"Siasi
intanto, come si voglia, li maniera, come ci sia venuto il nostro Pizzofao,
o Falanida, è certo però, che la di lui piantagione tra
di noi v'è riuscita con prospero successo, allignandovi benissimo,
cosicchè la coltura dello stesso è propria de' Tricasini,
sconosciut'affatto negli altri distretti, e non ostante, che il feudo
Tricasino sia ristrettissimo ( ... ), pure di sì fatti alberi
se ne numerano al di là di 500, oltr' i novelli, che s'allevano,
e tutti proceri, e di smisurato grossezza, ed altezza, e che bastantemente
indicano esser'annosi".
FERDINANDO MARIA ORLANDI, Dell'Arte del Pelacane, e della Valonea, che
si ritrae in Tricase ne Salentini, e degli Marocchini, che quivi stesso
si preparano, Presso Gaetano Raimondi, Napoli, MDCCXCIV, pp. 33-34.
Tra le querce
salentine (Q. ilex L., leccio, lezze in volgare; Q. calliprinos Webb,
spinosa, pseudococcifera portakermes e pseudococcifera falsaportkermes,
brunitte in volgare (1) ), la Vallonea - falamida, pizzofago, pizzofao,
solo nel volgare tricasino, dove specifica è la sua distribuzione
fitogeografica - "costituisce l'entità botanica forse
più rappresentativa e controverso della flora salentina".(2).
Distinta dalla linneana Quercus Aegilops, la Vallonea salentina "sembra
tutta riferibile alla subsp. macrolepis (Kotschy) A. COMUS" (3).
La quercia Vallonea, la cui vasta nomenclatura ha dato luogo a differenti
interpretazioni, è specie propria del bacino mediterraneo orientale.
Essa si trova allo stato naturale in Asia Minore. Pure primario il
suo areale è nella regione libanese e in Palestina. Presente
specialmente nell'area siriaca, estende le sue propaggini asiatiche
nei territori alto-mesopotamici. In Europa la Quercus aegilops è
distribuita in numerosissime province continentali quanto insulari
egee. In Albania si trova ovunque. In Italia, invece. ha un ristrettissimo
areale nelle province ionico-salentine. L'estrema terra bi-mare pugliese,
dove più intensi sono i legami eco-fitobio-geologici con le
zone transadriatiche albanesi ed epirote, "rappresenta il limite
occidentale dell'creale dove tale specie può sussistere e riprodursi".(4)
Oltre che nell'antica circoscrizione di Terra d'Otranto, la Vallonea
si riscontra sporadica in provincia di Matera e "forse anche
nella parte jonica della Lucania ( ... ) e nel bosco della Ficuzza
in Sicilia" (5). Presente in pochi Orti Botanici della Penisola.
Sulla origine e coltivazione della sottospecie macrolepis nel Salento,
contrastanti ipotesi si sono succedute nel tempo. Secondo l'opinione
di alcuni (F. Scaramuzzi ne riporto le notizie (6) ) sembrerebbe che
la specie sia stata introdotta, nell'area tricasina specialmente,
(pare dai Saraceni), intorno al secolo XV, a motivo anche della sua
notevole importanza economica nell'arte della concia (dalle cupole
della quercia si ricava una eccellente qualità di sostanze
tanniche, un tempo richiestissime nella pratica tintoria per la colorazione
delle pelli; infatti, "in passato tali cupole alimentavano, sotto
il nome di vallonea, un fiorente commercio" (7), ora del tutto
scomparso per via della industrializzazione chimica del processo produttivo).
Altri autori E Carano, 1934; R. Congedo, 1974), invece, propendono,
nonostante il ristretto areale, per l'indigenato della Vallonea nella
nicchia fitologica tricasina. La considerano, infatti, spontanea,
probabilmente (Congedo) specie relitta.
