§ Dalla Puglia al Salento

Incognita anni Novanta




Maria Rosaria Pascali



Attualmente la Puglia è una delle regioni maggiormente progredite del Mezzogiorno. Ma questo dato di fatto non copre i lati oscuri e le incertezze di una struttura economica ancora, sotto molti aspetti, precaria, in bilico tra sviluppo e involuzione. Forse per ereditò del passato, o per vocazioni represse, o per cultura mancata, o per mancata volontà, non abbiamo rispettato un'esigenza fondamentale: quella di dare una base allo sviluppo economico; quella, cioè, di creare un terreno culturalmente e tecnicamente pronto ad accogliere tale sviluppo. A quest'esigenza abbiamo risposto con politiche frettolose, di comodo. Sono quelle stesse politiche che ancora oggi iniettano sfiducia verso le potenzialità interne, deviano capitali verso attività improduttive, inducono a credere che solo un adeguato sistema di incentivazione possa dare la fatidica spinta. E anche la Puglia, regione progredita, rientra in silenzio nella storia del Mezzogiorno.
La situazione industriale nella nostra regione si presenta in modo alquanto contraddittorio. Da una parte, infatti, c'è un consolidamento, in alcune aree e per alcuni settori, di attività tradizionali e di nuova installazione, favorito dalla nascita di una realtà imprenditoriale che fa perno sulla modernizzazione delle tecniche e dei comportamenti sociali. Dall'altra parte, invece, emerge un quadro meno roseo, caratterizzato sia dall'incapacità, per molte altre attività tradizionali, di avviare opportuni processi di ammodernamento; sia dalle inevitabili problematiche di un processo di industrializzazione che, in molti comparti, sta ancora attraversando la fase della ristrutturazione o della riconversione. Una fase che ha toccato le industrie di base, chimiche e siderurgiche, ma anche, in un secondo tempo, le industrie di piccole e medie dimensioni del comparto manifatturiero leggero (abbigliamento, vestiario, calzature, ecc.). Ed è un processo -ripetiamo - tuttora in atto, come dimostrano, per l'industria d'i base, la presenza consistente di lavoratori in cassa integrazione a zero ore; e per l'industria manifatturiera leggera, il protrarsi di una posizione subalterna rispetto ai circuiti di commercializzazione centro-settentrionali.
Anche il primario è in seria difficoltà. Nonostante rappresenti l'attività di gran lunga più rilevante nella regione, resta un settore solo parzialmente sfruttato. Lo conferma il fatto che esso fornisce quasi esclusivamente prodotti grezzi. L'ulteriore lavorazione degli stessi avviene in altre zone del Paese o addirittura all'estero. Inoltre, l'agricoltura oggi smentisce anche la sua funzione di "settore rifugio": infatti, colpita anch'essa dai processi di razionalizzazione delle produzioni, non solo riesce a sostenere un aumento dei posti di lavoro, ma tende essa stessa ad espellere manodopera.
A differenza degli altri settori, il terziario ha avuto, invece, uno sviluppo notevole. La crescita dei servizi, però, se da un lato ha favorito un consistente assorbimento della forza lavoro, dall'altro ha alimentato le attività improduttive dell'apparato burocratico. E questo sia perché è stata generata in un'ottica puramente assistenzialistica; sia perché l'offerta locale di terziario avanzato non ha compratori: le imprese, infatti, preferiscono indirizzare la propria domanda all'esterno della regione. Viene meno, quindi, in Puglia, la funzione essenziale del terziario, quella cioè di fungere da supporto ad un ulteriore sviluppo industriale. Mentre, la sfiducia verso le potenzialità interne alimenta uno stato di dipendenza del tutto incompatibile con l'obiettivo di sviluppo autonomo dell'area.
Anche l'analisi dello sviluppo industriale nel Basso Salento non può prescindere da alcune considerazioni di carattere generale, che meglio possono spiegare ciò che è stato fatto e ciò che si poteva fare nella provincia. Ci riferiamo, soprattutto, a quella corsa contro-corrente, imitativa dei modelli di sviluppo del Centro-Nord, che ha portato a sacrificare, trascurare, sottovalutare potenzialità proprie della zona. E nata così una cultura industriale, su un terreno ancora immaturo ad accoglierla. E sono nate le industrie, in un contesto provinciale estremamente isolato, povero di infrastrutture e di collegamenti, lontano dai circuiti di commercializzazione del resto del Paese. Questo non significa che siano esatte quelle tesi che considerano il fenomeno industriale come non rispondente alla vocazione del territorio. 'E l'impostazione che è sbagliata, non il fenomeno in sé. Il processo di industrializzazione, ad un certo punto dello sviluppo locale, si è rivelato un passo obbligato. L'errore è stato il volerlo considerare sostitutivo di attività - come l'agricoltura o l'artigianato - che tardavano a liberarsi dello stato di arretratezza. Si è cioè guardato al secondario, perché il primario non riusciva a dare in termini di produttività e di occupazione, risposte adeguate alle esigenze della zona. Così come oggi si guarda al terziario, di tipo esclusivamente impiegatizio, per far fronte alla crisi che investe primario e secondario. Sono cioè risposte di corto respiro, che non hanno come base una visione globale del processo evolutivo dell'area, e che concorrono ad aumentare la precarietà dell'assetto produttivo locale. Allo stato attuale delle cose, il settore secondario nel Basso Salento non ha prospettive incoraggianti. Esistono difficoltà interne ed esterne. Tra le prime ricordiamo la debolezza della struttura produttiva, che si caratterizza per la prevalenza di attività di tipo tradizionale - quali l'industria dell'abbigliamento, delle calzature, alimentare - a basso contenuto tecnologico strettamente dipendenti dall'andamento del mercato internazionale ed esposte ad un'accesa concorrenza estera. Mentre i settori più moderni, di recente formazione, come quello dei prodotti derivati dalla chimica e dalla plastica, nonché il settore meccanico, stentano ad emergere. Per quanto concerne le difficoltà esterne, dobbiamo innanzitutto tener presente l'esistenza di un ambiente ostile, che spezza anche il dinamismo della piccola e media impresa.
Gravi problematiche vengono anche da un altro versante, quello della crisi che investe alcuni settori, come l'edilizia, e che ha effetti deleteri sull'attività ad essi collegate.
Eppure, ad oggi, il secondario si è dimostrato carico di vitalità. L vero che il tasso di mortalità delle imprese è alto; ma è anche vero che è alto il tasso di natalità. Il che lascia ampi margini di speranza nei riguardi di un consolidamento e di una futura evoluzione del fenomeno industriale nella nostra provincia. Purché - ripetiamo - si soddisfino le condizioni che sono alla base di tale ripresa:
a) l'allentamento della subordinazione esterna dell'industria locale;
b) l'attuazione di tutta una serie di infrastrutture, essenziali per superare il tradizionale isolamento dell'area;
c) forti iniezioni di inputs innovativi;
d) l'avvio di ampi processi di formazione professionale, che forniscano figure specializzate anche a livello dirigenziale.

