§ La Falanida de' Tricasini

La Vallonea salentina tra passato e presente




Michele Mainardi



"Siasi intanto, come si voglia, li maniera, come ci sia venuto il nostro Pizzofao, o Falanida, è certo però, che la di lui piantagione tra di noi v'è riuscita con prospero successo, allignandovi benissimo, cosicchè la coltura dello stesso è propria de' Tricasini, sconosciut'affatto negli altri distretti, e non ostante, che il feudo Tricasino sia ristrettissimo ( ... ), pure di sì fatti alberi se ne numerano al di là di 500, oltr' i novelli, che s'allevano, e tutti proceri, e di smisurato grossezza, ed altezza, e che bastantemente indicano esser'annosi".
FERDINANDO MARIA ORLANDI, Dell'Arte del Pelacane, e della Valonea, che si ritrae in Tricase ne Salentini, e degli Marocchini, che quivi stesso si preparano, Presso Gaetano Raimondi, Napoli, MDCCXCIV, pp. 33-34.

Tra le querce salentine (Q. ilex L., leccio, lezze in volgare; Q. calliprinos Webb, spinosa, pseudococcifera portakermes e pseudococcifera falsaportkermes, brunitte in volgare (1) ), la Vallonea - falamida, pizzofago, pizzofao, solo nel volgare tricasino, dove specifica è la sua distribuzione fitogeografica - "costituisce l'entità botanica forse più rappresentativa e controverso della flora salentina".(2).
Distinta dalla linneana Quercus Aegilops, la Vallonea salentina "sembra tutta riferibile alla subsp. macrolepis (Kotschy) A. COMUS" (3).
La quercia Vallonea, la cui vasta nomenclatura ha dato luogo a differenti interpretazioni, è specie propria del bacino mediterraneo orientale. Essa si trova allo stato naturale in Asia Minore. Pure primario il suo areale è nella regione libanese e in Palestina. Presente specialmente nell'area siriaca, estende le sue propaggini asiatiche nei territori alto-mesopotamici. In Europa la Quercus aegilops è distribuita in numerosissime province continentali quanto insulari egee. In Albania si trova ovunque. In Italia, invece. ha un ristrettissimo areale nelle province ionico-salentine. L'estrema terra bi-mare pugliese, dove più intensi sono i legami eco-fitobio-geologici con le zone transadriatiche albanesi ed epirote, "rappresenta il limite occidentale dell'creale dove tale specie può sussistere e riprodursi".(4)
Oltre che nell'antica circoscrizione di Terra d'Otranto, la Vallonea si riscontra sporadica in provincia di Matera e "forse anche nella parte jonica della Lucania ( ... ) e nel bosco della Ficuzza in Sicilia" (5). Presente in pochi Orti Botanici della Penisola.
Sulla origine e coltivazione della sottospecie macrolepis nel Salento, contrastanti ipotesi si sono succedute nel tempo. Secondo l'opinione di alcuni (F. Scaramuzzi ne riporto le notizie (6) ) sembrerebbe che la specie sia stata introdotta, nell'area tricasina specialmente, (pare dai Saraceni), intorno al secolo XV, a motivo anche della sua notevole importanza economica nell'arte della concia (dalle cupole della quercia si ricava una eccellente qualità di sostanze tanniche, un tempo richiestissime nella pratica tintoria per la colorazione delle pelli; infatti, "in passato tali cupole alimentavano, sotto il nome di vallonea, un fiorente commercio" (7), ora del tutto scomparso per via della industrializzazione chimica del processo produttivo).
Altri autori E Carano, 1934; R. Congedo, 1974), invece, propendono, nonostante il ristretto areale, per l'indigenato della Vallonea nella nicchia fitologica tricasina. La considerano, infatti, spontanea, probabilmente (Congedo) specie relitta.
