§ Letteratura e fantasy

Le storie infinite




Ada Provenzano



Un oscuro Signore che tesse le sue paurose trame nel castello di Minas Morgul; i cinque Anelli del Potere che, una volta tutti in suo possesso, gli consentiranno di dominare il mondo; un pacifico personaggio che vive la sua vita, si direbbe oggi, preindustriale; un pellegrino, dietro le cui apparenze si nasconde un potente mago; la chiamata per una pericolosa missione: distruggere uno degli Anelli nel fuoco del Monte Fato, proprio al centro dei dominii delle Tenebre; l'aiuto dei popoli che si oppongono all'Oscuro Signore: Nani, Elfi, Uomini; il viaggio, gli agguati, i pericoli, le lotte per giungere alla meta; lo scontro decisivo tra le forze del Bene assoluto e quelle del Male assoluto; il contrastato compimento della missione; il ritorno a casa, che però non è più come la si è lasciata. Queste vicende, comuni a tanti miti, a tante leggende, a tante saghe, a tanto folklore, a tante favole, a tanta narrativa popolare di ogni tempo e paese, sono la succinta trama di uno dei capolavori (se non il capolavoro) della narrativa fantastica moderna, e che non per nulla è stato definito "la fiaba più lunga del mondo": il ciclo narrativo che comprende Lo Hobbit, apparso giusto mezzo secolo fa, e la trilogia de Il Signore degli Anelli, del 1954-55, prima dei quali e accanto ai quali si pongono almeno altri quattro volumi, ed il cui autore è, come tutti sanno, J.R.R. Tolkien.
Per penetrare in questo mondo totalmente fantastico, per percorrere le vie della Terra di Mezzo, così come quelle di tutti gli altri reami immaginari creati da tanti scrittori, è necessaria quella che uno dei primi poeti romantici inglesi, Samuel Coleridge, autore della Ballato del vecchio marinaio e di Kublay Khan, chiamava la "temporanea sospensione dell'incredulità". Il lettore deve cessare di essere incredulo e così, come il giovane protagonista di Michael Ende, entrerà in una "storia infinita". Lo spaesamento di tempo, spazio e modalità che caratterizza giù la fantascienza, nella fantasy raggiunge il suo culmine. Il lettore penetra in un'Altra Realtà e la vive accompagnato dallo scrittore, che si fa complice.
Non ha importanza del dove e del quando il mondo immaginario è situato; importante è invece che esso sia logico, coerente, razionale, per quanto illogiche, incoerenti e irrazionali siano le sue premesse in rapporto al quotidiano. Di conseguenza, maggiori saranno i dettagli che lo caratterizzano, maggiore la sua verosimiglianza, e più grande la partecipazione del lettore (ecco il motivo, tra l'altro, per cui cicli, trilogie, tetralogie, pentalogie di fantasy hanno tanta fortuna).
Si potrà allora avere per sfondo la Terra di un lontanissimo passato o di un lontanissimo futuro, un remoto pianeta ai margini della Galassia o un mondo del tutto inventato, inesistente, senza collocazione spaziale o temporale.
Uno dei più popolari cicli fantastici, o meglio di heroic fantasy, è senza dubbio quello di Conan, il barbaro cimmero che visse durante l'Era Hyboriana, cioè 12.000 anni fa, nel periodo fra l'inabissamento di Atlantide e i primi documenti storici. Robert Howard, suicida a trent'anni, nel 1936, gli dedicò solo un romanzo e una ventina di racconti, ma il personaggio e la sua ambientazione erano così vividi e originali, carichi di suggestione, che vennero ripresi e rielaborati da altri scrittori: inizialmente, da L.S. de Camp, Lin Carter e Bjorn Nyberg, che completarono racconti lasciati a metà da Howard, sue trame e spunti, quindi scrissero racconti e romanzi ex novo.Tutta l'epopea hyboriana è stata tradotta in dieci volumi: Conan il conquistatore, Conan l'avventuriero, Conan, Conan l'usurpatore, Conan di Cimmerio, Conan il pirata, Conan lo zingaro, Conan il guerriero, L'Era Hyboriana di Conan il Cimmero, Conan il bucaniere.Di recente, il personaggio è stato ripreso da altri due autori che, insieme con i tre precedenti, gli hanno dato nuova vitalità: si tratto di quattro romanzi: Conan il barbaro e Conan il liberatore, di de Camp, Carter e Nyberg; Conan e la strada dei re, di Karl Edward Wagner; e Conan il ribelle, di Paul Anderson, questi ultimi due, in verità, assai più all'altezza di Howard dei loro colleghi.
