§ Il Mezzogiorno verso il mercato del '92

Frontiere nuove per lo sviluppo del Salento?




Claudio Alemanno



La forza dei fatti può costringere a cambiare le idee? l'interrogativo se lo devono essere posto alcuni sindaci del Salento che hanno stilato un documento, consegnato al presidente del Consiglio, per sottolineare istanze di autonomia propositiva e disegnare un modello di crescita a forte caratterizzazione endogena. La polemica investe questioni di metodo che tuttavia assumono rilievo sostanziale nella gestione della nuova disciplina per l'intervento straordinario. E' in gioco l'articolazione del modello di sviluppo che dovrebbe consentire all'economia salentina di aggregarsi alle tendenze evolutive del mercato europeo formato '92. Un tema affascinante ma soprattutto concreto, drammaticamente concreto per una economia marginale.
La diagnosi è nota: gli indicatori della bilancia commerciale e del prodotto pro-capite denunciano una domanda di consumo superiore alla ricchezza prodotta nell'area considerata che così finisce per risultare deficitaria e subalterna rispetto al trend di crescita nazionale. Ciò significa che se si vuole attribuire carattere di economia aperta e competitiva alla realtà presa in esame occorre orientarsi verso opere infrastrutturali, servizi ed attività idonee ad accrescere e qualificare la ricchezza prodotta, esaltando il maggior contenuto possibile di valore aggiunto nelle linee di produzione programmate.
Il business, per casi dire, dovrebbe scaturire dall'interno stesso del capitalismo maturo. Ma se per il passato si è avuto scarso conforto in questa direzione, sicuramente meno attenzione si avrà in futuro dal momento che le logiche d'impresa dovranno preoccuparsi prioritariamente delle nuove economie di scala imposte dall'internazionalizzazione del mercato.
A ben guardare, la ristrutturazione del capitalismo si accompagna ad un generale ridimensionamento dell'intervento pubblico in economia. Il binomio "sviluppo industriale-ampliamento dell'intervento pubblico" si svuota a vantaggio dell'altro binomio "sviluppo postindustriale-contenimento dell'intervento statale". Le posizioni alte degli organigrammi oligopolistici registreranno scorpori, fusioni ed una rete fitta di accordi tra grandi imprese che scavalcheranno i confini tradizionali del mercato. Si registrerà di conseguenza una frequente osmosi tra industria e mondo finanziario configurando un modello di competitività globale. Nella direzione di questo scenario già si notano segnali di protagonismo manageriale mentre il soggetto Stato è destinato a vedere depotenziato il suo raggio d'intervento per la confluenza dialettica di interessi sovranazionali su cui ha potere scarso o nullo.
Ne consegue che all'inizio di un nuovo ciclo di espansione la politica meridionalista, che ha sempre avuto come interlocutore privilegiato il soggetto Stato, risulterà gravata di maggiori incognite, facendo salire il tasso di conflittualità con le linee generali di un centralismo politico sostanzialmente agnostico.
Se si rifiuta la risposta assistenziale, che peraltro ha fiato corto, si può tentare il decollo del "sistema Salento" rendendo operativo lo strumento della programmazione pluriennale e concertata che consente alle autonomie locali un approccio più spregiudicato con gli organi statali passando dall'intreccio clientelare alla negoziazione diretta e senza complessi. A livello locale ora esistono strumenti giuridici concreti per impegnare il soggetto Stato con chiarezza lunare.
Sotto il profilo istituzionale l'apparato è ampiamente formalizzato al centro (Dipartimento, Agenzia, Enti promozionali) mentre stenta a trovare consapevolezza operativo in periferia per una serie di fattori concorrenti riconducibili fondamentalmente al costante distinguo che si pratica nei laboratori di comando tra atti "politici" ed atti di mera amministrazione, subordinando i primi ai secondi in nome del privilegio accordato alla gestione rispetto alla proposta. Ciò induce a ritenere che nel Mezzogiorno in generale e nel Salento in particolare sia stato finora sottovalutato il ruolo di una cultura atto a porre l'accento sulla combinazione dei fattori che regolano lo sviluppo in un'economia di mercato.
Questa notazione ha sapore di nuova attualità nel momento in cui maggiormente si avverte la necessitò di potenziare gli apparati pubblici locali per attrezzarli alla gestione degli impulsi progettuali che la normativa sull'intervento straordinario ha loro affidato. Situare questi impulsi in sintonia con le dinamiche evolutive di una economia a dimensione comunitaria sarò compito arduo ma indispensabile.