- Aree coinvolte nel processo di espansione industriale nel Basso Salento:
a) area sub-provinciale Nord (Lecce);
b) area sub-provinciale Jonico-centrale (Galatina-Nardò);
c) area sub-provinciale Centro (Maglie);
d) area sub-provinciale Jonico-meridionale (Casarano).

- Cenni sui comparti dell'industria manifatturiera del Basso Salento:

INDUSTRIA DELLA LAVORAZIONE DEI MINERALI NON METALLIFERI

Questo settore, diffuso su tutto il territorio, registra una maggiore presenza nell'area sub-provinciale Nord (Lecce) e nell'area sub-provinciale Jonico-centrale (Galatina-Nardò). Esso comprende due grandi comparti: quello dei materiali da costruzione e quello della lavorazione della pietra e dei minerali non metalliferi. Proprio per il fatto di essere strettamente collegato all'edilizia, subisce gli effetti della crisi che investe quest'ultima. Per contro, esso si rivela un settore molto dinamico in quelle attività che non hanno una relazione funzionale con il ramo edile.

INDUSTRIA DELLA CHIMICA E DEI MANUFATTI DI MATERIE PLASTICHE

Si tratta di un settore di giovane costituzione, concentrato anch'esso nelle aree di Lecce e di Galatina-Nardò. In queste zone, l'industria per la lavorazione dei prodotti derivati dalla chimica ha trovato un terreno molto favorevole di insediamento. Nonostante prevalga ancora la dimensione piccola e medio-piccola, il settore sembra avere le carte in regola per porsi in maniera competitiva sul mercato nazionale. le relative aziende, infatti, sono dotate di una efficiente struttura gestionale e di una tecnologia abbastanza avanzata.

