§ Verso nuovi mercati internazionali

La vecchia Europa ha un futuro nel Sud




Carlo De Benedetti



Più volte in passato ho affermato che il processo di integrazione dei mercati europei che si è messo in movimento in questi ultimi anni è frutto in primo luogo dell'iniziativa delle imprese. Sono le imprese che hanno colto prima di altri il senso del cambiamento della scena mondiale negli anni '80. Di fronte alla sfida delle nuove tecnologie, dell'innovazione, della globalizzazione, le imprese hanno risposto rivalutando i principi veri del mercato; rilanciando l'idea del capitalismo e dell'imprenditorialità come motori dello sviluppo; accettando il confronto aperto sui mercati internazionali.
Chi entra in questa logica, non può accettare come ineluttabile il declino del Vecchio Continente; non può accettare passivamente la presenza di mercati e di strutture produttive frammentate e inefficienti. Non è un caso che molti imprenditori. europei abbiano adottato nelle loro imprese strategie di tipo europeo assai prima che i politici trovassero l'accordo per l'approvazione dell'Atto unico europeo.
L'integrazione dell'Europa è nella logica del progresso tecnologico; è nella logica dello scenario mondiale e delle leggi di mercato; è nella logica delle scelte strategiche delle imprese. E, con l'approvazione dell'Atto unico, l'integrazione dell'Europa è entrata anche nella logica di gran parte dei politici e dei burocrati.
Il mercato unico sta diventando parte della cultura e del costume di tutte le classi sociali: non è in discussione il "se", perché ormai non è più possibile tornare indietro, la valanga europea ha preso troppa velocità; è in discussione solo il "come" e il "quando". Il rilancio del processo di integrazione economica ha restituito all'Europa una credibilità che il Vecchio Continente sembrava avere definitivamente perduto nel corso degli anni '70. Non c'è dubbio: il progetto del mercato unico ha fatto risalire le quotazioni dell'Europa, ha ribaltato vecchi pregiudizi, ha fatto nascere un entusiasmo nuovo. Ma tutto questo non deve creare illusioni. Anche se le 285 disposizioni previste dall'Atto Unico Europeo trovassero completa e puntuale approvazione, rimarrebbero egualmente pesanti motivi di preoccupazione per il futuro dell'economia europea.
Restano molti ostacoli alla piena integrazione dei mercati e al miglioramento dell'efficienza competitiva della produzione europea. Innanzitutto, non dobbiamo dimenticare che anche nel 1993, dopo la rimozione delle barriere fisiche e tariffarie, dopo l'adozione di comuni standard tecnici e normativi, in Europa resteranno lo stesso profonde diversità tra i vari mercati. Sono le diversità di cultura, di lingua, di tradizione e sono anche le diversità di moneta, di tassi di interesse, di sistema fiscale, di politiche economiche, di infrastrutture di base e di servizi pubblici e così via. Non è solo la carenza di potere delle istituzioni sovranazionali a rallentare il processo di integrazione europea. Sono anche le difficoltà insite nel processo di radicale ristrutturazione dei mercati e delle imprese europee. In questo grande riallineamento delle forze competitive ci sono grandi opportunità per conquistare posizioni di leadership, ma ci sono anche serie minacce di perdere la propria indipendenza e di venire spinti ai margini del mercato.
In una fase di così grande turbolenza dei mercati e degli assetti azionari delle imprese, occorre poi avere ben chiare alcune idee-guida. La prima credo che sia la selezione e la specializzazione degli investimenti. In una holding a contenuto industriale - e non a carattere puramente finanziario - oggi non basta più affidarsi al tradizionale criterio di bilanciamento tra investimenti in attività ad alto sviluppo e alto rischio e investimenti in attività a più basso sviluppo e minor rischio. Occorre anche focalizzarsi su quei settori che offrono una possibilità di sinergie e dove è più realistico proporsi di raggiungere una posizione di leadership di livello europeo. Non bisogna dimenticare, infatti, quanto dicevo prima: nell'Europa del mercato unico non c'è spazio per tutte le imprese di oggi. In ogni settore emergeranno forse due o tre leaders, ciascuno dei quali sarà il capofila di una rete di imprese, più o meno autonome. In ogni settore è alle posizioni di leadership che bisogna puntare; diversamente si resterà rinchiusi in piccole nicchie di mercato e sicuramente esposti al rischio di un'acquisizione da parte dei concorrenti più forti.
Una seconda idea-guida che deve ispirare la gestione di una holding europea è la scelta dei mercati geografici. Non c'è dubbio che in termini di livello di domanda oggi i mercati più ricchi sono quelli del Centro-Nord dell'Europa. Ma egualmente non c'è dubbio che i mercati più dinamici sono invece - soprattutto in una prospettiva di lungo termine - quelli dell'Europa mediterranea.
Se ho indirizzato i miei investimenti e la ricerca di accordi con altre imprese soprattutto verso la Francia, l'Italia, la Spagna e gli altri Paesi mediterranei, non è per caso; è proprio perché ritengo che qui sarà più rapido lo sviluppo, mentre al tempo stesso qui è più forte la necessità di riaggregare le strutture produttive per raggiungere dimensioni comparabili a quelle dei grandi gruppi anglosassoni.
Nell'Europa del Centro-Sud le strutture produttive e organizzative sono meno consolidate e rigide: c'è una flessibilità culturale, una capacità di adattamento, che rende più facile la risposta allo scenario completamente nuovo che ci hanno proposto gli anni '80. E' un terreno più adatto all'innovazione, più capace di assorbire i continui scossoni dello scenario esterno. E, cosa non secondaria, è un terreno dove in prospettiva è più abbondante la risorsa-chiave dello sviluppo nei prossimi decenni: il capitale umano.

