Curare il Po per guarire il mare




Folco Quilici



Il pane verde non è una leccornia, anzi non è nemmeno pane ma certo è cibo, nutriente e ricco. L'ho mangiato, il pasto di alghe marine seccate al sole e poi cotto con una leggerissima sostanza grassa, a Ise-Shima, un'isola fredda del Giappone. Là ho filmato e fotografato in una "fattoria" dove le alghe sono lavorate distendendole al sole come nelle case di campagna del nostro Sud sì fa con i pomodori o con le fettine di peperoni. Un'alga che aiuta la vita.
Come ho visto anche in Bretagna. Grandi quantità se ne pescano lungo tutta la penisola protesa nell'Atlantico, poi i pescatori-contadini le portano con i trattori dalle spiagge ai campi, ove le distendono finché si asciugano; dal salso dell'acqua marina le liberano le piogge violente anche d'estate, lassù sulle rive dell'Atlantico, nell'alternanza continua con le ore di sole. Stavo realizzando una puntata dell'"Uomo europeo" dedicata alle mille nostre astuzie per rendere più fertile la nostra terra, ed una di esse era proprio quella delle alghe che i bretoni usano per concimare i campi e per rendere più produttivi terreni molto avari.
Alleata ancora più singolare dell'uomo è l'alga del lago Ciad, nel sud del Sahara. Là dove il sole è un bene preziosissimo (quello marino si estrae a migliaia di chilometri di distanza, e altrettanto lontano è quello estratto dalle miniere di salgemma), ho visto come i kotoko il sale lo ottengono dalle alghe del loro lago, che è quasi un mare.
Ero là per il mio libro, A mille fuochi", e osservavo le donne dei villaggi raccogliere quella vegetazione che nasce ed è rigogliosa appena sotto il pelo dell'acqua: contrasto con le rive disperatamente aride. E le alghe vengono bruciate dai kotoko e dalle loro ceneri viene estratto il sale indispensabile a loro e ai loro alimenti. Il surplus è ottima merce di scambio con altre tribù nomadi.
Insomma, sto citando ancora l'"alga-vita", per opporla all'"alga-morte" quale ci viene descritta dalle cronache degli ultimi tempi. Simbolo di vita, sino a ieri, lo erano anche in Adriatico. Non arbitrariamente, infatti, la cosiddetta "scuola d'Ancona" ha sostenuto che alghe anche in sovrabbondanza fanno bene al mare. Anche all'Adriatico.
Non al suo sviluppo turistico, certo, ma al suo ecosistema. La loro moltiplicazione - sino a un certo punto - non è accadimento da temere, da esecrare, e tale da evocare l'apocalisse, l'ecocatastrofe. Ma ripete - oggi - un fenomeno già accaduto nel passato. Ad esempio, attendibili cronache veneziane del '700 e altre anconetane della fine dell'800 documentano una moltiplicazione improvvisa ed abnorme delle alghe nell'Adriatico e del loro affiorare in superficie. Oggi il fenomeno è lo stesso. Ma è, allo stesso tempo, anche ben diverso. E' lo stesso perché sostanzialmente le alghe affiorano per i motivi di sempre: il prolungato inizio di un'estate afosa, immobile, troppo calda; di una stagione caratterizzata, anche, da assenza di colpi di vento dal nord o di libeccio, che smuovono l'Adriatico, dai suoi opposti estremi, periodicamente. A questa "emergenza naturale" s'aggiunge - ora - il rigurgito continuo di un Po velenoso, pericoloso, infetto per l'uomo, con le sue sostanze inquinanti che trasformano l'alga-vita in alga-morte.
Morte per lei, per il mare che è il suo grembo. E anche, ahimè, per il turismo che sulla bellezza e sulla dolcezza di quel mare si basava, per offrir serenità e salute. Non malessere, paura, pericolo di infezioni. Certamente, una esagerazione isterica ingigantisce il fenomeno. Ma è anche vero che il problema non solo esiste, ma non può esser messo in dubbio per la sua gravità.
E nessuno deve ignorare che il vero problema è a monte delle alghe. Là occorre affrontarlo e risolverlo, prima che crei altri gravi danni agli ambienti che contagia. Mi riferisco all'inquinamento o, meglio, al non-disinquinamento del Po. Quel non-disinquinamento è un errore grave, colpa imperdonabile di chi un simile problema ambientale non se lo è posto, o non ha creato le condizioni per risolverlo. La tecnologia d'oggi permette simili operazioni (basta pensare al Tamigi); e lo permette celermente, agevolmente, se c'è la volontà politica delle parti.
Noi, oggi semplici cittadini, ma comproprietari dei preziosi beni ambientali del nostro Paese, esigiamo che -in relazione al Po e all'Adriatico - le Regioni da un lato, lo Stato dall'altro, smettano di palleggiarsi responsabilità e rinfacciarsi sterilmente colpe e impotenze.
Sappiamo ormai tutti che in Paesi amministrativamente e politicamente ben più diversi del nostro (come ho visto nei Lander della Germania Federale e negli States americani, così gelosi delle loro autonomie) i problemi ambientali li affrontano - e da tempo - autorità che ignorano e scavalcano quelle locali. Negli Stati Uniti come in Germania - e cito solo i due casi che conosco, ma certo il superamento del mosaico amministrativo per affrontare il problema ecologico è conquista di molti altri Paesi - i fiumi e i loro bacini, così come le foreste e molti tratti di coste marine, sono tutelati da autorità centrali responsabilizzate e dotate di pieni poteri operativi.
E dispongono di tutti i mezzi necessari per operare (ricordiamoci che costa sempre meno prevenire un disastro che porvi un rimedio). Forse la "crisi delle alghe" potrebbe avere un effetto positivo: accelerare i tempi per la creazione a breve scadenza, anche in Italia, di efficienti centri di "potere ambientale".
La posta in gioco è troppo grande, per dilazionare ancora una decisione.