Per la valorizzazione economica dei prodotti della Q. macrolepis salentina,
secondo l'opinione del sacerdote Ferdinando Maria Orlandi, cultore
di agronomia, vissuto tra la prima e la seconda metà del secolo
diciottesimo (a Tricase), non dobbiamo attribuire ai Saraceni, nei
secoli quattro-cinquecenteschi(8), l'introduzione in area messapica
dell'arte conciaria connessa all'uso delle cupole tanniche della Vallonea
(l'industria del Pelacane, per l'appunto), né tanto meno l'impianto
della specie. A favore dell'ipotesi che confuta la diffusione della
Vallonea nel Salento ad opera delle genti saracene, di contro, invece,
quella che attribuisce agli Arabi la pratica della concia e quindi
dello sfruttamento delle galle della macrolepis (presente, quindi,
appena prima dell'anno 1000), sempre l'Orlandi ce ne dà testimonianza.
A riguardo dell'origine dell'arte tricasina del Pelacane, l'Autore
asserisce che la stessa "fiorì tra di loro - gli Arabi,
n.d.r. - ne' vecchi tempi, singolarizzandosi infra tutte l'altre nazioni
nella maniera di preparare i cuoi degli animali ( ... ). Il Marrocchino,
il Cardovano, il Bazano, che noi ora corrottamente diciamo Vezano,
( ... ) sono nomi di cuoi d'animali conci, che non d'altronde ci sono
venuti, che dagli Arabi, da' quali forse ancora ci sarà trosfuso
la maniera attuale di conciarli" (9).
A ulteriore riprova della presenza della falamida tricasina in epoca
anteriore alle scorrerie saracene, la notizia che "ai torbidi
tempi dell'immortale Federico II" (10) risalgono lo Jus Gabellae
Auripellis - "diritto di indorare le pelli, riservato alla Curia"
(11) - e lo Jus Gallae - la gabella della galla era "similissima
ai dritti proibitivi della manna, del tabacco, e dell'acquavita"(12)
- ci assicura - assieme all'altro diritto feudale relativo all'uso
delle galle proprio della Vallonea ("anche ne' vecchi tempi la
gallozzola entrava nella concia de'cuoi" (13) - della pratica
tintoria allora (XIII sec.) sviluppata anche nel Salento, e quindi,
di conseguenza, della diffusione della macrolepis in Tricase, così
necessaria ai pelacani o gallicaj tricasini (così erano chiamati
i cittadini di Tricase (14) ) nella loro importante arte dei conciapelli.
Al di là di ogni ipotesi sull'indigenato o meno dell'essenza
in questione - pur di primario interesse botanico ed anche storico
-, rimane comunque significativo il fatto della limitata distribuzione
della specie in area tricasina soprattutto (che molto in passato contribuì
a rendere famosa Tricase, per il commercio delle galle e dei prodotti
tintori: "l'albero volgarmente detto Falanida, tanto necessario
a Pelaconi (15) nella concia delle pelli, e la di cui cultura s'è
resa quasi propria de' Tricasini, sconosciuta, o non curata dagli
altri" (16) ).
La quercia macrolepis salentina - che si differenzia morfologicamente
dalla Vallonea propriamente detta per ben precisi caratteri distintivi,
dal Camus rilevati (17) -, un tempo diffusa in ampie zone provinciali,
già nella metà del secolo scorso risultava circoscritta
in ristretti lembi del Capo di Leuca. Il maestoso albero (può
superare i 15 metri, ed avere un diametro considerevole, come quello
sito in contrada "Fannocchiaro" di Tricase, "ove sorge
un piccolo bosco dominato da un maestoso esemplare - la Vallonea "dei
cento cavalieri", n.d.r. - di almeno un metro di diametro, vero
e proprio monumento naturale" (18) ) di molto ridottosi nei primi
decenni dell'800 a pochi esemplari isolati nei coltivi o cresciuti
negli interstizi dei muri a secco delimità-proprietà,
suscitò l'interessamento appassionato di alcuni botanici salentini
del tempo. Tra questi, G. Stella, profondo conoscitore della flora
salentina, nonché per molti anni direttore dell'Orto Botanico
di Lecce, perorando la causa dell'innesto della Vallonea sulle altre
essenze quercine salentine, già allora ne intravide la decadenza
e per questo si adoprò incessantemente per una sua più
massiccia diffusione. Assicuratosi, difatti, della esistenza "in
provincia di siffatta importantissimo quercia, non restava che escogitare
come moltiplicarla facilmente, rapidamente" (19). Anche al fine
di una resa produttiva, non secondaria, lo Stella esortò più
volte, dalla sua tribuna di segretario perpetuo della prestigiosa
Società Economica di Terra d'Otranto, i proprietari terrieri
salentini a voler trapiantare la utile pianta. "Ciò posto
- dirà lo stesso - noi preghiamo i nostri proprietari di tali
estese macchie e boschi i querce indigene a moltiplicare per mezzo
dell'innesto la quercia vallonea; poiché avranno fra pochi
anni una rendita forse non inferiore e più sicura di quella
degli ulivi" (20).