Per la valorizzazione economica dei prodotti della Q. macrolepis salentina, secondo l'opinione del sacerdote Ferdinando Maria Orlandi, cultore di agronomia, vissuto tra la prima e la seconda metà del secolo diciottesimo (a Tricase), non dobbiamo attribuire ai Saraceni, nei secoli quattro-cinquecenteschi(8), l'introduzione in area messapica dell'arte conciaria connessa all'uso delle cupole tanniche della Vallonea (l'industria del Pelacane, per l'appunto), né tanto meno l'impianto della specie. A favore dell'ipotesi che confuta la diffusione della Vallonea nel Salento ad opera delle genti saracene, di contro, invece, quella che attribuisce agli Arabi la pratica della concia e quindi dello sfruttamento delle galle della macrolepis (presente, quindi, appena prima dell'anno 1000), sempre l'Orlandi ce ne dà testimonianza. A riguardo dell'origine dell'arte tricasina del Pelacane, l'Autore asserisce che la stessa "fiorì tra di loro - gli Arabi, n.d.r. - ne' vecchi tempi, singolarizzandosi infra tutte l'altre nazioni nella maniera di preparare i cuoi degli animali ( ... ). Il Marrocchino, il Cardovano, il Bazano, che noi ora corrottamente diciamo Vezano, ( ... ) sono nomi di cuoi d'animali conci, che non d'altronde ci sono venuti, che dagli Arabi, da' quali forse ancora ci sarà trosfuso la maniera attuale di conciarli" (9).
A ulteriore riprova della presenza della falamida tricasina in epoca anteriore alle scorrerie saracene, la notizia che "ai torbidi tempi dell'immortale Federico II" (10) risalgono lo Jus Gabellae Auripellis - "diritto di indorare le pelli, riservato alla Curia" (11) - e lo Jus Gallae - la gabella della galla era "similissima ai dritti proibitivi della manna, del tabacco, e dell'acquavita"(12) - ci assicura - assieme all'altro diritto feudale relativo all'uso delle galle proprio della Vallonea ("anche ne' vecchi tempi la gallozzola entrava nella concia de'cuoi" (13) - della pratica tintoria allora (XIII sec.) sviluppata anche nel Salento, e quindi, di conseguenza, della diffusione della macrolepis in Tricase, così necessaria ai pelacani o gallicaj tricasini (così erano chiamati i cittadini di Tricase (14) ) nella loro importante arte dei conciapelli.
Al di là di ogni ipotesi sull'indigenato o meno dell'essenza in questione - pur di primario interesse botanico ed anche storico -, rimane comunque significativo il fatto della limitata distribuzione della specie in area tricasina soprattutto (che molto in passato contribuì a rendere famosa Tricase, per il commercio delle galle e dei prodotti tintori: "l'albero volgarmente detto Falanida, tanto necessario a Pelaconi (15) nella concia delle pelli, e la di cui cultura s'è resa quasi propria de' Tricasini, sconosciuta, o non curata dagli altri" (16) ).
La quercia macrolepis salentina - che si differenzia morfologicamente dalla Vallonea propriamente detta per ben precisi caratteri distintivi, dal Camus rilevati (17) -, un tempo diffusa in ampie zone provinciali, già nella metà del secolo scorso risultava circoscritta in ristretti lembi del Capo di Leuca. Il maestoso albero (può superare i 15 metri, ed avere un diametro considerevole, come quello sito in contrada "Fannocchiaro" di Tricase, "ove sorge un piccolo bosco dominato da un maestoso esemplare - la Vallonea "dei cento cavalieri", n.d.r. - di almeno un metro di diametro, vero e proprio monumento naturale" (18) ) di molto ridottosi nei primi decenni dell'800 a pochi esemplari isolati nei coltivi o cresciuti negli interstizi dei muri a secco delimità-proprietà, suscitò l'interessamento appassionato di alcuni botanici salentini del tempo. Tra questi, G. Stella, profondo conoscitore della flora salentina, nonché per molti anni direttore dell'Orto Botanico di Lecce, perorando la causa dell'innesto della Vallonea sulle altre essenze quercine salentine, già allora ne intravide la decadenza e per questo si adoprò incessantemente per una sua più massiccia diffusione. Assicuratosi, difatti, della esistenza "in provincia di siffatta importantissimo quercia, non restava che escogitare come moltiplicarla facilmente, rapidamente" (19). Anche al fine di una resa produttiva, non secondaria, lo Stella esortò più volte, dalla sua tribuna di segretario perpetuo della prestigiosa Società Economica di Terra d'Otranto, i proprietari terrieri salentini a voler trapiantare la utile pianta. "Ciò posto - dirà lo stesso - noi preghiamo i nostri proprietari di tali estese macchie e boschi i querce indigene a moltiplicare per mezzo dell'innesto la quercia vallonea; poiché avranno fra pochi anni una rendita forse non inferiore e più sicura di quella degli ulivi" (20).
