"(
... ) tutti ripetevano quello che lui aveva raccontato, ognuno ci metteva
la sua parte di memoria e le storie crescevano, diventavano vive"
E lo scemo parlava,
straparlava, sparlava, litigava coi cani di tutto il paese, cantava
di notte per strada di sotto una qualche finestra di donna. Era scemo.
Lo dicevano tutti finanche la madre che tesseva e filava per poterlo
campare. Aveva provato tutti quanti i mestieri, uno dopo l'altro,
ma per nessuno aveva mai avuto costanza e nessuno aveva mai avuto
pazienza. Lo cacciarono tutti: il falegname ed il fabbro, il sarto,
l'arrotino, il muratore, il barocciaio, l'oste, il salumiere, il fornaio,
lo stagnino e l'ombrellaro. Persino il letamaro lo cacciò,
quella volta che scaricò il letame davanti alla porta dell'arciprete.
Era scemo il ragazzo, ma scemo davvero.
Un giorno la madre gli diede una tela e gli disse: "vediamo se
per una volta sai combinare qualcosa di buono. Gira nei paesi vicini
e vendi la tela, però stai attento a non farti ingannare. Chi
parla molto non vuole comprare. Stai attento, ragazzo, mi costa fatica
la tela, mi costa la luce degli occhi. Vedi di darla non meno di quanto
vale una pecora ma non più di tanto. E apri gli occhi alle
donne che si mettono in cerchio, che tirano e stirano e fanno moine.
Stai attento, ragazzo, non essere scemo". Così disse la
madre e il ragazzo rispose: "lasciami fare, io ormai sono un
uomo e riesco a capire al volo ogni cosa. Vendo la tela e ti porto
qui i soldi. Non mi fotteranno, sicuro".
E lo scemo si mise in cammino. Girò nei paesi e gridava "è
di lino, venite a vederla, donne, è di lino". Stendeva
la tela, la mostrava e gridava. Ma da quella faccia rossa e rotonda,
da quei suoi capelli calati sugli occhi, da quel suo gridare furioso
capirono, tutte capirono che il ragazzo era scemo. Le donne lo chiamavano
ma bastava che dicessero più di tre parole che lui le liquidava:
"parli troppo" diceva "e chi parla troppo non vuole
comprare".
Girando e rigirando s'era fatto mezzogiorno. Il sole picchiava. La
fame mordeva. Il ragazzo era stanco e pensò di tornare.
"Domani riprovo" diceva tra sé "e vendo la tela
e porto i soldi a mia madre. Domani la vendo" diceva. E il sole
faceva rovente il selciato, un sole di luglio che sembrava volesse
prendersi beffa di Rocco, lo scemo. E lui camminava e s'asciugava
il sudore, cercava fontane e un po' d'ombra e diceva "domani
ritorno e la vendo la tela e porto i soldi a mia madre. Sarà
contenta mia madre di me. Venderò tutte le tele che fa, compreremo
una casa, cento pecore e un fondo così io potrò pascolarle
e mia madre non dovrà più filare di notte e di giorno.
E poi mi trovo una donna, una bella, perché mi vorranno le
donne se avrà cento pecore e un fondo e una casa".
Questo diceva il ragazzo tra sé. Ma il sole era forte. La strada
deserta. Il paese era ancora lontano. "Adesso mi fermo; mi riposo
e poi vado" disse Rocco. Ed entrò in una chiesa.
Stava lì, col sudore sugli occhi e un crocefisso davanti.
"La vuoi la mia tela?" gli disse ad un tratto. Quello, si
sa, non risponde o almeno non tutti sanno sentirne la voce. "Oh!
con te parlo, la vuoi questa tela? guarda ch'è buona, l'ha
tessuta mia madre. La conosci mia madre? Lei tesse le tele, di giorno
e di notte. Ma ancora per poco: ora io vendo questa, poi vendo le
altre e mi compro una casa, le pecore e un fondo e lei non dovrà
più lavorare per me, vivrà da signora. Ma la vuoi la
mia tela? Mi piaci sai? parli poco e mia madre dice che chi parla
molto non vuole comprare. Tu parli poco, mi piaci. Dai, dimmi, la
vuoi? ma rispondi, perdio, te la compri?".