Ma chi era Conan, e perché affascina tanto? La storia di Howard narra di uno schiavo che diventa bandito e infine sale al trono di AquiIonia: il personaggio è un eroe nel senso classico del termine, ispirato alla mitologia celtica. Le sue avventure si svolgono su uno sfondo esotico e fantastico che ricorda da un lato la sontuosità delle Mille e una notte, e dall'altro la crudeltà delle saghe nordiche. Aspetti che, da soli, fanno capire il motivo del suo successo. Diecimila anni fa, quando il Mediterraneo era ancora un deserto, si svolge invece un'altra epopea fantastica, che ha per protagonista un Conan femminile, anzi due: Goccia di Fiamma e Ombra di Lancia (è il colore dei loro capelli), che sono delle giovani amazzoni che fanno la guerra e l'amore con molto vigore in una realtà fantasiosissima, a volte grottesca, a volte semplicemente assurda, rutilante d'invenzioni e di trovate. Meraviglierà sapere che l'autore non è americano, ma italiano, non vive a Los Angeles, ma a Livorno, non si chiama Jack o Paul o Robert, ma solo Gianluigi Zuddas, e ha pubblicato dal 1979, unico per ora nel nostro Paese, questo ciclo di fantasia eroica, formato per ora da cinque romanzi e qualche racconto: Amazon, Il volo dell'angelo, Le guerriere del sottosuolo, Le amazzoni del Sud, Stella di Gondwana.
In un lontano futuro crepuscolare, alla fine del tempo, quando il sole sta per spegnersi, allorché la magia e la stregoneria hanno preso il posto della scienza, si svolgono due altri famosi cicli fantasy: la serie di racconti che Clark Ashton Smith negli anni Trenta dedicò al continente di Zotique; e la serie di storie brevi e lunghe che Jack Vance ha scritto sulla Terra Morente (in tre volumi, raccolti in Crepuscolo di un mondo e Rhialto il Meraviglioso), imperniate soprattutto su un singolare e simpatico personaggio, Cugel l'Astuto, poi ripreso da un altro scrittore, Michael Shea, con il consenso di Vance, nel romanzo Simbilis.
Anche un mondo alieno può ospitare un'epopea fantasy: lo sfondo medievaleggiante, la presenza di esseri mitici, lo svolgersi di avvenimenti irreali non possono certo far definire fantascienza le vicende dei terrestri precipitati sul pianeta Darkover, dei loro discendenti, dello scontro con i nativi e le loro leggende narrate, dal 1958, da Marion Zimmer Bradley in innumerevoli romanzi, sei dei quali tradotti in italiano: L'erede di Hastur, La torre proibita, La catena spezzata, L'esilio di Sharra, Naufragio sul pianeta Darkover, La spada incantata.
La fantasia eroica può essere ambientata dove meglio crede il suo autore. Privilegiati, però, sono i mondi barbarici "alla Conan" (ecco alloro i suoi epigoni: Brak, di John Jakes, Thongor di Lin Carter, Priester John di K.E. Wagner, ecc.) e quelli ispirati al Medio Evo europeo, e quindi ai miti del ciclo arturiano e ad altri miti dello stesso periodo, spesso di origine celtica. Mary Stewart ha scritto una serie di romanzi, nei quali è reinventata l'intera materia "bretone", ma che hanno al centro soprattutto la figura di Merlino. La grotta di cristallo, Le grotte nelle montagne, L'ultimo incantesimo, Il giorno fatale.Prydain, eroe delle leggende celtiche, che da guardiano di porci diventa re, è invece il protagonista di tre romanzi di Lloyd Alexander, riuniti ne La saga di Prydain. Un immaginario regno della Francia medievale vede agire la bellissima regina Jirel, indomita amazzone che deve affrontare magie e incantesimi, stregoni e dèmoni: la creò negli anni Trenta Catherina L. Moore, in una serie di famosissimi racconti, tradotti da noi col titolo Jirel di Joiry.
