1989.
Il Governatore legge la sua decima relazione. Carlo Azeglio Ciampi fu
nominato infatti nel settembre del 1979, e ha al suo attivo l'attento
dosaggio della politica valutaria e monetaria che ha consentito al nostro
Paese di lasciarsi alle spalle gli anni dell'inflazione a due cifre
e di ragionare oggi in una dimensione europea. Rileggendo le sue Considerazioni
finali, si ritrovano molte delle acquisizioni che oggi fanno parte del
senso comune degli operatori economici: segno della consapevolezza che
esse sono il frutto di un decennio di costanti ammonimenti e di coerenti
interventi.
1980. Nei primi
sette mesi del suo mandato, Azeglio Ciampi è stato già
costretto ad innalzare due volte il tasso di sconto (passato in breve
tempo dal 10,5% al 15%) per bloccare la speculazione sulla lira. Per
questo, il 31 maggio '80 richiama nella Relazione la necessità
di "coerenza di comportamenti" per non vanificare il significato
dell'adesione allo Sme, avvenuta all'inizio del '79.La nostra economia,
afferma -, rischia di scivolare lungo la china che aveva faticosamente
risalito nel biennio precedente. L'inflazione, che nel '79 è
stata pari al 15,7%, continua a lievitare, sospinta dal secondo shock
petrolifero.
E il nostro Paese, osserva il Governatore, "non affronta con
la necessaria solidità di assetti produttivi, di efficienza
amministrativa, di infrastrutture pubbliche" i pericoli di una
crisi delle relazioni commerciali e finanziarie internazionali. I
problemi, sostiene, non sono solo di natura congiunturale e non si
risolvono solo con misure monetarie. Non solo. "Non si risolvono
crisi di imprese private e pubbliche, che accumulano perdite su perdite,
con il ricorso a operazioni esclusivamente finanziarie".
Non tocca alle banche, insomma, farsi carico, attraverso i consorzi,
delle crisi strutturali delle industrie. Occorre una politica economica
adeguata per contenere il deficit pubblico, promuovere la produttività
e ridurre i costi. La Banca centrale, intanto, si impegna a una linea
di severità monetaria per recuperare la stabilità del
cambio.
1981. L'impennata
dei prezzi ha raggiunto e superato il vertice del 21% alla fine dell'80:
per questo, nelle parole del Governatore, passano in secondo piano
i risultati positivi ottenuti sul fronte della crescita economica
e il richiamo alla necessità di garantire la stabilità
monetaria si fa drammatico. "Non è più tollerabile
un'inflazione che ci allontana dai Paesi ai quali siamo uniti per
storia e per cultura".
Di qui la richiesta di "un vero cambiamento di costituzione monetaria,
che coinvolge la funzione della Banca centrale, le procedure per le
decisioni, di spesa pubblica e quelle per la distribuzione del reddito".Azeglio
Ciampi enuncia insomma la sua visione di fondo per il ritorno alla
stabilità. In primo luogo, è necessaria "una completa
autonomia" della Banca centrale, nei suoi compiti di creazione
di moneta, dal Tesoro (conseguenza di questo principio sarà
il cosiddetto "divorzio" che segna, per Via Nazionale, la
fine dell'obbligo di sottoscrivere i titoli di Stato non collocati).
La seconda condizione riguarda le "regole del gioco" per
la finanza pubblica: occorre una disciplina che costringa Governo
e Parlamento al rispetto sostanziale dell'obbligo di copertura delle
spese. Infine, il Governatore introduce un altro tema, dominante negli
anni successivi: la necessità che le parti sociali adottino
"un codice di contrattazione collettiva" per neutralizzare
le indicizzazioni.
1982. "Si
accentua il distacco fra quei Paesi industriali che hanno saputo debellare
l'inflazione e colmare il disavanzo esterno e quelli, fra i quali
l'Italia, ancora lontani dal portare a compimento entrambi gli aggiustamenti".
Abbassare la guardia nella lotta all'inflazione (che, con il 15% del
maggio '82 è ancora pari a tre volte il tasso d'inflazione
tedesco-federale) e al deficit non è possibile per un'economia
aperta come quella italiana, ricorda il Governatore.
E, se sul terreno delle procedure che restituiscono autonomia alla
Banca centrale ci sono stati progressi, "molti nodi si sono aggrovigliati:
nella finanza pubblica, nelle indicizzazioni, nel costo del lavoro".
