§ Le ragioni di Ciampi

Montesquieu fra banca e industria




Giorgio Rivetti



Secco e inequivocabile: il rifiuto echeggia a Palazzo Koch, al numero 97 di via Nazionale, dove dal 1892 abita la Banca d'Italia. Qui, il Governatore e i suoi più stretti collaboratori vivono da tempo una battaglia, teorica e pratica, che ritengono decisiva per le sorti del sistema bancario e per l'autonomia stessa del banchiere centrale. Il "no" di Carlo Azeglio Ciampi non ammette repliche: le industrie italiane non devono controllare le banche italiane.
Al timone di Bankitalia dall'8 ottobre 1979, Ciampi getta il peso di dieci anni di un governatorato tutto teso all'autonomia degli istituti di credito. Autonomia dalla politica, ma anche dall'industria.
Dieci anni fa le industrie erano in ginocchio al cospetto del sistema creditizio; oggi possiedono le risorse finanziarie sufficienti per assumere posizioni dominanti e di comando nelle banche, direttamente, o indirettamente, attraverso
società collegate e controllate. Per di più, ci sono sostenitori della strategia d'intervento delle imprese nelle banche: l'ex Governatore Guido Carli e l'economista Mario Monti non fanno mistero della loro convinzione di dare alle industrie leve di comando nel sistema bancario. Ma Ciampi e il suo staff non battono ciglio: Carli e Monti, precisano, hanno occupato e occupano posizioni di rilievo nel gruppo Fiat. Dunque, fanno il loro mestiere, che non coincide col mestiere di Bankitalia.
Ecco allora emergere una polemica con citazioni nobili, da Einaudi a Sraffa, da Mattioli a Menichella e persino a Montesquieu, alternate a valutazioni di strettissima attualità.
Vediamo i precedenti storici. Alla base della legge bancaria del '36 ci sono analisi di economisti e di banchieri che ancora oggi fanno parte dell'ideologia e dei comportamenti della Banca Centrale. Luigi Einaudi: "I vincoli troppo stretti ed esclusivi fra industria e banca preludono a patologiche immobilizzazioni ed a tentativi di scalate alle banche". Piero Sraffa: "Il pericolo maggiore insito nel finanziamento bancario dell'industria sta nelle strette relazioni tra banca ed industria che ne conseguono ( ... ). le grandi industrie sono stimolate a rendersi indipendenti acquistando il controllo di una banca e ottenendo così, senza sottostare a pesanti imposizioni, il necessario sostegno finanziario". E Raffaele Mattioli non ebbe difficoltà a parlare di "mostruosa fratellanza siamese".
Bankitalia rincara la dose. "Guardiamo all'estero", dice. La legislazione americana in proposito è rigorosa. Se, ad esempio, l'autorità di vigilanza constata che la General Motors di fatto assume posizioni dominanti, direttamente o indirettamente, in una banca, impone la cessazione della produzione di automobili o la cessione della partecipazione. Ecco spiegato perché la Federal Reserve di New York bloccò l'acquisto della Banca Irving da parte della Banca Commerciale Italiana, che pure fa capo all'Iri.
Obiezione: perché può controllare le tre banche d'interesse nazionale, mentre questo è proibito ad Agnelli, a Pirelli, a Gardini o a De Benedetti? Risposta: l'Iri, che comunque non è mai intervenuto nella gestione delle tre Sin, è nato proprio col compito di separare le imprese dalle banche; e in ogni caso si può studiare come posso uscire da questa suo posizione di controllo. Ma le banche hanno poi tanto bisogno di capitali? Siamo in vista della grande sfida europea dei '92. Secondo i sostenitori dell'ingresso delle industrie nelle banche, le imprese sono le sole in grado di fornire l'ingente capitale necessario per le ricapitalizzazioni. Ovvio che ciò porti a posizioni di comando. Ma da Palazzo Koch ribattono che il sistema bancario negli ultimi dieci anni si è potentemente ricapitalizzato, come dimostra il rapporto capitale proprio/depositi bancari, passato dal 5 al 13%. Certo, questo è un dato medio, relativo al sistema bancario nel suo complesso, e dunque con possibili esempi ai due estremi. Ma, se è vero che le banche sono un affare, perché non guardare anche al sostegno che potrebbe venire dall'azionariato diffuso? Le attività delle famiglie (escluse le azioni) ammontano a circa due milioni di miliardi di lire. Sarebbe sufficiente che l'1% di questa somma enorme (20 mila miliardi) si orientasse verso il capitale bancario per avere un buon risultato.
E ancora. Siamo stati proprio noi, affermano I banchieri centrali, i primi a sollecitare (Libro bianco del 1981) una riforma del sistema bancario pubblico che facesse leva su una parziale privatizzazione. Gli industriali vogliono investire nelle banche? Nessuno glielo impedisce. A patto che si tratti di investimenti di portafoglio redditizio, vale a dire di pacchetti di minoranza nel capitale degli istituti di credito. E' escluso che gli industriali possano piegare la gestione delle banche alle strategie di gruppo.
Ma una buona e corretta legislazione antitrust potrebbe risolvere il problema della separatezza banca-industria? Bankitalia lo nega. Una buona legge sui conflitti d'interesse presuppone che banche e industrie siano distinte. E qui si getta sul piatto della bilancia il gran peso di Montesquieu, il giurista e filosofo dei poteri in equilibrio e della distinzione dei ruoli che tanto profondamente ha influito sul pensiero costituzionalista dell'Occidente.
E' in gioco l'equilibrio generale del sistema, dice Bankitalia, proprio in vista dell'Europa '92. Leggi ferree non le ha solo l'economia industriale; le hanno anche, e soprattutto, la moneta e la finanza. E con queste tutti i giochi sono proibiti.