Un fruscìo, come vento leggero. Ma il vento non c'era. Era
immobile l'aria. Un fruscìo, di passero, forse, o lumino che
si spegne perché è finita la cera. Un fruscìo
si sentì e Rocco, lo scemo, pensò che quello avesse
detto di sì.
"Bah! ho capito. Sei di poche parole. Ma ho sentito lo stesso
che hai detto di sì. Prendi la tela, stai facendo un affare.
Te la do proprio per poco. Tienila, è tua". Avvolse la
tela tutta intorno alla croce e aspettò. Aspettava che quello
lì lo pagasse. "Adesso mi paghi? Quanto mi dai? Dimmi
tu". E quello zitto, lì, immobile, zitto.
"Guarda che non voglio discutere. Fai un prezzo. Lo so, non ti
va di parlare, ma mi devi pagare. L'ha fatta mia madre la tela. Mi
aspetta ch'è tardi, mia madre. Una pecora secondo te quanto
vale? Dammi tanto e chiudiamo, pace a te e pace a me".
L'altro intanto non faceva una piega. Non un cenno del capo. Non un
soffio di voce. Sempre immobile, zitto.
"Vuoi che venga domani?" disse Rocco.
Un fruscìo. Un altro fruscìo. Anche questo leggero,
anche questo di passero, forse, o di cero.
"Va bene, d'accordo. Ritorno domani. Domani ritorno e mi paghi".
C'è sempre un sagrestano in ogni chiesa che si nasconde dietro
qualche altare, dietro qualche statua di santo. Aveva seguito tutta
la scena il sagrestano nascosto nella chiesa ed appena il ragazzo
andò via, prese la tela e scappò a casa. Si contenta
la moglie con un pezzo di tela.
"Ho fatto un affare" disse Rocco alla madre "ho venduto
la tela a uno che non dice neanche una parola". E raccontò
com'era andata la faccenda. Allora la madre maledisse il giorno che
aveva fatto un figlio così scemo.
"Domani mi paga, vedrai che mi paga" diceva Rocca alla madre
"mi sembra sincero quell'uomo, davvero. Domani mi paga".
La povera donna corse in quella chiesa, trovò il sagrestano
che chiudeva, gli chiese se avesse trovato una tela, una tela di lino
avvolta alla croce. "Oramai son quasi quarantanni" rispose
quello "che sono in questa chiesa. Ci venni ragazzino con mio
padre, anche lui sagrestano, e da allora vi giuro che mai ho visto
un solo straccio intorno a quella croce. Sempre nudo, parlando con
decenza, Nostro Signore è stato". E girò la chiave
nel portone.
Ma l'indomani Rocco stava lì, armato di bastone. Alto, rosso,
coi capelli scompigliati, con quegli occhi grandi, stralunati, persi
dietro una rabbia o forse dietro il pensiero di sua madre che lavora
di giorno e di notte sopra quelle tele, o forse solo dietro un certo
sogno di pecore e di casa.
"Salute a signoria" gli disse Rocco "la tela t'è
piaciuta? Ora mi paghi? Son venuto apposta". E quello zitto.
"Non far lo scemo, sai? Ora mi paghi. La tela io te l'ho data
e tu mi paghi. Mia madre ieri sera s'è allarmata. Diceva che
non mi avresti mai pagato. Io gliel'ho detto di stare sicura, che
tu sei un brav'uomo". E quello zitto.
"Mi son sbagliato? Sentimi bene. Io son buono e son caro però
non mi va di passare per scemo. Lo dicono tutti, lo so, che son scemo.
Ma adesso ho deciso: mi compro la casa, cento pecore e un fondo e
mi sposo e mia madre non dovrà più lavorare. E' vecchia
mia madre. Poi non voglio che dica che Rocco è uno scemo. Mi
capisci? non voglio". E quello sempre zitto.
"Ma rispondimi almeno! Ma chi sei, il padreterno? Mi devi pagare,
hai capito? Tu mi fai bestemmiare qui in chiesa, madonna santissima!
Parla, sai, o quant'è vero iddio faccio un terremoto. Ma perché
non rispondi?". E quello zitto.