Se si effettua a ritroso il cammino della storia economica salentina ci si rende conto ch'essa è stato largamente percorsa dall'anarchia produttiva e dall'isolamento commerciale. Una condizione in parte ancora attuale che va rimossa con una ricognizione scientifica del mercato cui subordinare l'intelaiatura di una nuova organizzazione economica preliminare ad ogni ampliamento di infrastrutture e base produttiva. Con l'avvertenza che non si può assecondare il fenomeno spontaneo ora emergente di un'economia prevalentemente agricola che cede il posso ad un'economia orientata verso il terziario saltando a piè pari ogni esperienza di seria industrializzazione. In questo tipo di logica evolutiva c'è il rischio implicito di assistere al radicarsi di forme di modernizzazione passiva che rendono divaricanti i concetti di crescita e di progresso, approfondendo il divario tra livelli di reddito e di consumo.
Dunque la stessa fase progettuale ha bisogno di complesse indagini integrate a livello intercomunale che giustificherebbero da sole in ogni comune l'istituzione di un assessorato per lo sviluppo, dotato di uffici con compiti di analisi e programmazione economica.
Come pure anomala appare l'azione degli organi regionali dal momento che la lettura dei bilanci indica una spesa orientata verso i servizi più che verso le attività produttive, risultando addirittura residuale l'impegno per l'industria. E' la conferma di una scarsa sensibilità verso le funzioni di proposta a beneficio dei compiti di gestione ordinaria.
Allo stato attuale risulta obiettivamente difficile rendersi conto a livello locale e regionale delle ipotesi di fattibilità di un progetto di sviluppo industriale, ad esempio nel settore dell'informatica o delle telecomunicazioni. Esiste quindi un vasto campo di azione proprio nei congegni più delicati dello sviluppo che resta inesplorato e che di fatto finisce per rendere palpabile la crisi istituzionale del Mezzogiorno. E' pur vero che la legge 64/1986 burocratizza ed appesantisce molte gestioni, ma ciò dovrebbe consentire almeno di qualificare e rafforzare la capacità di guida nel ventre molle dell'economia nazionale. Più esplicitamente la capacità di guida e d'indirizzo delle autorità operanti nel Mezzogiorno (ai timori per la presenza diffusa di poteri inquinanti non si può rispondere con forme più o meno palesi di delegittimazione).
In ordine all'esercizio del potere decisionale dalle più recenti determinazioni Cipe (approvazione dei "progetti strategici" nell'ambito dell'aggiornamento del programma per il Mezzogiorno 88-90) e relativi indirizzi attuativi si appalesa una gran voglia di ritorno all'antico, con il desiderio manifesto di riaffermare il ruolo primario degli organi centrali di governo.
Si tratta in verità di progetti pensati su dimensione interregionale che impegnano complesse interazioni tecniche ed ingenti risorse finanziarie. Ma ciò non giustifica la tendenza a vanificare sul nascere il nucleo ispiratore della nuova disciplina dell'intervento straordinario; se mai costituisce motivo ulteriore per stimolare gli organi periferici (comuni e regioni) ad attrezzarsi adeguatamente al fine di partecipare come soggetti attivi ed autorevoli nella disposizione e gestione dei programmi di sviluppo che più li coinvolgono. Il concerto tra i vari livelli istituzionali va reso operativo in ogni stadio di elaborazione ed attuazione dei progetti, ma per conseguire questo obiettivo occorre potenziare gli anelli più deboli del meccanismo decisionale. Ed in proposito corre l'obbligo di rilevare che senza una forte spinta autopropulsiva sarà fatale il rischio di "esclusione" dalle tematiche e dagli interventi più rilevanti.
La messa a punto di un progetto competitivo sullo scenario internazionale richiede capacità di coagulare sinergie imprenditoriali, processi formativi e finalità produttive in coerenza con le espressioni culturali dell'area prescelta che assicurano le necessarie motivazioni all'impegno ed al gradimento della società civile che ospita gli insediamenti.
Ciò valorizza l'opera di supporto condotto nelle sedi universitarie che sotto il profilo culturale può rendere utili servigi per la formazione di un tessuto sociale disponibile a recepire proposte nuove o innovative.
