§ Dietro le culture imperanti

Abbasso la spiegazione!




Giuliana Giuliani



Esiste o no, ancora, una cultura delle classi subalterne, non tanto caratterizzate da una dislocazione economica, quanto da un ruolo di portatrici di cultura? Certo, a prima vista e grosso modo, i dominanti economicamente sono anche i dominanti culturalmente, ma molte analisi approfondite sarebbero necessarie per stabilire come questo non sempre e non del tutto sia vero.
Nelle relazioni umane, pubbliche o private, non esiste mai un flusso unidirezionale ma, al contrario, accade come quando le acque di un fiume s'immettono in un lago: esse si mescolano e ne riescono, dando vita ad un nuovo corso. Trascuriamo, quindi, la definizione di cultura di cui ci si chiede ancora che cos'è, nonostante le oltre 250 definizioni che di essa sono state date. li problema è intellettualistico, posto nei termini del che cos'è. Non vogliamo porci neanche il quesito circa la sua genesi e i suoi sviluppi, ché molto è già stato detto da vari canali delle scienze umane ma, molto più semplicemente e modestamente, indirizzare la nostra attenzione ai mille modi quotidiani in cui essa si esprime e si trasforma e che cosa esso esprima e trasformi, manifestandosi. Non esistono, io credo, le culture, ma la cultura che solo un'indagine intelettualisticamente analitica amo sezionare ed etichettare come in un laboratorio botanico si fa con le foglie. Questo non vuoi dire che si sottovaluti il paziente e raffinatissimo lavoro, tanto proficuo in termini scientifici ed epistemologici, ma significa solo volersi prendere la licenza di vedere il problema sinteticamente, senza etichette e pretese dimostrative, una volta tanto in termini globali, correndo tutto il rischio della superficialità e genericità. Come, forse, non esistono gli amori ma l'amore, come non esistono i valori ma il valore, non i pensieri ma il pensiero e così via, forse non esistono neanche le culture, ma la cultura.
E' un'esigenza di monismo in un momento in cui l'analisi e l'etichetta dominano ogni forma di conoscenza. Il credo e la parte di verità che è contenuta nell'affermazione che tutto ciò che è specialistico è più approfondito e meglio conosciuto, rischiano di farci scambiare la conoscenza perfetta della goccia d'acqua con quella del mare. Ma potrebbe mai la più attenta analisi di laboratorio e la conoscenza più dettagliata di una goccia darci la visione del mare? Cerchiamo, presi da follia, una volta, di preferire il tutto alla parte e una visione diversa ci si presenterà. Dimentichiamo, per un attimo, ciò che di solito si chiama cultura e supponiamo che per poterne parlare si debba essere spinti dallo stesso amore che si esprime col timore e tremore con cui l'amante si avvicina all'amato e che con la stessa difficoltà si tenti di esprimere verbalmente un tale amore. Sappiamo già che le nostre parole saranno vaghe e confuse, che non troveranno la giusta collocazione, che l'ordine logico sarà dimenticato e che, invece, le parole verranno e si collocheranno laddove la percezione preconscia dell'altro le porterà a collocarsi. Seguendo tale spinto emotiva la fantasia dà forma a ideali interlocutori: essi sono i bambini, le donne, tutte le persone costrette e dimenticate nell'area della subcultura dai padroni del pensiero.
Forse è il momento di mettere un po' da parte il marxismo storico politico-socio-economico su cui tanto si è detto e fare spazio ad un marxismo nuovo, un po' meno ortodosso, forse, ma non per questo meno valido. E' così: la cultura dominante impone schemi linguistici e con essi quelli logici. La strutturazione della frase è quella che pone in maggiore o minore rilievo gli elementi costitutivi di essa e la loro predominanza. Così il cucciolo d'uomo si vede imposto un ordine del mondo che gli parcellizza la visione della totalità dell'esistenza così come il padrone gli impone la divisione del lavoro. Diventa preclusa la possibilità di creare propri schemi interpretativi, propri modelli e sistemi di riferimento.