Mondi completamente immaginari sono stati ideati da Fritz Leiber con Nehwon, dove si svolgono le avventure di due simpatici bricconi, Fafhrd e Gray Mouser (Le spade di Lankhmar, Il mondo di Nehwon, Spade fra i ghiacci); da Ursula Le Guin con Earthsea, formato da arcipelaghi e grandi oceani, teatro delle gesta di Ged, il giovane mago in cerca di potere e di conoscenza (11 mago di Earthsea, Le tombe di Atuan, La spiaggia più lontana); e recentemente da David Eddings con Maragor, la magica terra dove Garion intraprende la sua ricerca per portare l'Orb, la gemma portentosa che protegge i regni d'Occidente, nella reggia dei re di Riva (Il segno della profezia, La regina della magia, La valle di Aldur). A differenza del pedissequo Terry Brooks, Eddings ha veramente assimilato la lezione di Tolkien.
Naturalmente, i mondi creati dalla fantasia (dalla buona fantasy ed heroic fantasy) sono innumerevoli, e sempre più in crescita proprio perché la domanda di immaginario da parte del pubblico continua ad aumentare.
Non solo lo spazio è precluso all'uomo, ma anche il mare; non soltanto gli abissi galattici, ma anche quelli sottomarini. Siamo fatti per camminare, non per volare o per nuotare in apnea. Non possediamo ali, né branchie. In un lontano futuro, chissà ... La fantasia degli scrittori, per lasciar da parte gli scienziati, a partire da Leonardo, si è sbizzarrita, presa dal fascino di queste due dimensioni in apparenza proibite all'umanità, dal loro mistero, dal senso dell'avventura che da esse promana. Il parallelismo tra i due elementi è forse, tra parentesi, anche all'origine di un fatto curioso: da sempre la fantascienza ha adottato il lessico della nautica per riferirsi allo spazio. Si parla di "marina spaziale", ad esempio, per tacere dei gradi di bordo (ammiraglio, guardiamarina, ecc.) e dei vari tipi di astronavi (corazzata, incrociatore, vedetta, cargo, e così via).
Il mare, sia terrestre sia alieno, è quindi spesso al centro di fantasie più o meno verosimili nei suoi molteplici aspetti: il viaggio e l'esplorazione subacquea, la vita umana al di sotto della superficie, il contatto con le sue creature, la guerra del futuro, le catastrofi naturali, da oltre un secolo sono stati già ampiamente descritti, di pari passo, o anche prima, alle speculazioni scientifiche.
Chi non ricorda il capitano Nemo e il suo Nautilus? Da 120 anni - Ventimila leghe sotto i mari è del 1870 - questo "viaggio straordinario" di Jules Verne affascina generazioni di ragazzi, accompagnandoli nella scoperta del mondo sottomarino, dei suoi pericoli (la piovra, i ghiacci), delle sue avventure (la caccia, il ritrovamento dei resti di Atlantide), dei suoi lati tragici (l'affondamento del vascello inglese, i funerali del marinaio). Il tema è stato affrontato anche da due altri "padri" della moderna fantascienza: H.G. Wells nel suo racconto Negli abissi, del 1896, e A. Conan Doyle nel breve romanzo L'abisso di Atlantide, del 1927, descrivono l'esplorazione sottomarina con una batisfera: ma mentre i coraggiosi di Wells scoprono un popolo di uomini-pesce ostile, quelli del "padre" di Sherlock Holmes sono accolti benevolmente e, anzi, ingaggiano una lotta psichica con un'entità malvagia, alla fine sconfiggendola. Di recente si è avuta una nuova versione di questo tipo di esplorazione classica, anche se in un certo senso obbligata: un sommergibile atomico deve infatti sfuggire all'incendio delle "fasce di Van Allen" e cercare una soluzione che impedisca la totale distruzione del pianeta: dal film Viaggio in fondo al mare, nel 1961 lo scrittore Theodore Sturgeon ha tratto un romanzo col medesimo titolo; per non parlare della serie televisiva che lo seguì.