La Vallonea salentina, alle soglie del Novecento ormai ammiserita a pochi radi esemplari, perlopiù radicati in terreni rocciosi, spesso a pendìo, a ridotto strato humale, specialmente nei primi decenni del nostro secolo, quando maggiore si farà sentire "La necessità di adibire i buoni terreni a colture più redditizie - specialmente il tabacco di tipo orientale -"(21) e più concorrenziali si riveleranno gli estratti tannici nell'industria conciaria (con la relativa "caduta dei prezzi delle cupole di vallonea" (22) ), vedrà diminuire sempre più il suo peraltro esiguo spazio coltivo. In tutto il Salento la superficie coltivata a Vallonea andò irrimediabilmente restringendosi fino a scomparire del tutto ai nostri giorni.
Sotto l'aspetto pedologico, per il suo fitto sistema radicale che consente alla pianta di penetrare in terreni anche ingratissimi, per la estrema capacità adattativa a climi caldo-secchi (è specie eliofila, "più xerofila del leccio ma con minore tolleranza per il freddo" (23) ) la falamida tricasina può trovare facile diffusione nelle contrade rurali del Capo di Leuca specialmente, dove maggiori si rilevano - lungo la costiera Otranto-Leuca - le precipitazioni meteoriche, favorendo peraltro la germinazione precoce delle ghiande (24).
Ma una scarsa attenzione agli aspetti ecologici della pianta, ha fatto sì - tra l'altro - che l'incuria umana prendesse, ci nostri giorni, il sopravvento.
Della falamida tricasina, un tempo oggetto di numerose attenzioni, il presente non vede che pochi, perlopiù isolati, esemplari.
La Vallonea salentina, con le sue diverse razze (Marmarigna, Rizza, Mezzamarmarigna, Mezzarizza, e Rosa doppia (25) ), oggi è diffusa nella penisola salentina in ben delimitate stazioni. Quasi sempre in forma solitaria - "Piuttosto rari sono i gruppi di piante di una certa dimensione, limitandosi al solo "Boschetto" di Tricase la presenza di una formazione definibile bosco, anche se fortemente antropizzata" (26) -, la pianta si rinviene spesso in prossimità di muretti delimitanti coltivi o proprietà (come in località "Pecorara", nella proprietà De Donno, masseria omonima, in agro di Scorrano, dove si allinea con diversi esemplari). L'areale fitogeografico in cui più numerosi sono gli individui - anche associati -, risulta quello della ristretta zona costiera adriatica delimitata dalla strada intercomunale che da Marittima porta a Gagliano del Capo (toccando rispettivamente i centri di Andrano, Depressa, Tricase, Caprarica del Capo, Tiggiano e Corsano). Una maestosa Vallonea, dall'imponente corona si segnala a Corigliano d'Otranto, dove è detta Palamida (27), Alizza (di solito con il termine lizza o lezze si indica il leccio, Quercus ilex) (28) o Valagna (29). L'esemplare in questione viene individuato anche dal Marinosci: "v'ha un secolare individuo presso Otranto che pare non potrebbesi ritener come spontaneo, finché non se ne trovasse almeno qualche altro indizio" (30), dirà l'insigne medicobotanico di Terra d'Otranto.
La quercia Vallonea (sottospecie macrolepis), chiamato pure genericamente nel Salento quercia greca (31), è altresì presente nelle stazioni di rinvenimento comprese in aree ricadenti nei limiti amministrativi dei seguenti centri della provincia leccese (in ordine alfabetico): Alessano, Cannole, Castrignano del Capo, Corigliano d'Otranto, Corsano, Cutrofiano, Gallipoli, Giurdignano, Lecce (nei pressi degli Uffici Finanziari, in viale Gallipoli, dove prima sorgeva l'Orto Botanico cittadino), Otranto, Scorrano, Supersano, Tiggiano, Tricase (con le frazioni di Sant'Eufemia e Tutino) e Vernole (dove si chiama Lizza-castagna (32) ); esemplari di Vallonea si rinvengono infine nella zona del Capo japigico (33).
