...tutti
ripetevano
quello che lui aveva raccontato,
ognuno ci metteva
la sua parte
di memoria
e le storie crescevano
diventavano vive
"Che me ne
faccio di ogni guerra vinta, della gloria, della fama di re saggio?
che cosa me ne faccio del castello, dei mille cavalieri al mio comando?
di tutte le città di questo regno, di questa corona cosa me
ne faccio? e della primavera o dell'estate, delle notti in cui ho
sognato e dell'amore, della bellezza, della giovinezza, che cosa me
ne faccio, adesso, cosa? e di te che mi guardi e mi sorridi e mi pensi
almeno un poco innamorato, almeno del passato, di quello che mi hai
dato, di quello che ti ho dato, che ne faccio? Voglio essere felice,
questo voglio. Voglio avere un cuore nuovo per i giorni che verranno,
voglio occhi per vedere tutto ciò che non ho visto, voglio
quello che ho smarrito inseguendo l'ambizione d'esser re. Ma se son
re, ma se comando. voglio essere felice. Ora, subito".
Disse allora la regina: "O mio signore, io sarei pronta a dare
anche la vita per la tua felicità. Ma non serve, lo so bene.
Forse un tempo avrei potuto. Forse un tempo avremmo avuto più
coraggio. Però il tempo passa in fretta, te ne accorgi ch'è
passato sempre quando è troppo tardi per rubargli un giorno,
un'ora da tenerti dentro il cuore. Sai, signore, lungo il fiume, vive
un vecchio. Si racconta che sia saggio, che sappia leggere anche i
segni delle stelle".
"Ma è più saggio di un re?" chiese allora
il re.
"Non lo so, ma è vecchio e i vecchi, signore, hanno avuto
più tempo per pensare".
"Che venga il vecchio" ordinò il re.
Non era stato mai al castello il vecchio. Lui viveva lungo il fiume,
con il fiume solo ormai.
Disse il re: "Tu sei vecchio e saggio e mi dicono che conosci
anche i segni delle stelle. Sono pronto a darti tutto quel che ho
se tu sai dirmi in che modo potrei trovare la felicità. Lo
sai? Tu sei stato mai felice?"
"Maestà - rispose il vecchio - non sempre le stelle sanno
dare risposte alle nostre domande. Le stelle, maestà, sono
molto lontane da noi e non seguono il nostro cammino. Voi mi chiedete
qualcosa che non conosco; non posso rispondervi, maestà, ve
lo giuro. Però posso dirvi che a volte mi basta il colore dell'alba
per esser felice. Oppure mi basta che l'inverno sia dolce, mi basta
soltanto il rumore del fiume. E mi basta, maestà, che la memoria
ritrovi i volti e le voci che il tempo ha travolto. Quando si è
vecchi i giorni sembrano lupi affamati e allora si impara, giorno
per giorno, a nascondere nel fondo del cuore qualcosa, qualcuno, un
silenzio, uno sguardo, un sorriso, un tremore, un amore, un antico
dolore, maestà. Gli anni ti portano via tutto quanto ma non
possono portarti via anche il ricordo. Gli anni non hanno nessuna
pietà ma non sanno impedirti di sognare il passato. Così,
certe notti, nel sonno, nel sogno, io sono felice come fossi un bambino".
"Ma allora da bambino sei stato felice" disse al vecchio
il re.
"Forse. Non so, non ricordo. Maestà, il tempo, voi sapete,
cambia tutto. Niente ti ritorna com'è stato. E' tutto più
chiaro o più scuro. Ma ricordo certi giorni di stupore, di
gioia sconfinata, e ricordo altri giorni di paure così grandi
che non ho mai più provato. Che posso dirvi adesso, mio re.
Da bambino forse sono stato felice qualche volta. Qualche volta soltanto
però".
"Fate venire subito un bambino" ordinò a quel punto
il re.
Arrivò il bambino e lui gli disse: "Ascolta, rispondi
alla mia domanda: sei felice?"
"Che significa felice?" chiese il bambino.
"Come che significa? Vuol dire ... " e si ferma il re. guardò
nel vuoto, poi guardò il bambino dentro gli occhi.
"Come faccio a spiegarti - continuò - vuol dire non essere
triste mai, non aver paura di niente e di nessuno, non annoiarsi mai
e non soffrire. Ma no, non è questo. Non questo solo. Voglio
dire, stai attento!, che significa sentirsi come lontano da ogni cosa,
ecco. in un mondo diverso, come in una nuvola".
"Ah sì, ho capito" disse il bambino. "A volte
mi capita di sentirmi volare, di trovarmi dentro un bosco, di attraversare
il mare. Mi capita di trovarmi in un castello come questo e di sentirmi
re come te, davvero. E mi sento felice quando sono re".
"E quando ti succede?" gli chiese allora il re. "Quando
il poeta mi racconta le sue storie". "Chi è il poeta?"
"Non lo conosci? Vive con noi al villaggio. Sanno tutti chi è.
