Adriatico: un mare da curare




Attilio Rinaldi



Le note alterazioni che da oltre un decennio affliggono l'Adriatico nord-occidentale possono essere ascrivibili a quel processo conosciuto con il nome di "eutrofizzazione". Gli eccessivi carichi di sostanze ad effetto fertilizzante provenienti per lo più da fonti legate alle attività antropiche ne sono la principale causa.
E' stato calcolato che ogni anno arrivano attraverso il Po in Adriatico 100.000 ton. di azoto e circa 14.000 di fosforo. Come trend evolutivo basta ricordare che la quantità di queste sostanze nel decennio '76-'85 è raddoppiata: è quanto emerge dal confronto dei dati prodotti dall'Istituto di Ricerca sulle Acque del C.N.R., che mette tra l'altro in evidenza come le principali responsabilità di detti eccessi siano da attribuirsi per l'azoto alle attività agricole e per il fosforo alla realtà urbana.
Questa forma di fertilizzazione indotta viene determinata essenzialmente da tre elementi quasi sempre connessi tra di loro, e direttamente legati all'evoluzione demografica:
a) incremento della popolazione con forte tendenza all'inurbamento e conseguente aumento degli scarichi urbani effettuati spesso direttamente nei corpi idrici;
b) intensificazione generalizzata dell'agricoltura e cambiamento delle tecniche produttive. Tra queste ultime sono da ricordare la diffusione di monocolture, l'uso crescente di fertilizzanti ed il concentramento degli allevamenti zootecnici;
c) rapida industrializzazione legata all'evoluzione demografica, con un corrispondente incremento di scarichi industriali
di ogni tipo, fra i quali quelli contenenti sostanze nutritive (fosforo e azoto).
Il nesso esistente tra evoluzione demografica ed effetto eutrofizzante può essere documentato con molti esempi, fra i quali quelli dei Grandi Laghi del Nord America e dell'Adriatico nordoccidentale. Per questi casi, infatti, l'andamento della distribuzione di un qualsiasi fattore idoneo a misurare il grado di eutrofizzazione (quali la clorofilla o la concentrazione di nutrienti) è in perfetta risonanza con la mappa di densità della popolazione nei corrispondenti bacini idrografici. Le manifestazioni eutrofiche, che nell'Adriatico si presentano con una certa ricorrenza, sono dovute soprattutto alle cosiddette "fioriture algali" da fitoplancton, alle eccessive proliferazioni di macroalghe ed occasionalmente alla produzione di materiale mucillaginoso.
L'aspetto più evidente del primo caso è senz'altro legato alla improvvisa alterazione del colore delle acque; queste, infatti, a seconda della specie fitoplanctonica che ha determinato la fioritura, assumono tonalità che possono andare dal bruno al rosso vivo o al verde con tutta una serie di viraggi intermedi che possono costituire un'ampia scala cromatica. Tale alterazione è spesso accompagnata da cattivi odori, dovuti sia alla abnorme presenza di microalghe sia ai processi degenerativi che ne conseguono.
Il ciclo di una situazione eutrofica ha inizio di solito a seguito di precipitazioni atmosferiche che, se consistenti, sono in grado, attraverso aumenti di portata del Po e dei fiumi costieri, di riversare in mare carichi di nutrienti sufficienti ad innescare ed a sostenere una fioritura algale.
Nel periodo estivo-autunnale, quando le acque sono più calde e l'assenza di mareggiate rende insufficienti gli scambi tra le acque di fondo e quelle di superficie, ad un intenso fenomeno di eutrofizzazione segue la anossia delle acque di fondo con la morte per asfissia degli organismi che vi vivono.
La dinamica di tale evento è innescata dalla sedimentazione di enormi masse di sostanza organica costituita dalle microalghe morte. L'azione di mineralizzazione compiuta dai batteri determina la fase successiva, che consiste nel consumo di gran parte dell'ossigeno disciolto nelle acque.
Anche le macroalghe hanno in questi ultimi anni provocato discreti guai sia nelle aree lagunari sia in alcune zone costiere. In questo caso si è visto che eccessivi apporti di sostanze nutritive (azotate, in particolare) favoriscono l'acutizzarsi di tale processo fino al soffocamento di vasti territori lagunari. E' quanto è successo nelle lagune venete, in quelle geograficamente collocate nel delta del fiume Po ed in altri siti dell'Adriatico nord-occidentale.
A questa prima causa va comunque aggiunto l'impatto dovuto all'abbandono ed al conseguente interramento dei canali sub lagunari ed ai manufatti posti a protezione degli arenili e dei porti. Queste azioni favoriscono il rallentamento dei flussi idrodinamici ed una complessiva riduzione degli scambi con il mare aperto. La formazione di acque "ferme", o per lo meno con una minor dinamicità rispetto agli originari meccanismi di diffusione, favoriscono queste abnormi proliferazioni di macroalghe (nel genere Ulva soprattutto).