INDUSTRIA MECCANICA

In questo comparto, non si è avuto l'indotto atteso in seguito all'installazione della Fiat-Allis. Si è verificato, invece, un processo di riconversione delle industrie esistenti, per adeguare le produzioni locali alla domanda di sub-fornitura che proveniva dalla fabbrica torinese. Da qui una vera e propria involuzione dell'industria meccanica, che si è adagiata sulle commesse Fiat, a basso contenuto tecnologico.
Solo a distanza di dieci anni, questo settore ha cominciato a staccarsi dalla dipendenza con la fabbrica torinese e ad agganciarsi di nuovo al mercato. Esteso ormai su tutto il territorio provinciale, il comparto registra una maggiore concentrazione nell'area di Lecce, seguita dai comprensori di Galatina-Nardò, di Casarano e di Maglie.

INDUSTRIA ALIMENTARE

Si tratta di un settore che ancora oggi non riesce ad imporsi come un sistema autonomo e integrato di imprese. Esso sconta gli effetti di un lungo e pesante sfruttamento da parte dei compratori esterni. Dedito essenzialmente alla prima trasformazione dei prodotti agricoli, ha dovuto fare i conti con un'organizzazione altamente autarchica, che ha compresso la domanda locale e ha costretto le aziende del comparto ad accettare le condizioni strozzistiche che venivano dal mercato esterno. Solo a partire dagli anni '60, in corrispondenza di accresciuti livelli di benessere, l'industria alimentare ha cominciato a svincolarsi dalle manovre speculative e ad acquistare dinamismo. Nonostante questo, il settore continua ad essere caratterizzato dalla presenza di imprese isolate fra loro. Quindi, è ancora lontano dall'acquistare importanza a livello regionale. La localizzazione delle aziende segue il principio della vicinanza con la zona di produzione agricola, come si può constatare soprattutto per il comparto dei vini e dell'olio. I maggiori insediamenti si riscontrano nell'area di Lecce e nell'area di Maglie-Nardò.

INDUSTRIA TESSILE

L'industria tessile deve il proprio sviluppo ad un'antica tradizione artigianale, largamente diffusa nel leccese. E' stata appunto l'esistenza di un contesto socio-economico naturalmente predisposto a dare le basi ad un settore di per sé ad alto rischio. Dopo aver conosciuto, negli anni '70, una crescita notevole, con importanti presenze aziendali soprattutto nelle aree di Lecce e di Casarano, l'industria tessile ha attraversato una fase involutiva che ha provocato la rapida contrazione del tessuto produttivo esistente. Il comparto che attualmente dà maggiori problemi è quello della maglieria, particolarmente diffuso nelle aree di Lecce, Casarano e Maglie. Meno preoccupanti appaiono, invece, le condizioni del comparto delle confezioni, concentrato nelle aree di Casarano e di Galatina-Nardò. Il comparto della biancheria per la casa, esteso soprattutto nelle zone di Nardò e di Maglie, ha sfruttato la naturale vocazione al ricamo per alimentare un mercato nero di notevoli dimensioni.

INDUSTRIA DEL LEGNO

Il settore, strettamente connesso all'edilizia, sconta gli effetti del negativo andamento di quest'ultima. A ciò si aggiunge una presenza industriale estremamente frazionata sul territorio e ancora alle prese con il processo di ristrutturazione interna. Il comparto che evidenzia maggiori difficoltà è quello degli infissi, più legato al settore edile e al mercato locale delle abitazioni. Quest'ultimo, in particolare, registra una tendenza alla personalizzazione tale da non rendere fattibile la produzione in serie, con gravi ripercussioni, in termini di costi, sull'industria in questione.