Ma qualcosa urge e si ribella a tale coatto irreggimentazione della facoltà creativa, della potenzialità simbolizzante che ognuno ha il diritto di esprimere nella sua interazione col mondo. Non importa che i nostri riferimenti siano storicamente fondati o filosoficamente corretti: ogni riferimento è permesso alla capacità d'interpretare, d'intendere e di comprendere poiché un'ansia di libertà spinge ad uscire da dottrine imposte. Con questo non si vuole correre il rischio iconoclastico rispetto alla cultura ufficiale e dominante che pure ha fornito e continua a fornire risultati concreti e costruttivi in ogni ambito della conoscenza, ma si vuole solo rivendicare il diritto di uno spazio che consenta un altro mondo culturale senza il timore di venire immediatamente stigmatizzati, da parte della cultura ufficiale, con i soliti e triti giudizi di superstizione, facile credulità, fantasticheria, arbitrarietà, ecc. E' implicito in questi termini lo stigma di negatività e di rifiuto che relega automaticamente nel cantuccio della cultura subalterna ogni tentativo di creatività libera. l'abitudine di opporre antiteticamente il razionale e l'irrazionale, il vero e il falso, ha assolutizzato la cultura, ha creato la dogmaticità del pensiero, ha imposto camicie di forza ai criteri interpretativi del mondo.
Ma tutto questo può e deve essere riconosciuto come oscurantismo e assolutismo etico e noetico. Il fatto che la cultura dominante segua una strada di verità positiva non esclude la possibilità di altre verità e la rivendicazione di altri mondi conoscitivi che possono coesistere al medesimo livello di dignità ed ufficialità. E' solo così che l'umanità potrò cessare le sue lotte per il predominio e per quella sorta di selezione che avviene a livello culturale con ottuso accanimento. Fino a quando non sarà riconosciuto il diritto di pensare il mondo secondo il criterio delle possibilità e non dell'unica possibilità che in quanto tale non può e non deve essere unica perché diviene automaticamente determinismo assolutistico? l'infinito universo e mondi di bruniana memoria richiedono che sopra di noi si liberino i percorsi della conoscenza, che s'infranga la coppa della interpretazione obbligata e trasmessa coattivamente, che gli uomini siano liberi di costituirsi i propri territori di conoscenza così come si rivendica la medesima libertà per i territori geo-politici. E' rintracciabile nella storia del pensiero uno sforzo costante e frustrato di aprire strade e percorsi nuovi, ma è altrettanto costante lo sforzo di ridurli a viottoli o sentieri a cui, a malapena e non sempre, si riconosce il diritto di esistere e di permanere in condizione servile. Eppure è ormai necessario democratizzare la cultura, ricorrere all'abolizione della proprietà dei mezzi di produzione in termini culturali e riconoscere parità di diritti alla libera interpretazione del pensiero corso nei secoli, che non è patrimonio esclusivo della classe dominante, la quale ha pure affilato e perfezionato i suoi strumenti ermeneutici, esegetici e metodologici. Non solo perché allo stesso livello di perfezione e di approfondimento non è giunto la cultura subalterna, essa non ha il diritto di reclamare il posto che le spetta. Certo è di gran lunga inferiore la sua capacitò di diffusione e non possiede gli strumenti per imporsi a chi è stato costretto a credere che l'unica cultura sia quella dominante. Inibita, derisa, perseguitata nei secoli, è quasi morto sotto la cappa di disprezzo da cui è stato occultata. Ma, siccome non è morta, anzi manifesta chiari segni di crescita e di consapevolezza, faticosamente emergerà in una lotta per la sua autoaffermazione. Non è necessario pensare in termini di triade dialettica perché il pensiero è multidirezionale, non è necessario pensare in termini analitici perché il pensiero è anche sintetico, non è necessaria la coincidenza di intelletto e ragione e non necessariamente la logica subordina la creatività che è irrazionale perché affonda le sue origini nel caso. La totalità non coincide necessariamente col sistema. E' un diritto quello di far coesistere l'interpretazione del patrimonio culturale che la vicenda esistenziale di tanti uomini ci ha lasciato, con l'interpretazione dei grandi sacerdoti del tempio di un dio padre-padrone, autocrate, dispregiatore e punitore di figli non domati e consenzienti. i possibile leggere Platone, Gesù, Lao-Tzu secondo una percezione che è tipica delle donne e dei bambini, degli analfabeti.
