§ Pianeta Euterpe

Il calcolo incosciente: peripatos e monocordo




Sergio Bello



Volendo compiere uno sforzo semplificativo, si può arrivare a pensare al percorso conoscitivo svolto dall'uomo in un qualsiasi ambito come ad un rincorrersi, intrecciarsi, combattersi delle concezioni naturalista e positivista, evidentemente intese nel loro significare più ampio: dove cede una, l'altra incede; e quando la prima intuisce, la seconda conferma o sconfessa.
A questo gioco millenario non poteva sottrarsi l'arte. In particolare l'arte musicale, per suo stessa natura indeterminata, soggettiva e dunque sfuggente, ma anche, per una strana contrapposizione, intensa, penetrante, meglio di ogni altra si offriva quale oggetto di ricerca, con i suoi infiniti profili e con altrettante prospettive.
La musica diviene banco di prova per i maggiori filosofi greci; ma, a ben guardare, si tratta di un banco di prova ben duttile: si presta infatti a diventare il vessillo, l'elemento probante la veridicità delle concezioni più disparate; organo unificatorio, questo, che ha poco di credibile: lo dimostra il fatto che i filosofi moderni abbiano elaborato definizioni della musica sotto molti profili "concilianti": calcolo incosciente, Leibniz; forma matematica non traducibile in concetti esatti, Kant. Concilianti ed ambigui: incatenati, senza darlo troppo a vedere, a quel grande scisma che si prospettò in campo musicale nelle sue linee essenziali tra il V e il IV secolo avanti Cristo ad opera di due tra i più antichi teorici musicali di cui sia giunta a noi notizia, e riconducibile alla schematica dicotomia naturalistico-positivista. Alla prima concezione si riallaccia il pensiero, e dunque l'opera, di Aristosseno di Taranto, primo dei due teorici, filosofo peripatetico, allievo dello stesso Aristotele. Il secondo, la cui opera è invece assimilabile alla concezione positivista, si presenta da sé, trattandosi di Pitagora di Samo. Entrambi si sono affacciati in un mondo, quello musicale, allora completamente privo di strutture tecniche che non fossero meramente empiriche e comunque non codificate né analizzate in senso stretto. Unica base sulla quale formare l'edificio di intuizioni e deduzioni è rappresentata quasi esclusivamente dalle composizioni musicali giù esistenti, anche se non è lecito pensare che, malgrado la mancanza di solidi presupposti teorici, l'arte musicale non fosse argomento di studio sotto il profilo etico, estetico, e addirittura morale. Aristotele, nella sua veste di magister philosophiae di Aristosseno, rappresenta senz'altro un valido esempio: sulle questioni musicali lo troviamo impegnato nel libro VIII della Politica e nel libro I della Poetica, che, anche senza contare i libri XI e XIX dei Problemi, oggi considerati compilazioni tarde di teorie sue e della sua scuola, non è certamente poco. E' oltre tutto indicativo il fatto che Aristotele tratti questioni musicali oltre che nella Poetica, il che era facilmente prevedibile, anche nella Politica: elemento illuminante circa il ruolo della musica nella civiltà greca, come appare evidente anche stornando il concetto di politica dalle sovrastrutture sorte nel corso della storia: la musica vera, in breve, un fine non solo edonistico, ma soprattutto educativo, moralizzatore, e, nel caso dello Stagirita, catartico, la posizione di questa arte nella civiltà del tempo ci dà la chiave di lettura riguardo gli sforzi conoscitivi operati da filosofi e teorici: l'obiettivo, cosciente o meno, era una reale e concreta oggettivazione del fenomeno musicale; oggettivazione che avrebbe permesso quel controllo che è condizione sufficiente e necessaria alla migliore gestione dell'atto compositivo come di quello fruitivo; basti pensare al "Decreto degli Spartani" contro Timoteo, composto in seguito alla partecipazione del musicista greco alle gare in onore di Demetra Eleusina, in cui si dice che "Timoteo disonorò l'antica musa (la musica) giungendo a corrompere l'orecchio dei giovani attraverso il ripudio della tradizionale cetra eptacorde e con l'impiego di molti suoni"; e prosegue: "Inoltre, servendosi di uno strumento con molte corde e componendo canti privi assolutamente di melodia, rese la musica ignobile, eccedendo nella varia molteplicità dei suoni, essa (la musica) che era semplice ed ordinata"; venendo meno ordine e semplicità, ovvero il rispetto degli schemi metrico-ritmici e l'uso dei pochi suoni tramandati dalla tradizione in semplici strutture intervallatiche, cade anche la capacità di comprensione immediata, e dunque di controllo, con il risultato, per Timoteo, di venire immediatamente allontanato da Sparta.
Quindi, tornando allo scisma cui ho in precedenza solo accennato, la figura di Pitagora appare perfettamente integrata nel modo di concepire la musica appena esposto: dalla costante ricerca di capisaldi ineludibili per mezzo dei rapporti numerici, dal riferire gli intervalli sonori così ottenuti alle distanze intercorrenti tra le sfere celesti, altro non traspare che una affannosa corsa verso l'oggettivo, mediante punti di riferimento allo stesso tempo sovrumani, disancorati dal contingente, dal finito, in una parola dall'uomo, e tuttavia esprimibili, e dunque comprensibili, per mezzo di un elemento, il fattore numerico, la cui caratteristica prima e inscindibile è la scientificità.
E in effetti, il merito di Pitagora sta proprio nell'aver gettato solide basi scientifiche nel campo della teoria musicale: l'errore è stato nell'aver pensato a questo obiettivo come ad un punto di arrivo.
Aristosseno, assumendo i risultati ottenuti da Pitagora come base di partenza, modificò drasticamente il baricentro intorno al quale ruotavano le dissertazioni scientifico-filosofiche circa il fenomeno sonoro; nei suoi Elementi armonici (11,38-39) leggiamo: "La percezione musicale dipende da due facoltà: percezione sensibile e memoria, poiché si deve percepire il suono presente e ricordare il passato. In nessun altro modo si possono comprendere i fenomeni musicali".Il senso di queste parole è evidente: la musica non è data di per sé, non è risultante immanente ad astratti valori numerici; essa è funzione della rielaborazione dell'uditore: è quanto di più strettamente legato all'uomo possa esistere, all'uomo soggetto che, quanto più è preparato alla fruizione della musica, tanto più da essa verrò gratificato.
Quanto sia attuale la questione che coinvolse Pitagora e Aristosseno è facile dimostrare: dopo circa due millenni, ritroviamo impegnati in una analoga contesa Claudio Monteverdi e Giovanni Maria Artusi, in cui il primo si difendeva dalle aspre critiche del secondo sostenendo la liceità dell'infrangere le consolidate regole dell'armonia in favore dell'esito estetico.
E, come per Monteverdi, i moderni musicologi sono concordi nel riconoscere alle teorie di Aristosseno il primato sulla scientificità pitagorica, come le parole di Massimo Mila dimostrano, nel definire Aristosseno " ... il primo filosofo che sia anche musicista e che senta, pur non riuscendo ancora a individuarla, la necessaria presenza dello spirito nell'opera d'arte", ma soprattutto ritraendolo quale " ... indagatore insuperato nelle zone di confine tra la musica e l'acustica, tra l'arte e la scienza".

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