Il sogno del Continente

Dodici Europe per una Europa

Fu nel 1979 che l'Europa, allora dei Nove, decise di compiere lo storico passo: trasformare la vecchia Assemblea creata nel '52 in un Parlamento autentico, almeno sotto il profilo elettorale (anche se poi non si è mai riusciti ad adottare anche un sistema elettorale unico, uguale per tutti). Era il tempo in cui sull'Europa regnava il tandem Giscard-Schmidt, che aveva spinto per l'istituzione, in marzo, del Sistema monetario europeo. Dopo gli anni bui seguiti al primo shock petrolifero e recessione economica relativa, sembrava ritrovata la voglia di integrazione.
L'illusione fu di breve durata. Arrivò il secondo shock energetico, aprendo la seconda recessione mondiale. Nell'84, le seconde elezioni europee a suffragio universale sorpresero la Cee, salita nel frattempo a Dieci con l'ingresso della Grecia, in coma profondo.
Integrazione nel cassetto, gestione corrente delle risse: questa la foto di famiglia. Nel febbraio '84, è vero, Altiero Spinelli aveva ottenuto l'imprimatur europarlamentare al suo Trattato sull'Unione Europea. Ai più era apparsa però una bella sortita controcorrente di un testardo sognatore.
Invece no. Fu il sasso nello stagno. Presa in mezzo tra l'aggressività commerciale del Giappone, il clamoroso risveglio dell'America reaganiana, la globalizzazione dell'economia, l'Europa dovette svegliarsi. Dal Vertice di Milano dell'85 all'entrata in vigore della riforma dell'Atto unico nel luglio '87, trascorsero solo due anni. Quelli sufficienti per affossare l'eurosclerosi, allargarsi a Dodici con l'entrata di Spagna e Portogallo, e soprattutto mettere sul tappeto la storica scommessa del mercato unico, come trampolino di lancio verso l'Unione economico-monetaria e quella politica previste per la magica data del '92. Queste le date-snodo delle Dodici Europe che si sono fatte Europa:
1950: la storia dell'integrazione europea inizia il 9 maggio, quando il ministro degli esteri francese, Robert Schuman, annuncia un progetto per unificare la produzione francese e tedesca di carbone e di acciaio e per creare un organismo comune al quale possano accedere tutti i Paesi europei.