L'areale distributivo della Quercus macrolepis K. nel Salento si completa con le estreme stazioni di rinvenimento riscontrate a Tuturano (Brindisi (34) ). Il Donno, nel 1942, segnala esemplari di Vallonea perfino a Taranto.
L'azione antropica, nel Salento pure selvaggiamente distruttrice di ecosistemi ben armonici, ha, nel corso di questi ultimi decenni specialmente, provocato l'arresto di ogni naturale accrescimento della elegante e imponente specie quercina. Cessata, poi, fin dal 1930, ogni attività forestale anche minimamente interessante la Vallonea, gli anni del rimboschimento post-bellico (dal 1950 a tutto il 1964 la provincia di Lecce è interessata da un intenso piano di forestazione che vede messi a bosco centinaia di nudi ettari del litorale adriatico e jonico soprattutto, in precedenza - dal 1923 a tutti gli anni Quaranta - toccati dall'iniziale opera forestativa (35) ) non hanno inciso nella diffusione artificiale della specie. Soltanto nel 1965, timidamente la Vallonea riappare "con un novello ritorno, volto alla conservazione della specie, alla difesa del suolo e dei valori naturalistici dimenticati" (36).
La Falamida tricasina, inserita come è in una nicchia ecologica dai peculiari riscontri fitoecologici e geo-pedologici (37), che ben la individua in una zona dai dati termopluviometrici propri (a clima sub-umido e a stagione invernale decisamente temperata (38) ), con la suo pure differenziato struttura biologica (39), difficilmente percepibile agli occhi di un non competente, si segnala per parametri vegetativi di certo non simili a quelli riscontrabili in vaste aree elleniche ed anatoliche, dove la specie vegeta in suoli semiaridi.
L'insieme dei dati climatici, il profilo geologico cui si inserisce (il tricasino è caratterizzato da rocce cretacee, compatte, coperte da leggere pellicole di terreno vegetale - "terra rossa" -, che vanno sotto il nome di "calcari di Melissano"), fanno del ristretto areale tricasino "un vero e proprio distretto, climaticamente differenziato nell'ambito della subregione geografica salentina" (40).
La Quercus gollam (o Galla dolce o marmorea, come veniva chiamata nel Brindisino (41) ), l'epirota Falanida, "quella che si ha in Tricase, detta volgarmente Pizzofao" (42), divenuta la Falamida tricasina, ha di certo subito nel Salento, nel corso del tempo, dei pur lievi mutamenti fitologici (le svariate e bizzarre forme della ghianda e della cupola ne sono peraltro segno), tali da caratterizzare l'essenza e renderla peculiare rispetto alla linneana aegilops, di cui ne èesaltante sottospecie.
Della Vallonea salentina, purtroppo ridotta a men che relitto di un'epoca che la vedeva protagonista in arte (del Pelacane) come in coltivazione ("poiché le ghiande grossissime e dolci si mangiano come le migliori castagne" (43) ) dei richiami culturali (antropologica mente radicati non solo nei mestieri degli artigiani salentini del passato) che la stesso suscitava (tra i ruderi del convento basiliano dell'Abbazia di S. Nicola di Casole, in agro di Otranto, ad es., su un architrave, nel calcare certo in disfacimento, si possono vedere scolpite le foglie e i frutti di Vallonea (44) ), il presente è quasi dimentico. E le parole dello Stella (ancora una volta) - quando accorato si rivolgeva ai proprietari terrieri della seconda metà del secolo scorso, per perorare la causa dell'innesto della quercia tricasina nei fondi della provincia -, stanno tuttora a ricordarci l'importanza non solo agraria della specie, ai nostri tempi tanto poco conosciuto quanto, per questo, affatto apprezzata. "Noi però non mancheremo di fare in quest'anno degli estesi vivai della vallonea per mezzo de'semi, onde a suo tempo dame gratuitamente le piccole piante o coloro che ameranno introdurre quest'utilissima coltivazione nei propri poderi" (45).

