988)
Non siamo razzisti
Da tempo seguo
sul giornale le cronache dei "Vucumprà" di colore
che sempre più infestano le nostre strade centrali e in particolare
il Ponte Vecchio. Tra i molti articoli "di colore" mi riferisco
in particolare a quello del 2 giugno che ci presenta la lacrimosa
storia della madre con i figli affamati, dei poveri negri perseguitati
dai "bianchi" razzisti etc.etc. Altro precedente articolo
sollevava il problema della concorrenza che questi venditori facevano
agli ambulanti autorizzati e ai negozi, offrendo prodotti a prezzi
nettamente inferiori. A me sembra che il problema sia un altro, ed
è quello che se non viene posto un freno a questa incontrollata
immigrazione di colore, fra qualche anno, e non molti, ci saranno
migliaio di neri sdraiati per terra a vendere trasformando la nostra
città (e le altre) in una Marrakesh toscana! Perché
il cronista non domanda a questi poveri negri (belli, sani e ben vestiti)
dove prendono queste merci e quali sono queste organizzazioni che
li guidano? Perché non domanda in giro, specie sul Ponte Vecchio,
per sentire le risposte e le minacce (con coltello) che questi poveri
"neri" rivolgono a chi l'invita a spostarsi? Finiamola una
buona volta di parlare di "razzismo" e tuteliamo veramente
gli interessi di una città che a forza di venire male amministrata
ha perso tutto del suo fascino.
Paolo Papini, (La Nazione, 19/6/1988)
Gli italiani
simpatici "bastardini"
Leggo con stupore
e amarezza le notizie, i sondaggi, i commenti su un presunto nascente
razzismo in Italia. Al di là del solito e facile commento che
siamo stati per tanti decenni, noi, gli emarginati, gli indesiderati
in terra straniera e spesso lo siamo ancora, mi viene da pensare anche
che per secoli siamo stati 'un Paese, il Bel Paese, meta di popoli
di tutta Europa, venuti sul nostro suolo per i motivi più vari,
popoli che hanno lasciato usi, costumi, lingue, abitudini alimentari
e così via, che si sono mescolati con le usanze originarie,
popoli, parte dei quali spesso si è fermato nel nostro Paese,
creando discendenze di razze del
tutto nuove. Tutto ciò ha avuto senz'altro anche molti aspetti
negativi, ma certamente ha contribuito a creare nei secoli un popolo
vario, aperto, intelligente, vivo, quale difficilmente si può
ritrovare in altre Nazioni. Forse gli Stati Uniti d'America, in tempi
moderni, possono riprodurre lo stesso fenomeno. Gli italiani sono
quello che sono, intelligenti, simpatici, pronti, geniali, pieni di
risorse, creativi, proprio perché sono come dei "bastardini"
e il termine va letto nel senso più positivo possibile. Quale
cane è più socievole, scattante, intelligente di un
"bastardo"? Parafrasando il nome di un concorso per cani
"Il pussè mal trà insema" (traduzione: il
peggio messo insieme) direi che noi siamo diventati il popolo "pussè
ben trà insema" (meglio messo insieme). Perché
dunque chiudersi adesso in una valle stretta da alte montagne di diffidenza,
ignoranza, fobie? Il discorso vale anche naturalmente per il mescolarsi
nel nostro Paese delle varie e diversissime etnie che lo compongono.
La mia nipotina di due anni può vantare, solo risalendo ai
bisnonni, origini lombarde, piemontesi, romane, sarde, siciliane e
svizzere tedesche! Scusate se è poco, ma vi assicuro che il
cocktail è favolosa! Speriamo che ce ne siano sempre di più
di questi "ben trà insema" e certamente la parola
"razzismo" si potrà cancellare dal vocabolario dei
cittadini di domani.
Maria Vittoria Avanza Canu, Oreno di Vimercate (Corriere della Sera,
22/6/1988)
Si combatte
con l'amore
Egregio signor
direttore,
pochi si rendono conto che a furia di sventolare la bandiera dell'antirazzismo
si fa impennare quella del razzismo. E' contraddittorio pretendere
che i diversi, vuoi pel colore della pelle o per il luogo di nascita,
siano uguali. Non è facendo leva su queste false premesse che
si può validamente proclamare la pari dignità umana
di tutte le genti. Le diversità ci sono e non si possono eliminare
negandole. Ogni razza ha le sue caratteristiche generali, sue peculiarità
specifiche. Si può però ben dire che a nessuno è
lecito graduarle e comporle in arbitrarie scale di merito. Ma se anche
fosse, sarebbe pur sempre delitto contro l'umanità modellare
su di esse l'unico ed inviolabile diritto naturale. L'antirazzismo
di maniera finisce col sottolineare diversità dal razzista
poi prese a pretesto per porre se stesso in alto sulla opinabile scala
di merito da cui calpestare, a volte con bestiale malvagità,
l'altrui dignità umana. Il razzismo invece si combatte con
l'amore verso il prossimo e basta.
Guido Giglio, San Benedetto del Tronto (Giornale D'Italia, 22/6/1988)
Quarto Oggiaro
perché
Da qualche tempo
a Drive in, il noto programma di Italia 1, c'è un tipo che
si presenta così: "Sono il boss di Quarto Oggiaro, sono
il terrone di Quarto Oggiaro, sono il Rambo 1-2-3 di Quarto Oggiaro"
e via dicendo. Questo signore racconta poi le presunte malefatte,
volutamente esagerate, degli abitanti di questo quartiere. Non nascondiamo
di aver trovato delle battute divertenti, ma mai niente che si avvicini
alla realtà del luogo dove abitiamo.
Sì, è vero, a Quarto Oggiaro c'è delinquenza,
ma sfidiamo chiunque ad affermare che qui siamo tutti ladri, disonesti,
violenti. Forse siamo l'unico grosso quartiere, alla periferia di
una grande città, a vivere questa realtà?
Allora, perché proprio noi siamo diventati così tristemente
famosi? Noi pensiamo che gran parte della colpa sia imputabile alla
stampa, ai giornali che si interessano di cronaca locale, alle radio
e alle televisioni. Sono stati innanzitutto i giornalisti di quotidiani
che si occupano della cronaca milanese a creare la fama del quartiere
invivibile. Così, purtroppo, si è diffuso un po' di
razzismo nei nostri confronti. I mass media dovrebbero impegnarsi
di più nel denunciare i gravi problemi che vive il nostro quartiere:
dalla tossicodipendenza, al problema della disoccupazione, degli anziani
soli, alla mancanza di spazi ricreativi, alla scarsità di punti
di ritrovo e di aggregazione.