Non è scoprire l'acqua calda porre questa ritornante esigenza; infatti tutto ciò non è nuovo e non si pretende di scoprire nulla. Si tratta solo di avere il coraggio di riproporre la richiesta senza accontentarsi di esistere in posizione subalterna, ma per rivendicare diritti paritari e concreti.
E' ora di rifiutare la conoscenza come risultato esclusivo di parametri e perimetri razionali o di quel che si vuole intendere per razionale. E' bello proporre una cultura alimentata dall'eros, una cultura che cessi di scrivere montagne di libri per lettori disinteressati emotivamente, sterili, non comunicanti eroticamente. Il linguaggio di eros non consente che si parli a chi non può stabilire col parlante un filo diretto di emotività affinché nella relazione, e solo nella relazione, si percorrano le strade che portano a quella verità che tutte le include e non procede per rigide selezioni.
La verità è tanto grande che può includere l'infinito universo del pensiero, è una madre che può consentire parità di diritti a tutti i suoi figli, senza stabilire, secondo schemi patriarcali, rigidi diritti di primogenitura.
Questa è una delle conquiste della cultura matriarcale: l'uguaglianza dei membri della collettività. Così come un figlio non è più figlio solo perché è più adulto e più forte, nessuna delle filiazioni della verità è più verità perché più adulta, più forte o più abile. la stessa identica verità, dalla suo misteriosa pianura, ha generato le forme che in un'immagine mobile dell'eternità, nel tempo, generano le innumerevoli creature dell'opinione. E l'opinione è retta quando la guida eros e solo quando la guida eros.
Uscire dallo schema imposto dalla conoscenza sensoriale, vero carcere per l'intuizione della totalità, vera camicia di forza dell'intelligenza, è la istanza psichica più profonda. Solo la rivalutazione del desiderio, questo misterioso figlio di Penia e di Poros, può assumere le funzioni di psicagogia.
La miseria dell'ambito sensoriale ci spinge alla ricerca dell'espediente che, come tale, è vario e diverso per ciascuno. Senza per questo misconoscere la legittimità di chi invoca come espediente la logica dialettica, si afferma come altrettanto lecito la ricerca condotta attraverso i sentieri della percezione emotiva, dell'arte, della poesia, del canto, della danza, della analogia. la verità si scopre, si svela in tanti modi e così come una madre non cessa di essere tale qualunque sia la modalità espressiva con la quale comunica, esso rimane verità comunque si manifesti. Ma una è la condizione ineliminabile per un contatto con lei: che la si ami e che la si ricerchi con quella devota trepidazione con cui l'amante cerca l'amato. La forza demiurgica che ha il compito di tradurre l'universale nel particolare, questa divina funzione dell'energia che è la vita, non reclama altro attributo che la libertà nelle sue infinite direzioni. Volersi tuffare in un contatto cosmico per percorrere e ripercorrere le vie delle nostre vicende esistenziali è legittimo quanto voler valorizzare le singole vicende di singole esistenze in singoli tempi e luoghi. E' responsabilità precisa degli intellettuali dell'Occidente aver relegato a culture subalterne i floridi campi della conoscenza sciamanica ed E. Zolla ne è acuto e dotto testimone. Perciò è tempo che si levino voci nuove per una rinnovata e mai spenta protesta.