Non lo conosci?"
"Chiamate subito il poeta" disse il re.
E il poeta arrivò.
"Se tu sai fare felice un bambino. conosci il segreto della felicità.
Rivelamelo e poi chiedi ciò che vuoi. Ti farà cavaliere,
ti farà più ricco di me" disse al poeta il re.
"Sire, non posso" gli rispose il poeta. "Non conosco
il segreto per farvi felice. E' facile far felice un bimbo, un uomo
no. Un uomo alle mie storie non ci crede. Se adesso io vi raccontassi
le storie che fanno felice quel bambino, voi maestà sorridereste,
forse, ma con un sorriso di malinconia; sorridereste di me che racconto
e di voi che ascoltate, maestà, perché né io
né voi potremmo riuscire mai a scordarci di ciò che
siamo ora. Dovremmo cancellare i nostri giorni, affossarli, disperderli
nel vento. Sappiamo farlo, Maestà, possiamo farlo?
Non dovremmo avere più furori di sensi o di parole, né
rabbia o nostalgia, né invidia, né ricordi d'amore,
né rimpianti, né ardori, né sospetti. Sappiamo
farlo, maestà, possiamo farlo?"
"Ma tu, quando racconti, tu, almeno, sei felice?" "No,
maestà, io no. Io che racconto non sono mai felice. Io che
racconto sono disperato. Perché se racconto del vento che parla,
vento vorrei essere, che parla. E se racconto di fate e di maghi,
fata vorrei essere, mago, folletto, principe, re, e bosco incantato;
e poi vorrei essere albero. foglia, e vorrei potermi scordare di me,
non dover raccontare ma essere racconto, non vorrei parlare ma essere
parola, nuvola di parole. Maestà, se sapeste come mi sento
stupido mentre racconto, come mi sento inutile o quanto mi vergogno
d'ingannare quel bambino che mi ascolta con il cuore che gli batte
forte forte. Perché è tutto falso, maestà: sono
false le gioie e le paure, le promesse e le speranze, le magie, gli
incantamenti. E' falsa la saggezza, il coraggio degli eroi. E' tutto
falso, maestà, e io che faccio? io faccio credere al bambino
che sia vero". "Ma in questo modo tu lo fai felice"
disse allora il re.
"Ma felice per ciò che non conosce, che non ha mai visto,
che non vedrà mai. E' questa la felicità, maestà?
può essere sempre nel racconto di un altro? E poi fino a quando
sarà felice per le mie storie, per le mie fantasie, per le
menzogne?
Soltanto un matto potrà sempre trovare la sua felicità
nel mio racconto".
"Allora un matto può essere felice?" "Un matto
forse sì, maestà. Forse".
Così al castello fu portato un matto.
"Che cosa vuoi da me - chiese al re il matto - chi sei, che vuoi
da me?"
"Voglio sapere se sei felice" gli rispose il re.
"Certo che lo sono. Non lo saresti tu se fossi re?"
"Ma io sono re" disse allora il re.
Il matto rise, rise forte e poi disse: "Non ti farò punire,
stai tranquillo, tu sei un povero matto. Il re son io. Re d'un regno
immenso che ha terre e mari e città fiorenti e genti di lignaggio
e di casato. Io sono il re. Ma ti capisco, sai. Non sei il primo.
Ne ho incontrata di gente che credeva d'essere re, di avere il mondo
in pugno. Erano solo matti e tu sei come loro. Sei re mi dici?"
e rise ancora, rise. "E dimmi, chi ti diede lo scettro e la corona,
dov'è il tuo regno, dove sono i tuoi soldati?"
"Allora sei felice?" gli chiese ancora il re.
"Sono felice, sì. Io sono il re. Sono felice perché
io sono il re". E rideva e risuonavano le risa tra le volte della
grande sala, e rideva mentre se ne andava lasciando tutti lì
allibiti, muti.
Non disse nulla il re. Chinò la testa, nascose la sua faccia
tra le mani.
Qualche lacrima arrivò fino alle labbra. Era stanco adesso
il re.
E si spensero le luci dei cento candelieri, e andarono via tutti,
servi, dame e cavalieri, rimasero solo loro. lui, il re, e la regina,
con le loro grandi ombre sorprese dalla luna. E la luna quella sera
era immensa, era un incanto, e sembrava che fosse lì per loro
due soltanto.
Dalle vetrate il cielo entrava in quella sala.
Si guardarono in silenzio e nel silenzio si sentiva il respiro senza
affanno, poi ad un tratto la regina passò le mani tra i capelli
del re e disse "adesso è tardi, dormi qui tra le mie braccia.
chiudi gli occhi, non pensarci. Non pensarci più ed avrai i
vecchi sogni e un altro cuore, avrai ancora i tuoi vent'anni e non
sarai più re. Sarai quel ragazzo che aspettava l'alba tra le
feritoie delle torri sopra il mare".
Chiuse gli occhi il re e dormì.