Ha scritto Gianni
Corbi che le cifre, ancora una volta, dimostrano quanto sia grande,
e crescente, il malessere di un'Italia dicotomica e schizofrenica.
La parte "sana" è sempre più calamitata dall'Europa
del benessere; quella "malata" è invece pencolante
verso un non immaginario Terzo mondo. Le statistiche più recenti
rilevano infatti che il tasso di disoccupazione nel Nord è
sceso dal 6,7 al 5,8 per cento, il che in pratica vuoi dire che si
è anche al di là del pieno impiego. Nel centro si è
passati dal 10,1 al 10,5 per cento, indice non preoccupante, ma che
deve far riflettere. Nell'imbuto della penisola, cioè nel Sud,
il baratro: dal 20,3 al 21,3 per cento. Qui sono i paria d'Italia.
Dunque: mentre l'Europa occidentale si apre, si integra, dà
vita a nuove iniziative, accetta una radicale mutazione storica, un
terzo della penisola è tagliato fuori da ogni rivoluzionario
processo di trasformazione. Dice Corbi: "Si potrà discutere
a lungo se il punto di non ritorno è stato già superato,
e se il ritardo accumulato dal nostro Sud sia ancora colmabile. Ma
è di qui che bisogna partire per riaprire una questione meridionale
che oggi ha connotati - sociali, economici, giudiziari, culturali
- molto diversi da quelli del recente passato".
C'è del nuovo nel Sud. Ma è un nuovo "più
negativo e preoccupante di quanto i più incalliti pessimisti
potessero prevedere". Non una sola delle ipotesi sulle quali
si fondava la rinascita del Sud si è realizzata. Un anno e
mezzo fa, la legge 64 venne varata per sostituire la vecchia Cassa
per il Mezzogiorno. Un ministro che aveva Fama di pragmatico promise
di spendere 23.000 miliardi. Promesse, appunto, di ministro: perché
a un anno di distanza il governo era costretto a varare l'ennesimo
decreto per accelerare e semplificare (?!) le procedure per la concessione
degli incentivi agli investimenti industriali nel Sud. Disastrosi
i risultati. Mentre nell'80 finanziamenti per 700 miliardi avevano
creato 24 mila nuovi posti di lavoro, nell'88 finanziamenti per 1.750
miliardi ne avevano creato solo 1.600! Alla Commissione per il controllo
sugli interventi straordinari nel Mezzogiorno qualcuno ventilò
la saggia ipotesi di abolire la costosa e paralitica (paralizzante)
macchina che è il ministero per il Mezzogiorno. Perché
non c'è una autentica strategia di sviluppo del Sud? Eppure,
tutti i numerosi studi realizzati in vista del mitico primo gennaio
1993 indicano che una parte non secondaria della battaglia d'Europa
si giocherà nelle regioni più povere della Spagna, della
Grecia, del Portogallo, dell'Irlanda, dell'Italia, ricche di manodopera
inutilizzata, ad alta natalità e ancora non congestionate.
E' qui che di preferenza si indirizzeranno i capitali liberi di muoversi
senza vincoli e impedimenti. E già si sa che la corsa verso
il Mezzogiorno d'Europa favorirà gli Stati che avranno avuto
l'accortezza di creare le condizioni migliori, e le infrastrutture
più adatte ad accogliere nuovi capitali e nuove industrie.