1951: il Trattato istitutivo della Ceca, Comunità europea del carbone e dell'acciaio, viene firmato a Parigi il 18 aprile da Belgio, Germania Federale, Francia, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi.

1952: l'Alta autorità, l'organo esecutivo della Ceca, entra in funzione il 10 agosto. Il 27 maggio i sei governi avevano firmato il Trattato istitutivo di una Comunità europea di Difesa (Ced). Il 10 settembre, il belga Paul-Henri Spaak è eletto presidente dell'Assemblea comune della Ceca, alla quale è conferito l'incarico di elaborare un progetto di trattato politico.

1953: il 10 febbraio viene realizzato il Mercato comune per il carbone e i minerali di ferro; il 15 per i rottami; il primo maggio per l'acciaio.

1954: l'11 maggio Alcide De Gasperi diviene presidente dell'Assemblea comune della Ceca. Il 30 e 31 agosto, l'Assemblea nazionale francese respinge il Trattato per l'istituzione del Ced. La prima conseguenza è la rottura delle trattative per la Comunità politica.

1955: a Messina si apre, il 2 giugno, la conferenza dei sei ministri degli Esteri, i quali decidono di proseguire e ampliare la politica d'integrazione economica.

1956: il 2 giugno, riunione a Venezia dei ministri degli Esteri, che decidono di avviare le trattative per l'istituzione della Cee e della Ceea (Euratom).

1957: il 25 marzo vengono firmati a Roma, in Campidoglio, i trattati istitutivi della Comunità economica europea e della Comunità economica europea dell'energia atomica. Nello stesso anno i Trattati vengono ratificati dai sei Parlamenti nazionali.

1958: Walter HalIstein è il primo presidente della Cee e Louis Aremand della Ceca. A Stresa, la conferenza che si svolge tra il 3 e l'11 luglio getta le basi della politica agricola comune.

1959: inizia la graduale riduzione dei dazi all'interno della Cee, con un abbassamento del 10%. Il 20 novembre il comitato d'azione per gli Stati Uniti d'Europa, presieduto da Jean Monnet, propone la fusione degli organi esecutivi delle tre Comunità europee e dei tre Consigli dei ministri.

1961: Irlanda, Danimarca e Gran Bretagna presentano domanda di adesione alla Cee. Le trattative con il governo conservatore di McMillan iniziano l'8 novembre. Il 10 febbraio viene istituito un comitato presieduto da Christian Fouchet per studiare forme di maggiore cooperazione politica, sulle cui proposte finali non si raggiungerà l'accordo, con la conseguenza dell'interruzione (il 17 aprile 1962) delle trattative per l'unione politica.

1963: dopo le dichiarazioni del generale De Gaulle, il 29 gennaio si interrompono le trattative per l'adesione della Gran Bretagna e degli altri Paesi che avevano fatto richiesta. Il 20 luglio viene firmata a Yaoundé, in Camerun, la prima Convenzione di associazione con 17 Paesi africani.

1965: l'8 aprile viene firmato il Trattato che sancisce la fusione degli organi esecutivi della Ceca, Cee e Ceea. Il 30 giugno il ministro degli Esteri francese, Couve De Murville, abbandona per protesta una sessione del Consiglio da lui presieduta: inizia la politica francese della "sedia vuota".

1966: la crisi aperta dai francesi si chiude con il compromesso del Lussemburgo, del 29 gennaio, in base al quale il Consiglio rinuncia a prendere decisioni a maggioranza quando siano in gioco questioni di particolare entità.

