Elenco
dei corrispondenti
precedenti
numeri
mario agrimi, michela ambrogetti, martin andrade, susana degoy, lino
angiuli, georges astalos, biagio balistreri, vittorio bàlsebre,
ferenc baranyi, massimo barbaro, bianca di giovanni, giorgio bàrberi
squarotti, giovanni bernardini, filippo bettini, piero bigongiari,
rino bizzarro, ennio bonea, bruno brancher, e. a. buongiorno, caffè
greco, antonio verri, domenico cara, nicola carducci, luciano caruso,
hernán castellano girón, anna maria cenerini
questo numero
rolando certa, fernando cezzi., gaetano chiappini, emilio coco, cosimo
l colazzo, salvatore colazzo, , lucio conversano, maria corti, antonino
cremona, vittorino curci, gianni custodero, rolando d'alonzo, sergio
d'amaro, ercole ugo d'andrea, claude darbellay, aldo de jaco, francisco
delgado, michele dell'aquila, pino dentico, luciano de rosa, cesare
de santis, francesco saverio dodaro, antonio donno, rina durante
ROLANDO CERTA
Da Mazara del
Vallo (lettera datt., carta intestata: "impegno 80") 9.1.1983
Caro Verri,
grazie per la tua lettera del 9.12. d.a. e grazie per l'invito a collaborare.
Ho ricevuto gli ultimi due numeri del vostro foglio (già Armida
mi aveva inviato alcuni numeri di "Pensionante dei saraceni",
dove avevo letto alcune belle poesie erotiche) ed ho molto apprezzato
il paginone dedicato ai poeti albanesi. Naturalmente bisognerebbe
scoprire anche i poeti albanesi di Calabria, dove vivono - mi hanno
detto - circa centomila persone di origine albanese e dove lo stato
italiano, con la sua brutale indifferenza, sta commettendo e consumando
un vero e proprio "etnocidio".
Aderisco alla tua/vostra iniziativa e mi dichiaro con essa solidale.
Ho già spedito ad Armida Marasco un articolo sull'ultimo libro
("Oniroplio": La nave dei sogni) del poeta italo-ellenico
(scrive in italiano e greco) Febo Delfi. Le ho rimesso anche una mia
poesia, "Ai fratelli di Mahdia", che il 15 febbraio reciterò
in Tunisia in occasione del gemellaggio fra Mazara del Vallo e Mahdia.
La stanno traducendo in arabo e in francese.
Ti mando anche, oggi, cinque mie poesie (tutti i materiali sono inediti),
che ho scritto sull'onda dei miei viaggi all'estero e dei miei incontri,
anche "amorosi".
Si potrebbe fare un paginone dedicato alla poesia greca contemporanea,
ma mi occorre del tempo. Per Pasqua mi recherà ad Atene e con
l'occasione, insieme a Febo Delfi e qualche altro italianista greco,
potremmo fare una scelta di testi e presentare una decina di poeti.
In prosieguo, come ho scritto ad Armida, potrà farti avere
dei testi di una giovane poetessa araba-egiziana (da me tradotti dal
francese). Come tu sai parecchi poeti arabi scrivono nella loro lingua
madre o direttamente in francese. E ti invierà anche alcuni
medaglioni, non solo di poeti greci ma anche romeni, iugoslavi, ecc.
Nel 1982 ho visitato Tunisia, Grecia, Bulgaria, Iugoslavia e Romania
ed ho molti contatti ed anche materiali. Intanto, ti rimetto alcuni
numeri della rivista da me curata e alcune pubblicazioni, in modo
tale che tu possa farti un'idea dei miei/nostri interessi. Se credi,
potrai anche recensire o riportare, citando la fonte.
Tanti auguri per la tua attività e cordiali saluti.
