§ Rapporto ISPES 1989

Paradosso Italia




Maria Rosaria Pascali



Povera Italia! Il quadro delineato dal Rapporto Ispes '89 è quasi catastrofico. Sul banco degli imputati, i luccichii del "bel Paese". E si scopre che è tutto un bluff!
Un'altra realtà emerge tra le righe del benessere apparente. Una realtà impazzita. Senza più regole. Ed ecco il Paese dei paradossi, del gioco truccato, dell'individualismo portato all'esasperazione, del consumismo assurto a regola di vita. Il Paese dagli uomini "senza radici", senza meta e senza memoria, liberi solo di scegliere fra ciò che la macchina capitalistica offre sul mercato.
Un'immagine triste. Una visione pessimistica, che intende smentire le versioni facilone che fanno dell'Italia una nazione tutta in crescita, priva di tensioni e di conflitti sociali. Il benessere è aumentato. Ma non per tutti. Le sacche di miseria si ritrovano ovunque: più al Sud (circa il 60%), meno al Centro-Nord (il restante 40%).
Stiamo parlando della quinta potenza industriale del mondo. Ma cosa è cambiato rispetto ai lontani anni '50? Dice l'Ispes: "La torta è cresciuta, ma è una torta truccata". Con l'aumento della ricchezza, si è allargata la forbice fra ricchi e poveri. E i ricchi sono sempre più ricchi. I poveri sempre più poveri. L'esercito di miserabili è numeroso. Solo nel Sud si contano 6 milioni di indigenti. Si tratta di famiglie in cui un solo membro ha un lavoro stabile. A questi si aggiungono altri 6 milioni 146 mila assistiti, con una pensione che, nella maggior parte dei casi, non supera le 400 mila lire mensili.
L'altro lato della medaglia, invece, è alquanto "idilliaco". Comprende lavoratori autonomi, artigiani e commercianti con redditi annui superiori ai 50 milioni. Un esercito di "discreti", che non ama vantare i grossi introiti con il fisco!
Così, l'Italia "truccata" continua a barare, con il benestare dei nostri governanti. Ma tant'è. Siamo corrotti. Non crediamo in niente. Soprattutto, non crediamo nelle istituzioni. Anzi: le vediamo nemiche. Mentre diamo per scontato che l'unica via per ottenere dei benefici sia quella di rivolgersi al politico di turno, al quale un giorno abbiamo "venduto" il voto.
"Nessuno, infatti, sembra disposto a credere a quel che dicono ufficialmente i nostri politici, alle loro motivazioni e programmi. La percezione di un gioco inquinato ai vertici del potere alimenta un diffuso comportamento cinico sino alla spregiudicatezza". E ripaghiamo con la stessa moneta. E soccombiamo ad una logica mafiosa, fatta di clientelismi e di corruzione.
Ma che logica è mai questa? Cosa siamo diventati? Dove sono la nausea, gli ideali che solo negli anni '70 ci facevano partecipi delle formazioni di movimento? Anche un'utopia è meglio del vuoto. Ma oggi non esistono utopie, non esiste un pensiero sociale, non esiste un nemico di classe. Esistono i compromessi, le alleanze di comodo. E gli uomini di paglia.
"La sclerosi istituzionale si nutre essenzialmente della smemoratezza e della perdita di senso degli individui: gli uomini senza radici non sono, come qualcuno sostiene, i nuovi cittadini del mondo. Sono, invece, soggetti feriti, incapaci di pensarsi nella storia in qualità di protagonisti".
Così, la disgregazione e lo spreco si accompagnano ad un individualismo privo di riferimenti politici. E' l'epoca della caduta dei vecchi valori. Ma quel che è peggio è che siamo incapaci di costruirne di nuovi. Sappiamo solo alimentare fino all'inverosimile l'arida macchina capitalistica. La smania del consumo pervade la logica corrente. Siamo un popolo divoratore. Acquistiamo troppe macchine, troppi vestiti, troppi profumi. Ingoiamo troppo cibo e troppi medicinali. Tutto ci appare indispensabile. Tutto è talmente superfluo... Non riusciamo più a capire quali siano le nostre vere esigenze, manovrati come siamo dal mostro pubblicitario, dalla moda, dall'apparenza.
Un benessere materiale che ha condotto ad una "costellazione incoerente", in cui l'individuo si sente ormai libero dal bisogno. In cui viene meno lo spirito di solidarietà ed emerge un soggettivismo esasperato. "Ma l'individualismo astratto non esiste: il soggetto isolato dai rapporti sociali e inter-personali non può vivere, non c'è, è un'illusione illuministica".
A conferma di ciò, sta un malessere diffuso soprattutto fra gli anziani, i giovani, i bambini. Fra quei soggetti, cioè, che meno sanno reggere l'assenza di "un'adeguata cultura della modernità".
"In Italia, 500 mila tossicodipendenti sbattono in faccia alla società civile e allo Stato la disperazione esistenziale". Di pari passo avanza la criminalità degli "under '30": nel decennio '73/'83, si è avuto un aumento delle condanne per delitti violenti pari al 220%, per i giovani di età compresa fra i 14 e i 17 anni; e al 61%, per quelli tra i 18 e i 29 anni. Inoltre, nel censimento del 1981, si è registrata la presenza di 67.155 analfabeti con meno di 25 anni. Una cifra non indifferente alle soglie del Duemila.
E mentre lo Stato si circonda di ciprie e di belletti, la disoccupazione giovanile avanza ad un ritmo insostenibile e ci fa detentori di un primato poco invidiabile tra i Paesi della Comunità europea. Una situazione che si preferisce nascondere dietro i fumi di un Pii che, nel 1987, ha raggiunto i 523 miliardi, con un tasso di incremento annuo del 3,1%, superiore a quello medio della Cee (del 2,6%) e perfino a quello degli Stati Uniti (2,9%).