Seguono 36 firme, Milano (Il Manifesto, 25/6/1988)
I meridionali
con potere e quelli senza potere
Signor direttore,
il giornalista Nozza, commentando la vittoria alle ultime elezioni
della "razzista" Lega Lombarda, ha detto che è necessario
capire i motivi del successo, più che condannare. lo porto
le mie considerazioni, sperando che servano a capire i motivi del
fenomeno.
La differenza tra persone del Nord e del Sud si rileva sin dall'infanzia:
mentre i bambini meridionali, a contatto con un'esistenza più
dura, sanno districarsi bene nella vita, con scaltrezza e intelligenza,
i bambini del Nord sono "imbranati", molto più impreparati.
Questo "saper fare" consente ai meridionali di eccellere
in tutti i campi, dalla malavita organizzata al potere civile, ai
più alti gradi della politica, della magistratura, delle finanze,
ecc. In pratica, i meridionali occupano i posti che contano. Secondo
me, è per questo che i lombardi ce l'hanno con loro. Però
partono dal particolare (dal potere detenuto da alcuni meridionali)
per arrivare all'astio per tutto, cioè anche per i meridionali
senza potere. Da questo punto di vista, è un "razzismo"
alla rovescia: è la rabbia che prova il povero nei confronti
del ricco, del nero con il bianco, del lombardo senza potere nei confronti
dei meridionali che ce l'hanno. La Lega lombarda rappresenta una reazione
a questo "potere" dei meridionali, ma è ovviamente
una risposta irrazionale e infantile.
Pierangelo Zucchi (Il Giorno, 25/6/1988)
Poco lavoro,
tanti africani
Caro direttore,
sono rimasto sorpreso nell'apprendere dai giornali che il numero degli
immigrati di colore nella provincia di Caserta ha raggiunto i 30.000
fissi che diventeranno 50. 000 fra giugno e settembre. 50. 000 africani,
concentrati in una sola provincia, sono decisamente troppi, specialmente
se si considera che la Campania, con i suoi 404 abitanti per chilometro
quadrato, ha la più alta densità di popolazione d'Italia.
Stupisce come si sia reso possibile l'insediamento di questo esercito
di immigrati proprio in una regione del Sud che da sempre è
in lotta contro la disoccupazione, la carenza di case, di ospedali,
di scuole.
E' evidente che con la politica del lasciar fare la "questione
nera" provocherà in un prossimo futuro gravissime conseguenze
sia sul piano politico che su quello economico-sociale.
Florio Fontanelli, Viareggio (Il Resto del Carlino, 30/6/1988)
Commozione
e razzismo
Di pari passo
all'aumento delle manifestazioni di razzismo più o meno latente
nel Paese, sui giornali appare la condanna dello stesso.
Ciononostante, nei giornali italiani, quando si parla, o meglio si
scrive, degli immigrati africani, siano essi marocchini, senegalesi,
arabi o che so io, di qualunque altra nazione e che per sbarcare il
lunario si sono messi a vendere poche misere cose, diventano subito
dei "vu' cumprà".
Anche questo modo di fare, o meglio di scrivere, è una forma
di razzismo: togliere l'identità nazionale e affibbiarne una
qualunque inventata e comunque dispregiativa, perché dispregiativo
è il "vu' cumprà" a persone di razza, colore
o solo modo di vivere diverso, è razzismo.
Questi uomini che hanno lasciato la loro casa, il loro paese, la famiglia,
gli affetti, hanno diritto ad essere considerati uomini, più
coraggiosi degli altri, che, per vivere, si sottopongono a sacrifici
e umiliazioni che la maggior parte di noi non sarebbe disposta ad
accettare. E certamente debbono anche sottostare allo sfruttamento
di gente di pochi scrupoli per procurarsi da dormire e la merce da
vendere. Si fa presto a commuoversi per i maltrattamenti della popolazione
nera del Sudafrica, per il genocidio dei Curdi, per gli armeni, ecc.
ecc.
E se ai nostri connazionali all'estero li chiamassero, come una volta,
"paisà, macaroni, o sole mio" che diremmo? Per non
parlare del termine "terroni".
Un mio amico tempo fa, dopo aver letto di una "eroica" azione
contro un accampamento di zingari, mise in casa un cartello che diceva
più o meno così: "Vuoi vedere un razzista? Guardati
allo specchio".
Forse era eccessiva ma non molto distante dalla realtà.
Carlo Riginelli, Senigallia (La Repubblica, 1/7/1988)
Non si fa niente
contro l'esercito dei "Vo' cumprà"
La politica vera,
quella conseguente a un'analisi concreta del territorio con riferimento
alla comunità che effettivamente ci vive e vi può esser
contenuta, rimane ancora un'ipotesi ideologica e utopistico di corrente.
Non si ritiene che il problema dei "vo' cumprà" debba
essere affrontato adeguatamente e con urgenza dai nostri vertici politici,
prima che assuma connotazioni aberranti per la comunità?
I cittadini sono stanchi di assistere impotenti per le strade allo
spettacolo da baraccone dei "vo' cumprà" (e fossero
soltanto quelli), condizionati moralmente dalla carità cristiana
affidata all'iniziativa dei singoli; o peggio di apprendere finalmente,
per puro spirito di solidarietà universale, i confini nazionali,
senza predisporre una conforme struttura organizzativa.
Così si viene a giustificare l'avvio d'un genocidio, quello
del paese ospitante. E' stato detto, infatti, da personalità
qualificata a conforto d'una irreversibile società multirazziale:
"Tra non molto su cinquanta milioni di residenti in Italia, quindici
saranno italiani e trentacinque stranieri".
Di questo posso, non perché la nostra penisola è diventata
il bengodi europeo, quale potrebbe risultare da una piatta verifica
sociologica, ma perché è diventata un parto franco della
peggior risma. Non ce la meritavamo questa ennesima invasione.
Migliaia di giovani meridionali battono le piazze in attesa di prima
occupazione, mentre ogni realizzazione economica, nel profondo Sud,
sembra un'araba fenice.
Se questo fenomeno non era previsto, allora richiede dai vertici un
diverso atteggiamento: se invece lo era, perseverare è malvagio.