Dunque la percorribilità di nuove frontiere sullo scenario economico salentino ha bisogno di motivazioni ad ampio raggio e di tecnostrutture idonee a seguire le fasi della ricognizione, della progettazione, della negoziazione e dell'attuazione delle occasioni di crescita produttiva. Naturalmente occorre ricercare la collaborazione di aziende ed enti pubblici economici.
Questi ultimi, avendo titolo per esercitare autonomamente la funzione di proposta, hanno già messo in cantiere una quantità considerevole di progetti faraonici (trasporti in Sardegna, disinquinamento e ristrutturazione del porto di Napoli, informatizzazione in Calabria, utilizzo e sistemazione delle acque in Sicilia, ecc.).
Non sarebbe comunque opportuno percorrere sentieri concorrenziali, potendo usufruire al meglio della vocazione "aziendale" degli enti indicati.
Tuttavia la dotazione in sede locale e regionale di tecnostrutture efficienti si rende necessaria per evitare che strategie ed obiettivi ispiratori dei progetti siano decisi unilateralmente nel contesto di logiche premianti solo l'economicità degli enti coinvolti. Si tratta in breve di non rendere ripetitive le esperienze negative degli anni 60-70 con megaprogetti da industrializzazione forzata usciti in modo estemporaneo dal cilindro "nobile" di qualche lobby manovriera.
Oltre alla fase organizzativa dell'impulso progettuale che investe la responsabilità degli enti locali, delle aziende e degli enti economici in generale, c'è poi tutta la strumentazione della pratica erogazione dei fondi di finanziamento che presenta molti lati oscuri. Fare chiarezza in questa materia è compito degli organi centrali di governo che vanno in questo senso opportunamente sollecitati.
Si pensi alle procedure da utilizzare nel rapporto triangolare Agenzie-Banche-Imprese ed in particolare al ruolo rilevante che dovranno assolvere gli Istituti di Credito Speciale operanti nel Mezzogiorno. la legge 64 offre in questa direzione punti di riferimento generici affidando poteri senza controllo. Ricalca nella sostanza le precedenti esperienze della Cassa notoriamente da dimenticare più che da ricordare.
E' tutto il complesso meccanismo procedurale che va messo a punto in modo da renderlo "neutrale" rispetto ad ogni forma di contrattazione, ma al tempo stesso "garantista" verso i soggetti beneficiari mediante l'adozione di clausole di salvaguardia che assicurino continuità al flusso dei fondi. Tutto ciò attiene alla gestione dell'intervento addizionale che va coniugato con l'altro intervento più rappresentativo, quello ordinario destinato al Mezzogiorno.
Qui si apre un capitolo complesso che investe in larga misura la politica di bilancio, con la qualificazione e la destinazione settoriale e territoriale della spesa (pubbliche amministrazioni ed imprese pubbliche) e la politica industriale, con le leggi per l'incentivazione, la ricerca applicato, l'innovazione tecnologica, ecc. Un campo d'azione frastagliato di mera competenza statale che nel suo insieme va promosso ed indirizzato in sintonia con la logica dell'intervento straordinario per la unitarietà degli scopi e degli obiettivi perseguiti.
Proprio la necessità di perfezionare il coordinamento nel lavoro delle autorità centrali e periferiche ci fa ritenere che l'approccio avuto dai sindaci del Salento con il Presidente del Consiglio meriterebbe di assumere in futuro valore di prassi consuetudinaria. Ciò consentirebbe nella sede più appropriata la valutazione dei meccanismi posti in essere, l'entità degli effetti propulsori registrati dal tessuto economico della Provincia, gli eventuali correttivi da apportare.
Arricchire il dialogo Governo-Regioni-Enti locali sui temi del sottosviluppo interno non può che contribuire positivamente nell'affrontare problemi di metodo e di struttura attinenti all'organizzazione dinamica del mercato, ponendo le comunità coinvolte nelle decisioni al riparo da novità traumatiche e disarticolanti. In sintesi va salvaguardata e potenziata la vocazione agricola e turistica dell'area, ma va anche riconosciuta la carenza in sede industriale di iniziative funzionalmente complementari come quelle possibili nel settore agroalimentare e delle biotecnologie.
Forse mai come in questo momento più che di soldi c'è bisogno di una "politica", lucida e determinata. Per attivare il passaggio dalla "protezione" alla competizione, scrollandosi di dosso quella ragnatela di relazioni che ha istituzionalizzato l'integrazione subalterno.