Eppure, alla domanda: "Italiani, siete soddisfatti di vivere nella vostra madre patria?", mezza Italia risponde "sì". Il 41% degli intervistati ne è addirittura entusiasta.
L'8% ci pensa un po' su ma, a conti fatti, conclude che, nel nostro Paese, i fattori positivi prevalgono su quelli negativi. Vai a spiegare perché poi, dal 1974 al 1987, il numero dei suicidi è salito da 2.326 a 4.081, con un incremento notevole nella fascia di età compresa fra i 45 e i 64 anni.
Ma le contraddizioni non finiscono qui. L'Ispes ne individua altre, aventi un unico filo conduttore: lo smarrimento derivante dal "marasma di valori o pseudo-valori disponibili", che non consentono di "organizzare coerentemente il proprio universo".
Così accade che 92 italiani su 100 si dichiarano religiosi; ma molti di loro non disdegnano le prestazioni dei 1669 maghi esistenti nel Paese! E ancora, una sola persona su 10 ritiene che la fede sia tra le cose fondamentali e primarie da insegnare ad un bambino.


Accanto a questa religiosità un po' "anomala", convive un uso, anzi, un abuso della pornografia, anche a causa "della commistione di elementi pornografici con altre realtà culturali". Così per le riviste di opinione: "nel 1988, infatti, il 52,3% delle copertine presentano situazioni di nudo erotico".
Siamo "un popolo di pornografi", dice l'Ispes. Ma forse è meglio dire un popolo di repressi. E in questo, un ruolo notevole ha giocato e continua a giocare la Chiesa, che da sempre ha lanciato anatemi contro il "diavolo erotico", impedendo uno sviluppo normale della sessualità.

Il volontariato: "una felice contraddizione"
In questo quadro, fortemente contraddittorio, il ruolo delle istituzioni - ripetiamo - diventa residuale, quasi inutile. Esse si presentano "prigioniere e sempre più distanti dalle necessità reali". Di qui l'esigenza di una "moralità nuova" nel far politica, atta a riconquistare la fiducia di quella gente che oggi preferisce "far da sé".
Il fenomeno del volontariato è un chiaro invito in tal senso. L'affermarsi di soggettività nuove e del tutto spontanee nasce, infatti, come risposta della società al vuoto creato dall'apparato burocratico statale.
Afferma l'Ispes: "In una società complessa e fortemente frammentata, capace di produrre grandi ricchezze, ma anche vecchie e nuove povertà, una società che ha fatto dell'individualismo uno dei suoi punti archimedici: in questa società, il volontariato, con le sue caratteristiche di spontaneità, gratuità e servizio nei confronti di altri, sembra una felice contraddizione".
Più di tre milioni di persone, tra i 18 e i 74 anni, prestano la propria opera in attività di volontariato. Ed è uno scossone alla logica capitalistica, che vede tutto proteso alla produzione. E' una rivalutazione dell'uomo in quanto tale e non come arido tassello del grande puzzle economico. Su questa solidarietà si basano le speranze di un Paese alla deriva. In attesa che lo Stato riacquisti la memoria e, con essa, la propria identità.


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