§ Favolerie

Il cavaliere bambino




Antonio Errico



... tutti ripetevano
quello che lui aveva raccontato,
ognuno ci metteva
la sua parte
di memoria
e le storie crescevano
diventavano
vive

Non sempre uno torna con le armi. A volte le perde in battaglia oppure le scorda sulla riva di un fiume oppure se conosce un po' meglio la vita le nasconde tra i rovi. Perché non si sa che succede domani, se la guerra riprende e uno allora ha bisogno di nuovo dell'elmo, la corazza e la spada. Bisogna sapersi difendere, sempre, da tutti: dai fratelli, gli amici, la sposa e i figli finanche. Dormire con un occhio solo bisogna, e un piede per terra, pronto a scappare dal letto e a bruciare la paglia perché nessuno dopo di te vi si adagi. Nessuno. Così pensava Eleò mentre tornava.
E passava per campi di grano, foreste di querce, macchie, colline di pruni, pianure assolate, fiumi in secca e sentieri lungo i burroni, per paesi e taverne in tre notti e tre giorni passò. In tre giorni e tre notti di nuvole e soli e pensieri, ricordi di battaglie e paure e di notti al bivacco, di notti con solo pensiero di casa e di amori, di sogni con gli occhi fruganti nel buio del campo. "Ma adesso basta", disse Eleò ad un tratto, "non voglio più tristezza. Ma vorrei che l'ora fosse più leggera, profumo vorrei di zagare e di viole, vorrei avere tutte le parole che fossero sottili come velo, che fossero brucianti come gelo; parole luccicanti come l'oro per fare nocche ai suoi capelli neri, dolci come il cielo quando imbruna, tenere come grano a giugno pieno. E poi vorrei lune grandi e bianche e suoni e canti nella notte chiara". Così pensava Eleò mentre arrivava.
Il vecchio apparve all'improvviso come lucertola tra l'erba, sospettoso: "La casa è cambiata, signore,
la donna è perduta. Nessuno pronuncia il tuo nome. Voltati, cerca in altri luoghi ciò che vuoi trovare. Ho visto le fiaccole accese per tutta la notte, e balli vorticosi, e ho udito gemiti lascivi dietro porte chiuse. Porto di ubriachi, signore, è adesso la casa, corte di giannizzeri e nani, bordello, locanda d'infamia. Una notte ammazzarono il cane e un'altra riempirono il pozzo di pietre, seminarono il giardino col sale. E la donna è perduta, ti dissi, è finita in non so che gorgo d'insana passione. Ti prego, perdona l'oltraggio delle parole".
"Chi sei?" chiese Eleò.
"Guardami bene, signore, anche se il tempo è passato su questa pelle come brace viva, gli occhi forse ti potranno dire il nome del servo che hai davanti e che ora, ancora, s'inginocchia ai tuoi piedi e t'implora di fuggire lontano. Anzi, guardati intorno ti dico, sospetta un agguato ad ogni fruscìo di cespuglio. Sanno colpire alle spalle, sono scaltri, feroci".
Ma chi sono?" chiese Eleò.
"I nemici, signore, e gli amici che avevi lasciato".
Il vecchio sparì dietro cespugli di mirto.
Non sempre uno torna con le armi. Le armi uno le scorda, le affossa, le spezza, le lascia al compagno più giovane perché se la vita è più lunga di più son le battaglie. Non sempre uno torna con le armi. Ma se anche le avessi qui, adesso, a cosa potrebbe servirmi combattere, ormai? A quale nemico dovrei staccare la testa, di quale ricordo dovrei tagliar la radice? Perché è il ricordo che adesso mi assedia, mi stringe, mi ruba le forze e il braccio diventa tremante. Poi in battaglia, so bene, ci vuole fortuna, ci vogliono anche le stelle dalla tua parte e per me quelle stelle son solo stelle perdute. Né so di quale colpa pago il fio, se fu oltraggio a un dio. Non so capire.
Così pensava Eleò. La notte era alta.
Guardò la casa, immaginò le stanze, la fiamma di una lucerna tremolante, immaginò la donna, il sogno dei suoi occhi, il suo sorriso dolce e immaginò che non ci sarebbe stato bisogno di parole per dirle che il tempo si cancella, che gli anni sono solo un attimo, un sospiro.
Immaginò il roseto a primavera, la sera mielosa sopra le colline, immaginò lei sull'uscio ad aspettarlo e a rivederlo incredula e felice. Ma felice può essere solo la memoria di ciò che è stato prima di partire.
Non si ritorna mai, si disse Eleò.