Rolando Certa
FERNANDO CEZZI
Da Lecce (lettera datt.) giugno 1988
Carissimo Antonio,
quando mi proponesti, circa un anno fa, di scriverti una cosa su Totò
Toma, da inserire in una cartella che andavi concependo per lui, mi
chiesi in che modo potesse interessare a te o ad altri una mia idea
o una mia esperienza di Totò: un'amicizia troppo fuggevole,
ahimé, una delle mie occasioni perdute
Le sue carpe giapponesi trovavano giovamento, cibo e salute, dal fango
e dal papiro della fontana grande che era nel mio giardino; le tartarughe
amazzoniche, nere veloci con la coda affusolata, dovevo lasciarle
libere e sole - ogni tanto un pezzettino di carne - nell'altra fontana
con le ninfee e i piccoli isolotti emergenti; nel padulario mi sconsigliava
di tenere i ramarri, insofferenti alle recinzioni; ci stavano bene,
invece, ed erano interessanti da osservare di nascosto, le ile e le
rane; il rospo, attento a non calpestarlo, ché tende a mimetizzarsi
fra l'edera dell'aiuola del padulario.
Tese brevi, come se avessimo paura e pudore di approfondire noi stessi,
le nostre conversazioni nel suo "Tarabuso", in giardino,
fra i suoi cani nel bosco, o incontrandoci casualmente per le vie
di Maglie, lui adagiato sulla vespa io fermo sul marciapiede.
Il suo "ozio attivo" era un'attività di conoscenza,
un mezzo per inserirsi nel flusso degli eventi e capirli: massima
sapienza umana? Vincendo la mia, stupida, ritrosia, un giorno gli
comunicai una mia impressione sul risveglio, improvviso lento magico,
delle cose all'alba; mi suggerì che quando inizia la notte
e la luna si accende nel bosco c'è ancora più incanto.
Queste "dolci meraviglie" della vita egli difendeva con
me e mi esortava a tenerle mie "nella stessa intensità
di come / ti appartengono i tuoi desideri".
E' questo il segno di Totò per me.
Non so dirti altro, carissimo Antonio. Leggiamolo, perché nelle
sue poesie egli ci ha pensati. "Voglio che dicano di me: ha vissuto
la nostra infanzia con maturità! ci ha pensati nel senso più
vero, più puro, più bello passibile!". Senza monumenti,
Antonio, per carità.
Affettuosamente,
Fernando Cezzi
[Lo splendido autore del racconto di Irene al quale ci siamo sempre
rivolti per traduzioni dal francese]
GAETANO CHIAPPINI
Da Firenze (lettera ms.) 22.2.1982
Caro Verri,
lei non mi conosce, ma mi ha mandato il suo bel foglio "Pensionante
de' Saraceni" (qualcosa a che vedere con il pittore inventato
da Roberto Longhi: il "pensionante" del Saraceni, perché
vicino a lui come tecnica, ecc.?): desidero ringraziarla e, se posso,
aggiungermi a coloro che incoraggeranno il suo lavoro. Leggo le poesie
del mio amico Ercole Ugo D'Andrea, ma anche quelle degli altri. Le
dirà che sono molto curioso, di poeti soprattutto, se poi sono
meridionali sono ancora più interessato, perché lì
si aggiunge quel rancore, sfida, tensione, lotta, ecc. di cui lei
parla e che io vorrei vedere fondato sul vivo di una presenza concreta
e forte, di veri lavori, di supporti robusti e non sulle astrazioni
e gli urli di nessun genere... Vi aspetto nei numeri successivi (se
posso contribuire con qualche poca lira, me lo dica), per vedere una
continuità (non obbligatoria) e una certezza della propria
identità. Il resto è esperimento. Grazie e Auguri!
Gaetano Chiappini
Da Firenze (lettera datt.) 9.XII. 1983
Caro Verri,
da tempo volevo scriverle per ringraziarla del suo libro Il pane sotto
la neve: letture e riletture, come di consueto, mi impediscono di
scrivere subito, pena la ancora più esigua pochezza del giudizio
di lettura. Certamente, il suo è un discorso in qualche modo
sperimentale nella spirale dell'impasto linguistico o mistolinguistico,
che è poi vizio pericoloso avallato da Contini; a me, per la
verità, non sempre grato, perché la varietà interna
della voce mi sembra non sempre consentire riposata lettura di sé
e delle cose. Il fatto è che il suo scrivere in sussulto porta
il segno della dira rabies meridionale-giovanile-finiseculare-novecentesca
(con la quale mi conformo fino allo spasimo! ma spero sempre che la
voce dei poeti mi porti qualche meditazione in sovrappiù ...