Tra i possibili interventi atti a contenere questa forma di eutrofizzazione va quindi ipotizzata sia la riduzione dei carichi di azoto e fosforo sia l'adozione di interventi ed infrastrutture più idonei al mantenimento dei normali scambi di acque tra il sistema lagunare-costiero e quello pelagico.
Ultimo aspetto, forse il più teatrale fra quelli ricordati, è costituito dalla invasiva presenza di materiale mucillaginoso. Soprattutto nei periodi estivi degli ultimi anni questo inconsueto processo ha creato seri problemi alle attività balneari ed alla pesca.
Il fenomeno delle mucillagini è stato osservato anche in passato. Memorie storiche che risalgono in certi casi al Settecento ricordano situazioni in cui sostanze viscide galleggianti infestavano le acque dell'alto Adriatico. Va comunque sottolineata la mancanza di dati comparativi tra le testimonianze del passato e quanto è successo nell'estate del 1989.
Nella passata stagione estiva, infatti, l'intero arco di costa centro-settentrionale era coperto da un tappeto giallognolo. Nel solo tratto di costa emiliano-romagnolo se ne stimò una superficie di circa 4.000 Kmq., ed anche se con fasi alterne tutto il mese di luglio è stato caratterizzato dalla sua fastidiosa presenza. Solo in agosto, per una serie di combinazioni favorevoli, si ebbe una progressiva riduzione del manto mucillaginoso; due successive mareggiate avvenute nella prima settimana di agosto e soprattutto la ripresa della corrente verso Sud lo hanno gradualmente disaggregato e poi disperso.
Quali le origini e le cause di questo fenomeno?
Massarelle mucillaginose sono osservabili ogni anno fin dal mese di marzo, ma negli ultimi due anni quella condizione naturale che passava per lo più inosservata ha avuto una diversa ed inconsueta evoluzione. E' ormai comprovato, anche sulla base di recenti analisi che ne hanno evidenziato la natura polisaccaridica, che a produrre detto materiale siano le Diatomee.
Il punto ancora oscuro sta nel definire quale possa essere il fattore che ha indotto queste microalghe alla iperproduzione di escreti cellulari. Parrebbe quasi che uno "stress" ambientale non meglio definito e di origine ancora ignota possa esserne la causa.
Fattori meteoclimatici sfavorevoli, uno squilibrio nella disponibilità dei nutrienti, un eccesso di raggi ultravioletti o un aumento di qualche inquinante potrebbero essere gli elementi responsabili di quanto è successo. Al momento queste sono le opinioni che nel mondo scientifico circolano con maggior insistenza. Resta comunque una grande incertezza; incertezza che sollecita urgenti approfondimenti e verifiche.
Alcuni degli aspetti ricordati (i primi due, in particolare), volti diversi dello stesso fenomeno, sono comunque accomunati da un unico problema, quello degli eccessivi apporti di sostanze ad effetto fertilizzante. Questo scenario, accettato dalla maggior parte dei ricercatori che operano in tale settore, suggerisce per l'Adriatico una linea di intervento orientata al ripristino di quelle condizioni corrispondenti al periodo antecedente agli anni Sessanta.
Le strategie da attuarsi si basano pertanto su appropriate pianificazioni e ristrutturazioni territoriali rivolte allo sviluppo urbanistico e ad una efficace gestione nel trattamento delle acque reflue.
Oltre a questo va con urgenza affrontata la totale riduzione del contributo in fosforo proveniente dai prodotti della detergenza. La razionalizzazione dell'uso dei fertilizzanti chimici in agricoltura, cercando soprattutto di ottimizzare le pratiche di concimazione in funzione delle reali esigenze del terreno e delle singole colture. Particolare attenzione va inoltre rivolta allo smaltimento delle deiezioni animali (zootecnia); il loro riciclo nei suoli coltivati va regolamentato al fine di evitare che questa pratica possa porre dei problemi a livello del carico assimilabile (dai terreni) il cui superamento può tradursi in maggiori cessioni dei nutrienti da parte dei terreni. Anche l'attività industriale deve essere presa in considerazione in quanto può contribuire alla cessione di fosforo attraverso quelle linee di lavorazione quali il fissaggio dei metalli, la confezione di prodotti alimentari e la produzione di fertilizzanti sintetici.
Occorre comunque considerare un altro aspetto che tende senz'altro a favorire l'insorgere dei fenomeni eutrofici: quello legato all'assetto idrogeologico e ad una non corretta gestione del territorio.
Oggi le sponde dei fiumi sono sempre più alte e gli alvei sempre più stretti ed in alcuni casi cementati, cosicché le acque fluviali arrivano troppo rapidamente al mare senza avere il tempo per una buona autodepurazione.
La stessa azione "filtro" che potrebbe essere garantita dall'ambiente palustre e dal suo enorme potenziale energetico è venuta meno a causa delle eccessive, spesso ingiustificate, bonifiche. E' anche per questa ragione che acque che drenano bacini fortemente antropizzati, e che di conseguenza si caricano di alte concentrazioni di nutrienti, possono generare effetti distrofici nel sistema costiero che le accoglie.