Valania - Falania - Falanida

Storia di un termine

Sul significato del termine Vallonea, indicante genericamente la quercia aegilops - tra l'altro, nei vari idiomi del bacino orientale del Mediterraneo chiamata orci Galla di levante, Gallone di levante, Egiloto, Coccio (a motivo delle galle o dei frutti che vanno sotto il nome appunto di Coccio e di Vallonea), o più genericamente Ver quercia o Drus, come in Grecia (cfr. R. CONGEDO, op. cit., p. 53) -, contrastanti interpretazioni si sono col tempo succedute. la vasta gamma di denominazioni attribuite alla specie linneana, d'altronde, ha, poi, fatto sì che sul nome Vallonea, volgarmente definito, molti si siano trovati d'accordo: la facile e generica identificazione ha quindi prevalso sulla disputa terminologica.
Sull'origine della voce Falamida o Falanida (Tricase) e Vallonea (Venezia), l'Orlandi, in nota alla sua citata Memoria (pp. 27-28), si intrattiene dottamente. A tal proposito, lo stesso - condividendo il parere di un illustre uomo di scienza, il James (estensore di un pregevole Dizionario di Medicina) -, rileva come il nome Vallonea, attribuito alla linneana aegilops - "la quercia dalle ghiande saporite", cara a Giove per la sua maestosità e l'imponenza del suo portamento, segno di solenne sacralità A. Di Berenger) -, non sia una derivazione etimologica dell'albanese Vallona -l'odierna Valona -, dove assai diffusa è la specie quercina. Il sacerdote tricasino propende invece per un richiamo linguistico con Vallonia (località dalmata), l'antica Apollonia. Peraltro, all'accorto ecclesiastico, più verosimilmente, pare che la "Valoneo de' Veneziani" e Ia Falanida salentina, "si sieno formate dalla Valania de' bassi tempi, di cui troviamo fatto menzione negli statuti Deziarj Riparice cap. 12. fol. 4. rapportati dal du Cange nel suo Gloss. Med. & Inf. Latinit. in detto voce, per cui non s'intendeva altro allora, che una specie di ghianda appellato da Latini Balanus. Dal Latino Balanus dunque deriva l'antica Valania, e da questo scambiandosi di leggieri l'a in o, e l'i in e, si è fatta la Valonea Veneziana. L'antica Valania poi coll'andar del tempo sè pronunciato Falania: questa sempre più corrompendosi colla giunta d'un d in fine ho prodotto lo moderna nostra Falanida Salentina" (p. 28).


NOTE
1) Sulla quercia spinosa e il relativo poliformismo salentino, cfr. C. CONGEDO, La Vallonea. Natura ed arte, Mario Congedo Editore, Galatina, 1974, specificamente le pp. 68-72. Notizie più dettagliate sulla quercia spinosa nel Salento, sua diffusione e peculiare inserimento nel contesto fitogeografico locale, si rilevano, tra gli altri, in: P. BIANCO, M.A. CASTELLANO, G. PIRO, B. SCHIRONE, "Sulla distribuzione della quercia spinosa in Puglia", in Annali della Facoltà di Agraria dell'Università di Bari, vol. XX-XII, 1981-1982, specificamente le pp. 278-290; S. SABATO, "Considerazioni sul significato fitogeografico ed ecologico di Quercus coccifera L. s.l. nel Salento (Puglia)", in Webbia, v. 27, 1972, pp. 517-549; F. CHIESURA LORENZONI, L. CURTI, G.G. LORENZONI, A. LUCATO, S. MARCHIORI, "Ricerche fitosociologiche sulle cenosi a Quercia spinosa del Salento (Puglia)", in Not. Fitosoc., v. 8, 1974, pp. 45-64.
2) F. VITA, V. LEONE, "La distribuzione attuale di 'Quercus macrolepis' Kotschy in Puglia. Aspetti fitoecologici e firosociologici", in Bollettino della Società Geografica Italiana, Serie X, v. XII, 1983, p. 35.