1967: il 6 luglio entra in funzione la Commissione della Cee, sotto la presidenza di Jean Rey che, per la prima volta, il 16 giugno, aveva dato voce unitaria alla Cee nel corso delle trattative Gatt. Nuove richieste di adesione di Gran Bretagna, Irlanda, Danimarca e Norvegia: nonostante il parere favorevole della Commissione, tuttavia, il Consiglio dei ministri del 19 dicembre non riesce a trovare un accordo sulla ripresa dei negoziati.

1968: il primo luglio sono aboliti i dazi doganali. Il 18 dicembre la Commissione presenta al Consiglio il piano predisposto da Sicco Mansholt sulla politica agricola.

1969: vertice dei capi di Stato e di Governo all'Aja (1 e 2 dicembre), al termine del quale si decide di dare nuova spinta alle trattative di adesione, di rafforzare i poteri del Parlamento, di procedere alle riforme della politica agricola, di istituire un sistema di cooperazione nella politica estera.

1970: il 7 ottobre, rapporto di Pierre Werner sull'attuazione dell'Unione economica. 27 ottobre: rapporto di Etienne Davignon sulla cooperazione politica.

1972: la Cee sale a Nove membri. Il 22 gennaio Edward Heath firma l'adesione di Londra alla Comunità, nella quale entrano anche Irlanda e Danimarca. In Norvegia, invece, un referendum decide l'autoesclusione. Il 21 marzo viene introdotto il serpente monetario, in base al quale verranno tollerate oscillazioni monetarie fino a un limite del 2,5%.

1973: il 19 marzo i Paesi della Cee, ad eccezione di Italia, Gran Bretagna e Irlanda, formano un blocco monetario unitario: le sei monete fluttuano in blocco nei confronti delle monete estere. Il 6 aprile viene istituito il Fondo europeo di cooperazione monetaria.

1974: al Vertice di Parigi del 10-11 dicembre è decisa l'elezione diretta del Parlamento e nasce il Consiglio Europeo che si riunirà regolarmente tre volte l'anno.

1975: al referendum del 5 giugno, la Gran Bretagna decide di rimanere nella Cee. Il franco francese rientra nel serpente, dal quale era uscito nel febbraio '73. Il 28 febbraio è firmata la prima Convenzione di Lomé con 46 Paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico. Il 29 dicembre, rapporto Tindemans sull'Unione europea.

1976: il 14 marzo il franco francese abbandona di nuovo il serpente.

1977: dopo la richiesta di adesione della Grecia, del 1975, presentano domanda, il 28 marzo, il Portogallo e il 28 luglio la Spagna.

1979: il 13 marzo entra in vigore lo Sme. Il 17 luglio prima sessione del Parlamento europeo eletto a suffragio diretto tra il 7 e il 10 giugno. Simone Veil è eletta presidente.

1981: la Grecia è il Decimo Paese della Cee: l'adesione era stata firmata il 28 maggio '79 dal primo ministro Constantin Karamanlis.

1983: solenne dichiarazione, a Stoccarda, del Consiglio europeo del 17-19 giugno sull'Unione Europea.

1984: il 14 febbraio il Parlamento adotta il progetto di Trattato dell'Unione Europea messo a punto dalla Commissione istituzionale. Tra i protagonisti dei lavori, Altiero Spinelli.

1985: il 12 giugno, a Lisbona e a Madrid, firmate le adesioni di Portogallo e Spagna. A Milano, il 29-30 giugno, il Consiglio europeo discute dei problemi istituzionali.

1986: in febbraio, firma dell'Atto Unico che riprende le conclusioni del Consiglio del dicembre '85 del Lussemburgo e stabilisce la data del 31 dicembre 1992 per la realizzazione del Mercato Unico.

1987-1989: il primo luglio '87 l'Atto Unico entra in vigore: precisati i poteri della Commissione, ritoccati quelli del Parlamento, formalizzati i meccanismi della cooperazione politica. Inoltre, gettate le basi per la collaborazione in politica estera. Si rafforza il dibattito sull'unificazione monetaria, che sfocia nel rapporto presentato nell'aprile '89 dal presidente della Commissione, Jacques Delors, che prevede un processo di integrazione in tre fasi.