Adriatico: un risanamento possibile

Non è un mare, ma un catino profondo appena 100 metri fino ad Ancona, 200 fino al Gargano, rispetto ai 3000 di Jonio e Tirreno; è chiuso, con maree di appena 0,5 metri, rispetto ad alcuni metri dell'Atlantico. Pertanto, dall'Isonzo al Reno, e principalmente dal Po riceve le acque delle Alpi e una parte di quelle degli Appennini, che lo mantengono vivo, rinnovando la massa fluida molto lentamente. Ma riceve anche gli scarichi diretti da Milano e le acque reflue di tutti i depuratori delle pianure Padana e Veneta, che servono 25 milioni di abitanti e 10 milioni di capi di allevamenti bovini e suini presenti nelle regioni. Il consumo annuo a persona è di 100 metri cubi, per un totale di due miliardi e mezzo di metri cubi all'anno per gli abitanti, ai quali si aggiunge un miliardo di metri cubi per gli usi zootecnico-industriali. Questi tre miliardi e mezzo di metri cubi di acque reflue, immesse nei diversi fiumi, si raccolgono nell'Alto Adriatico, dove formano un brodo di coltura delle alghe per l'elevato residuo minerale che contengono all'uscita dai depuratori.
L'azione dei depuratori è obbligatoria per legge (la legge Merli) solo per ridurre la carica batterica. I depuratori pertanto risolvono, se funzionano bene, solo il problema igienico-sanitario, ma non quello del residuo minerale fertile, che risulta il seguente, in grammi/metro cubo: azoto=20; potassio=12; fosforo=6; sodio=60; magnesio=12; cloro=90, elevato per l'uso del biossido di cloro come battericida nei depuratori. In tutto, 200 grammi/metro cubo; ma al mare giungono 700 milioni di chilogrammi di minerali nutritivi per le alghe marine. Esse si moltiplicano velocemente e, a 25 gradi, ogni 20 minuti raddoppiano, e in otto giorni diventano 10 miliardi di volte più numerose, con una vera e propria esplosione estiva perché, per le capacità fotosintetiche e per il loro nutrimento minerale reso abbondante dalle acque reflue, esse si mantengono troppo a lungo nella fase logaritmica della curva di sviluppo microbica degli organismi unicellulari.
Questo strato di alghe esteso e profondo rende asfittico il mare e determina la moria dei pesci, con grave danno economico per tutti i pescatori dell'Adriatico. Per migliorare (o per non peggiorare) fra qualche anno lo stato del mare, occorre introdurre l'anello mancante nella catena idrologica, cioè il terreno come superficie irrigua e di percolazione per le acque dei depuratori, purché con carica microbica di coli fecali e di streptococchi massima pari alla legge Merli. Le acque reflue non devono più essere scaricate nei fiumi ed al mare, e anche Milano dovrà dotarsi del depuratore, e solo dopo la depurazione inviare le sue acque negli storici canali per l'irrigazione dei terreni agricoli. Il terreno, col suo laboratorio microbico, tende a ridurre l'incidenza dei coli a carico dei quali la concorrenza delle altre specie di microbi è forte e valida. Passare attraverso il terreno significa utilizzare la capacità di scambio degli ioni disciolti nelle acque reflue con assorbimento da parte dei minerali argillosi, come montmorillonite, beidellite, caolinite, che potabilizzano le acque durante l'attraversamento fino agli strati più profondi, fino alla falda freatica, determinandone la ricostituzione. Le falde, infatti, sono in esaurimento per il consumo crescente di acqua delle città ed il forte emungimento fatto dalle industrie e dai pozzi artesiani degli acquedotti irrigui o comunali di tutte le regioni. Solo ricostituendo le falde esaurite sì completa il ciclo dell'acqua e se ne rende possibile la disponibilità per gli anni futuri, anche in anni di siccità. I numerosi consorzi irrigui presenti nella pianura padano-veneta consentono di estendere l'impiego irriguo delle acque reflue, purché ben depurate, attraverso le loro reti di canali ed in miscela con le loro acque, su una enorme superficie.
Tutto ciò potrà realizzarsi se non si porranno condizioni troppo gravose a carico dei consorzi di irrigazione, responsabili delle acque fornite alle colture. Solo nel Cesenate, ad esempio, si potrebbe usufruire di una superficie agricola di 1300 ettari confluendo le acque reflue del depuratore di Cesena, quando funziona bene, nei canali del Cer, canale emiliano-romagnolo. Ma i 700.000 metri cubi utilizzabili in Romagna, sfruttando i reflui dei 18 depuratori per irrigare, in accordo col Cer, non sono che l'uso estivo delle acque reflue. Occorre predisporre una percolazione jemale, per irrigazione a marcite e prati, con uso delle acque reflue nel periodo non irriguo per gli ortaggi e riguardanti la parte prevalente dei tre miliardi e mezzo di metri cubi. L'esempio vale per l'Emilia-Romagna, ma anche per il Piemonte, la Lombardia e il Veneto, dove gli abusi, gli sprechi, la distruzione di ricchezze idriche, la devastazione delle falde, e gli inquinamenti conseguenti, sono tra i più emblematici dell'Europa occidentale.


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