). Tolto questo velo sono interamente d'accordo con l'urgenza lacerante
della sua poesia, attenta agli incanti più che ai brividi,
sensibile agli echi di Vittorio amatissimo (anche da me!) e nell'ascolto
dei miti ancestrali del castello e della madre... Come posso non esserle
grato, visto che il cercare disperatamente mi coinvolge, e la illusione
delle occasioni perdute (ma ci saranno poi state?) è anche
la mia ansia di alibi non trascurati... Sono complice, quindi!
Mi scriva quando vuole, caro Amico: ogni voce del Sud del Sud ha diritto
di attenzione da parte mia: dal Salento (e da tanto Sud) mi viene
più affetto e solidarietà, in tante occasioni!
Anche a lei sono grato e le chiedo di perdonare i balbettii della
mia scrittura (il cuore non è lontano, comunque!)
Gaetano Chiappini
EMILIO COCO
Da San Marco in Lamis (lettera ms.) 2.IX. 1985
Caro Antonio Verri,
ti ringrazio per il 2/3 del "Pensionante de' Saraceni" (il
numero è difettoso, mancano una 20° di pagine, ed altre
sono ripetute) e ti invio alcune traduzioni mie di poesie del poeta
Josè Maria Bermejo, accompagnate da sue risposte a un mio questionario.
Se trovi interessante il materiale, puoi pubblicarlo su un prossimo
numero della rivista.
Se non è possibile, ti prego di farmelo sapere, lo manderò
a qualche altra rivista.
Ti accludo anche una poesia di E. Luis Espantado, tradotta da me,
in settenari (inedita).
Aspetto tue notizie
un cordiale saluto
Emilio Coco
P.S. Se si pubblicherà, il titolo potrebbe essere: 12 domande
a Josè Maria Bermejo.
Le poesie: Poetica, Fiore d'acqua, Sui gigli, Già sei in te
lampo, sono inedite.
COSIMO L. COLAZZO
Da Trento (lettera ms.) 4.2.1987
Caro Antonio,
purtroppo questo fine-settimana non potremo vederci. Sono ammalato
e non posso muovermi. A Trento alcuni amici si prendono cura di me.
In compenso ho lavorato abbastanza e ho terminato di stendere in bella
copia il tuo pezzo. In questo periodo sento di essere molto provato,
dai viaggi, ma anche da difficoltà di altro genere, come quella
di trovare un equilibrio nelle relazioni con persone a cui tengo più
che a me stesso. E' difficile, per via del mio carattere instabile,
ma anche per le persone per cui mi capita di esaltarmi. Vado a ricercarmi
sempre le persone sbagliate.
Ho molti progetti di lavoro nella mente ma non riesco a darvi corso.
Sento di dovere, come mi dice spesso Sciarrino, mettere su casa. Non
mettere su famiglia, ma regolare la mia vita secondo cadenze costanti.
Avere dei punti di riferimento per cui muoversi è necessario.
Io ho tante idee per la testa, ma nessuna riesce ad avere una forza
tale da attirare su di sé l'attenzione di tutte le mie energie.
Quella di scindere la mia vita tra tanti luoghi e situazioni anche
molto diverse tra loro è un'esigenza che non riesco a reprimere
e che io razionalizzo dicendola utile per la mia vita, perché
mi rende capace di agire in molti contesti. La verità è
che vivere così nuoce al mio lavoro ed anche alla mia salute.
Sono ammalato, ti dicevo, ma non di un comune raffreddore. Un medico
m'ha detto che forse ho l'artrosi cervicale. Non ho mai sofferto come
in questi giorni. Perciò ho deciso di prendere un po' di respiro.
Quest'estate sarò a Lecce come non faccio da un po' di tempo
e sogno di trascorrere le giornate, al mattino scrivendo, nel pomeriggio
al mare. Il 12 dovrò essere a Lecce e mi fermerò fino
al 17. Spero che il tuo lavoro proceda bene. La riduzione teatrale
del tuo Galateo, ma anche l'incontro-scontro con il tuo "squalo".
A proposito, volevo dirti che per me l'ansia ha l'aspetto di un animale
di terra, proprio di un animale che vive tra la terra o sotto-terra.Un
ragno, forse.
A presto, allora
Cosimo
N.B. La busta che accompagna questa lettera viene da Buenos Aires.
Purtroppo non posso donartene neanche una, perché questo è
l'unico esemplare di busta argentina che ho, per averla avuta in dono
da un'amica che lì è stata.