3) R. CORTI, E. MAGINI, "Vallonea (Quercus Aegilops L.)", in monti e boschi, VI (1955), n. 11-12, pp. 558-559.
4) F. VITA, V. LEONE, op. cit., p. 35.
5) G. DONNO, "Sulla diffusione della Quercus Aegilops L. e sulla determinazione dell'entità esistente nella provincia di Lecce", in Annali della Facoltà di Agraria della R. Università di Napoli, Serie III, v. XIV, 1942, p. 6.
6) Secondo tale ipotesi, furono i Saraceni ad introdurre la quercia Vallonea nei siti tricasini. A tal proposito - ma anche per una prospettiva non solo storica, botanica soprattutto - cfr. F. SCARAMUZZI, "Ricerche sul ciclo riproduttivo di specie del genere Quercus nella flora italiana. V. Osservazioni sul ciclo riproduttivo e sulla embriologia di Quercus aegilops L.", in Atti Acc. Ital. Sc. For., Firenze, 1960, pp. 289-322.
7) R. CORTI, E. MAGINI, op. cit., p. 559.
8) vedi nota 6.
9) F. M. ORLANDI, Dell'arte del Pelacane e della Valonea, che si ritrae in Tricase ne Salentini, e degli Marocchini, che quivi stesso si preparano, Presso Gaetano Raimondi, Napoli, MDCCXCIV, p. 9.
10) Ibidem, p. 10.
11) R. CONGEDO, op. cit., p. 98, nota 2.
12) F. M. ORLANDI, op. cit., p. 12.
13) lbidem, p. 12.
14) Cfr. R. CONGEDO, op. cit., p. 98, nota 3.
15) Gli artigiani tricasini, i pelacani per l'appunto, usavano per le fasi lavorative più impegnative un arnese, l'ascia coriaria, indispensabile per tagliare o scarnificare specialmente pelli. La voce pelacao, dal greco, significa difatti lavorare con l'ascia o la scure (pelecus) (cfr. ibidem, pp. 141-142; per un esame approfondito dell'arte tricasina del Pelacane, sino al lento e progressivo declino degli ultimi anni dell'Ottocento, si vedano le pp. 149 e sgg.).
16) F. M. ORLANDI, op. cit., p. 26.
17) Per un esame attento delle differenze morfologiche tra le due sottospecie quercine, cfr. G. DONNO, op. cit., P. 9-11.
18) P. PARENZAN, Puglia Marittima, Congedo, Galatina, 1983, v. I, p. 51.
19) G. STELLA, Della quercia vallonea quercus aegilops e sua facile moltiplicazione coll'innesto sulle querce indigene della provincia, memoria letta nella riunione de' 30 aprile 1846 della Società Economica della provincia di Terra d'Otranto dal suo segretario perpetuo, Tip. F.sco Del Vecchio, Lecce, 1847, p. 6.
20) lbidem, p. 7.
21) S. SAULI, "La quercia vallonea", in L'Agricoltura Salentina, XXVI (1933), n. 3, marzo, p. 83.
22) lbidem, p. 83.
23) R. CORTI, E. MAGINI, op. cit., p. 559.
24) I frutti della Vallonea maturano, di solito, nel secondo anno. Le cupole che li racchiudono sono le più grandi di molte specie quercine, ed abbracciano anche più della metà del frutto. La ghianda di Vallonea, per l'aspetto peculiare che assume, con la cupola le cui folte squame circondano il frutto a mo' di sopracciglia, ha dato all'albero - tra la vasta nomenclatura di riferimento - il nome di "occhio di capra" (così viene chiamata la Vallonea in Grecia). Il termine aegilops, infatti, per alcuni viene fatto risalire appunto a "occhio di capra", "(da aix = copra) e da op (radice di orao = vedere)" (R. CONGEDO, op. cit., p. 53, nota 2).
25) Le differenti varietà di falamida esistenti nel territorio di Tricase sono state studiate da A. BIASCO, e se ne trova debita descrizione nel suo La Quercia Vallonea, R. Tipografia Editrice Salentina F.lli Spacciante, Lecce, 1912, al quale si rimanda per più analitici riscontri, anche di carattere generale.