Com'è possibile ritrovare le ombre al loro posto, i tavoli, le sedie, le scale, i visi, il fuoco del camino. Come si possono ritrovare intatti i pensieri, i segreti, il sonno lungo, il sonno senza soprassalti, il sogno. Non si ritorna mai. Si può guardare solo da lontano o nascosti dietro le spalle del tempo che è passato, spiare un gesto da dietro una finestra, indovinare una parola da un muoversi di labbra. Ma avrei voluto dirle, almeno, bada a non farti chiamare mai più sposa, non potrai esserlo mai, di nessun altro. Attenta al gelo, avrei voluto dirle, ai sentieri di spine, attenta alla gioia che non sarà mai più gioia davvero: sarà pallida, debole. Attenta alle passioni, alle parole: saranno false, ti lasceranno presto. E avrei voluto dirle, se avrai freddo, non ti scalderanno nemmeno mille fuochi.
Così pensò Eleò. E voltò il cavallo.
Notte senza luna fu la notte che Eleò parti. Di solitudine fu notte e di naufragio, di cane vagabondo, di ossessione, di vento che riporta morte voci, di voci senza volto ormai. Di voci abbandonate nelle stanze, chiuse dentro ogni clessidra, serpeggianti, nascoste dietro gli angoli, suonanti come voci di fantasmi. E passò per campi di grano, foreste di querce, macchie, colline di pruni, pianure assolate, fiumi in secca e sentieri lungo i burroni, per paesi e taverne in tre notti e tre giorni passò.
In tre giorni e tre notti più lunghi di un inverno di guerra, tre notti e tre giorni che non finirono mai.
E cavalcava Eleò, di notte e giorno; e cavalcava Eleò, voleva il mare. Il mare che aveva visto da bambino quando suo padre disse "Questo è il mare. Questo è il mare, Eleò, che non finisce, e se finisce non si sa mai dove".
Voleva il mare Eleò che non finisce. E cavalcava Eleò col suo cavallo fatto di legno ormai, solo di legno.
E gli diceva "Ah cavallo arrò arrò piglia la biada che ti do, piglia i ferri che ti metto, portami via dove non so. Cavalluccio arrò arrò ... ".
E ritrovò le armi: la fionda, la freccia, l'arco di canna, le spade di legno.
E cavalcava Eleò, voleva il mare.
Aveva tutto ormai, voleva il mare.
Aveva le fiabe coi maghi e le regine, aveva l'orco, le fate e paura del lupo, aveva la pioggia che batteva alle vetrate e gli scongiuri se c'era il temporale. Aveva la mano della madre sul suo petto se la notte si svegliava all'improvviso.
E cavalcava Eleò, di notte e giorno, col suo cavallo a dondolo verso il mare, verso il suo mare immenso di bambino.
Il tempo gli passava sui capelli, sulla sua barba, sopra i suoi dolori, sopra il cuore passò per cancellare come fosse unguento ogni ferita. Gli cancellò le lacrime, i rimpianti, la solitudine, le parole amare; gli cancellò l'amore e i tradimenti, i morsi all'anima. Fu pietoso il tempo.
E gli lasciò il desiderio, lo stupore e la memoria di quel mare, quel ricordo di suo padre che diceva "questo è il mare". Gli lasciò il profumo di torta di ciliegie, i baci sulla guancia, le preghiere, i soldatini fatti di cartone, il nano di legno che scende dalle scale, i panierini di nòccioli di pesca, trozzule, tamburelli, sonagliere. Gli ridiede le sue voglie di bambino, i suoi capricci. Il tempo fu pietoso.
E dondolava Eleò, voleva il mare.
Passava il tempo leggero come foglia, gli passava dentro gli occhi e riportava i balconi coi gerani a primavera. E i visi ritornavano, tornavano le corse dentro i campi tra le viti, il sorriso di sua madre sulla soglia della sua casa bianca.
Passava il tempo e riportava tutto: le ninne-nanne, il sogno ed era tutto come dentro una nuvola. E passava lieve, silenzioso. "Non fermarti", diceva al tempo Eleò, "non fermarmi, vola su queste ore, sopra gli anni, tienimi per mano fino al mare".
E tornavano i giorni dei pupazzi di neve, le colline fiorite, il sole di maggio. Ritornava a sentire gridi dentro i cortili, a spiare le ombre dei gatti in amore. Ritornarono tutti ad uno ad uno i bambini e tornavano i vecchi con le storie infinite. Ritornava l'incanto delle sere d'aprile quando scuriva più tardi e più lungo era il gioco. E scomparvero a un tratto le battaglie, il fragore delle tante battaglie e i compagni feriti, stesi sulla sua ombra.
"Porta via tutto quanto", disse al tempo Eleò, "non lasciarmi più nulla, neanche un solo pensiero. Voglio solo il cavallo per arrivare al mio mare, che lo sento vicino, forse quasi lo vedo".
E dondolava Eleò, voleva il mare.
Poi al tramonto di uno di quei tanti tre giorni, Eleò vide il mare. Risentì quella voce che diceva "ecco il mare, e lui si mise a guardare come fosse un bambino.
Ora il tempo non era più stagione che passa, era il rosso del sole caduto nell'acqua. Era tutto silenzio d'intorno, si udiva soltanto il respiro un po' affannoso del mare. Scivolò tra le onde, dondolò e fu felice di cavalcare in quel mare che non si sa dove finisce. Che se finisce non si sa mai dove.


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