Prof. Giuseppe Grasso, Manfredonia (FG), (Gazzetta del Mezzogiorno,
9/7/1988)
Non è
rabbia contro i meridionali
Egregio direttore,
siamo un gruppo di simpatizzanti della Lega Lombarda e vorremmo rispondere
alla lettera del signor Zucchi ( ... ) con particolare riferimento
al punto dove la Lega Lombarda viene considerata una risposta irrazionale
e infantile al "potere dei meridionali". Probabilmente il
signor Zucchi non conosce bene ciò che la Lega rappresenta
per noi lombardi; non un movimento razzista né antimeridionalista
(come da più parti considerata), ma un movimento che vuole
difendere la nostra cultura, tradizioni e dialetto. Il fatto che i
meridionali eccellano in tutti i campi, dalla malavita ai più
alti gradi della politica, non crediamo sia dovuto esclusivamente
alle esperienze di vita infantile che consentono ai meridionali di
diventare più scaltri di noi "imbranati", ma a ingiustizie
legalmente accettate che differenziano il Nord dal Sud (vedi scandali
nell'edilizia, nella sanità, ecc ... ).
La "rabbia" che secondo il signor Zucchi noi proviamo nei
confronti dei meridionali non ha motivo di esistere, perché
non ci sentiamo inferiori né intellettualmente né socialmente
a loro, ma sappiamo districarci nella vita attivamente e con impegno
senza generalizzare e fare di ogni erba un fascio.
Sperando di aver dato un contributo a dissolvere i dubbi sulle finalità
della Lega Lombarda, porgiamo distinti saluti.
Margherita Martinelli (e altre firme) (Il Giorno, 14/7/1988).
Torino razzista
Non vorrei che,
con tutto il dibattito in corso sul razzismo verso gli immigrati di
colore, Torino apparisse come un'isola felice. L'altra sera, mentre
ero in servizio su un'ambulanza della Croce verde, cinque persone
hanno spaccato, con pugni e calci, la bocca di un senegalese di 22
anni (ho personalmente raccolto 4 denti). Aveva chiesto una sigaretta,
ma aveva sbagliato l'accento nella pronuncia.
Ovviamente, malgrado la denuncia, chi ha corso rischi maggiori è
stato il giovane senegalese che non era in regola con i visti d'ingresso.
Comunque, non è successo niente. Infatti sul "glorioso"
quotidiano cittadino la Stampa non c'è stata nemmeno una riga
sull'episodio. Chi può si indigni.
Roberto Galassi, Torino - (Il Manifesto, 4/8/1988)
A scuola di
razzismo
Sono un impiegato
statale, vivo a Messina e ho un figlio di otto anni.
Quest'anno sono arrivate in città diverse famiglie di settentrionali
che logicamente frequentano le scuole comunali. Purtroppo in quella
di mio figlio ne sono nati problemi che non avevo assolutamente previsto.
Alcuni genitori hanno manifestato malumore e una notevole insofferenza
nei riguardi di questi bambini settentrionali.
Affermano che hanno creato scompiglio e che non riescono neppure a
esprimersi bene in italiano, ciò che determina notevoli difficoltà
nonostante gli sforzi dell'insegnante. Non sono un razzista ma sto
esaminando la possibilità di iscrivere l'anno prossimo mio
figlio in un altro istituto. Data la stima che ho per lei gradirei
un suo consiglio omettendo possibilmente il mio nome data la delicatezza
del problema.
Lettera Firmata, Messina (Epoca, 11/9/1988)
"Perché
autori e programmisti di tanto bassa qualità?"
Caro direttore,
domenica 25 settembre alle ore 8.50 su Radiouno, abbiamo avuto la
fortuna di ascoltare - nella trasmissione Il guastafeste -un esempio,
purtroppo non raro in Rai di idiozia, volgarità, cattivo gusto.
Padrona e colf: colf ovviamente "nera" e che parla con la
"b". Dopo l'elenco di incombenze e lavori domestici da svolgere
la padrona chiede alla colf se le piacciono i bambini. "Mangio
di tutto" è la risposta che riceve dalla voce gutturale
e cavernosa della colf, "nera" e, necessariamente, cannibale.
Questa "gag" (seguita da quella - non molto più felice
- del meridionale incapace di scrivere e parlare in un italiano appena
decente) non merita commenti.
Perché gli italiani devono pagare - col proprio denaro - autori
e programmisti la cui qualità è - a vederne l'opera
- più che bassa?
Il servizio pubblico non ritiene di dover fare la sua parte, in un
periodo in cui la lotta al razzismo è sempre più all'ordine
del giorno e in cui combattere pregiudizi e mortificanti stereotipie
appare prioritario?
Luigi Amodio, della Fgci nazionale, Roma (L'Unità, 1/10/1988)
Giro d'Italia
al Sud
Caro direttore,
sono passati più di tre mesi dalla conclusione del Giro d'Italia.
Non si sono placate, però, le polemiche riguardo l'inclusione
di un percorso di tappa che sconfinava nella vicina Austria facendo
finire la gara nella nota Innsbruck.
L'organizzatore del Giro è da molti anni l'infaticabile Vincenzo
Torriani che puntualmente ogni anno ignora il sud Italia, in particolar
modo la Basilicata, la Calabria, la Sicilia e anche la Sardegna.
Non è chiaro a nessuno di questa nostra ingiusta discriminazione
da parte degli organizzatori del Giro, i motivi che possiamo pensare
sono di varia natura: dal punto di vista economico notevoli introiti
per ogni attività commerciale con la permanenza dei corridori,
dei vari accompagnatori, dei giornalisti ed è inoltre un'ottima
vetrina per pubblicizzare il posto attraversato dalla carovana.
Dal punto di vista politico i vari amministratori locali spingono
sulla federazione ciclistica per fregiarsi di aver portato il ciclismo
nella propria città. Dal punto di vista tecnico gli organizzatori
possono addurre come scusante che il territorio di queste regioni
non corrisponde alle loro esigenze.
La verità è che il profondo sud dev'essere sempre discriminato
in ogni campo.
Si preferisce portare il Giro d'Italia all'estero e non nelle zone
che hanno il diritto di essere attraversate da questa importante manifestazione
sportiva.
La sola colpa che hanno queste regioni è quella di trovarsi
al di sotto di Napoli e la geografia razzista ci condanna come territori
più vicini all'Africa che all'Italia, dimenticando la storia
la quale ci insegna che il nome Italia è nato nel sud della
Calabria, dimenticando la splendida civiltà della Magna Grecia,
dimenticando che il 1992 sarà un'ulteriore tappa verso l'unità
dell'Europa, invece in Italia si parla ancora del sud e del Nord come
due nazioni separate. Tocca anche allo sport avvicinare le due Italie
senza creare ulteriori fratture.