UNA FASE A RISCHIO

Con la piena liberalizzazione dei movimenti di capitale a breve nella Comunità, il Sistema monetario europeo e in particolare gli otto Paesi aderenti all'accordo di cambio entreranno in una fase a rischio più elevato. Nel nuovo assetto, la sanzione con cui i mercati potranno colpire politiche economiche inadeguate si farà severa e pronta. Diverrà sempre più importante per la stabilità dei cambi, oltre all'attenta gestione giornaliera degli interventi sulla liquidità e sul mercato valutario, il quadro generale che le politiche economiche di tutti i Paesi membri congiuntamente determinano.
La liberalizzazione dei capitali a breve costituirò un momento positivo nella misura in cui la sua piena attuazione sarò accompagnata da altri progressi verso l'armonizzazione delle norme e l'integrazione dei mercati. Altrimenti, essa introdurrò nel Sistema monetario europeo elementi di precarietà e lo esporrò a movimenti speculativi che potranno prevalere sulle politiche economiche e distorcerne gli effetti. Un avanzamento solo nel settore dei capitali sarebbe troppo sbilanciato: lascerebbe i Paesi dell'accordo di cambio in mezzo al guado. La percezione dei pericoli insiti in una fase di transizione e l'esigenza di superarli istituzionalmente, raggiungendo presto una solida sponda, sono alla base del rinnovato impegno per progredire verso l'unione economica e monetaria.

BANCA E INDUSTRIA

Sulla questione dei rapporti fra banca e industria si è sviluppato di recente un dibattito ampio, ricco di contributi significativi. Va, in primo luogo, chiuso il varco che nel nostro ordinamento consente a operatori, residenti e non residenti, di acquisire il controllo di banche senza sottostare a procedura alcuna; non esiste neanche un obbligo di preavviso o di notifica alle autorità monetarie.
Circa poi il merito, non ha mai posto problemi di sorta la partecipazione di capitale finanziario alla proprietà delle banche. L'azione che la Banca d'Italia svolge da anni, promuovendo modifiche statutarie e prospettando interventi normativi, dalla trasformazione delle banche pubbliche in società per azioni alla costituzione di gruppi polifunzionali, mira al rafforzamento patrimoniale e imprenditoriale del sistema creditizio attraverso l'ingresso di capitale, privato. Il nodo della questione è rappresentato dalla partecipazione alla proprietà delle banche di capitale legato ad attività non finanziarie, oggi disponibile in maggiori quantità in conseguenza della forza patrimoniale delle imprese italiane e della crescente integrazione internazionale. Il convincimento, ripetutamente espresso dalla Banca d'Italia, è che tale partecipazione debba essere consentita, ma che essa non debbo in alcun modo configurare una posizione dominante nelle aziende che effettuano raccolta di pubblico risparmio e concedono credito.
L'importanza di una chiara definizione del complesso di questa tematica ai fini del rafforzamento del sistema creditizio e della tutela della sua autonomia rende urgente una disciplina legislativa attraverso cui il Parlamento stabilisca criteri, limiti, procedure per l'acquisizione di partecipazioni rilevanti in istituti di credito.


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