26) F. VITA, V. LEONE, op. cit., pp. 36-37.
27) Cfr. G. DONNO, op. cit., p. 11.
28) Cfr. R. CONGEDO, op. cit., p. 55.
29) Cfr. ibidem, p. 55.
30) M. MARINOSCI, La Flora Salentina, Tipografia Editrice Salentina, Lecce, 1870 (edizione curata da C. DE GIORGI) pp. 198-199.
31) Cfr. R. CONGEDO, op. cit., p. 53.
32) Cfr. ibidem, p. 56.
33) Le stazioni di rinvenimento elencate sono ricavate da F. VITA, V. LEONE, op. cit., p. 39, tabella 1. Per un più particolareggiato esame - anche con le località segnalate - della diffusione della macrolepis salentina (con gli autori del rinvenimento), si rimanda al testo e alla ricca bibliografia di approfondimento (pp. 52-54).
34) La stazione di Tuturano, già rinvenuta da G. Donno (1942), nel 1961 prima (rinvenimento di P. Bianco) e nel 1983 poi (F. Vita e V. Leone), ulteriormente arricchita di nuovi riscontri, si è rivelata di primaria importanza fito-geografica.
35) Per un esame, pur parziale, delle fasi di forestazione nel Salento, dispiegatesi a partire dagli anni della "Bonifica Integrale" (1923), cfr. M. MAINARDI, "Le aree boschive in provincia di Lecce", in Terra d'Otranto, Nuova serie, III (1986), n. 4, dic., specificamente le pp. 92-95.
36) R. CONGEDO, op. cit., p. 189.
37) Per un esame approfondito degli aspetti fito-ecologici e geo-pedologici della Vallonea nel Salento cfr. F. VITA, V. LEONE, op. cit., pp. 37-42.
38) l dati climatici del distretto fitogeografico tricasino si trovano in ibidem, pp. 42-45.
39) Gli aspetti biologici della specie in questione si trovano scientificamente trattati in G. DONNO, "Sulla biologia carpologica della Vallonea Quercus Aegilops L. subsp. macrolepis (Kotsky) Camus", in Annali della Facoltà di Agraria della R. Università di Napoli, Serie III, v. XIV, 1942. Sempre sulla struttura biologica della macrolepis, in un contesto più ampio concernente le principali essenze quercine a frutto commestibile, si veda quanto dice lo stesso Autore nel suo "Le querci a ghiande eduli", in Annali della Facoltà di Agraria della R. Università di Napoli, Serie III, v. X, 1939.
40) F. VITA, V. LEONE, op. cit., p. 52.
41) Cfr. R. CONGEDO, op. cit., p. 56, nota 7.
42) F. M. ORLANDI, op. cit., p. 27.
43) G. STELLA, op. cit., p. 5.
44) La leggenda vuole che la Vallonea fu portata nel Salento dalle comunità monastiche basiliane intorno all'anno 1000, quando dal Peloponneso e dall'Anatolia specialmente frequenti erano le fughe di intere schiere cenobotiche dagli insicuri siti ottomani verso i più tranquilli lidi italici. La fantasia popolare ci dice che la quercia greca fu introdotta proprio dal cenobio basiliano di San Nicola di Càsole, presso Otranto. La comunità monastica in questione, "costretto ad abbandonare l'Asia Minore perché perseguitata dal Sultano di Costantinopoli, nella fuga, essendo priva di vettovaglie, sostituì a queste dei sacchi di ghiande, caricandole sui velieri. ( ... ) Qui giunti - al Capo idruntino, n.d.r. -, i monaci vi si stabilirono definitivamente ed, essendo stati in ogni epoca dei grandi selvicultori, seminarono nei torrenti costieri le ghiande, sicché in breve le contrade intorno a Tricase e Otranto si trasformarono in querceti rigogliosi, la cui specie aveva trovato adattissimi al loro prosperare sia i terreni che il clima salentini" (brano riportato da R. CONGEDO, op. cit., pp. 138-139).
45) G. STELLA, op. cit., p. 9.


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