La Vallonea salentina, alle soglie del Novecento ormai ammiserita
a pochi radi esemplari, perlopiù radicati in terreni rocciosi,
spesso a pendìo, a ridotto strato humale, specialmente nei
primi decenni del nostro secolo, quando maggiore si farà sentire
"La necessità di adibire i buoni terreni a colture più
redditizie - specialmente il tabacco di tipo orientale -"(21)
e più concorrenziali si riveleranno gli estratti tannici nell'industria
conciaria (con la relativa "caduta dei prezzi delle cupole di
vallonea" (22) ), vedrà diminuire sempre più il
suo peraltro esiguo spazio coltivo. In tutto il Salento la superficie
coltivata a Vallonea andò irrimediabilmente restringendosi
fino a scomparire del tutto ai nostri giorni.
Sotto l'aspetto pedologico, per il suo fitto sistema radicale che
consente alla pianta di penetrare in terreni anche ingratissimi, per
la estrema capacità adattativa a climi caldo-secchi (è
specie eliofila, "più xerofila del leccio ma con minore
tolleranza per il freddo" (23) ) la falamida tricasina può
trovare facile diffusione nelle contrade rurali del Capo di Leuca
specialmente, dove maggiori si rilevano - lungo la costiera Otranto-Leuca
- le precipitazioni meteoriche, favorendo peraltro la germinazione
precoce delle ghiande (24).
Ma una scarsa attenzione agli aspetti ecologici della pianta, ha fatto
sì - tra l'altro - che l'incuria umana prendesse, ci nostri
giorni, il sopravvento.
Della falamida tricasina, un tempo oggetto di numerose attenzioni,
il presente non vede che pochi, perlopiù isolati, esemplari.
La Vallonea salentina, con le sue diverse razze (Marmarigna, Rizza,
Mezzamarmarigna, Mezzarizza, e Rosa doppia (25) ), oggi è diffusa
nella penisola salentina in ben delimitate stazioni. Quasi sempre
in forma solitaria - "Piuttosto rari sono i gruppi di piante
di una certa dimensione, limitandosi al solo "Boschetto"
di Tricase la presenza di una formazione definibile bosco, anche se
fortemente antropizzata" (26) -, la pianta si rinviene spesso
in prossimità di muretti delimitanti coltivi o proprietà
(come in località "Pecorara", nella proprietà
De Donno, masseria omonima, in agro di Scorrano, dove si allinea con
diversi esemplari). L'areale fitogeografico in cui più numerosi
sono gli individui - anche associati -, risulta quello della ristretta
zona costiera adriatica delimitata dalla strada intercomunale che
da Marittima porta a Gagliano del Capo (toccando rispettivamente i
centri di Andrano, Depressa, Tricase, Caprarica del Capo, Tiggiano
e Corsano). Una maestosa Vallonea, dall'imponente corona si segnala
a Corigliano d'Otranto, dove è detta Palamida (27), Alizza
(di solito con il termine lizza o lezze si indica il leccio, Quercus
ilex) (28) o Valagna (29). L'esemplare in questione viene individuato
anche dal Marinosci: "v'ha un secolare individuo presso Otranto
che pare non potrebbesi ritener come spontaneo, finché non
se ne trovasse almeno qualche altro indizio" (30), dirà
l'insigne medicobotanico di Terra d'Otranto.
La quercia Vallonea (sottospecie macrolepis), chiamato pure genericamente
nel Salento quercia greca (31), è altresì presente nelle
stazioni di rinvenimento comprese in aree ricadenti nei limiti amministrativi
dei seguenti centri della provincia leccese (in ordine alfabetico):
Alessano, Cannole, Castrignano del Capo, Corigliano d'Otranto, Corsano,
Cutrofiano, Gallipoli, Giurdignano, Lecce (nei pressi degli Uffici
Finanziari, in viale Gallipoli, dove prima sorgeva l'Orto Botanico
cittadino), Otranto, Scorrano, Supersano, Tiggiano, Tricase (con le
frazioni di Sant'Eufemia e Tutino) e Vernole (dove si chiama Lizza-castagna
(32) ); esemplari di Vallonea si rinvengono infine nella zona del
Capo japigico (33).