Comprendiamo i problemi degli organizzatori che non possono in un
solo Giro attraversare tutte le regioni d'Italia ma possono coinvolgere
tutte le varie parti d'Italia in due-tre anni e solo nei rari casi
la manifestazione potrà sostare per due anni di seguito nello
stesso posto.
Come Gioventù Liberale di Reggio Calabria ci faremo promotori
di un intervento del gruppo liberale alla Camera e al Senato per invertire
questa ingiusta tendenza a fare scendere il giro raramente nel sud
Italia.
Paolo Morabito, Reggio C. (L'Opinione, 4/10/1988)
Buttiamo i
veleni chimici nell'Etna
Abbiamo un inceneritore
enorme e che non costa niente: è l'Etna. Perché non
buttare là dentro le scorie industriali? Potremmo diventare
l'inceneritore d'Europa (naturalmente gestito da Silvio Berlusconi,
per esempio, e non dallo Stato che con certezza ci perderebbe).
Attilio Picollo, Alessandria (Panorama, 9/10/1988)
"Domenica
in" tira troppo in basso
Egregio direttore,
ho dovuto purtroppo rilevare che la trasmissione "Domenica in"
è unicamente romana-napoletana. E' inutile cara signora Laurito
appellarsi a Milano affinché concorra telefonicamente al quiz
enigmistico che - oltretutto -è divenuto una pagliacciata con
rumori vari, tarantelle e sceneggiate della signora Laurito sia davanti
al tabellone che al telefono. Aggiungo la dichiarazione fatta domenica
16 ottobre: "La Roma ha vinto", e più avanti: "Sette
secondi di raccoglimento per la sconfitta del Napoli"; e tutte
le altre squadre - pur non avendo vinto o perso - non sono del territorio
nazionale?
Napoletana la conduttrice, napoletano il pianista, romani le pon-pon
e il regista!
Ritenevo che doveva essere una trasmissione per tutta l'Italia ma
mi sono illuso. Quanto rimpiango Banfi e Cutugno e quelle belle "Domeniche
in" di anni fa dove non c'erano 200 pon-pon pagate per fare gridolini
e battimani comandati ma un pubblico più composto e tranquillo!
Non sono razzista, ma razzista è la Rai che ha fatto diventare
nazionale il dialetto romano-napoletano. Senza dimenticare il "Fantastico"
di quest'anno!
Lettera firmata, Milano (Il Giorno, 25/10/1988)
Manfredonia
In riferimento
a quanto apparso sull'"Espresso" n. 41, a firma di Giorgio
Bocca, credo che sia consentito anche a un cittadino della "Repubblica
di Manfredonia", ambientalista convinto, di poter esprimere il
proprio parere in merito all'"ecologismo italico".
La nostra protesta trae la sua ragione d'essere da quasi un ventennio
di inquinamento taciuto. La "nave dei veleni" è il
triste epilogo dello sconsiderato modello di sviluppo industriale
che ha caratterizzato l'Italia nell'ultimo ventennio.
La cronaca dovrebbe parlare di questo e delle diverse migliaio di
miliardi spesi dalla Cassa per il Mezzogiorno, nel sud, per l'industrializzazione
forzata di opere folli che l'altra Italia, quella del nord, rigettava
per l'alto indice di inquinamento prodotto.
Invece, oggi, si commentano solo gli effetti di questa beffa industriale.
Luciano Casalino, Manfredonia (L'Espresso, 6/11/1988)
Si dice, ed è
un coro ben orchestrato, che Manfredonia fellona non risponde all'appello
dell'emergenza nazionale; ma si conosce la storia della collocazione
dell'allora Anic alle porte della città, in barba alle normative
ed al senso comune?
Era davvero troppo chiedere che una fabbrica ad alto rischio ambientale
come quella venisse posta perlomeno sottovento rispetto alla città?
Sa Bocca che la discarica dei rifiuti solidi urbani è stata
trovata inzuppato di arsenico ed ammoniaca? Sa degli incidenti e delle
intossicazioni di massa, dell'arsenico entrato con certezza nella
nostra catena alimentare, dell'operaio morto per cirrosi epatica da
arsenico, di altri operai sulla stessa via, dei morti per malattie
degenerative mai viste prima, delle numerose gravidanze inspiegabilmente
non portate a termine, dei vari procedimenti a carico dell'Enichem
per violazioni di norme a tutela della salute e dell'ambiente?
Sandro Mondelli, Manfredonia (L'Espresso, 6/11/1988)
Mentalità
razzista portatrice di morte
Egregio Direttore,
nella mia qualità di presidente della comunità di immigrati
di colore della provincia di Lecce e di presidente della comunità
pakistana in Italia, sento il dovere di esprimere una ferma condanna
per quanto è avvenuto giorni addietro a Milano dove una donna
nigeriana è morta nella più completa indifferenza della
popolazione bianca.
Non è più possibile che in Italia persista ancora una
mentalità razzista tale che porti perfino alla morte. E' necessario
che il governo italiano sensibilizzi l'opinione pubblica su questo
tema del rispetto dei cittadini stranieri di colore, dei quali una
legge dello Stato ha provveduto a legalizzare la presenza sul territorio
italiano. E' necessario anche che la magistratura accerti le responsabilità
e individui chi ha impedito il soccorso di quella donna nigeriana.
Solo la giustizia in questo caso può ristabilire l'eguaglianza
tra gli esseri umani di tutto il mondo e il rispetto del principio
che tutti hanno uguale bisogno di aiuto nei casi in cui è in
pericolo la stessa vita umana.
Jalil Kalyal, Lecce (Il Quotidiano, 6-7/11/1988)
Una riserva
al di qua del Po
Non avevo ancora
dodici anni, che un giorno me ne uscii in famiglia con il termine
"terroni" riferito a un nucleo di immigrati da poco venuti
ad abitare vicino a casa nostra. Mi presi un ceffone, uno dei pochissimi.