L'antropocentrismo che ha elevato la cultura autocratica e logico-dialettica-matematica a solo criterio di conoscenza, prima o poi dovrà fare spazio al linguaggio dell'eros e ai suoi criteri interpretativi. Non è un caso che Gesù abbia sentito la grandezza dell'amore in Maddalena e in questo abbia avvertito la suo dignità che non è, secondo i parametri borghesi, addomesticamento o indottrinamento moralistico e culturale, ma genuina capacità d'amore con quella misteriosa e, perciò, divina follia di cui sono capaci gli uomini che cercano la verità solo perché la amano e hanno il coraggio d'amarla fuori da ogni schema imposto, categoriale, dimostrativo, pragmatistico e utilitaristico. Non è un caso che Platone introduca una donna, la Diotima del "Simposio" a narrare il mito di Eros. Il mito è retto opinione che integra e completo la ricerca razionale condotta nell'operosa relazione del dialogo. E questo rivendicano le culture subalterne: un metodo di ricerca dialogico, che non s'isterilisca in vuoti sofismi o fredde sistemazioni di schemi conoscitivi validi e utili, ma non adatti a compiere la sete di conoscenza che nasce nel mondo alato dei bambini, delle donne, dei semplici, i quali non vogliono essere convinti o indottrinati, ma presi per mano nella ricerca, da chi li ama. Il mondo dei padri-padroni, il mondo giudaico-cristiano che ha sostituito la sua rigida, teologale divinità agli dei, agli olimpici mitologemi, che ha popolato di tristi, sofferenti e sottomessi santi i giardini della libertà fantastica dei Greci, che ha introdotto il gusto per la macerazione introspettiva, sostituendolo al conto corale, a questo mondo nessuno nega il diritto di permanere, ma gli si nega quello di conculcare i diritti altrui. Poiché alla cultura del libro va sostituito quella del dialogo, non importa se parlata o scritta. La rivendicazione di libertà espressiva non ammette più che si scriva o si parli solo per spiegare, per insegnare schemi o precetti, per produrre il male del vuoto emotivo e, perciò, espressivo in chi - ascolta. Questo è un volto del male: la mancanza, il vuoto, la privazione delle ali. Si esige di guardare il male fuori dalle falsificazioni dotte, teologiche e moralistiche e lo si vuole vedere come ciò che non è, come vuoto e mancanza, appunto, come l'errore possibile solo nell'ignoranza della propria verità. Nessuno deve più osare di spiegare ad altri qual è la verità perché esso alberga in ogni uomo che viene al mondo ed egli solo ha il diritto di cercarla e di manifestarlo. La ferma asserzione di Gesù: "Io sono la verità" va riconsiderata come affermazione di libertà razional-emotiva, come diritto all'autodeterminazione. Tutto ciò non rifiuta l'apporto di ogni genere di conoscenza, ma soltanto la pretesa d'imporla spiegandola, perché la verità non si spiega ma si dispiega. A ciascun uomo tocca e compete solo di cercarla con amore ed in collaborazione con l'altro uomo e ad ognuno sarà lasciata la libertà di seguire i paradigmi che via via andrà scoprendo dentro di sé.
L'ossessività della spiegazione nei termini della cultura dominante deve lasciare il posto alla gioiosa libertà della ricerca, il sentimento d'inferiorità che opprime tutti coloro che non accettano o non conoscono tali termini deve lasciare il posto al sentimento di orgogliosa dignità in chi si sente portatore di termini e paradigmi differenti. Tutto questo non vuole essere né apologia del diverso, né esaltazione del contrario, ma semplice riflessione sulle possibili e prevedibili conseguenze che avrebbe il cambiamento nel modo di vivere la cultura. Essa non si dice, non si definisce, non si spiega, ma si vive. Vivere la cultura vuol dire seppellire definitivamente il concetto di tolleranza borghese dietro il quale si nasconde tutto il disprezzo del padrone per il servo, del fariseo per il pubblicano. Infatti fariseo è l'adulto nei confronti del bambino, l'uomo nei confronti della donna, il "colto" nei confronti dell'ignorante. E' ciò che a gran voce hanno detto Platone e Gesù e che fariseicamente è stato distorto e interpretato dagli schemi esplicativi della cultura dei padroni portatori, nei secoli, d'imperialismo culturale.
E' contro il monopolio imperialistico della cultura nel mondo che le donne si prendono il diritto di manifestare la cultura dell'eros portatore di parità in termini etico-emotivi. Nessuna logica dialettico-politico-economico convincerà mai la donna della necessità di veder ridotto a carne da cannone il frutto amato della sua potenza creativa: poiché, generare figli è, nonostante la retorica borghese, più che generare sistemi di pensiero e formule di dominio. La storia, per i semplici, è il susseguirsi gioioso delle generazioni e non la spiegazione di innumerevoli tentativi di sopraffazione autoritaria. Gli infiniti testi esplicativi serviranno in futuro per essere consultati dagli specialisti nella storia della dominazione del pensiero maschilista e l'anonimato che coprirà opere e vicende sarò il segno di un raggiunto livello di parità ed eguaglianza nate e cresciute sulla solidarietà del sentire.