L'areale distributivo della Quercus macrolepis K. nel Salento si completa
con le estreme stazioni di rinvenimento riscontrate a Tuturano (Brindisi
(34) ). Il Donno, nel 1942, segnala esemplari di Vallonea perfino
a Taranto.
L'azione antropica, nel Salento pure selvaggiamente distruttrice di
ecosistemi ben armonici, ha, nel corso di questi ultimi decenni specialmente,
provocato l'arresto di ogni naturale accrescimento della elegante
e imponente specie quercina. Cessata, poi, fin dal 1930, ogni attività
forestale anche minimamente interessante la Vallonea, gli anni del
rimboschimento post-bellico (dal 1950 a tutto il 1964 la provincia
di Lecce è interessata da un intenso piano di forestazione
che vede messi a bosco centinaia di nudi ettari del litorale adriatico
e jonico soprattutto, in precedenza - dal 1923 a tutti gli anni Quaranta
- toccati dall'iniziale opera forestativa (35) ) non hanno inciso
nella diffusione artificiale della specie. Soltanto nel 1965, timidamente
la Vallonea riappare "con un novello ritorno, volto alla conservazione
della specie, alla difesa del suolo e dei valori naturalistici dimenticati"
(36).
La Falamida tricasina, inserita come è in una nicchia ecologica
dai peculiari riscontri fitoecologici e geo-pedologici (37), che ben
la individua in una zona dai dati termopluviometrici propri (a clima
sub-umido e a stagione invernale decisamente temperata (38) ), con
la suo pure differenziato struttura biologica (39), difficilmente
percepibile agli occhi di un non competente, si segnala per parametri
vegetativi di certo non simili a quelli riscontrabili in vaste aree
elleniche ed anatoliche, dove la specie vegeta in suoli semiaridi.
L'insieme dei dati climatici, il profilo geologico cui si inserisce
(il tricasino è caratterizzato da rocce cretacee, compatte,
coperte da leggere pellicole di terreno vegetale - "terra rossa"
-, che vanno sotto il nome di "calcari di Melissano"), fanno
del ristretto areale tricasino "un vero e proprio distretto,
climaticamente differenziato nell'ambito della subregione geografica
salentina" (40).
La Quercus gollam (o Galla dolce o marmorea, come veniva chiamata
nel Brindisino (41) ), l'epirota Falanida, "quella che si ha
in Tricase, detta volgarmente Pizzofao" (42), divenuta la Falamida
tricasina, ha di certo subito nel Salento, nel corso del tempo, dei
pur lievi mutamenti fitologici (le svariate e bizzarre forme della
ghianda e della cupola ne sono peraltro segno), tali da caratterizzare
l'essenza e renderla peculiare rispetto alla linneana aegilops, di
cui ne èesaltante sottospecie.
Della Vallonea salentina, purtroppo ridotta a men che relitto di un'epoca
che la vedeva protagonista in arte (del Pelacane) come in coltivazione
("poiché le ghiande grossissime e dolci si mangiano come
le migliori castagne" (43) ) dei richiami culturali (antropologica
mente radicati non solo nei mestieri degli artigiani salentini del
passato) che la stesso suscitava (tra i ruderi del convento basiliano
dell'Abbazia di S. Nicola di Casole, in agro di Otranto, ad es., su
un architrave, nel calcare certo in disfacimento, si possono vedere
scolpite le foglie e i frutti di Vallonea (44) ), il presente è
quasi dimentico. E le parole dello Stella (ancora una volta) - quando
accorato si rivolgeva ai proprietari terrieri della seconda metà
del secolo scorso, per perorare la causa dell'innesto della quercia
tricasina nei fondi della provincia -, stanno tuttora a ricordarci
l'importanza non solo agraria della specie, ai nostri tempi tanto
poco conosciuto quanto, per questo, affatto apprezzata. "Noi
però non mancheremo di fare in quest'anno degli estesi vivai
della vallonea per mezzo de'semi, onde a suo tempo dame gratuitamente
le piccole piante o coloro che ameranno introdurre quest'utilissima
coltivazione nei propri poderi" (45).