INDUSTRIA DELLE CALZATURE

L'industria delle calzature rappresenta un settore di notevole importanza per la provincia di Lecce. I maggiori insediamenti industriali si registrano nell'area jonico-meridionale: Casarano, come centro calzaturiero, è affermato ormai a livello internazionale. Purtroppo, le prospettive del settore non sono molto incoraggianti. L'entrato sul mercato di nuovi Paesi produttori, soprattutto della Spagna e dei Paesi dell'Est, rischia di mettere in crisi un assetto industriale ormai consolidato nel tessuto economico del Basso Salento, ma che, per troppo tempo, ha trascurato l'importante politica della diversificazione produttiva.

INDUSTRIA DELLA LAVORAZIONE DEL TABACCO IN FOGLIA

L'industria della lavorazione del tabacco è tipica della provincia di Lecce, soprattutto della parte meridionale di essa. Basata essenzialmente sulla lavorazione dei tabacchi orientali, ha avuto un enorme sviluppo nel decennio '71/-'81. Oggi, invece, deve fare i conti con l'atteggiamento ostile della CEE, che tende a penalizzare i tabacchi Sun Cured italiani, a favore delle più commerciali varietà americane.

SITUAZIONE INDUSTRIALE NEL BASSO SALENTO

Intervista al presidente dell'Assindustria della Provincia di Lecce, Sergio D'Oria:

- Io penso che, per gli anni futuri, l'industria potrà contare ancora sui settori tradizionali, quali quello delle calzature, dell'abbigliamento, metalmeccanico e alimentare. Si aprono però per questi comparti possibilità di sfruttamento diverse. Si pensi, ad esempio, alla prospettiva di unire il settore alimentare al settore agricolo: in termini di crescita, i benefici per entrambi questi comparti sarebbero notevoli. Non solo. lo stesso metalmeccanico, che fino a ieri era in genere un carpentiere metallico, ossia un saldatore, oggi tende ad estendere la propria attività a più fasi del processo produttivo. Il classico esempio è quello dell'abitacolo per la macchina a movimento terra: una volta, il metalmeccanico si limitava a saldare le lamiere; le fasi successive - del trattamento del materiale, della verniciatura, ecc. - erano svolte da altre aziende in ciò specializzate. Adesso, invece, la stessa Fiat sta cercando di raggruppare i fornitori. Per cui, se vediamo l'industria in quest'ottica, in futuro - ripeto - non ci saranno nuovi settori, ma ci sarà un potenziamento dei settori esistenti, i quali avranno la possibilità di sviluppo notevoli rispetto al passato.
- Secondo alcuni leaders di opinione, lo nostra provincia non ha uno preciso vocazione industriale. Per cui occorre valorizzare l'agricoltura e il turismo, quali settori portanti, e potenziare un'industria che sia di sostegno a questi settori. Lei è d'accordo con questa tesi o crede che esistano ostacoli all'industrializzazione diversi da quella che può essere la "naturale vocazione" dell'area?
- A me viene da sorridere quando si parla di. "naturale vocazione". Qui da noi, è tutta una cultura che non va. Quando, una volta fuori dall'ambiente scolastico, le aspirazioni occupazionali diventano i posti pubblici, allora non c'è settore - sia esso turistico, alberghiero o agricolo - che tenga. Quando un'azienda ha difficoltà di sopravvivenza in un ambiente come quello attuale, quando cioè l'ambiente esterno all'impresa è ostile alla stessa, con sistemi di trasporto e di servizi disastrati, che sia turistica o di altro tipo, l'industria sarà sempre un fallimento.
Quando, in presenza di una serie di black-out elettrici in tutto il Salento, si sente dichiarare dall'esperto di turno che il problema si sarebbe risolto con le prime piogge, perché l'acqua avrebbe portato via il pulviscolo, resta solo una considerazione da fare: che qui da noi qualunque tipo di produzione ha vita difficile. Perché non si possono risolvere i problemi in questi termini. Una questione culturale, dunque. Solo dopo aver superato questo primo enorme impatto, potremo discutere se esistono attività maggiormente favorite dal territorio. E' chiaro che, per sbloccare la situazione, è necessario cominciare dalla formazione dei giovani. Come si sa, in questo senso, si fa molto poco. Se prendiamo in esame le facoltà che esistono a Lecce, possiamo notare che tutte quante spingono all'aspettativa del posto fisso, compresa l'ultima facoltà di scienze bancarie. Ci troveremo, cioè, con 2.300 laureati in scienze bancarie che pretenderanno, prima o poi, di entrare negli istituti di credito. Non vedo, infatti, quale altra aspirazione possono avere; di certo, non quella di fare i finanzieri! Allora, fino a quando continuerà ad esserci l'attuale tipo di formazione, saranno tempi duri per tutti.
D'altra parte, abbiamo un sistema politico che, per esigenze elettorali, favorisce il protrarsi di questo stato di cose. Detto questo, è vero che la naturale vocazione della zona è quella turistica e agricolo-turistica. Anche se, nei riguardi dell'agricoltura, avrei molte riserve da fare: la proprietà è frazionatissima; le attrezzature e gli impianti sono molto ridotti rispetto ad altre zone. Non solo, ma alcuni tipi di produzione hanno fatto passi indietro. Così per il tabacco. Negli ultimi anni, la resa di questa coltura è aumentata, ma la sua qualità non è più quella di una volta. Siamo passati da un tabacco pregiatissimo ad un tabacco pessimo; da una produzione destinata all'America ad una produzione destinata prevalentemente ai mercati dell'Est, cioè ai mercati fuori della Comunità europea. Ritengo, quindi, che oggi l'industria turistica, più dell'agricoltura, possa avere uno sviluppo notevole. E qui mi sentirei di dire solo per una naturale vocazione di ospitalità, visto che i livelli di professionalità nel settore sono veramente scadenti. Anche l'offerta andrebbe standardizzata. Ad esempio, attualmente esiste una enorme disparità qualitativa nei posti letto offerti dalla provincia di Lecce. Per cui, sul mercato europeo, per non dire su quello mondiale, questo tipo di offerto non ha compratori. I grossi buyers esteri hanno bisogno di un certo numero di posti letto, con un dato standard qualitativo. Noi possiamo averne anche un numero maggiore, ma con standars qualitativi completamente diversi e, come sappiamo, più bassi. Purtroppo, l'industria turistica soffre di quella malattia - il sommerso - caratteristica di alcuni settori, dove la volontà di crescita c'è solo a parole. Il sommerso esiste fino a quando l'impresa non cresce: solo il locale che lavora, poniamo, tre mesi all'anno può avere un certo tipo di rapporto con i dipendenti. Quindi, secondo me, ci sono dei problemi di scelta. Si sceglie, cioè, di lavorare pochi mesi all'anno, perché altrimenti ci sarebbero dei ritorni negativi - si dovrebbe assicurare il personale, tanto per intenderci!
- In cosa si differenzia l'industria leccese da quella di Brindisi e di Taranto e che tipo di relazioni esistono tra queste aree?
- I tipi di industrializzazione sono completamente diversi, per cui i relativi collegamenti industriali appaiono di entità trascurabile. L'industria delle province di Taranto e di Brindisi si è basata sulla presenza di due grossi mostri: ltalsider e Montedison.
Nella provincia di Lecce, invece, l'industria ha avuto uno sviluppo diverso, privo di grandi apparati monoproduttivi. Quella che doveva essere una presenza notevole - parlo della Fiat-Allis - non è riuscito, in pratica, ad imporsi come tale. Per certi versi è stato un bene; per altri no, perché ci si aspettava tutto un indotto da sviluppare. E' stato un bene, invece, perché una eventuale crisi del settore avrebbe creato delle difficoltà notevoli, delle tensioni sociali inimmaginabili, come è avvenuto a Brindisi e a Taranto. A Lecce, invece, abbiamo un'industria estremamente polverizzato, molto più spinta al sommerso che all'emerso, con settori certamente obsoleti, ma anche molto flessibili.
Il settore che attualmente crea maggiori preoccupazioni è quello calzaturiero. E' un settore che ha avuto uno sviluppo notevole ma che, a causa della presenza di aziende di grandi dimensioni, risente immediatamente dei mutamenti e delle tensioni sul mercato internazionale.
- Che posto occupa Lecce industriale nella nostra regione?