E per scenario il Duemila

Paolo Savona

L'attuale bilancio pubblico può essere considerato all'origine della disoccupazione italiana. Questo non significa che non operino oltre cause, ma che l'elevato assorbimento di risparmio interno per fini improduttivi e la intollerabile inefficienza dei servizi pubblici sono oggi determinanti nel sottrarre risorse al settore produttivo e all'occupazione. Se il settore pubblico fosse più efficiente o spendesse di meno, il vincolo estero alla crescita sarebbe meno stretto e il livello di sviluppo e di occupazione sarebbe più elevato.
Nella soluzione del problema del deficit di bilancio pubblico, la scelta di operare soprattutto dal lato delle entrate - non solo quelle tributarie, ma anche quelle per oneri sociali, tariffe, ticket, ecc. - peggiora la distribuzione delle risorse tra settore produttivo e improduttivo e quindi le prospettive dell'economia e dell'occupazione.

E per scenario il Duemila

Michele Salvati

Da Malthus sino al Club di Roma le preoccupazioni circa gli effetti disastrosi dell'esplosione demografica si sono dimostrate infondate. Ciò è stato vero, però, per le preoccupazioni circa la disponibilità di risorse alimentari o minerali: risulteranno infondate anche le preoccupazioni per l'ambiente? Vorrei essere il primo a sperarlo, ma non vedo molti appigli per questa speranza. Per quanto ne posso capire, gli allarmi degli scienziati sono seri. E i tempi sono - per questo genere di cose - estremamente rapidi: assai più veloci dei tempi lentissimi che sono necessari alla costituzione di un governo planetario del sistema ecologico. Anche perché un governo di questo genere esige consenso; e il consenso diventerà una merce sempre più rara in un contesto in cui il conflitto tra ricchi e poveri (e tra poveri e poveri, visto che quello tra ricchi e ricchi va attenuandosi) è destinato ad accentuarsi.

E per scenario il Duemila

Libero Lenti

Sono almeno vent'anni che sentiamo parlare di manovre economiche, e cioè da quando cominciarono a manifestarsi i primi dubbi sulle virtù stimolatrici dei disavanzi di spesa. Ma, nonostante questi dubbi, sempre più evidenti, s'è tirato avanti, s'è lasciato correre, sino a dover riconoscere, anche in ambienti non sospetti, che Ia pubblica amministrazione è una specie di baraccone sgangherato, sovraccarico, che avanza traballando.
Donde la necessità d'alleggerirne il peso al fine di rendere più agevole l'andatura. Chi, non molto tempo fa, s'azzardava a sostenere la necessità di "più mercato e meno Stato" era additato al ludibrio della pubblica opinione. Adesso, non più, anche perché la pressione tributaria, sempre più gravosa e sperequata, e che talvolta presenta aspetti d'una vera e propria rapina, non trova corrispondenza nella fornitura di servizi collettivi e indivisibili.
L'esperienza non consente di farsi molte illusioni. Il carico è quello che è. Troppi interessi di natura settoriale s'oppongono allo scarico. E pertanto continuerà a pesare negativamente, anche in termini di produttività, sul funzionamento del settore pubblico. Il riconoscimento del primato delle attività reali su quelle finanziarie sarà d'aiuto per mantenere positivo l'andamento del ciclo.
Questo, dal punto di vista congiunturale. Se si considerano invece le cose dal punto di vista strutturale, non si può essere altrettanto ottimisti. Purtroppo, lo scenario non si presenta con sostanziali mutamenti, nonostante i piani di rientro intesi ad annullare entro il 1992 il disavanzo di parte corrente del bilancio dello Stato.
E d'annullarlo, si badi bene, lasciando ingenuamente da parte gli oneri connessi con il debito pubblico. La verità è che tutti questi piani, dato e non concesso che trovino applicazione, presentano aspetti puramente contabili. In altre parole, non prendono in considerazione il problema della produttività della pubblica amministrazione, un problema sempre più incalzante man mano che s'avvicina il momento in cui il nostro sistema economico s'inserirà strutturalmente in quello europeo.
Ed è proprio su questo problema, punto di confluenza di tanti altri problemi, pure connessi con le entrate e le spese del settore pubblico, che occorre fissare l'attenzione o, per meglio dire, operare, al fine di modificare, se possibile, lo scenario a più lunga scadenza.
Più che mai, in questo caso, l'ottimismo della volontà deve prevalere sul pessimismo della ragione.