Valania - Falania
- Falanida
Storia di un
termine
Sul significato
del termine Vallonea, indicante genericamente la quercia aegilops
- tra l'altro, nei vari idiomi del bacino orientale del Mediterraneo
chiamata orci Galla di levante, Gallone di levante, Egiloto, Coccio
(a motivo delle galle o dei frutti che vanno sotto il nome appunto
di Coccio e di Vallonea), o più genericamente Ver quercia o
Drus, come in Grecia (cfr. R. CONGEDO, op. cit., p. 53) -, contrastanti
interpretazioni si sono col tempo succedute. la vasta gamma di denominazioni
attribuite alla specie linneana, d'altronde, ha, poi, fatto sì
che sul nome Vallonea, volgarmente definito, molti si siano trovati
d'accordo: la facile e generica identificazione ha quindi prevalso
sulla disputa terminologica.
Sull'origine della voce Falamida o Falanida (Tricase) e Vallonea (Venezia),
l'Orlandi, in nota alla sua citata Memoria (pp. 27-28), si intrattiene
dottamente. A tal proposito, lo stesso - condividendo il parere di
un illustre uomo di scienza, il James (estensore di un pregevole Dizionario
di Medicina) -, rileva come il nome Vallonea, attribuito alla linneana
aegilops - "la quercia dalle ghiande saporite", cara a Giove
per la sua maestosità e l'imponenza del suo portamento, segno
di solenne sacralità A. Di Berenger) -, non sia una derivazione
etimologica dell'albanese Vallona -l'odierna Valona -, dove assai
diffusa è la specie quercina. Il sacerdote tricasino propende
invece per un richiamo linguistico con Vallonia (località dalmata),
l'antica Apollonia. Peraltro, all'accorto ecclesiastico, più
verosimilmente, pare che la "Valoneo de' Veneziani" e Ia
Falanida salentina, "si sieno formate dalla Valania de' bassi
tempi, di cui troviamo fatto menzione negli statuti Deziarj Riparice
cap. 12. fol. 4. rapportati dal du Cange nel suo Gloss. Med. &
Inf. Latinit. in detto voce, per cui non s'intendeva altro allora,
che una specie di ghianda appellato da Latini Balanus. Dal Latino
Balanus dunque deriva l'antica Valania, e da questo scambiandosi di
leggieri l'a in o, e l'i in e, si è fatta la Valonea Veneziana.
L'antica Valania poi coll'andar del tempo sè pronunciato Falania:
questa sempre più corrompendosi colla giunta d'un d in fine
ho prodotto lo moderna nostra Falanida Salentina" (p. 28).
NOTE
1) Sulla quercia spinosa e il relativo poliformismo salentino, cfr.
C. CONGEDO, La Vallonea. Natura ed arte, Mario Congedo Editore, Galatina,
1974, specificamente le pp. 68-72. Notizie più dettagliate
sulla quercia spinosa nel Salento, sua diffusione e peculiare inserimento
nel contesto fitogeografico locale, si rilevano, tra gli altri, in:
P. BIANCO, M.A. CASTELLANO, G. PIRO, B. SCHIRONE, "Sulla distribuzione
della quercia spinosa in Puglia", in Annali della Facoltà
di Agraria dell'Università di Bari, vol. XX-XII, 1981-1982,
specificamente le pp. 278-290; S. SABATO, "Considerazioni sul
significato fitogeografico ed ecologico di Quercus coccifera L. s.l.
nel Salento (Puglia)", in Webbia, v. 27, 1972, pp. 517-549; F.
CHIESURA LORENZONI, L. CURTI, G.G. LORENZONI, A. LUCATO, S. MARCHIORI,
"Ricerche fitosociologiche sulle cenosi a Quercia spinosa del
Salento (Puglia)", in Not. Fitosoc., v. 8, 1974, pp. 45-64.
2) F. VITA, V. LEONE, "La distribuzione attuale di 'Quercus macrolepis'
Kotschy in Puglia. Aspetti fitoecologici e firosociologici",
in Bollettino della Società Geografica Italiana, Serie X, v.