Occorrono "decisioni coraggiose". A cominciare dai tagli
nella spesa pubblica e dagli aumenti delle entrate, che dovrebbero
provenire dalle imposte indirette. Ma per evitare ulteriori conseguenze
sui prezzi, il Governatore sollecita lo sganciamento di eventuali
inasprimenti dell'Iva dalla contingenza. Azeglio Ciampi auspica che
si scelga per questi interventi il terreno negoziale tra le parti
sociali. Ma il clima dei rapporti è arroventato e la Confindustria,
all'indomani della Relazione, comunica ai sindacati la disdetta dell'accordo
sulla scala mobile.
1983. E' ancora
sotto accusa "l'assuefazione" ai comportamenti inflazionistici.
Ma ai risultati insoddisfacenti ottenuti sul fronte dei prezzi (che
anche a fine anno sarà del 15%) hanno contribuito, secondo
il Governatore, anche "gli orizzonti temporali limitati"
della classe di Governo. Continua a prevalere, precisa, l'idea che
l'inflazione sia un male minore "ininfluente sullo sviluppo e
sull'occupazione".
Per questo, accanto agli atteggiamenti di "difesa a oltranza
di meccanismi e comportamenti capaci solo di far crescere insieme
redditi nominali e prezzi", il Governatore critica severamente
anche quelle scelte legislative "facili", compiute sul versante
delle pensioni con le quali "sono stati introdotti sistemi di
intervento pubblico che comportano nel presente, e ancor più
nel futuro, spese incompatibili con le più ottimistiche previsioni
di crescita".
Per la stabilità economica, torna a ripetere, occorre "reintrodurre
a tutti i livelli il rispetto del vincolo di bilancio". E' un
riferimento obbligato: nel gennaio '83, infatti, una legge ad hoc
ha autorizzato Bankitalia a concedere al Tesoro un'anticipazione straordinaria
per 8.000 miliardi, dopo che il fabbisogno di cassa aveva provocato
lo "sfondamento" sul conto corrente di Tesoreria.
1984. Con l'83
finisce il triennio del ristagno economico e a maggio '84 la svolta
del ciclo ha raggiunto anche l'Italia. Occorre coniugare stabilità
monetaria e sviluppo, afferma Azeglio Ciampi. Si tratta di un obiettivo
"necessario e possibile: non c'è nessun male oscuro che
condanni la nostra economia".
Sin dalla fine dì giugno '83, la Banca d'Italia, con l'abbandono
del massimale sugli impieghi bancari, ha dato al sistema creditizio
un forte impulso alla concorrenza e ha scelto di cambiare il baricentro
della sua politica monetaria: tramonta l'epoca dei vincoli amministrativi
(che saranno reintrodotti per brevi periodi solo due volte) e si passa
a un regime basato sui controlli indiretti.
Per le banche comincia insomma l'epoca della deregulation, stimolata
e guidata da Via Nazionale, che le sprona a conquistare una maggiore
efficienza. "Le modifiche nelle tecniche del controllo monetario
e le innovazioni introdotte o sollecitate nel sistema degli intermediari
- spiega Azeglio Ciampi - mirano a rendere più efficaci i presidii
contro gli squilibri, più valido l'apporto del sistema finanziario
all'accumulazione e allo sviluppo".
1985. L'economia
è in bilico tra i malanni maggiori dell'inflazione, ormai alle
spalle (nell'84 il tasso di aumento dei prezzi è sceso al 10,6%)
e i rischi sul versante dei conti con l'estero. Azeglio Ciampi sottolinea
l'efficacia della sua ricetta di politica monetaria: "L'eccesso
di rigore o la permissività talora attribuitaci trovano risposta
nel fatto che il rallentamento dell'inflazione si è combinato
non con l'indebolimento del sistema delle imprese, ma con il loro
risanamento. A differenza di alcuni anni fa - precisa - oggi la domanda
di fondi non è più volta alla copertura delle perdite,
ma al finanziamento di investimenti e della produzione".
Ma attenzione, avverte il Governatore. L'inflazione ha toccato il
suo "zoccolo" e ha smesso di scendere, mentre il debito
pubblico non ha smesso di salire. E i conti con l'estero stanno andando
in forte passivo: "Siamo fermi a metà del cammino. Urge
riprendere l'azione di politica economica". Credere che la svalutazione
del cambio possa funzionare come un efficace surrogato del contenimento
dei costi e prezzi, afferma Azeglio Ciampi, sarebbe un'illusione.
E' invece essenziale allentare il "vincolo esterno", in
base al quale basta una modesta espansione della domanda interna per
mandare i conti con l'estero in rosso.