E per scenario il Duemila

Siro Lombardini

L'economia italiana ha conosciuto fin qui due miracoli: quello degli anni Cinquanta-Sessanta che si spiega con le stesse ragioni che hanno determinato il boom dell'economia americana negli anni Venti (l'avvento del consumismo e le accresciute possibilità di esportazione; per gli Stati Uniti, di investimenti all'estero), e il recente miracolo che si spiega con lo sviluppo dell'economia sommerso, prima, e con le vaste ristrutturazioni che, soprattutto in seguito ad alcuni cambiamenti di strategia della grande impresa, consentiti da atteggiamenti permissivi del sindacato, sono diventati possibili. E' ora necessario un terzo miracolo, per il quale però non basta l'intraprendenza privata. Occorrono modifiche radicali nelle strutture e nei criteri operativi delle pubbliche amministrazioni. Occorre in primo luogo che si creino le condizioni per la sostituzione delle attuali politiche assistenzialistiche con politiche produttivistiche, in particolare la creazione di nuove istituzioni atte ad assicurare una sufficiente stabilità dei governi e un efficace e responsabile funzionamento del Parlamento.
Si è molto parlato di smantellamento dello Stato assistenziale (ma in Italia più che lo Stato assistenziale si è costruito lo Stato clientelare!) e di deregulation. In Italia il problema fondamentale è quello che abbiamo indicato di una maggiore efficienza della pubblica amministrazione che renda possibile una nuova politica economica. Tre problemi si inquadrano nel contesto di questo grande problema: quello dell'occupazione, quello del Mezzogiorno e quello ecologico. Circa l'occupazione, mi limiterò a segnalare che la mancata realizzazione delle condizioni per la creazione di un numero di posti di lavoro adeguato è causa di inefficienza: essa è una delle cause dello Stato clientelare. Il problema del Mezzogiorno, legato a quello dell'occupazione, resta un problema centrale della politica economica. E' anche con riferimento ad esso che dobbiamo purtroppo guardare con preoccupazione al 1992. Non possiamo pensare che l'Italia possa entrare ci far parte di un'Europa economicamente integrata, con un Sud che non è riuscito ad integrarsi e a omogeneizzarsi con il resto del Paese. Se non si riuscirà a risolvere il problema del Mezzogiorno - e più in generale, a livello europeo, il problema delle aree deboli - l'unificazione dell'Europa avrà effetti simili a quelli che ha avuto l'unificazione dell'Italia, che ha creato il problema del Mezzogiorno.
Il problema ecologico è scoppiato di recente. Ma esso aveva già assunto dimensioni drammatiche da tempo. Mi limiterò a sottolineare che, per l'efficace impostazione e per concrete possibilità di soluzione, occorre che esso sia posto e affrontato a livello comunitario e in prospettiva a livello mondiale.