XII, 1983, p. 35.
3) R. CORTI, E. MAGINI, "Vallonea (Quercus Aegilops L.)",
in monti e boschi, VI (1955), n. 11-12, pp. 558-559.
4) F. VITA, V. LEONE, op. cit., p. 35.
5) G. DONNO, "Sulla diffusione della Quercus Aegilops L. e sulla
determinazione dell'entità esistente nella provincia di Lecce",
in Annali della Facoltà di Agraria della R. Università
di Napoli, Serie III, v. XIV, 1942, p. 6.
6) Secondo tale ipotesi, furono i Saraceni ad introdurre la quercia
Vallonea nei siti tricasini. A tal proposito - ma anche per una prospettiva
non solo storica, botanica soprattutto - cfr. F. SCARAMUZZI, "Ricerche
sul ciclo riproduttivo di specie del genere Quercus nella flora italiana.
V. Osservazioni sul ciclo riproduttivo e sulla embriologia di Quercus
aegilops L.", in Atti Acc. Ital. Sc. For., Firenze, 1960, pp.
289-322.
7) R. CORTI, E. MAGINI, op. cit., p. 559.
8) vedi nota 6.
9) F. M. ORLANDI, Dell'arte del Pelacane e della Valonea, che si ritrae
in Tricase ne Salentini, e degli Marocchini, che quivi stesso si preparano,
Presso Gaetano Raimondi, Napoli, MDCCXCIV, p. 9.
10) Ibidem, p. 10.
11) R. CONGEDO, op. cit., p. 98, nota 2.
12) F. M. ORLANDI, op. cit., p. 12.
13) lbidem, p. 12.
14) Cfr. R. CONGEDO, op. cit., p. 98, nota 3.
15) Gli artigiani tricasini, i pelacani per l'appunto, usavano per
le fasi lavorative più impegnative un arnese, l'ascia coriaria,
indispensabile per tagliare o scarnificare specialmente pelli. La
voce pelacao, dal greco, significa difatti lavorare con l'ascia o
la scure (pelecus) (cfr. ibidem, pp. 141-142; per un esame approfondito
dell'arte tricasina del Pelacane, sino al lento e progressivo declino
degli ultimi anni dell'Ottocento, si vedano le pp. 149 e sgg.).
16) F. M. ORLANDI, op. cit., p. 26.
17) Per un esame attento delle differenze morfologiche tra le due
sottospecie quercine, cfr. G. DONNO, op. cit., P. 9-11.
18) P. PARENZAN, Puglia Marittima, Congedo, Galatina, 1983, v. I,
p. 51.
19) G. STELLA, Della quercia vallonea quercus aegilops e sua facile
moltiplicazione coll'innesto sulle querce indigene della provincia,
memoria letta nella riunione de' 30 aprile 1846 della Società
Economica della provincia di Terra d'Otranto dal suo segretario perpetuo,
Tip. F.sco Del Vecchio, Lecce, 1847, p. 6.
20) lbidem, p. 7.
21) S. SAULI, "La quercia vallonea", in L'Agricoltura Salentina,
XXVI (1933), n. 3, marzo, p. 83.
22) lbidem, p. 83.
23) R. CORTI, E. MAGINI, op. cit., p. 559.
24) I frutti della Vallonea maturano, di solito, nel secondo anno.
Le cupole che li racchiudono sono le più grandi di molte specie
quercine, ed abbracciano anche più della metà del frutto.
La ghianda di Vallonea, per l'aspetto peculiare che assume, con la
cupola le cui folte squame circondano il frutto a mo' di sopracciglia,
ha dato all'albero - tra la vasta nomenclatura di riferimento - il
nome di "occhio di capra" (così viene chiamata la
Vallonea in Grecia). Il termine aegilops, infatti, per alcuni viene
fatto risalire appunto a "occhio di capra", "(da aix
= copra) e da op (radice di orao = vedere)" (R. CONGEDO, op.
cit., p. 53, nota 2).
25) Le differenti varietà di falamida esistenti nel territorio
di Tricase sono state studiate da A. BIASCO, e se ne trova debita
descrizione nel suo La Quercia Vallonea, R. Tipografia Editrice Salentina
F.lli Spacciante, Lecce, 1912, al quale si rimanda per più
analitici riscontri, anche di carattere generale.