Da Trento (lettera ms.) 19.5.1987
Caro Antonio,
ieri sera ti ho sentito un po' dispiaciuto per il fatto che non sono
andato a trovare Conversano. Non ho potuto spiegarti per telefono,
ma ti assicuro che è perché non' ne ho avuto davvero
il tempo. Avrei potuto solo se avessi rinunciato alle prove con gli
esecutori. Ma non me la sono sentita. Non che a poche ore dal concerto
io abbia potuto migliorare la resa del mio pezzo (se mai fosse stato
possibile, perché loro, gli esecutori, erano davvero bravissimi).
Ma in questi casi, al di là di ogni ragionevolezza, si è
legati a se stessi e alle proprie cose. Lucio sardi incazzato con
me. E ne ha tutte le ragioni. Gli ho scritto spiegandogli tutto e
chiedendogli di scusarmi. Io naturalmente sono un po' giù per
l'esito del concorso. Comunque, l'unico pezzo che hanno premiato funzionava
abbastanza, per cui non mi sento di dire che mi abbiano defraudato
di qualcosa. Ho notato che le mie cose non hanno una presa immediata
su chi le ascolta. Gli esecutori del mio pezzo mi dicevano in tutta
sincerità che all'inizio lo avevano trovato un po' impenetrabile.
Ma poi, ora, lo amano molto. E ti assicuro che lo hanno suonato con
amore.
Purtroppo quest'aspetto della mia musica, il fatto, cioè, che
sia intenzionalmente antiretorica (il pezzo che ha vinto era molto
retorico, con grandi gesti sonori, effetti eclatanti, e a me non è
piaciuto perché è lontano dalla mia poetica, e comunque
era scritto bene) la rende poco amabile. La registrazione del pezzo
dovrei averla se me la invia il compositore che ha vinto, che ha registrato
tutto il concerto. L'organizzazione del concorso da questo punto di
vista non ha fatto niente, e in genere è stata pessima.
Domenica prossima sarò a Lecce. Tieniti pronto per una cena
la sera stessa di domenica. Ti telefonerò sabato da Avellino
per confermartelo. Dillo naturalmente a Licia, a Paola, ai suoi bambini.
Tu sarai un po' scettico perché io do buca agli appuntamenti,
ma domenica non mancherò.
Ciao
Cosimo
Da Aldeno (lettera ms.) 24.12.1987
Caro Antonio,
buon Natale, anche se tardi, e Buon Anno a te e a Licia. Marina ti
ringrazia per il tuo ennesimo pensiero e ha preparato per te la buona
grappa che conosci. Non sono andato a sciare, spero nei prossimi giorni,
se il tempo sarà propenso. Lavorare, poco. Il clima di qui
è vacanziero e bisogna adeguarsi. Ho da scrivere un pezzo per
pianoforte e vari strumenti per la fine di gennaio. Poco mi è
chiaro in mente, sento solo, nettamente, che il pezzo, stavolta, sarà
più "colorato" del solito, più energico.
Intanto lavoro sul Klavierstüycke di Stockhausen, dai quali mi
pare di non poter prescindere, così pieni di invenzioni fantasiose.
Ma ho qui con me un po' di tutto (venendo in macchina mi è
stato facile): Tre Concerti di Prokosieff, il n. 2 di Chopin, il n.
3 di Bartok, tutto Beethoven, Rachmaninoff ed altro.
Tu sai che, anche se da poco, amo molto lavorare con le scritture
degli altri. Il pezzo ricavato da Debussy per Noema, il pezzo di violino
che ti ho mostrato ma che non hai sentito e di cui niente ti ho detto,
che commistiona Berio e Sciarrino.
Da qualche giorno mi succede che la musica degli altri, in questo
caso degli autori di cui sopra, mi fermenta dentro, gorgoglia e a
volte vorrei scrivere di getto, lanciarmi nel vuoto, azzardare.
Provare. La mano incomincia a seguire la mente, e i sogni e le fantasie
al loro ritmo?! Ah, le trasparenze ammiccanti, le scritture che si
riflettono l'una nell'altra e sfrigolano reagendo tra loro e ti fanno
sorridere o ti prendono allo stomaco! Se tutto questo riuscisse. Ci
vuole rigore e fantasia, applicazione e voli e voglia di scherzare.