"Lo so, tu dici tanto questo è scemo, io questo qui lo
fotto come voglio. Ma non è giusto, sai, mi son fidato. Ho
creduto che tu avessi una parola da uomo vero. E mo' ti tiri indietro,
e mo' mi fai il sordo e non rispondi. Ieri mi hai detto ritorna domani,
domani ti pago mi hai detto. Ho sentito. Io adesso son qua e tu mi
paghi, hai capito? Mi paghi. Che pensi che davvero sia scemo?".
Un altro fruscìo, come il primo e il secondo, anche questo
leggero, anche questo forse di passero o cero.
Si velarono gli occhi. Lo stravolse il furore. Non capì. Non
pensò. E colpì col bastone quell'uomo appeso alla croce.
Tintinnarono come fossero campani di cento pecore in un prato a primavera.
Tintinnarono per terra, tra gli scanni, sui gradini di marmo, sull'altare,
ai piedi delle statue, nelle orecchie di Rocco che intontito non capiva
da dove uscisse quel fiume di monete d'argento e d'oro. Si riempì
le tasche e corse corse corse per la strada, correva sotto il sole,
tintinnante, correva felice come mai era stato prima di quell'istante.
E corse corse. Il cuore gli scoppiava ma correva.
Vuotò le tasche sulla tavola in cucina e non riusciva a dire
una parola. La madre lo guardò incredula, allibita. Disse la
madre: "figlio cosa hai fatto? dove le hai prese? dimmi. Oh santoddio!
dove le hai prese?".
"Niente, mi ha pagato" disse Rocco ansimante "non voleva
e alla fine gli ho dato col bastone. E mi ha pagato. Adesso sai che
faccio? Adesso compro cento pecore e un fondo e una casa così
tu non dovrai più lavorare".
"Zitto, figlio, zitto" disse la madre "non raccontare
a nessuno questo fatto, che finiamo in galera. Mi hai capita?".
"Ho capito" disse Rocco.
Ma i muri, le strade, hanno orecchi, hanno occhi. La voce corre, si
spande. I gendarmi bussarono alla porta di Rocco dopo appena qualche
ora. E quando il delegato chiese al ragazzo se fosse stato lui a rompere
la croce, quello rispose "sì, son stato io".
"E perché l'hai fatto?" chiese il delegato.
"Se l'è voluta lui, se l'è voluta" rispose
Rocco. "La tela io gliel'ho data e lui m'ha detto domani torna
che ti pago. Io son tornato ma lui faceva finta di non capire. Io
gliel'ho detto a che mi servivano i soldi, gliel'ho detto, vi giuro,
gli ho spiegato che mia madre lavora giorno e notte su quelle tele,
che ci perde gli occhi, che mi volevo comprare le pecore e la casa
per non farla lavorare, che mi volevo pure trovar moglie, gli ho detto
tutto e lui faceva finta di non sentire e allora io ho dovuto dargli
col bastone".
"Non gli credete, signor delegato" disse la madre che cercava
un modo per non piangere."Questo figlio è scemo, guardatelo,
che ci posso fare? Crede a tutto, si figura qualche cosa e poi la
racconta. E' scemo, vi giuro. Volete vedere?".
"Va bene, vediamo" disse il delegato.
Allora la donna disse: "senti Rocco, prima di uscire hai chiuso
la porta?". "Ma no che non l'ho chiusa" rispose il
figlio "tanto non ci rubano. Chi vuoi che ci rubi. Sanno tutti
che siamo poveri".
"Figlio, tu non sai" disse la donna "che i ladri rubano
solamente ai poveri. Il cane insegue sempre lo stracciato. Torna a
casa, tirati dietro la porta e vieni qui, fa' presto". "Hai
ragione" rispose Rocco "aspetta qui, tra due minuti torno".
E ritornò con la porta scardinata sulle spalle. Il delegato,
allora, si convinse e lo fece andare.
Così Rocco continuò a vendere le tele a tutti i crocefissi
delle chiese dei paesi vicini. Non litigava più. Avvolgeva
la tela intorno al crocefisso, aspettava un poco e poi gli dava un
colpo, uno solo, e non forte; era buono il ragazzo. Le monete cadevano
e lui, lo scemo, le metteva da parte sempre con l'idea di comprarsi
un fondo, cento pecore e la casa.
E l'uomo sulla croce era contento.