1986. E dopo le
spine, che nell'85 hanno provocato una bilancia dei pagamenti di parte
corrente in rosso per 7.459 miliardi, cominciano ad arrivare dall'estero
i segnali positivi: il "bonus" petrolifero, osserva il Governatore,
a maggio dell'86 sta accentuando il rallentamento dei prezzi, che
nell'anno si collocheranno a un tasso di crescita del 6,1%.
Si tratta di un dato positivo, afferma Azeglio Ciampi, ma dobbiamo
guardarci da una "pericolosa euforia". Resta irrisolto il
problema della spesa pubblica, un problema da affrontare immediatamente,
altrimenti "si rischia di compromettere quanto è stato
fatto. L'intervento è reso urgente dalle tendenze in atto.
L'aumento del debito continua a sopravanzare quello del reddito nazionale.
Il disavanzo al netto degli interessi nel 1985, anziché ridursi,
è aumentato". Il risanamento del bilancio pubblico sollecitato
dal Governatore va perseguito agendo su spesa previdenziale, sanitaria,
finanza locale, sui trasferimenti alle famiglie e alle imprese.
Quanto alle industrie, dopo gli anni della ristrutturazione - dice
Azeglio Ciampi - è venuto il momento di ampliare la base produttiva.
Le imprese devono tradurre le condizioni più favorevoli in
decelerazione dei prezzi "anziché in aumenti dei redditi
nominali". Anche il sistema bancario deve partecipare a questa
azione, non solo vagliando le iniziative da finanziare, ma "anche
progredendo verso una maggiore efficienza".
1987. "Abbiamo
cercato di correggere un'opinione assai diffusa che la disinflazione
e il rafforzamento di larga parte del sistema produttivo siano solo
l'occasionale frutto di eventi esterni, dimostrando come essi siano
dovuti principalmente ad atti di politica economica e alla risposta
delle forze di mercato". Per la prima volta, al termine del lungo
ciclo di disinflazione (i prezzi nell'87 toccheranno il 4,7% di crescita
media), Azeglio Ciampi sottolinea con soddisfazione che, se le cose
vanno meglio, non dipende solo dai venti favorevoli della congiuntura
internazionale.
Ma "sbaglierebbe chi avvertisse nell'esposizione di oggi un appagamento
per lo stato presente".
Anzi, i rischi della navigazione nel mare aperto di un'economia internazionale
dove ha cambiato umore e ha riscoperto le tentazioni del protezionismo
sono crescenti. "Breve è il passo che ci farebbe ricadere
nelle condizioni dalle quali ci siamo tratti".
Al primo posto c'è dunque, ancora una volta, la necessità
di risanare il deficit pubblico (nell'86 ha raggiunto la quota di
110 mila miliardi) che ha ripreso a salire. Risanamento, aggiunge
tuttavia il Governatore, significa restituire efficienza alla Pubblica
Amministrazione.
1988. E' la scommessa
"Europa" il leit-motiv delle riflessioni del Governatore.
Per realizzare il disegno del grande mercato unico, la Comunità
europea dovrà conciliare "mobilità dei capitali
e stabilità dei cambi, intensificando la cooperazione monetaria
fino a realizzare una politica unica". Dovrà essere l'Europa
di tutti, afferma Azeglio Ciampi, e l'adesione dell'Italia a questo
progetto è profonda.
Ma "stare in Europa" richiede impegni precisi per il nostro
Paese, che deve guardarsi da pressioni e rincorse corporative. Ma
soprattutto, deve riuscire a ridurre il profondo divario che separa
la condizione del settore pubblico italiano, la qualità dei
servizi erogati e il livello del deficit dagli standard europei.
Nella Cee, ricorda il Governatore, "l'Italia genera il 19% del
Prodotto lordo complessivo; ha un debito pubblico pari al 29% di quello
dell'intera area". C'è un chiaro accenno, nella Relazione,
al contratto della scuola e ai rischi di rincorse salariali nei contratti
del pubblico impiego. Un richiamo che, proprio perché disatteso,
mantiene tuttora la sua piena validità.
Per il Sud
triplo salto mortale
Il salto di qualità
verso la moneta unica europea non è operazione di poco conto.
Ogni Paese della Cee (fatta eccezione per la Gran Bretagna) pare disponibile
a perdere progressivamente qualcosa o tutto della propria sovranità
monetaria, sacrificandolo sull'altare della libera circolazione delle
merci e dei capitali, e della stabilità dei tassi di cambio.