E' esattamente tutto quello che non stiamo facendo. Solo il 6 per
cento degli investimenti dello Stato è affluito nel Sud, al
posto della riserva obbligatoria del 40 per cento che gli enti pubblici
dovrebbero destinare, ope legis, alle regioni meridionali. La Banca
d'Italia avverte che nel Sud il valore aggiunto per occupato è
oggi inferiore in percentuale di quasi 20 punti rispetto alle regioni
del Centro-Nord; che alla fine dell'88, delle 228 società quotate
alla Borsa di Milano, quelle con sede legale nel Sud erano solo 15,
con una capitalizzazione di circa 5.800 miliardi, pari a poco più
del 3 per cento del totale; che la produttività dei capitali
impiegati nel Centro-Nord ha un valore doppio rispetto a quello del
Sud, che solo il 9 per cento delle esportazioni italiane viene dal
Sud; che nel Sud, unica nota positiva, crescono le nuove imprese,
ma secondo un modello definito, eufemisticamente, "obsoleto";
che a tutto questo si deve aggiungere che i trasporti del Sud sono
un colabrodo, che del ponte di Messina nessuno parla più, che
gli acquedotti centellinano l'acqua, che per installare un telefono
- la tua voce - o, peggio, un telex è necessario aspettare
mesi o anni. A meno che non si abbiano santi in paradiso.
Questo lo scenario offerto dal Sud: un paesaggio desolato, tragico,
nel quale la cronaca nera e delinquenziale ha sempre più nei
mass-media, e soprattutto nella (cattiva) coscienza degli italiani
un posto di primo piano.
L'avvocato Agnelli ha detto di vedere nel nostro Sud "un esempio
evidente di risorse fortemente inutilizzate" e una terra nella
quale ormai "la malavita ha assunto ( ... ) livelli sempre più
vicini a quelli di una economia colombiana o peruviana" che seguono
logiche che poco hanno da spartire con una sano imprenditoria industriale.
Sante parole. In Colombia e in Perù, ma anche in altri Paesi,
sudamericani o no, un pugno di banditi in doppio petto, politici,
industriali, appoggiano e sono appoggiati dai narcotrafficanti e da
potentissime mafie nazionali. Come definire certi nostri politici
e certi nostri industriali che con i loro protezionismi e con le loro
scelte di economie dualistico-schizofreniche hanno creato non solo
la cortina di cavalli di frisia sopra o - se si preferisce - sotto
Ancona, ma un invalicabile, consolidato muro lungo il Garigliano?
Partirono con vecchie carrette, bare galleggianti ormeggiate nei porti
di Napoli e di Genova, che calcolavano gli imbarchi in "tonnellate
umane". Impiegavano almeno un mese per giungere in Argentina.
Lì ci si aspettava l'Eldorado. I primi furono gli abitanti
della Carnia, nel 1884. Seguirono alcuni veneti, poi gli abruzzesi,
i campani, i calabresi, i pugliesi, i lucani, i molisani. I quali,
dopo qualche anno, chiamavano i nuclei familiari.
Milioni di zoccoli battevano le praterie di quella terra felice: una
ricchezza immensa. Con grandi opportunità di lavoro per chi
veniva da regioni e da culture contadine. Poi, vicende interne, interventi
di multinazionali, crisi, demagogie, dittature, indebitamenti, corruzione,
hanno portato il Paese sull'orlo del disastro. Un'inflazione che viaggia
al ritmo di quattro cifre all'anno ha distrutto l'economia. Il reddito
medio per abitante è precipitato a meno di centomila lire al
mese. Imperversa la fame, mancano i generi di prima necessità.
E sono ricomparsi i "vu' turnà".
Sono nipoti o pronipoti di coloro che presero i bastimenti, per "terre
assai luntane", giovani che parlano poco italiano e poco dialetto
arcaico per i quali un indirizzo è il viatico dell'inserimento
nella terra d'origine dei nonni o dei bisnonni. Giungono con un pezzo
di carta, cercano parenti che neppure ricordavano più coloro
che, un secolo fa, erano emigrati, chiedono aiuto, ospitalità
temporanea, lavoro. Non solo in Carnia, ma persino nel Sud, terra
che - per ironia della sorte - è più ricca dell'ormai
poverissima Argentina. Il fenomeno è cominciato quattro o cinque
anni fa, ma è rimasto in sordina, sommerso dal clamore degli
immigrati dal Terzo Mondo afro-asiatico. Ora sta esplodendo.