Poi, a bocce ferme, mio padre che era dotto, o così almeno
a me appariva, mi tenne una lezione sociostorica sul Meridione d'Italia,
sulle difficoltà di integrazione per alcuni usi e costumi differenti
e soprattutto sull'imbecillità dell'epiteto. Crebbi nello spirito
di quella lezione e non ebbi mai a rammaricarmene. Oggi insegno in
una scuola dell'hinterland bresciano, un gran numero di miei colleghi,
forse la maggioranza, proviene da regioni del Sud, molti sono siciliani,
preside compreso. Da essi ho imparato ad essere più diplomatico,
più possibilista. Ho appreso anche l'essenza intima, quasi
filosofica, della raccomandazione, del favore, dello sgarro. Poi un
giorno ho avuto un battibecco con il preside per futili motivi e mi
sono accorto che il mio processo di integrazione era lungi dall'essere
completo, anzi, forse era solo ai primissimi stadi. Me ne sono rammaricato:
tanto lavoro per nulla. Da quel giorno però uno strano e stupido
sogno continuo a rincorrermi: mi vedo all'interno di un recinto fatto
di una bassa rete metallica e di un con cancello sempre semiaperto.
Sono con i miei figli, ma non faccio alcunché. Resto immobile
in trepida attesa di una stanca Land Rover targata Roma che con scarsa
diligenza mi scarica davanti una cesta di pane. Oddio, sono in una
riserva!
Francesco Tabladini, Brescia (Corriere della Sera, 8/11/1988)
Ma il terrone
non disturba quando serve
Nessuno sa quanti
effettivamente siano. 800 mila, si dice. Sono persone disposte a lavare
i vetri delle auto ferme ai semafori, a vendere chincaglierie e prodotti
del loro artigianato, in pelle o In metallo, in legno o in avorio,
ma anche a indossare i panni dei manovali. Cercano lavori umili per
sbarcare il lunario. Ma nel nostro Paese c'è anche chi il lavoro
non ce l'ha più. E secondo l'indagine della Makno sono proprio
le categorie più disagiate, economicamente e culturalmente,
a rifiutare l'ingresso a questi immigrati extraeuropei. In testa ci
sono i disoccupati (18,2%), che dopo aver perso il lavoro non accettano
di vedersi portar via le poche chances che il mercato offre. Seguono
i pensionati (16%), categoria troppo spesso trattata superficialmente.
Più tolleranti, o disponibili a limitare gli arrivi, sono i
salariati impiegati in agricoltura (addirittura il 100%), seguiti
da imprenditori, dirigenti e professionisti (85,7%). L'unica categoria
massicciamente pronta ad accogliere questi stranieri - e sembrerebbe
una contraddizione - è quella degli agricoltori e coltivatori
diretti. Forse perché a lavorare la terra sono sempre in meno,
e quindi anche un nordafricano di buone braccia e di altrettanto buona
volontà può diventare utile.
Dunque: razzismo di comodo? Usato per coprire altre magagne o altri
guasti della nostra società? Nel labirinto delle percentuali
non sempre la razionalità trova appagamento. Le professioni
socialmente più deboli sono quelle che offrono meno linearità
di giudizio. Sono ancora i salariati del terziario (51,2%) a sostenere
l'intolleranza verso gli immigrati, seguiti da agricoltori e casalinghe,
mentre risponde che "è vero in parte" il 75% dei
salariati agricoli. Si sale di un gradino (sociale) invece nel "non
è vero": sono infatti gli impiegati (18,6%) quelli che
alzano il livello dell'intolleranza.
Per quel che riguarda le relazioni sentimentali, è consistente
il gruppo professionale che ammette di avere difficoltà ad
allacciare una relazione con gente di colore. Gli agricoltori (26,7%),
gli insegnanti (26,5), gli impiegati nel terziario (25,6%), i salariati
agricoli (25%), gli operai (24,8%) e le casalinghe (24,5%) guidano
la lunga teoria dei "non disponibili". Un sentimento di
chiusura emerge da parte degli studenti (14,3%) nei confronti degli
arabi. E sono pensionati (6%) e dirigenti (5,7%) a disdegnare relazioni
di cuore con gli ebrei. E' rilevante tuttavia la globalità
percentuale (34,9%) di chi non ha preclusioni di sorto. La frantumazione
dei dati ci offre uno spaccato comunque eterogeneo: salariati agricoli
(50%), impiegati (43,9%) e professionisti (42,9%) dichiarano di essere
cosmopoliti sull'insidioso terreno delle relazioni sentimentali.
E' dunque difficile usare rispetto verso gli stranieri, non meno che
verso i connazionali. Quando la solidarietà viene meno nel
nostro Paese? Ed è sempre uguale, sia al Nord che al Sud? I
pregiudizi sono tanti, ma davvero dobbiamo catalogarli sotto il termine
"razzismo"? L'atteggiamento negativo verso i meridionali,
ad esempio, sempre osservato attraverso le categorie professionali,
non cancella la vecchia teoria delle "due Italie". E' "molto
diffuso" secondo gli studenti (33%), seguiti dagli operai (30,3%),
mentre è invece "abbastanza diffuso" per imprenditori,
dirigenti e professionisti (60%). Quest'ultima voce è comunque
nella suo globalità d'analisi (43,3%) quella più sostanziosa,
come a suggellare qualcosa che già si conosceva. L'atteggiamento
negativo verso il Sud è tuttavia "poco diffuso" e
"per niente diffuso" per i salariati agricoli (50% e 25%).
Fino a che punto, però, è comprensibile questo comportamento
di chiusura? L'analisi prende in esame due tipi di risposta. Sono
il "sì" e il "no" a sospendere un discorso
che tutto sommato richiederebbe qualche spiegazione in più.
Sono gli artigiani e i commercianti (32,2%) a schierarsi per il "sì".
Disoccupati (82,2%), studenti (78%) e professionisti (71,4%) optano
per la risposta contraria.
Più contenuto il problema, se lo rovesciamo. L'atteggiamento
negativo verso il Nord è"molto diffuso" per il 10,1%
degli operai, "abbastanza diffuso" per artigiani e commercianti
(27,4%), "poco diffuso" per gli insegnanti (38,2%), e "niente
diffuso" per gli agricoltori (46,7%). E' comprensibile questo
atteggiamento per i professionisti e dirigenti (34,3%); non lo è
per i disoccupati (84,4%).
Confrontando i totali delle risposte fornite dagli intervistati divisi
per categorie professionali, si noto che nei due casi formulati è
rilevante la percentuale che sostiene "non comprensibile l'atteggiamento
negativo" nei riguardi del Sud (68%) e verso il Nord (65,5%).