E' un bene, è un male? E l'Italia cosa ci guadagnerà
da questa tendenziale unità monetaria?
E' opportuno dare corpo a qualche interrogativo, se non a veri e propri
dubbi, tenendo conto dell'assetto economico dell'Europa, dove coesistono
economie forti (come quella della Germania) con economie molto deboli.
In alcuni circoli d'affari italiani e in qualche settore del sistema
finanziario non si fa mistero dell'intenzione politica con cui questa
operazione viene perseguita. Si tratta -viene sussurrato - di introdurre
dall'esterno un vincolo che costringa la nostra riottosa e disordinata
classe politica a fare i conti con la stabilità monetaria e
quindi a introdurre finalmente una disciplina nelle dissestate finanze
pubbliche. Con la progressiva unificazione delle monete, infatti,
nessun Paese (e perciò neppure l'Italia) si può permettere
il lusso di un debito pubblico che cresca su se stesso. L'Europa farebbe,
secondo questa tesi, ciò che nessun governo italiano si mostra
in grado di fare: il rientro progressivo dal deficit di bilancio.
Si fa il paragone con il Sistema monetario europeo, varato nel 1979,
e con gli effetti che quell'accordo ha avuto sulla dinamica del costo
del lavoro: in questi dieci anni, si dice, il vincolo dei cambi fissi
dentro lo Sme ha indotto l'industria italiana a ristrutturarsi violentemente
ed ha perciò indirettamente messo in ginocchio il sindacato.
Con l'unificazione delle monete, il turno toccherebbe alla spesa pubblica,
che verrebbe messa in riga, e la mannaia scenderebbe sul ceto politico
italiano che di quella spesa straripante sarebbe artefice e beneficiario
in termini di consensi.
Questi ragionamenti appaiono troppo disinvolti e pericolosi. L'Europa
della moneta unica non rischia di diventare una provincia della Germania
e di condannarsi ad una crescita lenta come da tempo ha scelto appunto
di fare la Germania?
Naturalmente, nessuno si nasconde il rischio di un assetto istituzionale
- appunto, delle nuove istituzioni monetarie - che penalizzi i Paesi
e le aree più bisognose di un rapido sviluppo. Il presidente
della Commissione Cee avanza nel suo rapporto sull'unità monetaria
l'esigenza che alle regioni più povere siano offerti sostegni
efficaci per la promozione dello sviluppo. Ma questa indicazione,
pur così preziosa, va messa alla prova considerando la nuova
politica regionale della Cee ed in genere di interventi che si possono
finanziare con i cosiddetti fondi strutturali, riformati appunto all'inizio
del 1989.
In questa prospettiva va considerato anche il posto del Sud d'Italia
nella costruzione del mercato unico ed ora nella prospettiva dell'unificazione
delle monete.
Su due elementi conviene soffermare l'attenzione. In primo luogo,
il Mezzogiorno non è l'unica area d'Europa bisognosa di sviluppo:
sette delle otto regioni meridionali sono state classificate dalla
Cee nel gruppo delle 36 regioni-problema europee, gruppo che include
intere nazioni, come la Spagna, la Grecia, e l'Irlanda. In termini
relativi, l'incidenza delle nostre sette regioni sul totale della
Cee è modesta (ad esempio, assumendo come termine di ,misura
la popolazione, l'incidenza è del 6% sul totale dell'Europa
a 12). Quindi, il nostro Mezzogiorno si trova già e si troverà
sempre di più a competere con le altre aree sottosviluppate
d'Europa nell'accesso ai fondi strutturali comunitari.
In secondo luogo, le lentezze procedurali e i risultati non entusiasmanti
della politica meridionalista inducono molti a ritenere che ormai
questa politica abbia fatto il suo tempo e che sia meglio passare
la mano alle autorità Cee per interventi più rapidi
e più efficaci nell'ambito del Mezzogiorno. Ma, a parte il
rilievo sul posto veramente periferico che il Sud rischia di occupare
tra le tante regioni arretrate d'Europa, si può osservare che
l'accesso ai fondi Cee solitamente richiede vagli rigorosi, e poi
i fondi ottenuti vanno spesi per tempo, pena la loro riutilizzazione
altrove. Il progressivo abbandono della sovranità monetaria,
la dichiarazione di morte presunta per la politica meridionalista,
la presunzione di affidarsi alle autorità Cee per interventi
strutturali nel Sud, presi tutti insieme rappresentano una specie
di triplo salto mortale per la classe politica del Mezzogiorno. Riusciranno
i politici meridionali a cadere in piedi al termine di questa prova?