Di tutti i colori

Le alghe sono tallofite, piante prive di radici, fusto, foglie, fiori e frutti, ma dotate di tallo; per lo più autotrofe. Vivono, oltre che nell'acqua dolce e salata, anche sulle rocce che colonizzano sciogliendo il calcare, sul terreno umido dove sono capaci di fissare l'azoto atmosferico, sui prati umidi, sui muschi, sui tronchi degli alberi, talvolta persino sulla lava.
Sono ubiquitarie, vivono nelle zone temperate, ai tropici, ai poli. Hanno i colori più svariati, dal verde mela al verde scuro, dal giallo al rosso, dall'azzurro al viola, dal marrone al nero. Infatti, posseggono il protoplcismo suddiviso in due regioni, una periferica e pigmentata (il cromatoplasma) e una centrale e incolore (il centroplasma).
Nel cromatopIasma ci sono i pigmenti responsabili della colorazione: la clorofilla per il verde, le ficocianine per il blu, le ficoeritrine per il rosso. La proporzione dei pigmenti non è costante; per questo motivo, esistono in natura molteplici, quasi Inimmaginabili sfumature di colori. C'è nelle alghe un adattamento cromatico per effetto del quale gli individui che vivono in luce verde formano
pigmenti rossi, quelli che crescono in luce rossa formano pigmenti verdi o azzurri , in modo da avere una colorazione complementare a quella della luce incidente, per poterlo meglio utilizzare.

I responsabili dell'inquinamento

Giorgio Ruffolo non ha dubbi: la tragedia delle alghe nasce dal Lambro. E punta il dito contro la Lombardia. Secondo l'IRSA, Istituto di ricerca sulle acque, del CNR, ogni anno il Po scarica in mare 13.000 tonnellate di fosforo, 110.000 di azoto, 217.000 di carbonio, e poi 16 di piombo, 2,3 di cadmio, 34 di cromo, 30 di rame, oltre ad arsenico, a nichel, agli immancabili pesticidi, e ai liquami prodotti da quattro milioni di suini allevati in Emilia-Romagna.
E' stato calcolato che il 33 per cento di queste sostanze, organiche e chimiche, le scarica il Lambro, con i suoi affluenti, Seveso ed Olona. L'area che produce questo ben di Dio si estende su 334 ettari, e rappresenta solo il 5 per cento della superficie totale del bacino del Po. Rogge e torrentelli danno un loro valido contributo: fogne lunghe quanto un altro fiume, attorno alle quali vivono 7 milioni di abitanti, con tre province ad alto rischio: Milano, Como, Varese, con 100.000 fabbriche e con migliaia di aziende agricole con produzioni intensive. Una città come "la capitale morale d'Italia", Milano, con almeno un milione e 700.000 abitanti, scarica ancora tutto nei fiumi, senza passare da un depuratore. Come nel Medio Evo, mentre si entra nell'Età dell'Europa. Intorno, altri inferni: tra le valli del Lambro e dell'Olona c'è un bacino di 381 comuni. I pochi depuratori in funzione sono privi di linee per la defosfatazione e la denitrificazione. Poco più in là, altri ex fiumi, attuali fogne a cielo aperto: Acido, Serio, Oglio. Stesso paesaggio produttivo e inquinante, che ha trasformato il Po da fiume-operaio a lavina limacciosa e mortale.
L'orizzonte: scorie tossiche, Seveso, la Farmoplant, l'Acna di Cengio, la Val Bormida; l'Adige fa del suo meglio per non sfigurare; nella valle di Magreglio, le pozze d'acqua sono da tempo bianche di schiuma; il detersivo campeggia nelle sventurate acque del lago di Pusiano; il lago d'Orta è in coma irreversibile; l'Olona va ad inquinare il Ticino, e Pavia respira fetidi miasmi; nella tela di ragno di fiumi e canali, si salvano solo i navigli di Leonardo: i quali, attingendo da Ticino ed Adda, sono gli unici a regolare ancora a Milano un'acqua decente. E infatti, a Cascina Gobba, quando la Martesana incontra il Lambro, l'incrocio avviene su piani diversi per non mischiare i liquidi: visto che la fogna-Lambro ogni anno trasporta anche 23.000 tonnellate di olii e di idrocarburi, 27.000 di detersivi, 12.000 di ammoniaca, 240 di piombo, 270 di zinco, 57 di fenoli. E 500.000 tonnellate di funghi tossici: un primato planetario.


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