C'è quasi una "riluttanza" a confessare da parte
della gente questo pregiudizio. Gli intervistati, dunque, ne ammettono
l'esistenza, ma non vanno oltre.
Spigolando fra le risposte ottenute su una scelta di aggettivi da
attribuire ad abitanti del Nord e del Sud, il nostro Paese sembra
marcare le crepe. Un solo caso, quello di "antipatico",
gli intervistati ritengono non assegnabile ad alcun italiano.Tra i
professionisti del Nord, il 62,9% è consapevole di essere più
laborioso, ma in fatto di simpatia segna il passo. Lo sostiene il
55,9% degli insegnanti del Sud prontamente supportati da studenti
(50,5%) e disoccupati (51,1%). Una "certificazione" che
pare trovare conferma in tema di pigrizia. Sono ancora gli insegnanti
(58,8%) e gli operai (58,7%) a primeggiare.Pigrizia, è bene
ricordarlo, non sempre fa rima con fannulloneria: spesso è
vero che è sinonimo di buona intelligenza. La fantasia invece
segna un altro punto a favore del Sud. La statistica strizza l'occhio
in questo caso a salariati agricoli (100%) e professionisti (77,1%).
Gli studenti (57,1%), invece, attribuiscono massicciamente al Nord
la componente più rilevante di razzismo. Mentre maleducazione,
solidarietà e disonestà conoscono un momento di equità,
l'egoismo è ancora tutto per il Nord. E questa volta a denunciarlo
sono gli agricoltori (46,7%), e ci fanno sapere che la terra vuole
fatica, e ci invitano a un bagno di umiltà.
Un precedente
illustre
'Manifesto' degli scienziati razzisti
1. Le razze umane
esistono. La esistenza delle razze umane non è già una
astrazione del nostro spirito, ma corrisponde a una realtà
fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi. Questa realtà
è rappresentata da masse, quasi sempre imponenti, di milioni
di uomini, simili per caratteri fisici e psicologici che furono ereditati
e che continuano ad ereditarsi. Dire che esistono le razze umane non
vuoi dire a priori che esistono razze umane superiori ed inferiori
ma soltanto che esistono razze umane differenti.
2. Esistono grandi
razze e piccole razze. Non bisogna soltanto ammettere che esistano
i gruppi sistematici maggiori, che comunemente sono chiamati razze
e che sono individualizzati solo da alcuni caratteri, ma bisogna anche
ammettere che esistano gruppi sistematici minori (come per es. i nordici,
i mediterranei, i dinarici, ecc.) individualizzati da un maggior numero
di caratteri comuni. Questi gruppi costituiscono dal punto di vista
biologico le vere razze, la esistenza delle quali è una verità
evidente.
3. Il concetto
di razza è concetto puramente biologico. Esso è quindi
basato su altre considerazioni che non i concetti di popolo e di Nazione,
fondati essenzialmente su considerazioni storiche, linguistiche, religiose.
Però alla base delle differenze di popolo e di Nazione stanno
delle differenze di razza. Se gli italiani sono differenti dai francesi,
dai tedeschi, dai turchi, dai greci, ecc., non è solo perché
essi hanno una lingua diversa e una storia diversa, ma perché
la costituzione razziale di questi popoli è diversa. Sono state
proporzioni diverse di razze differenti che da tempo molto antico
costituiscono i diversi popoli, sia che una razza abbia il dominio
assoluto sulle altre, sia che tutte risultino fuse armonicamente,
sia, infine, che persistano ancora inassimilate una alle altre le
diverse razze.
4. La popolazione
dell'Italia attuale è di origine ariana e la sua civiltà
è ariana. Questa popolazione di civiltà ariana abita
da diversi millenni la nostra Penisola; ben poco è rimasto
della civiltà delle genti preariane. L'origine degli italiani
attuali parte essenzialmente da elementi di quelle stesse razze che
costituiscono e costituirono il tessuto perennemente vivo dell'Europa.
5. E' una leggenda
l'apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici. Dopo l'invasione
dei Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti
di popoli capaci di influenzare la fisionomia razziale della Nazione.Da
ciò deriva che, mentre per altre Nazioni europee la composizione
razziale è variata notevolmente in tempi anche moderni, per
l'Italia, nelle sue grandi linee, la composizione razziale di oggi
è la stessa di quella che era mille anni fa: i 44 milioni di
italiani di oggi rimontano quindi nell'assoluta maggioranza a famiglie
che abitano in Italia da un millennio.
6. Esiste ormai
una pura 'razza italiana'. Questo enunciato non è basato sulla
confusione del concetto biologico di razza con il concetto storico-linguistico
di popolo e di Nazione, ma sulla purissima parentela di sangue che
unisce gli italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano
l'Italia. Questa antica purezza di sangue è il più grande
titolo di nobiltà della Nazione italiana.
7. E' tempo che
gli italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l'opera che
finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo.
Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo
ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere
trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni
filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve
essere essenzialmente italiana e l'indirizzo ariano-nordico. Questo
non vuole dire però introdurre in Italia le teorie del razzismo
tedesco come sono o affermare che gli italiani e gli scandinavi sono
la stessa cosa. Ma vuole soltanto additare agli italiani un modello
fisico e soprattutto psicofisico di razza umana che per i suoi caratteri
puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extraeuropee,
questo vuoi dire elevare l'italiano ad un ideale di superiore coscienza
di se stesso e di maggiore responsabilità.
8. E' necessario
fare una netta distinzione tra i mediterranei d'Europa (occidentali)
da una parte, gli orientali e gli africani dall'altra. Sono perciò
da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l'origine africana
di alcuni europei e comprendono in una comune razza mediterranea anche
le popolazioni semitiche e camitiche stabilendo relazioni e simpatie
ideologiche assolutamente inammissibili.
9. Gli ebrei non
appartengono alla razza italiana. Dei semiti che nel corso dei secoli
sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale
è rimasto. Anche l'occupazione araba della Sicilia nulla ha
lasciato all'infuori del ricordo di qualche nome; e del resto il processo
di assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano
l'unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché
essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi
in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli italiani.
10. I caratteri
fisici e psicologici puramente europei degli italiani non devono essere
alterati in nessun modo. L'unione è ammissibile solo nell'ambito
delle razze europee, nel quale caso non si deve parlare di vero e
propria ibridismo, dato che queste razze appartengono ad un corpo
comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali
per moltissimi altri. Il carattere puramente europeo degli italiani
viene alterato dall'incrocio con qualsiasi razza extraeuropea e portatrice
di una civiltà diversa della millenaria civiltà degli
ariani.