E per scenario il Duemila

Sergio Ricossa

Ovunque la politica e l'economia si mescolano, determinando situazioni poco chiare e poco lodevoli. Ma è questione di misura. Finché l'Italia, fra le grandi democrazie industrializzate dell'Occidente, avrà la peggiore pubblica amministrazione, la più costosa e la più corrotta, nonostante l'abnegazione dei funzionari onesti, che pur ci sono; finché saremo anomali in tal senso, la nostra moneta sarà la più debole, la nostra inflazione la più forte, i nostri servizi pubblici i più lamentevoli (si pensi alla Sanità), la nostra distribuzione delle ricchezze la più arbitraria, il nostro sviluppo economico il più drogato, la nostra moralità la più vacillante. Non si può pretendere di risolvere mali secolari in un istante. Cerchiamo però di sfruttare la più accanita concorrenza europea, che si attuerà prossimamente, come sferza per costringerci a fare gradualmente ciò che avremmo dovuto fare da un pezzo. E per prima cosa, che l'Italia non chieda rinvii, dilazioni, esenzioni, trattamenti di favore. E non aspettiamo il mitico 1992. Quest'anno va benissimo per cominciare.

E per scenario il Duemila

Innocenzo Cipolletta

Da più di dieci anni, la politica congiunturale italiana non ha cambiato obiettivo: di fronte a qualsiasi fase congiunturale (ripresa, espansione, recessione) la politica di bilancio ha teso a ridurre il disavanzo pubblico, e quella monetaria è stata indirizzata a convincere i risparmiatori a sottoscrivere il debito pubblico. E così non c'è da meravigliarsi se, a fronte delle molte modifiche congiunturali di cui si è detto, non si assista ad alcun cambio di obiettivo nella politica di bilancio, sempre tesa a stabilizzare, nell'anno a venire, il disavanzo pubblico ai livelli assoluti raggiunti nell'anno in corso.
Tale monotonia di obiettivo non vuol dire necessariamente una mancata realizzazione negli anni passati. Anzi, il disavanzo primario - ossia quello al netto degli interessi - si è ormai ridotto grazie anche ai molti minuti interventi adottati nel corso degli anni 1984-86, Anche le misure previste per il 1989 porteranno un loro limitato riflesso sulla strada dell'azzeramento del disavanzo primario. Ma la loro capacità di incidere sulla congiuntura appare limitata.

E per scenario il Duemila

Veniero Del Punta

Credo si possa sostenere che, allorché lo Stato si indebita pagando tassi di interesse reali positivi e consistenti, come accade da anni e sta continuando ad accadere nel nostro Paese, la propensione al risparmio della collettività aumenti; e che questo è un effetto positivo dell'indebitamento dello Stato, se è vero che ad una propensione al risparmio più elevata può corrispondere un più alto tasso di accumulazione del sistema. Si potrà obiettore che in Italia tale effetto è dubbio, dato che lo Stato si indebita per finanziare spese correnti, quindi non destinate ad accumulazione. Ma, a parte il fatto che sarebbe molto difficile per chiunque stabilire se le spese di investimento che lo Stato effettua si sarebbero verificate anche in assenza di indebitamento, v'è comunque da tener presente che, anche se utilizzato per spese correnti, l'indebitamento consente il sostegno della domanda globale: quindi il processo di accumulazione del sistema di imprese che quella domanda è chiamata a soddisfare.

E per scenario il Duemila

Luigi Frey

Il progresso tecnico in senso lato (nel cui ambito hanno certamente un ruolo fondamentale le ristrutturazioni guidate da innovazioni organizzative oltreché da mutamenti nelle tecniche di produzione) ha un'importanza crescente come fonte di squilibri strutturali; tra i quali vi sono certamente quelli che concernono la disoccupazione/sottoccupazione. Paradossalmente, le migliori prospettive produttive tendono a riflettersi, in Paesi come l'Italia, in un'accentuazione delle componenti strutturali della problematica occupazionale. In altri termini, si registra una tendenza all'accentuazione della disoccupazione/sottoccupazione riconducibile a modifiche delle strutture produttive, a livello settoriale e territoriale, nonché alla dinamica difforme dell'offerta di lavoro di particolari gruppi di lavoratori. Per quanto concerne l'Italia, emergono in particolare sempre più i problemi di disoccupazione/sottoccupazione con riguardo ai lavoratori residenti in regioni meridionali, alle persone avanti nell'età, alle donne.

 


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