Una volta esplorato il mare, non resta che colonizzarlo. E i modi sono due. Il primo è quello di creare una serie di strutture artificiali che permettono all'uomo di sopravvivere in un ambiente che non è il suo: sono le famose cupole sottomarine trasparenti, che ricordano quelle consimili descritte su mondi inospitali (luna e Marte soprattutto), nei romanzi degli anni Cinquanta. Sono infatti di quel periodo La città in fondo al mare (1951) di Wilson Tucker, e una famosa trilogia per ragazzi di Frederik Pohl e Jack Williamson, di cui in Italia sono stati tradotti La città degli abissi e La giungla sotto il mare. Ne l guardiani del mare, Arthur C. Clarke trasferisce un astronauta dagli spazi alle profondità del mare, dove lavora come sorvegliante di una mandria di . . . balene.
Il secondo modo di colonizzare gli abissi marini è quello di trasformare l'uomo stesso, adattandolo a vivere nell'acqua. Secondo gli storici della fantascienza, la prima opera che affrontò questo tema di vera e propria ingegneria biologica fu The Water Babies di Charles Kingsley (1863). Un secolo dopo, di operazioni chirurgiche tali da trasformare gli esseri umani in anfibi o addirittura in "pesci" trattano molto melodrammaticamente Schiavi degli abissi di Kenneth Bulmer (1957) e Nati dall'abisso di Hal Clement (1973), l'idea di un adattamento fisico a condizioni ambientali aliene è stato poi sviluppato da James Blish con Il seme tra le stelle (1956) e da A.E. van Vogt con I polimorfi (1964), in cui si descrive la diffusione nello spazio e su pianeti inospitali di una umanità modificata ad hoc.
Il mare non è deserto, ma ha già degli abitanti.I romanzi più recenti, scritti cioè dopo che è insorto il problema della sovrappopolazione, dell'alimentazione nel futuro, e dopo gli studi sull'intelligenza dei delfini del professor Lilly, hanno affrontato anche questo problema. Nelle opere di fantascienza in cui si descrive la civilizzazione dei fondali marini, la costruzione di industrie per lo sfruttamento del plancton, di "fattorie" per l'allevamento di cetacei, il delfino fa da protagonista, come ad esempio in Le porte dell'oceano di Arthur Clarke (1963). L'intelligenza di questo mammifero viene considerata tale da Leo Szilard, scienziato ungherese poi trapiantato negli Stati Uniti, che esso viene descritto come il successore dell'uomo in La voce dei delfini, del 1961. Viceversa, esso potrà diventare anche uno strumento di morte in mano agli uomini senza scrupoli, come invece pensa lo scrittore francese Robert Merle in La notte dei delfini (1969), da cui in seguito è stato tratto un film.
La civiltà umana ha però anche un aspetto distruttivo.Della guerra sottomarina del futuro trattano due bei romanzi: si tratta di Smg Ram 2000 (1956), l'opera che descrive le vicende di un sommergibile-killer e che rivelò il talento di Frank Herbert, il futuro autore di Dune; l'altra è Le navi di PavIov di Frederik Pohl (1957), una delle prime che utilizza contemporaneamente il tema degli animali come strumenti bellici al servizio dei loro padroni.