Dott. Lino Businco,
ass. di patologia generale all'Università di Roma.
Prof. Lidio Cipriani, incaricato dei corsi di antropologia presso
l'Università di Firenze.
Prof. Arturo Donaggio, direttore della clinica neuro-psichiatrica
dell'Università di Bologna.
Dott. Leone Franzi, ass. clinica pediatrica dell'Università
di Milano.
Prof. Guido Landra, ass. di antropologia presso l'Università
di Roma.
Prof. Sen. Nicola Pende, direttore dell'istituto di patologia speciale
medica presso l'Università di Roma.
Dott. Marcello Ricci, ass. di zoologia presso l'Università
di Roma.
Prof. Sabato Visco, direttore dell'istituto di fisiologia generale
dell'Università di Roma.
Prof. Edoardo Zavattari, direttore dell'istituto di zoologia speciale
medica presso l'Università di Roma.
Razzismo
A Bergamo c'è
chi difende "le multe in dialetto"
Bergamo. - L'invito
è perentorio: "Via, de Berghem" (Vattene da Bergamo,
n.d.r.). E' contenuto in migliaia di volantini e manifesti che da
un paio di giorni tappezzano la città. E' rivolto al comandante
dei Vigili Urbani, Giuseppe Giuliani, il quale, agli occhi dei più
strenui e fanatici difensori della bergamaschità, ha due torti:
primo, è nato in Abruzzo, quindi è un "terrone";
secondo, ha imposto, con un richiamo scritto, ai suoi vigili di parlare
in italiano e di non rivolgersi agli automobilisti in dialetto. Volantini
e manifesti sono firmati dalla Lega lombarda, un movimento che in
città e soprattutto in provincia ha raccolto un buon numero
di voti. La Lega definisce il provvedimento del comandante Giuliani
"Un grave attentato alla nostra identità" e poi scivola
nella xenofobia vera e propria quando ricorda al malcapitato comandante
del ghisa: "Si è dimenticato Giuliani di lavorare a Bergamo?
E che grazie alla gente di Bergamo, quella gente che ha sempre parlato
la lingua (nota bene: la lingua e non il dialetto, n.d.r.) bergamasca
con le sue varianti, lui è qui in mezza a noi a godere di quelle
risorse e privilegi che forse a casa sua non avrebbe avuto?".
Dure critiche alla Lega sono venute dal Pci, dalla Dc e dal sindaco
Giorgio Zaccarelli: "E' intollerabile che qualcuno cerchi di
creare steccati in casa nostra".
Mezzogiorno
bistrattato
Gentile direttore,
su L'Opinione n. 20 del 31/5/88 pag. 33 ho letto l'articolo "A
Nord, del Mezzogiorno" di Franco De Lorenzo al quale vorrei esprimere
pubblicamente i miei complimenti per la chiara e onesta posizione
assunta nei confronti dello strisciante razzismo che "sempre
più frequentemente" si manifesta all'interno del Pli.
Credevo che una tale stortura non facesse parte del patrimonio genetico
liberale e che almeno un tale virus non avesse presa su dirigenti
liberali ai quali De Lorenzo, da dirigente liberale, rimprovera giustamente
e garbatamente, ma fermamente distorsioni e inopportunità che
stravolgendo la vera immagine del Mezzogiorno stravolgono la natura
del Pli.
Io, da semplice militante di periferia, forse con minor garbo, ma
con pari fermezza debbo osservare che anche L'Opinione, organo ufficiale
del Pii, potrebbe evitare di indulgere al settarismo di Costa che
ha "criticato duramente" (L'Opinione n. 20 pag. 37) il "privilegio"
dell'assegnazione al Sud di ben il 7% in più del minimo dovuto
per legge dei fondi fio, ovvero di indulgere alla superficialità
di Stefano Mirabelli, che nell'articolo "Offresi pensione a vero
invalido" (L'Opinione n. 13 pag. 26) processa e condanna con
gratuita ironia i calabresi quali "yuppies dell'oblazione"
e "rampanti dell'elemosina".
A tal proposito io credo che L'Opinione dovrebbe pretendere dai propri
collaboratori che almeno non pontifichino in contrasto con i dati
pubblicati da L'Opinione stessa.
Infatti un minimo di oculatezza professionale avrebbe consentito di
avvedersi che (L'Opinione n. pag. 13) in provincia di Catanzaro il
numero di pensionamenti d'invalidità è del 19,6% della
popolazione; contro il 19,9% di Alessandria, il 22,1% di Asti, il
20,8% di Arezzo, il 22,0% di Grosseto, il 22,2% di Siena, il 23,0%
di Ascoli, il 30,6% di Macerata, il 28,1% di Pesaro, il 23,2% di Perugia,
il 27,9% di Terni.
Allora mi consenta di concludere con De Lorenzo: "se proprio
non riuscite a cambiare metodo, smettetela almeno di interessarvi
del Sud" il nostro lavoro di liberali è qui già
tanto in salita!
Alfonso Blandini, Catanzaro (L'Opinione, Organo ufficiale del Pli,
5/7/1988, p. 2)
Stranieri a
Brescia non certo rose e fiori
Da qualche anno
i bresciani non solo sono asfissiati dai gas di scarico delle auto
accavallate nel centro storico, ma anche dalla presenza del nero,
così poco estetico, dei senegalesi.
I solerti lavoratori che già guardano con malanimo all'eccessiva
fortuna dei meridionali, che qui da noi si beccano i posti migliori
di lavoro e poi vincono pure i concorsi (eppure si asserisce che siano
notoriamente ignoranti e fannulloni), devono ora competere anche con
gli invasori neri e sopportarne la residenza in città o nell'hinterland.
Sono cose che fanno per forza diventare razzisti!
Nulla importa che i senegalesi non abbiano più nemmeno l'alloggio
superaffollato di Bovezzo, o che usino il dormitorio pubblico dal
quale vengono cacciati al sorgere del sole (anche se diluvia).
Noi bresciani li tolleriamo a malapena (e non sempre perché
ci scocciano e ci fanno ombra) quando siamo sulle spiagge ad arrostirci
al sole e li prendiamo in giro a contrattare l'acquisto di un accendino
con il 100-200 per cento di sconto.
Non abbiamo altro tempo per dedicarci a loro e non ne ha l'amministrazione
comunale, che non pensa a una soluzione di questi problemi e non ha
soldi da sborsare.