- Secondo me, Lecce è al secondo posto dopo la provincia di Bari. Bari ha un bel tessuto industriale, molto variegato, con la grossa e la piccola dimensione. Ha, cioè, presenze importanti, ma anche una miriade di piccole e medie aziende, che danno dinamismo all'apparato produttivo locale. Di Taranto e di Brindisi abbiamo già parlato. Per quanto riguarda la provincia di Foggia, anche h vi sono presenze industriali notevoli, ma resta un'area a carattere prevalentemente agricolo. A Lecce, secondo me, abbiamo sbagliato nel sacrificare l'artigianato, quel tessuto, cioè, su cui poi far sviluppare l'industria. E abbiamo perso ricchezza in questo: l'industria creata solo con una serie di incentivi non sarà mai un'industria duratura.
- L'esplosione delle piccole imprese, soprattutto di quelle a conduzione familiare, può essere vista come una involuzione dello sviluppo industriale della nostra provincia?
- L'involuzione implica il passaggio da una forma giuridica avanzata ad una forma più elementare. Il che non è stato. Nel nostro caso, ritengo più giusto attribuire questo fenomeno al proliferare di aziende di nuova costituzione, dato che il modo più semplice per costituire una società èquello di dar vita ad un'azienda a conduzione familiare. Nonostante tutto, nella provincia di Lecce, abbiamo una vivacità notevole. Il problema è quello di vedere quante di queste aziende diventeranno società di capitali e quante di queste, invece, usciranno dal mercato o conserveranno la struttura familiare. Questa tendenza a trasformarsi in società di capitali c'è, anche se spesso è dettata solo dall'esigenza di limitare i rischi d'impresa.
- Fino a pochi anni fa, l'imprenditore salentino si caratterizzava per il suo eccessivo individualismo, la scarso apertura alle innovazioni tecnologiche, la mancanza di know-how dirigenziale. Oggi è cambiato qualcosa?
- Sì. L'imprenditore si è reso conto che il problema dell'innovazione tecnologica non poteva più essere trascurato. E si è reso conto di aver bisogno di una struttura adeguata all'interno della propria azienda. Per cui, oggi va alla ricerca di personale specializzato e di nuove figure professionali. Il grosso problema, e non solo per la nostra zona, è proprio la carenza di figure nuove, che porta poi ad uno squilibrio tra domanda e offerta; o meglio, ad una non coincidenza tra domanda e offerta: c'è una valanga di ragionieri, ma le aziende non ne hanno più bisogno; mentre mancano, e sono molto richiesti, esperti di finanza aziendale, esperti in problematiche energetiche, esperti in problemi ecologici. E torniamo anche qui al discorso sulla formazione scolastica. Noi sappiamo che il prodotto umano viene immesso sul mercato dopo un certo numero di anni. Per non rendere obsoleto tale prodotto è necessario prevedere quali figure professionali saranno richieste -poniamo - tra cinque anni. la prima esigenza che si pone è, allora, quella di adeguare l'informazione. Per fare un esempio. oggi, negli istituti tecnici commerciali, sono stati introdotti dei corsi di informatica.
E, secondo me, è un insegnamento sprecato, visto che il periodo di formazione di questi ragazzi supera, e di molto, quello di mutamento della tecnologia. Alla fine degli studi, essi conosceranno benissimo cose che sul mercato non esistono più.
- Nei riguardi degli incentivi statali nel Mezzogiorno, lei stesso ha detto che "è un sistema con vari inconvenienti: mancanza di un'adeguata selezione dei settori di intervento, afflusso di fondi verso imprese non sempre meritevoli, preferenza delle aziende pubbliche in virtù di uno loro migliore posizione nell'ambito del sistema ... ". Ci può parlare, a questo proposito, di quanto è avvenuto nel Basso Salento?
- Nel Basso Salento è successo la stessa cosa che è successa in tutto il Mezzogiorno. Anche il problema delle agevolazioni è di natura culturale. Si tratta, cioè, di soluzioni che guardano al Sud come ad una parte a sé stante del Paese. Sono oltre cento anni che si parla di legislazione per il Mezzogiorno. Ma ora è arrivato il momento di cambiare: non il numero della legge, bensì la filosofia di intervento. Bisogna pensare a strumenti operativi diversi. Bisogna guardare il problema in un'ottica più ampia. Gli strumenti agevolativi per lo sviluppo industriale dovrebbero essere trasparenti, automatici - perché più sono automatici, meno si prestano a gestioni "parrocchiali" - e immediati perché non è possibile aspettare ancora l'attuazione della "64". L'art. 12 di quest'ultima prevede agevolazioni per i servizi alle imprese del Mezzogiorno. Ma, ancora oggi, non esiste istituto di credito che abbia stipulato convenzioni. E ormai la "64" è diventata vecchia.
- Può fornirci un quadro della situazione occupazionale della nostra provincia?
- Certamente non navighiamo in buone acque. Abbiamo molta sottoccupazione. Tenendo conto degli ultimi avvenimenti verificatisi nel settore calzaturiero, neanche in futuro ci sarà da rallegrarsi: il problema occupazionale continuerò a destare serie preoccupazioni e al mondo imprenditoriale e al mondo sindacale.
- Rapporto tra industria e ambiente. Quali sono, nella nostra zona, le industrie che provocano maggiori problemi di inquinamento?
- Attualmente c'è tutta una serie di produzioni altamente inquinanti: il settore calzaturiero, ad esempio, e addirittura il settore alimentare. Quest'ultimo sforna dei sottoprodotti molto nocivi all'ambiente, come le acque di vegetazione dei frantoi. lo, però, sono convinto che l'industria oggi si stia rendendo conto della gravità del problema. In questo campo, il danno che uno arreca rimane e, prima o poi, viene fuori. Dopo dieci anni, ci sarò l'inquinamento prodotto in quei dieci anni e non nell'ultimo anno. Ed è un danno che, nel lungo periodo, finisce per ripercuotersi anche sull'azienda che lo ha provocato, con costi economici, oltre che sociali, enormi.
- Industria leccese e Mediterraneo: possibilità aperte verso questi Paesi?
- Il discorso riguardante i rapporti che si possono instaurare con i Paesi del bacino mediterraneo è, a mio parere, molto riduttivo. Non ci si può staccare dalla Comunità europea. Basti pensare alla guerra economica tra Italia e Grecia, tra Italia e Spagna, tra Grecia e Spagna: è una guerra che, penso, nessuno avrebbe immaginato. E avviene proprio perché questi Paesi fanno parte di un sistema economico e di interessi territoriali più grandi del bacino del Mediterraneo. Basta, quindi, guardare a Lecce come alla "porta d'Oriente"!
- E' nell'aria un Progetto-Salento...
Credo che sia il primo progetto serio atto a risolvere i problemi del Salento. Certo è che ci vorrà del tempo per andarlo a gestire e a proporre sul territorio. Quindi, il mio non è un avallo totale. Per esempio, il coinvolgimento delle strutture operanti sul territorio è stato ridotto. E questo anche per difficoltà delle strutture. Comunque, è un piano ambizioso, che abbraccia i campi più svariati, e che potrebbe segnare un'inversione di tendenza dell'economia provinciale.