Mentre un tempo gli eroi dovevano affrontare i pericoli rappresentati dalle creature marine, in seguito è il mare in sé a costituire un pericolo. Ecco due opposte catastrofi: ne Il vampiro del mare di Charles Eric Maine (1958), un'esplosione atomica subacquea provoca una voragine di tale ampiezza che il mare viene pian piano risucchiato, con un abbassamento del suo livello dalle prevedibili conseguenze. Caso inverso in Deserto d'acqua di J.G. Ballard (1962): il mare si è innalzato a tal punto da aver sommerso tutto. Ma mentre il primo è un classico romanzo d'avventura e d'azione, Ballard - venuto di recente alla ribalta per il suo L'impero del Sole, da cui Spielberg ha tratto l'omonimo film - gioca tutto il suo registro su temi interiori e simbolici (il mare è psicanaliticamente inteso come l'inconscio). Entrambi gli autori sono inglesi, degni eredi del catastrofismo di Wells e di Wyndham, unici nel loro genere.
Naturalmente, gli scrittori di fantascienza non hanno preso in considerazione soltanto la colonizzazione dei mari terrestri, ma anche di quelli alieni. Basterà qui ricordarne due su Venere, da sempre ritenuto un pianeta acqueo: Furia di Henry Kuttner (1974), e Gli oceani di Venere di Isaac Asimov (1954), terzo delle sei avventure di David "Lucky" Starr, scritta per i ragazzi dal "Buon Dottore" con lo pseudonimo di "Paul French": tradotto in moltissime lingue. Altri due bei romanzi ambientati su mondi quasi completamente coperti dal mare, ma questa volta al di fuori del Sistema Solare, sono Pianeta d'acqua di Jack Vance (1966), e Voci di Terra lontano di Arthur Clarke (1986): ambedue non si limitano all'aspetto avventuroso e sociologico, ma tentano con verosimiglianza di indagare anche nelle implicazioni "politiche" che potrebbero derivare da un mondo così strutturato.
Merita infine un cenno il pianeta liquido per eccellenza: Solaris del polacco Stanislaw Lem (1961). Qui il mondo vivente, intorno al quale orbitano gli astronauti terrestri, è l'evidente simbolo della materia primigenia da cui nasce la vita: e infatti dalla sua superficie prendono forma i sogni, le fantasie, i terrori e i rimorsi degli uomini che vorrebbero studiarlo e invece ne sono studiati.
Dicevamo dei delfini e del loro ruolo nella letteratura fantastica. Anche le balene hanno avuto un ruolo nella letteratura ispirata dalla realtà quotidiana, e dai miti, dalle leggende, dai racconti dei protagonisti della caccia a questi cetacei. "Ma /'argomento più affascinante -scrive in una ricostruzione storica il Sole 24 Ore - è quello dei rapporti intercorsi tra l'uomo e la balena nello scorrere dei secoli, attraverso un'enorme quantità di leggende, credenze, simboli, narrazioni, raffigurazioni, e una vasta letteratura popolare e scientifica. Fin dall'antichità, si è trattato di rapporti appassionati ma ambigui, nei quali si sono mescolate paure, superstizioni, magie e credenze religiose".
In altre parole, la balena venne identificata immediatamente per "la mostruosità più oscena e terrificante", fu simbolo della potenza devastatrice del mare, come i draghi erano simbolo della potenza devastatrice della terra. Così, se il primo a incontrarla, nel IV secolo a.C., fu Nearco (che la descrisse immensa come una montagna, capace di muovere a tempesta il mare, terrorizzando i marinai), coloro che seguirono tennero in minor conto la "natura divina" del "mostro" descritto nel Libro di Giona, nei Salmi e nell'Apocalisse, e la resero più vicina all'uomo, sia nelle considerazioni di ordine morale e filosofico-religioso (Hobbes, nel suo Leviatan), sia nelle narrazioni di ordine fantastico, e sempre a sfondo morale (Collodi e l'immortale Pinocchio), sia infine in quelle di pura avventura (Moby Dick di Melville, e in un certo senso anche Il vecchio e il mare, di Hemingway e del suo straordinario, gigantesco pesce).