SALENTO: UN MEMORANDUM PER LO SVILUPPO

Una delegazione composta da 20 sindaci della Provincia di Lecce è stata ricevuto nel novembre scorso a Palazzo Chigi per sollecitare l'attenzione del Presidente del Consiglio sui problemi dello sviluppo dell'economia salentino. Nell'occasione è stato consegnato un documento di cui riportiamo un ampio stralcio.
Questo documento nasce dalla riflessione di un gruppo di sindaci preoccupati delle conseguenze negative di una distorta applicazione della legge 64 sull'intervento straordinario nel Salento.
La legge ha un carattere strategico per lo sviluppo e presuppone una rinnovata consapevolezza delle istituzioni locali sulle capacità autopropulsive dell'economia salentina. E' una grande occasione per le migliori risorse di pensare, progettare e realizzare un progetto di modernizzazione coerente con le vocazioni del territorio. Ma, per perseguire questo obiettivo è indispensabile una metodologia trasparente che raccordi i diversi livelli istituzionali (Comuni, Regioni e Governo) e respinga scorciatoie di alleanze trasversali riconducibili a centri direzionali esterni al Salento. Se ciò avvenisse sarebbe un'altra occasione perduta per le nostre genti.
La legge 64 indica negli enti locali i soggetti primari dello sviluppo. li riferimento non è solo alle istituzioni locali, ma alla complessa realtà del territorio, alle sue ricchezze materiali e culturali. lo sviluppo, infatti, può avere un carattere reale e non effimero solo se nasce dalle risorse umane ed economiche più progressive.
Queste risorse devono diventare le protagoniste vere della crescita, sempre più coscienti che il ruolo imprenditoriale si salda anche con una responsabilità quasi istituzionale nei confronti delle popolazioni salentine.
Oggi si pone il problema di attrezzarsi per realizzare il disegno previsto dall'intervento straordinario e per competere con quanti ritengono che lo sviluppo possa venire da un'operazione neo-illuminista e di organizzazione centralizzata delle risorse. Noi rivendichiamo come sindaci della provincia di Lecce, il ruolo di protagonisti, insieme agli altri livelli istituzionali, nell'indirizzo e nel coordinamento dello sviluppo del Salento.
Il nostro obiettivo è rilanciare il dibattito alla vigilia del secondo programma triennale. E' indispensabile infatti un accordo tra i diversi soggetti istituzionali e sociali, ma è bene ricordare che sarebbe un fatto molto negativo depotenziare il carattere autonomistico della legge. Per questo chiediamo alla Regione un ruolo più forte nella rappresentanza degli interessi locali contro i tentativi neo-centralistici che dovessero venire da gruppi particolari o da coalizioni di interessi.
Ma un rilancio effettivo del sistema delle autonomie locali non può essere un fatto meramente declamatorio. La nuova stagione del meridionalismo, positivo e moderno, chiude con quella delle lamentazioni e dell'antiquata denuncia del divario Nord-Sud. E chiude con la stagione delle vertenze e dei conflitti con gli altri livelli istituzionali. L'approccio nuovo ai problemi richiede una rinnovata cultura progettuale e una capacitò di rappresentare gli interessi locali in una prospettiva di rinnovamento. Per questo riteniamo indispensabile individuare supporti progettuali in grado di sostenere il disegno "autopropulsivo" dello sviluppo.
Per i comuni del Salento si pone il problema di superare municipalismi e di puntare, con equilibrio, ad un'integrazione anche istituzionale. Non è più possibile, infatti, governare il cambiamento nelle recitò locali senza una visione ampia del "senso" dello sviluppo.
Tra l'altro gli enti locali non possono pensare di diventare interlocutori credibili degli altri livelli istituzionali se non riescono a darsi obiettivi il più omogenei possibili.
La nostra iniziativa non esaurisce il dibattito sulla 64. Anzi punta ad aprire un fronte di impegno, partendo dai problemi concreti e non dagli schieramenti. Il Salento ha bisogno di stabilito istituzionale e non di risse senza prospettiva. Siamo ad un passaggio significativo della storia della nostra Provincia.
Dalle autonomie locali parte una domando forte non di astratta partecipazione ma di intervento concreto nei processi di sviluppo. Il "coordinamento" dei sindaci che è nato sulla 64 vuole animare un dibattito non più rinviabile e soprattutto rilanciare il ruolo degli enti locali nell'attuazione della 64.


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