L'industria del crimine

Un aspetto ancora da molti sottovalutato e che, invece, ha implicazioni enormi per lo sviluppo socio-economico della Puglia è l'esistenza di un tessuto criminoso che rischia di lasciare pochi spazi alla libera iniziativa. La Puglia del benessere, apparente e non, mostra l'altra faccia: quella di "terra di conquista" per mafia, camorra e 'ndrangheta. Oltre 800 chilometri di costa ancora tutti da sfruttare, omicidi a catena, rapine a mano armato, sequestri di persona, contrabbando, drogo. E poi, ancora, riciclaggio di denaro, investimenti "puliti", investimenti sporchi sempre in drogo o in armi, speculazioni edilizie: un giro enorme di capitali, di ricchezza e di miseria, in grado di creare dei dislivelli notevoli, se già non esistono. Un'emergenza economica. Ma non solo. Prima di tutto, un'emergenza sociale. Con quanto leggerezza si dice: "Puntiamo sui giovani". Ma guardateli questi giovani: gran parte di essi è già morto. Morto dentro. Morto di fumo, di sniffo, di eroina. Cosa importa loro di "assurde" leggi economiche, di industria e di agricoltura: in uno società che li sottomette e li spersonalizza. Non è questo ciò che vogliamo. Non è questa la Puglia che vogliamo. Lo sviluppo non può convivere con le regole spietate di un rinvenuto medioevo.
Moralismo fuori luogo, forse. Fatto sta che tutto si collega. L'economia è anche società. E come tale, prima o poi chiede giustizia.


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