26) F. VITA, V. LEONE, op. cit., pp. 36-37.
27) Cfr. G. DONNO, op. cit., p. 11.
28) Cfr. R. CONGEDO, op. cit., p. 55.
29) Cfr. ibidem, p. 55.
30) M. MARINOSCI, La Flora Salentina, Tipografia Editrice Salentina,
Lecce, 1870 (edizione curata da C. DE GIORGI) pp. 198-199.
31) Cfr. R. CONGEDO, op. cit., p. 53.
32) Cfr. ibidem, p. 56.
33) Le stazioni di rinvenimento elencate sono ricavate da F. VITA,
V. LEONE, op. cit., p. 39, tabella 1. Per un più particolareggiato
esame - anche con le località segnalate - della diffusione
della macrolepis salentina (con gli autori del rinvenimento), si rimanda
al testo e alla ricca bibliografia di approfondimento (pp. 52-54).
34) La stazione di Tuturano, già rinvenuta da G. Donno (1942),
nel 1961 prima (rinvenimento di P. Bianco) e nel 1983 poi (F. Vita
e V. Leone), ulteriormente arricchita di nuovi riscontri, si è
rivelata di primaria importanza fito-geografica.
35) Per un esame, pur parziale, delle fasi di forestazione nel Salento,
dispiegatesi a partire dagli anni della "Bonifica Integrale"
(1923), cfr. M. MAINARDI, "Le aree boschive in provincia di Lecce",
in Terra d'Otranto, Nuova serie, III (1986), n. 4, dic., specificamente
le pp. 92-95.
36) R. CONGEDO, op. cit., p. 189.
37) Per un esame approfondito degli aspetti fito-ecologici e geo-pedologici
della Vallonea nel Salento cfr. F. VITA, V. LEONE, op. cit., pp. 37-42.
38) l dati climatici del distretto fitogeografico tricasino si trovano
in ibidem, pp. 42-45.
39) Gli aspetti biologici della specie in questione si trovano scientificamente
trattati in G. DONNO, "Sulla biologia carpologica della Vallonea
Quercus Aegilops L. subsp. macrolepis (Kotsky) Camus", in Annali
della Facoltà di Agraria della R. Università di Napoli,
Serie III, v. XIV, 1942. Sempre sulla struttura biologica della macrolepis,
in un contesto più ampio concernente le principali essenze
quercine a frutto commestibile, si veda quanto dice lo stesso Autore
nel suo "Le querci a ghiande eduli", in Annali della Facoltà
di Agraria della R. Università di Napoli, Serie III, v. X,
1939.
40) F. VITA, V. LEONE, op. cit., p. 52.
41) Cfr. R. CONGEDO, op. cit., p. 56, nota 7.
42) F. M. ORLANDI, op. cit., p. 27.
43) G. STELLA, op. cit., p. 5.
44) La leggenda vuole che la Vallonea fu portata nel Salento dalle
comunità monastiche basiliane intorno all'anno 1000, quando
dal Peloponneso e dall'Anatolia specialmente frequenti erano le fughe
di intere schiere cenobotiche dagli insicuri siti ottomani verso i
più tranquilli lidi italici. La fantasia popolare ci dice che
la quercia greca fu introdotta proprio dal cenobio basiliano di San
Nicola di Càsole, presso Otranto. La comunità monastica
in questione, "costretto ad abbandonare l'Asia Minore perché
perseguitata dal Sultano di Costantinopoli, nella fuga, essendo priva
di vettovaglie, sostituì a queste dei sacchi di ghiande, caricandole
sui velieri. ( ... ) Qui giunti - al Capo idruntino, n.d.r. -, i monaci
vi si stabilirono definitivamente ed, essendo stati in ogni epoca
dei grandi selvicultori, seminarono nei torrenti costieri le ghiande,
sicché in breve le contrade intorno a Tricase e Otranto si
trasformarono in querceti rigogliosi, la cui specie aveva trovato
adattissimi al loro prosperare sia i terreni che il clima salentini"
(brano riportato da R. CONGEDO, op. cit., pp. 138-139).
45) G. STELLA, op. cit., p. 9.
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