E tuttavia, la letteratura fantastica, forse proprio dopo il capolavoro del grande scrittore americano, ha abbandonato il mare, per rivolgersi al cielo. Era il 1898, quando i primi marziani invasero la Terra, scendendo dalle loro navi spaziali e mettendo a ferro e fuoco Londra. Scopo finale, nutrirsi del sangue dei terrestri. Cronista attento di quei terribili momenti fu George Wells, non a caso ritenuto il fondatore (con La guerra dei mondi) della fantascienza moderna. Prima di lui, di Marte avevano parlato Swift nei Viaggi di Gulliver e Voltaire in Micromégas. Ma nessuno si era spinto fino a tanto.
Ben oltre si spinse, nel 1938, Orson Welles. Erano i giorni della radio e di Halloween. Ispirandosi all'altro Wells, inventò la radiocronaca, minuto per minuto, dell'invasione marziana dell'America: paura, terrore, sparatorie e fughe, morti e feriti. Ci sarebbero volute le foto del Viking per dimostrare che il pianeta rosso era disabitato e che quella marziana non poteva essere che un'armata fantasma.
Ma i terrestri non demordono. Con gli anni Cinquanta, riemerge una complessa letteratura: libri, cinema, televisione, fumetti. Proprio del '50 è Cronache marziane di Ray Bradbury, la Bibbia del genere, diario - mese per mese - dal gennaio 1999 all'ottobre 2026, di quel che accadrà sul Pianeta Rosso. Del '51 è un altro classico, Le sabbie di Morte, di Arthur C. Clarke, il futuribile Omero di 2001 - Odissea nello spazio. Sempre del '51 è Ultimatum alla Terra, e, in tema di film, di due anni dopo è Guerra dei Mondi. Nel '50 morì Edgar Rice Burroughs, passato alla storia per il suo Tarzan, ma anche attento tessitore di un ciclo marziano a più romanzi.
L'avvento della "guerra fredda" portò subito alla fantapolitica. L'America sparava i suoi razzi interstellari, mentre gli invasori extraterrestri venivano identificati con spie venute dal freddo. I conquistatori giungevano da un altro Pianeta Rosso, tutto terrestre, quello dell'Impero del Male, con capitale Mosca.
Certo, la fantapolitica mescolata alla fantascienza dà anche risultati concreti: oggi sappiamo che i russi vogliono sbarcare su Morte. Data stabilita, secondo gli esperti: il 7 novembre 2017, sei giorni dopo Halloween. Vi sbarcheranno insieme con gli americani? E' probabile. Ma, in fondo, anche questo era stato previsto, se è vero, come è vero, che l'eventualità fa venire a mente un vecchio racconto, nel quale si narrava che proprio a Marte apriva la sede il primo movimento interplanetario che aveva come slogan: "Lavoratori di tutti i pianeti, unitevi!". Il racconto è del 1931. Lo scrisse Nat Schachner, scrittore americano di sinistra. Marte, dunque, è stato per i narratori quel che la luna è stata per i poeti. E' stato molto più, comunque, di Venere, o di Kripton, o di altri pianeti nati nella fantasia umana, emersi da epopee narrate soprattutto sulle mitiche, e mitologiche, pagine di Amazing Stories, Planet Stories, Astounding Stories, e di tutte le altre riviste di fantascienza che dal '26 in poi narrano odissee spaziali e iliadi interstellari, cosmiche commedie e perduti paradisi della Via Lattea.
Ma che cosa accade se un marziano, pacifico, e persino pieno di buona volontà, capita dalle parti del nostro pianeta? Ce ne parla Ennio Flaiano, nel suo indimenticabile Marziano a Roma: costui andrebbe di gran moda per qualche tempo, sarebbe conteso da scienziati e uomini di mondo, da letterati salottieri e da proprietari di circhi equestri; poi finirebbe nel dimenticatoio, come tutte le cose dei nostri vecchi mondi. D'altra parte, qualcosa del genere non era stata già anticipato dal saggio, immaginifico Bradbury? Agosto 2005. Marte ha perso tutto il suo fascino di pianeta sconosciuto, è ormai un soggiorno di lusso per vecchi danarosi. Quelli che una volta andavano in Florida, "gente come albicocche secche", scrive Bradbury, smitizzando tutto e tutti: perché anche i miti vanno in pensione. O in soffitta.

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