Forse tutto questo ha il colore del semplicismo e dell'utopia, ma è augurabile che tale sia l'effetto sortito. E', infatti, utopia laddove si consideri che una rivoluzione culturale di tale portata, anche se oggi è sentita, compresa, attesa da molti, debba aver bisogno di lunghi tempi e di grandi rivolgimenti per attuarsi. Dovremo abituarci ad uscire dagli schemi che ci sono stati imposti e vedere che la storia per milioni di anni è stata solo l'avvicendarsi operoso di cicli vitali e smettere di chiamare storia solo le vicende della necessità economico-politica delle classi dominanti. Tutti siamo convinti che la storia è solo un'immagine mobile dell'eternità, ma per un timoroso rispetto, per un reverenziale culto del padrone, continuiamo a chiamare storia vicende e uomini che sarebbe assai meglio dimenticare.
E questo vale anche per tutti gli altri attrezzatissimi stands della cultura imposta all'umanità ormai da un discreto numero di millenni. Perciò è quasi ineliminabile il condizionamento di riferire, ai termini che sono stati riempiti dal significato imposto e sclerotizzato, immagini altrettanto sclerotiche ed autoritarie. Certo non sarà facile e breve il cammino che si dovrà compiere verso l'affermazione del diritto della parità delle culture e, soprattutto, sembra impensabile il decesso dell'attuale monarchia. Per la breve vita delle generazioni umane, il permanere di una situazione per qualche millennio assume le caratteristiche dell'inamovibile e unica realtà ma, per chi voglia spaziare con le ali della psiche, nella dimensione dell'eterno, tutto questo sembrerà un episodio nato dall'errore, dal vuoto, dalla perdita delle ali di eros da parte di una porzione dell'umanità che ha preteso di avere scoperto il tesoro della conoscenza, di avere denudato la verità.
Ma essa è una totalità generatrice di forme che solo l'eros rende riconoscibili. L'infinita varietà delle forme nasce parimenti dall'inesauribile moto cosmico quanto dall'altrettanto inesauribile capacitò della psiche di coglierle, interpretarle, seguirle. La responsabilità di pochi millenni, che hanno preteso d'imporre schemi conoscitivi e interpretativi, non è la storia, ma solo un frammento di esso che, invece, è ricerco, indagine e non spiegazione. Altri saranno, certo, i criteri che regoleranno il lavoro dell'uomo nel suo trasformare il mondo quando saranno detronizzati gli idoli del profitto e del dominio, quando la libertà di pensiero delle donne, degli sciamani, dei bambini, dei semplici riconoscerà se stessa nell'armonioso e pacifico fluire delle spiegazioni, impareranno tutti a giocare come il dio-fanciullo coi dadi, come il divino Krishna dai riccioli neri; quando tutti gli uomini, amando il mondo, lo interpreteranno liberamente, cesseranno di spiegarlo. E' semplicismo fantastico ed immaginativo, evasione di tipo mistico-escatologico-miIlenaristico? Forse no, perché nonostante tutto continuano ad esserci i bambini che non vogliono essere violentati dalla cultura degli adulti, le donne che desiderano parlare il linguaggio dell'eros, i semplici che non desiderano spiegazioni sulla vita ma la amano soltanto. Questa è la forza silenziosa, coatto, emarginata, disprezzata e sottovalutata, adatta, per ora, solo a consumare ciò che i padri-padroni producono, che lentamente creerà altri linguaggi e scoprirà altri orizzonti di libertà. Non richiede, naturalmente, spiegazione alcuna una tale immagine del mondo perché si vanta di non essere nata da schemi raziocinanti e analitici ma solo di avere balbettato un linguaggio che non può essere, per ora, altro che quello della cultura dei padri-padroni, i teologi, i farisei. In un'orgia di linguaggi esplicativi di sistemi e di riferimenti logico-scientifici, ci sia consentito esprimerci col divinamente semplice linguaggio platonico del quale si è voluto fare uso, con infantile tracotanza, per una breve ma sentito divagazione.

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000