Quali prospettive possono avere costoro in Puglia, o in Calabria,
o in Basilicata, Dio solo lo sa. Per ora, si alternano con i "vu'
cumprà" nei lavori più umili per sbarcare il lunario,
oppure si affidano alle organizzazioni umanitarie per sopravvivere,
con lo scopo di poter lavorare un anno. Solo un anno. Perché
all'emigrato italiano in Sudamerica viene assicurato un trattamento
previdenziale identico a quello dell'italiano in Italia. Basta che
almeno per un anno l'emigrato abbia lavorato da noi, versando i contributi.
In questo senso, come "lavoro" viene considerato anche il
semplice servizio militare. Gli effetti: per tutti i suoi emigrati
in Argentina, lo Stato italiano si impegna a versare la differenza
fra la pensione minima del governo di Buenos Aires (l'equivalente
di 30 mila lire al mese) e la nostra "pensione sociale",
che ora è fissata in 460 mila lire. Sono versamenti in valuta:
in media, 300 dollari al mese, che in Argentina, soprattutto al "cambio
nero", equivalgono allo stipendio di un grosso professionista.
Vengono qui anche per questo, i pronipoti degli emigrati, con la speranza
di ottenere un anno almeno di lavoro "regolare", o magari
di compiere il servizio militare per acquisire in futuro il diritto
a quell'assegno. E trovano conveniente persino il Sud, quello che
emerge dalle cifre che abbiamo riportato. La fame non ha confini.
E forse neanche memoria storica.

Alcune hanno
anche negli occhi la visione dell'Oceano e di New York
Tommaso Fiore
Il mio filosofo
è in campagna e suo padre mi guida. Giù a valle, dovunque
l'occhio si spinge, fino alla selva di Fasano, altro sommo miracolo
di laboriosità umana biancheggiante sull'orizzonte, c'è
agglomeramenti di trulli, collicelli a terrazze, grigio di petrame,
verde pallido d'ulivi, querce e noci gigantesche.
La casetta che mi ospita è, non occorre dirlo, una casa di
contadini, autentica, ma sembra l'opera meticolosa di Giapponesi.
Dovunque, per terra, sui muri intonacati, al palco, splendore di pulizia,
di decenza; cuscini bianchi sui cassettoni, tendine nitide per ogni
vano, per ogni passaggio; mobili di quercia, porte graziosamente dipinte
di grigio, noce e verdino; tutto misura e proporzione, agio, tranquillità.
Sono questi i nostri cafoni, cui lo Stato non vuole ancora riconoscere
diritto di vita politica. Su di un tavolo, innanzi allo specchio,
trovo uno Shakespeare. Viene dall'America, come indubbiamente l'America
ha dato al nostro contadiname una sveltezza ed uno spirito d'iniziativa,
che quaggiù non avrebbe mai acquistato, ma il libro è
di loro e serve per loro, per le ragazze di casa, chè il mio
amico tiene i suoi filosofi accatastati in un angolo remoto, per lui
solo.
Il podere, come più o meno tutti gli altri, ha dinanzi a sé
un cortile con peschi, susini, gelsi, querce, pergole, edere, fiori;
a un lato la piccola aia ricinta da un muretto basso, ad un angolo
il pozzetto che raccoglie l'acqua dei tetti; ed anche qui tutto è
in ordine, tutto è pulito, scopato e spazzato or ora.
Gli altri trulli servono per cucina, per forno, per pagliaio, per
pollaio, per ovile, per stalla, ognuno per la sua cosa, e nulla manca,
nessun locale disturba o comunica sudiciume all'altro. Le donne escono
ed entrano silenziose e guardinghe come suore, richiudendo subito,
lucenti come api. Sono nate qui, come le loro mamme; alcune hanno
anche negli occhi la visione dell'Oceano e di New York; i figli ci
andranno, probabilmente, ché ogni sera se ne parla, ma quanto
a loro, dopo tanto vagare, non desiderano altro.