E' difficile ma bello. Ciao e arrivederci a presto
Cosimo
Da Lecce (lettera datt.) 8 maggio 1988
Caro Antonio,
ti passo la Lettera a Luisa, che risale più o meno ad un anno
fa, appena appena riveduta, e che tra l'altro avevo già dato
a Sudpuglia. Eccola: "Il mio farlo è un suono delicato
ma non etereo, che abbia - te l'ho già detto - la leggerezza
impenetrabile e la incisività del granulo di sabbia.
Tu mi hai detto: "Ti ricordo Da quando vivo solo con me stesso,
da laddove i tuoi ricordi si fermano, io amo questa phoné.
La mia musica è secca. La mia musica è intenzionalmente
secca, in ogni aspetto. Si organizza senza ridondanze, giusto con
qualche scarto che stimoli l'attenzione o indirizzi la memoria, i
miei suoni sono i timbri, forzati nel loro darsi 'comuni' ed 'inespressivi',
le emissioni 'normali', le dinamiche fisse.
La mia scrittura è forse "repressa". Represso, forse....E'
il suono acqueo dell'arpa alla fine di D'incanto - tu così
hai intuito - è la nostalgia d'una libertà e d'una integrità
non più ritrovabili. Represso - forse - ma se non mi faccio
vincere dal segno, se ti scrivo che amo quel suono, che uso i segni
per quel suono, sarò forse un perverso, un feticista,...ma
la mia vita quotidiana, i segni, la mia musica fanno tutti insieme
un tutt'uno. Essere d'avanguardia non ci interessa più. Ecco,
il mio, il nostro mondo, quello di oggi è così: un po'
perverso ma non scisso. Oggi noi tutti abbiamo una scarsa moralità,
o meglio, una moralità elastica e sappiamo accettare, canalizzare
le nostre debolezze, comunicare con e per le nostre debolezze.
Ma ti parlerò della mia musica.
Vorrei fartela ascoltare più che parlartene. Parlarti di me,
delle mie ossessioni forse, per me, già basta. L'arte è
soprattutto oggettivazione, è vero. Ma questo è un problema
del compositore al momento del comporre: saper oggettivare le proprie
nevrosi. Scriverti del mio tentativo, ti giuro, mi pesa. E' come se
componendo la mia musica le mie energie, chiamiamole così,
formalizzanti si dissolvano senza residui in essa. Ti posso dire che
ora mi interessa lavorare con le scritture degli altri. D'incanto
per arpa non organizza una trama di suoni da connotare attraverso
la realizzazione in un decorso formale, ma materiali giù di
per sé fortemente connotati (la musica "afro" in
una scrittura ritmica essenziale, la musica della TV con il suo mai
logoro INTERVALLO, e poi la musica classica ), stili, allora, da mettere
in relazione tra loro, non decorativamente ma secondo regole formali-musicali-comunicative
precise: una trama di forme, di stili.
Ho appena terminato Voilese englouties par Ondine (da Debussy) per
pianoforte, una scommessa, un gioco per cui frullo tre Preludes di
Debussy e il suo suono acqueo.
In D'incanto l'acqua è la dimensione preculturale (data nella
veste culturale più idonea, il suono acqueo di Debussy, il
primitivismo di Sacre, lo sciabordio dell'arpa) a cui si giunge dopo
mille suggestioni culturali (la musica "afro", la musica
della TV ), uno dei due termini del percorso macro-formale. Tu interpreti:
dal cosciente al sub-cosciente, dal reale al surreale; e sia. Ora:
l'acqua in Voiles...è sì il preculturale, il prenatale,
ma averla trattata così, come un qualunque altro materiale
da comporre, senza trovarlo particolarmente sensuale, mi ha permesso
di prosciugare il suono acqueo di Debussy. Almeno per me è
cosa fatta: Debussy è ossificato. E forse con lui ho un po'
prosciugato me stesso".
Cosimo Leonardo Colazzo
[In progress lo splendido itinerario culturale di Cosimo L. Colazzo.
Anni di collaborazione con Sciarrino. Altre esperienze. Nell'estate
'88 in Francia (con Boulez), in Germania, in Unghería]
Da Villeneuve les Avignon (lettera ms.) 6.7.1988
Caro Antonio,
due giorni fa l'atteso incontro con Boulez, carino, disponibile al
sorriso, affabile. