§ Favoliere

Il re che voleva essere felice




Antonio Errico



...tutti ripetevano
quello che lui aveva raccontato,
ognuno ci metteva
la sua parte
di memoria
e le storie crescevano
diventavano vive

"Che me ne faccio di ogni guerra vinta, della gloria, della fama di re saggio? che cosa me ne faccio del castello, dei mille cavalieri al mio comando? di tutte le città di questo regno, di questa corona cosa me ne faccio? e della primavera o dell'estate, delle notti in cui ho sognato e dell'amore, della bellezza, della giovinezza, che cosa me ne faccio, adesso, cosa? e di te che mi guardi e mi sorridi e mi pensi almeno un poco innamorato, almeno del passato, di quello che mi hai dato, di quello che ti ho dato, che ne faccio? Voglio essere felice, questo voglio. Voglio avere un cuore nuovo per i giorni che verranno, voglio occhi per vedere tutto ciò che non ho visto, voglio quello che ho smarrito inseguendo l'ambizione d'esser re. Ma se son re, ma se comando. voglio essere felice. Ora, subito".
Disse allora la regina: "O mio signore, io sarei pronta a dare anche la vita per la tua felicità. Ma non serve, lo so bene. Forse un tempo avrei potuto. Forse un tempo avremmo avuto più coraggio. Però il tempo passa in fretta, te ne accorgi ch'è passato sempre quando è troppo tardi per rubargli un giorno, un'ora da tenerti dentro il cuore. Sai, signore, lungo il fiume, vive un vecchio. Si racconta che sia saggio, che sappia leggere anche i segni delle stelle".
"Ma è più saggio di un re?" chiese allora il re.
"Non lo so, ma è vecchio e i vecchi, signore, hanno avuto più tempo per pensare".
"Che venga il vecchio" ordinò il re.
Non era stato mai al castello il vecchio. Lui viveva lungo il fiume, con il fiume solo ormai.
Disse il re: "Tu sei vecchio e saggio e mi dicono che conosci anche i segni delle stelle. Sono pronto a darti tutto quel che ho se tu sai dirmi in che modo potrei trovare la felicità. Lo sai? Tu sei stato mai felice?"
"Maestà - rispose il vecchio - non sempre le stelle sanno dare risposte alle nostre domande. Le stelle, maestà, sono molto lontane da noi e non seguono il nostro cammino. Voi mi chiedete qualcosa che non conosco; non posso rispondervi, maestà, ve lo giuro. Però posso dirvi che a volte mi basta il colore dell'alba per esser felice. Oppure mi basta che l'inverno sia dolce, mi basta soltanto il rumore del fiume. E mi basta, maestà, che la memoria ritrovi i volti e le voci che il tempo ha travolto. Quando si è vecchi i giorni sembrano lupi affamati e allora si impara, giorno per giorno, a nascondere nel fondo del cuore qualcosa, qualcuno, un silenzio, uno sguardo, un sorriso, un tremore, un amore, un antico dolore, maestà. Gli anni ti portano via tutto quanto ma non possono portarti via anche il ricordo. Gli anni non hanno nessuna pietà ma non sanno impedirti di sognare il passato. Così, certe notti, nel sonno, nel sogno, io sono felice come fossi un bambino".
"Ma allora da bambino sei stato felice" disse al vecchio il re.
"Forse. Non so, non ricordo. Maestà, il tempo, voi sapete, cambia tutto. Niente ti ritorna com'è stato. E' tutto più chiaro o più scuro. Ma ricordo certi giorni di stupore, di gioia sconfinata, e ricordo altri giorni di paure così grandi che non ho mai più provato. Che posso dirvi adesso, mio re. Da bambino forse sono stato felice qualche volta. Qualche volta soltanto però".
"Fate venire subito un bambino" ordinò a quel punto il re.
Arrivò il bambino e lui gli disse: "Ascolta, rispondi alla mia domanda: sei felice?"
"Che significa felice?" chiese il bambino.
"Come che significa? Vuol dire ... " e si ferma il re. guardò nel vuoto, poi guardò il bambino dentro gli occhi.
"Come faccio a spiegarti - continuò - vuol dire non essere triste mai, non aver paura di niente e di nessuno, non annoiarsi mai e non soffrire. Ma no, non è questo. Non questo solo. Voglio dire, stai attento!, che significa sentirsi come lontano da ogni cosa, ecco. in un mondo diverso, come in una nuvola".
"Ah sì, ho capito" disse il bambino. "A volte mi capita di sentirmi volare, di trovarmi dentro un bosco, di attraversare il mare. Mi capita di trovarmi in un castello come questo e di sentirmi re come te, davvero. E mi sento felice quando sono re".
"E quando ti succede?" gli chiese allora il re. "Quando il poeta mi racconta le sue storie". "Chi è il poeta?"
"Non lo conosci? Vive con noi al villaggio. Sanno tutti chi è. Non lo conosci?"
"Chiamate subito il poeta" disse il re.
E il poeta arrivò.
"Se tu sai fare felice un bambino. conosci il segreto della felicità. Rivelamelo e poi chiedi ciò che vuoi. Ti farà cavaliere, ti farà più ricco di me" disse al poeta il re.
"Sire, non posso" gli rispose il poeta. "Non conosco il segreto per farvi felice. E' facile far felice un bimbo, un uomo no. Un uomo alle mie storie non ci crede. Se adesso io vi raccontassi le storie che fanno felice quel bambino, voi maestà sorridereste, forse, ma con un sorriso di malinconia; sorridereste di me che racconto e di voi che ascoltate, maestà, perché né io né voi potremmo riuscire mai a scordarci di ciò che siamo ora. Dovremmo cancellare i nostri giorni, affossarli, disperderli nel vento. Sappiamo farlo, Maestà, possiamo farlo?
Non dovremmo avere più furori di sensi o di parole, né rabbia o nostalgia, né invidia, né ricordi d'amore, né rimpianti, né ardori, né sospetti. Sappiamo farlo, maestà, possiamo farlo?"
"Ma tu, quando racconti, tu, almeno, sei felice?" "No, maestà, io no. Io che racconto non sono mai felice. Io che racconto sono disperato. Perché se racconto del vento che parla, vento vorrei essere, che parla. E se racconto di fate e di maghi, fata vorrei essere, mago, folletto, principe, re, e bosco incantato; e poi vorrei essere albero. foglia, e vorrei potermi scordare di me, non dover raccontare ma essere racconto, non vorrei parlare ma essere parola, nuvola di parole. Maestà, se sapeste come mi sento stupido mentre racconto, come mi sento inutile o quanto mi vergogno d'ingannare quel bambino che mi ascolta con il cuore che gli batte forte forte. Perché è tutto falso, maestà: sono false le gioie e le paure, le promesse e le speranze, le magie, gli incantamenti. E' falsa la saggezza, il coraggio degli eroi. E' tutto falso, maestà, e io che faccio? io faccio credere al bambino che sia vero". "Ma in questo modo tu lo fai felice" disse allora il re.
"Ma felice per ciò che non conosce, che non ha mai visto, che non vedrà mai. E' questa la felicità, maestà? può essere sempre nel racconto di un altro? E poi fino a quando sarà felice per le mie storie, per le mie fantasie, per le menzogne?
Soltanto un matto potrà sempre trovare la sua felicità nel mio racconto".
"Allora un matto può essere felice?" "Un matto forse sì, maestà. Forse".
Così al castello fu portato un matto.
"Che cosa vuoi da me - chiese al re il matto - chi sei, che vuoi da me?"
"Voglio sapere se sei felice" gli rispose il re.
"Certo che lo sono. Non lo saresti tu se fossi re?"
"Ma io sono re" disse allora il re.
Il matto rise, rise forte e poi disse: "Non ti farò punire, stai tranquillo, tu sei un povero matto. Il re son io. Re d'un regno immenso che ha terre e mari e città fiorenti e genti di lignaggio e di casato. Io sono il re. Ma ti capisco, sai. Non sei il primo. Ne ho incontrata di gente che credeva d'essere re, di avere il mondo in pugno. Erano solo matti e tu sei come loro. Sei re mi dici?" e rise ancora, rise. "E dimmi, chi ti diede lo scettro e la corona, dov'è il tuo regno, dove sono i tuoi soldati?"
"Allora sei felice?" gli chiese ancora il re.
"Sono felice, sì. Io sono il re. Sono felice perché io sono il re". E rideva e risuonavano le risa tra le volte della grande sala, e rideva mentre se ne andava lasciando tutti lì allibiti, muti.
Non disse nulla il re. Chinò la testa, nascose la sua faccia tra le mani.
Qualche lacrima arrivò fino alle labbra. Era stanco adesso il re.
E si spensero le luci dei cento candelieri, e andarono via tutti, servi, dame e cavalieri, rimasero solo loro. lui, il re, e la regina, con le loro grandi ombre sorprese dalla luna. E la luna quella sera era immensa, era un incanto, e sembrava che fosse lì per loro due soltanto.
Dalle vetrate il cielo entrava in quella sala.
Si guardarono in silenzio e nel silenzio si sentiva il respiro senza affanno, poi ad un tratto la regina passò le mani tra i capelli del re e disse "adesso è tardi, dormi qui tra le mie braccia. chiudi gli occhi, non pensarci. Non pensarci più ed avrai i vecchi sogni e un altro cuore, avrai ancora i tuoi vent'anni e non sarai più re. Sarai quel ragazzo che aspettava l'alba tra le feritoie delle torri sopra il mare".
Chiuse gli occhi il re e dormì.


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