§ Malattie endemiche

La febbre nera




Italo Vittorio Tondi



La leishmaniosi viscerale (LV) o Kala-azar (che in gergo indiano vuole dire febbre nera) è una antropozoonosi protozoaria, endemica, che, ritenuta in un lontanissimo passato malattia esclusiva delle zone tropicali e sub-tropicali, si rivelò poi essere anche una infezione, non solo di importazione, ma anche autoctona nei Paesi a clima temperato, elettivamente di quelli del bacino mediterraneo, del nord-Africa, dell'India e della Cina.
Le prime osservazioni italiane risalgono agli inizi del secolo, quando essa veniva confusa con altre affezioni, aventi una pressoché analoga obiettività clinica.
Fu Leishman a scoprire, nel 1903, nella polpa splenica del cadavere di un militare inglese, l'agente eziologico, che successivamente Donovan confermava, pur dissentendo che si trattasse di un tripanosoma, come Leishman aveva asserito. Nel susseguirsi degli anni le segnalazioni in Italia, dapprima rarefatte, ebbero poi un progressivo incremento, specialmente in Sardegna, Sicilia e Calabria (Pianese, Jemma, Di Cristina, Caronia, Gabbi, Cesa, Bianchi, Izar, Auricchio, Pontano, Condorelli, Timpano, Cannavò, Scaffidi, Trimarchi ecc.).
Limitandoci alle osservazioni nel nostro Salento, ricordiamo le forme infantili segnalate da Pepe e da Candido. prima dell'ultimo conflitto bellico, e quella di Montanari (Giorn. Clin. Med.; 12, 1940), la prima in adulto. La nostra prima segnalazione di LV, non autoctona perché riguardante un militare reduce dalle isole ionie, è del 1947 (il Policlinico; Sez. Prat.; 14, 1947). Successivamente, altri casi della forma infantile, autoctona, avemmo occasione di studiare, ma ci limitammo a segnalarne, per l'impiego nella cura di un nuovo medicamento (Glucantim) soltanto due (Minerva Pediatrica; 3, 1951), stante ormai l'aumento della casistica in più regioni del nostro territorio nazionale, in particolare in quelle meridionali bagnate dal mare.
Fu nel 1965 che, sulla base di una non esigua casistica (11 casi di cui 2 in adulto) (La Riforma Medica; 15, 1965), richiamammo l'attenzione dei colleghi su una infezione ancora in parte misconosciuta, se i casi pervenuti alla nostra osservazione erano stati preceduti da lunghe perplessità diagnostiche, con aggravamento delle condizioni generali dei pazienti. A tale segnalazione, sempre nella nostra provincia, ne seguirono altre, edite ed inedite, di altri colleghi (Li Moli, Caporaletti, De Luca-Andrioli, Corvaglia, Cataldini ecc.) a conferma che l'infezione era ed è da considerarsi endemica.
Con l'introduzione degli insetticidi, attivi sui vettori, anche la LV come la malaria, subì un decremento fino a quando, nel 1971 - '72, in forma altamente epidemica, del tutto inattesa anche perché si verificava in una regione fino ad allora ritenuta pressoché vergine dalla infezione, si ebbe l'esplosione di un focolaio (Emilia-Romagna) Che. per il numero dei colpiti (60) e dei decessi (20), determinò grande panico nell'opinione pubblica e serie preoccupazioni nelle autorità sanitarie e nella classe medica (Giorn. Mal. Inf. e Parass.; 11 bis; 1982).
La LV è provocata da un protozoo (la leishmania infantum per la forma infantile e la leishmania donovani per quella degli adulti) della classe dei Flagellati (famiglia Tripanosomidae), che ha un ciclo di sviluppo alternantesi in un ospite invertebrato (artropodi vettori) e vertebrato (uomo e mammiferi), assumendo nel primo caso un aspetto flagellato (leptomonas) e nel secondo aflagellato (leishmania).
Tralasciamo di parlare di altre due leishmaniae (la tropica e la braziliensis) responsabili di una forma cutanea (bottone d'Oriente) ed una cutaneo-mucosa, rispettivamente del vecchio e nuovo Mondo. Le leishmaniae infantum e donovani, negli strisci di aspirato midollare e di puntato splenico ed epatico (eccezionalmente e solo in caso di forte parassitemia possono repertarsi nel sangue periferico), si presentano come dei corpiccioli sferici od ovolari di 3-5 micron, aventi un macro-e-micronucleo (rispettivamente il trofonucleo ed il blefaroplasto), intraextra cellulari e che si moltiplicano per scissione binaria. Diversi animali domestici e selvatici (cane, roditori, scimmie, ricci, ratti, volpi ecc.), oltre al malato ed ai portatori sani o guariti, costituiscono i serbatoi del parassita, mentre vettori sono i flebotomi e pare anche le zecche e le pulci.
Il quadro clinico, preceduto da un periodo di incubazione di 3-5 settimane fino a qualche mese, si presenta sotto aspetti diversi, a seconda della forma clinica e della fase di osservazione, e può avere un decorso acuto-subacuto e subcronico-cronico.
In quest'ultimo caso (che poi nelle nostre zone è il più frequente), esso è caratterizzato da febbri irregolari, talora con due cuspidi quotidiane, intenso pallore cutaneo, epato-splenomegalia (in taluni casi quest'ultima può raggiungere ed oltrepassare la linea mediana addominale), poliadenia, deperimento progressivo fino alla cachessia, compromissione della crasi ematica (con eritro-leuco-piastrinopenia), iper-protidinemia con iper-gammaglobulinemia di tipo policlonale. Nelle forme acute e subacute, non infrequenti in alcune zone del nord-Africa, dell'India e della Cina, e presenti nel citato episodio epidemico emiliano-romagnolo, la compromissione dello stato di nutrizione e della crasi ematica e la epato-splenomegalia non sono ugualmente rilevanti, predominando, di converso, lo stato settico, le alte temperature, la compromissione di uno o più organi, espressioni di una elevata virulenza e parassitenemia, nonché di un mono-poliorganotropismo del protozoo: ciò che comportò in quel focolaio emiliano-romagnolo l'osservazione di forme di atrofia gialloacuta del fegato, meningoencefalitiche, tonsillari e cardiache (Lenzi G. e Coll., in Giorn. Mal. Inf. e Parass.; 11 bis; 1982).
Reperto particolarmente interessante e ai fini epidemiologici, fu l'avere osservato, con ricerche bioptico-parassitologiche, la presenza di leishmaniae nei linfonodi e nelle tonsille di famigliari e/o parenti dei malati, appalesandosi così il potenziale rischio che anche l'uomo sano e quello affetto da infezione inapparente possano costituire dei "reservoirs" del parassita.
Per quell'episodio, dagli aspetti clinici molto insoliti, il 16 marzo 1973 fu tenuto a Bologna un interessantissimo Convegno (Giorn. Mal. Inf. e Parass.; 11 bis; 1982) al quale noi partecipammo come interlocutori. In un successivo commento a quei lavori e contributi (La Riforma Medica; 36; 1973) formulammo alcune considerazioni che, a scopo informativo-istruttivo, integralmente riportiamo: "Non è possibile analizzare i punti cardine o salienti delle singole relazioni ma a noi, infettivologi operanti in periferia, dove è allignata ed alligna la LV, preme rilevare e sottolineare sotto il profilo clinico alcuni degli aspetti più insoliti ed atipici da esse emersi.


E cominciamo dall'età e dal sesso dei soggetti colpiti. Si è trattato per i tre quarti di soggetti adulti e maschi; prescindendo dal sesso ciò che più induce alla riflessione è il fattore età, nota essendo la predilezione della leishmania donovani per la infanzia; plausibile spiegazione al rapporto età (adulta) e sesso (maschile) potrebbe essere fornita dalla professione dei pazienti, ma di essa poco sappiamo. Abbiamo accennato al decorso acuto e sub-acuto della malattia, ma non abbiamo riferito che alcuni decessi si ebbero dopo 20-30 giorni dall'esordio del male. Altri casi furono caratterizzati da una sintomatologia sub-clinica mentre altri ebbero una evoluzione a guarigione spontanea; in qualche altro i Colleghi, indotti da osservazioni di contagio familiare ad una estesa investigazione dei congiunti, poterono accertare la presenza di forme inapparenti od asintomatiche. Spontanea e legittima è la domanda se tali quadri nosologici ricalchino quelli abituali e tipici della malattia o se essi non siano invece espressione lampante ed eccezionale di un polimorfismo clinico difficile a verificarsi e più difficile da identificarsi, in una zona pressoché vergine o solo sporadicamente interessata dalla LV; paradossalmente si potrebbe concludere come giustamente ha osservato uno dei Relatori che di tipico in essi vi era soltanto l'atipico".
Anatomopatologicamente la LV è una reticoloendotelite (donde la epato-splenomegalia) con iperplasia delle cellule dei cordoni ed endoteliali dei seni; i follicoli sono ridotti, con ricca presenza di istiociti e con infarcimento di parassiti, quando, con particolari tecniche istochimiche, ricercati.
L'accertamento diagnostico si avvale di vecchie e semplici, ma ancora valide, reazioni sierologiche, per lo meno agli effetti indicativi: le più comuni sono la formol-gelificazione e le reazioni di Brachmachari e quella di Auricchio e Chieffi. Tassativa ed incontrovertibile per la diagnosi è la presenza nell'aspirato midollare e nei puntati splenico ed epatico del parassita che, nella nostra non esigua casistica, da sola od insieme, è sempre risultata positiva, anche se talora a lungo ricercata.
Se nel passato le punture splenica ed epatica venivano dai più sconsigliate, perché non prive di potenziali complicanze, oggi tale preoccupazione non dovrebbe più sussistervi, ove si ricorra all'ausilio della metodica ecografia mirata.
Le recenti indagini sierologiche dai vari AA. proposte, anche se fortemente probanti, non sono patognomoniche, se non convalidate dalla presenza microscopica negli strisci di midollo o di puntato splenico e/o epatico del parassita; le riteniamo utilissime agli effetti degli screening di massa epidemiologici.
Vengono considerate come più accreditate, anche se non con univoche valutazioni, la immunofluorescenza indiretta; la fissazione del complemento con antigene leishmaniosico e con antigene estratto dal BCG (Lenzi G. e Coll.; Bugiardini G. e Coll., in Giorn. Mal. Inf e Parass; 11 bis; 1982); la controimmunoelettroforesi ed il test ELISA. Sarebbero queste ultime due, secondo Mansueto e Coll. (Acta Mediterranea di Patol. Inf. e Trop.; 1; 1982), da prediligere per la loro più spiccata sensibilità ed attendibilità.
Ricordiamo, infine, che la coltura delle leishmaniae è attuabile in terreno di NNN (Novy, Mc Neal, Nicolle) e a temperature di 22°C.
La prognosi che nel lontano passato veniva considerata infausta è, da alcuni decenni, da ritenersi riservata. Essa è condizionata dalla forma clinica, dalla fase di osservazione e dal momento della decisione diagnostica, dalla virulenza e, forse. dalla carica parassitaria, dai poteri di difesa del malato, dalle eventuali complicazioni e, infine, dalla tolleranza e dalla risposta della terapia. Il trattamento terapeutico specifico, tanto più efficace quanto più tempestiva è la diagnosi e quanto meno compromesse sono le condizioni generali del paziente, fu introdotto, nel lontano 1914, da Di Cristina e Caronia con il tartaro stibiato (tartrato doppio di antimonio e potassio) per vena, con inconvenienti talora anche letali. Su quella falsariga vennero successivamente impiegati altri composti antimoniali più attivi e meno tossici (Stibional, Stybenil, Urea-stibamina, Neostibosan, Solustibosan). Solo verso la metà del secolo un nuovo derivato antimoniale pentavalente rappresentò una svolta nella terapia antileishmaniotica: l'antimoniato di N-metilglucamina (in commercio Glucantim), essendosi esso dimostrato di alto potere protistolitico e di minore tossicità; medicamento che, a partire da quella data, noi abbiamo sempre utilmente usato. Esso rappresenta tuttora il farmaco di elezione e del quale ci asteniamo dal suggerire la posologia, essendo essa ampiamente illustrata nel dépliant d'accompagnamento e subordinata, oltre che all'età, alle condizioni generali e all'eventuale compromissione di alcuni organi, ai criteri di valutazione e preparazione di ciascun medico. Quali sono i potenziali inconvenienti ed effetti collaterali del medicamento? Innanzi tutto i fenomeni di idiosincrasia e la stibio-intolleranza, che la ridotta lenta e graduale introduzione iniziale è, spesso, sufficiente a ridurre o a scongiurare. La stibioresistenza, infrequente, può essere secondaria o alla carica parassitaria o alla incongrua posologia o alla tardività del trattamento e, forse, a l'essersi i parassiti fortemente indovati nelle cellule reticoloistiocitarie del fegato e della milza, poco ricettive ed aggredibili.
La durata del trattamento, da eseguirsi preferibilmente a cicli, va subordinata allo stadio, alla forma e alla gravità della malattia, alle condizioni obiettive generali, allo stato della crisi ematica, della funzionalità epato-renale, alle dimensioni della epato-splenomegalia. Indispensabile è che esso vada monitorizzato con i parametri chimici, ematologici e sieroproteici.
Nella intolleranza o stibio-resistenza farmaci alternativi sono la pentamidina (in commercio Lomidine) e la Amfotericina B, non antimoniali.
Recentemente è stato proposto l'impiego dell'allopurinolo, ma di esso abbiamo solo contezza e non esperienza.
La terapia sintomatica non deve mai essere trascurata o sottovalutata (trasfusioni di sangue, emoderivati, vitaminici, estratti epatici e surrenalici ecc.) in attesa soprattutto della definizione diagnostica.
La profilassi è conseguenziale ai rilievi epidemiologici ed indirizzata ad una radicale e massiva disinfestazione dei vettori (flebotomi, zecche. pulci ecc.) e alla identificazione dei serbatoi del parassita (animali domestici e selvatici) senza ricorrere all'abbattimento dei cani-portatori (come qualcuno improvvidamente ha suggerito) perché molti altri sono i "reservoirs" del protozoo e perché, una volta eliminati i vettori, ogni pericolo di diffusione dell'infezione viene a mancare.
Concludiamo con le parole ammonitrici del prof. Colonnello: "( ... ) malattie infettive che si pensa siano definitivamente scomparse da un determinato territorio o da tutto il paese possono improvvisamente riattivarsi sia perché l'agente eziologico è persistito nei serbatoi animali della zona oppure perché vi viene reintrodotto tramite anche altri serbatoi ed agenti vettori". (Giorn. Mal. Inf. e Parass; 11 bis, 1982).


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000