Questi ultimi, e tanti, servono per dare a Brescia, ma presto per
carità, la metropolitana leggera, poi i bresciani potranno
anche continuare a usare la loro auto personale, persino per passeggiare
sul Castello che, buone-ottime le proposte, vogliamo trasformare in
museo.
Peccato che sarà un museo troppo inquinato e inagibile per
coloro che vogliono passeggiare coi propri piedi.
Certo che spiegare chiaramente ai bresciani come stanno le cose costa
tempo e fatica, e prima si farà a costruire la metropolitana
e a far distribuire un bel po' di fogli di via ai senegalesi, magari
scaricandone qualcuno a Milano e Bologna. Lavorano a Brescia? Che
importa, faranno i pendolari!
Ridotti i neri e dotata Brescia di una struttura prima in Italia,
i nostri amministratori si sentiranno soddisfatti, con buona pace
anche dei meridionali, divenuti ora un male secondario.
Lena Begni (Bresciaoggi, 24.09.1988)
Razzismo
Le gemme nere di RAI 2
Il meglio di Rai2,
in tema di razzismo, è andato in onda l'undici novembre, alle
20.30, nella trasmissione televisiva "Fate il vostro gioco".
Per i programmisti, Pasquale D'Alessandro e Alex Acquarone, è
stato un tripudio di risate grasse, di applausi e di una buona dose
di imbecillità. Prima gemma: un coiffeur gay, pessimo replicante
di se stesso: "Il mio attendente... un ragazzo d'oro, peccato
che sia meridionale ... ". Seconda gemma, questa volta in un
angolino dello studio trasformato nel mercatino di un venditore occasionale
e subito individuato con il "Vu' cumprà", termine
tanto abusato da indurre persino Scalfari ad eliminarlo dalle cronache
di "Repubblica" e sostituirlo con "venditore di colore":
"Venite, avvicinatevi al vù cumprà, un vero affare
questo libro rilegato in pelle nera, morbidissima, perché,
sapete, anche i negri hanno un'anima... ".
Terza battuta, di pessimo gusto, quella sugli scaldamuscoli da vendere
alla popolazione Masai, in modo che "gli stregoni dell'Africa
possano scaldarsi danzando intorno al fuoco". Come vendere gelati
in Lapponia... con l'aggravante di ignorare che i Masai non hanno
più da tempo gli stregoni.
Ha scritto MacLuhan che il mezzo televisivo è un'arma potentissimo
e terribile nelle mani di un manovratore, che può decidere
il destino delle parole. Dimenticò di aggiungere che, spesso,
la stupidità umana supera in fantasia la potenza del mezzo
televisivo.
Fratello marocchino
Se passi da casa mia, fermati
Perdonami se ti
chiamo così, anche se col Marocco non hai nulla da spartire.
Ma tu sai che qui da noi, verniciandolo di disprezzo, diamo il nome
di marocchino a tutti gli infelici come te, che vanno in giro per
le strade, coperti di stuoie e di tappeti, lanciando ogni tanto quel
grido, non si sa bene se di richiamo o di sofferenza: tapis!
la gente non conosce nulla della tua terra. Poco le importa se sei
della Somalia o dell'Eritrea, dell'Etiopia o di Capo Verde. A che
serve? Per il teatro delle sue marionette ha già ritagliato
una maschera su misura per te. Con tanto di nome: marocchino. E con
tutti i colori del palcoscenico tragico della vita. Un berretto variopinto
sul volto di spugna. I pendagli di cento bretelle cadenti dal braccio.
L'immancabile coperta orientale sulla spalla ricurva. E quel grido
di dolore soffocato dalla paura: tapis!
Il mondo ti è indifferente. Ma forse non ne ha colpa. Perché
se, passandoti accanto, ti vede dormire sul marciapiede, è
convinto che li, sulle stuoie invendute, giaccia riversa solo la tua
maschera. Come quella di Arlecchino o di Stenterello, dopo lo spettacolo.
Ma non la tua persona. Quella è altrove. Forse è volata
via su uno dei tanti tappeti che nessuno ha voluto comprare da te,
nonostante l'implorante sussurro: tapis!
Dimmi, marocchino. Ma sotto quella pelle scura hai un'anima pure tu?
Quando rannicchiato nella tua macchina consumi un pasto veloce, qualche
volta versi anche fu lacrime amare nella scodella? Conti anche fu
i soldi la sera come facevano un tempo i nostri emigranti? E a fine
mese mandi a casa pure i tuoi poveri risparmi, immaginandoti la gioia
di chi li riceverà? E' viva tua madre? La sera dice anche lei
le orazioni per il figlio lontano e invoca Allah, guardando i minareti
del villaggio addormentato? Scrivi anche tu lettere d'amore? Dici
anche tu alla tua donna che sei stanco, ma che un giorno tornerai
e le costruirai un tukul tutto per lei, ai margini del deserto o a
ridosso della brughiera?
Perdonaci, fratello marocchino, se, pur appartenendo a un popolo che
ha sperimentato l'amarezza dell'emigrazione, non abbiamo usato misericordia
verso di te. Anzi ripetiamo su di te, con le rivalse di una squallida
nemesi storica, le violenze che hanno umiliato e offeso i nostri padri
in terra straniera.
Perdonaci, se non abbiamo saputo levare coraggiosamente la voce per
forzare la mano dei nostri legislatori. Ci manca ancora l'audacia
di gridare che le norme vigenti in Italia, a proposito di clandestini
come te, hanno sapore poliziesco, non tutelano i più elementari
diritti umani, e sono indegne di un popolo libero come il nostro.
Perdonaci, fratello marocchino, se noi cristiani non ti diamo neppure
l'ospitalità della soglia. Se nei giorni di festa, non ti abbiamo
braccato per condurti a mensa con noi. Se a mezzogiorno ti abbiamo
lasciato sulla piazza, deserta dopo la fiera, a mangiare in solitudine
le olive nere della tua miseria.
Perdono soprattutto me, vescovo di questa città, che non ti
ho mai fermato per chiederti come stai. Se leggi fedelmente il Corano.
Se osservi scrupolosamente le norme di Maometto. Se hai bisogno di
un luogo, fosse anche una chiesetta, dove poter riassaporare, con
i tuoi fratelli di fede e di sventura, i silenzi misteriosi della
tua moschea.
Don Tonino, vescovo
Dal volume, Alla finestra la speranza (Ed. Paoline)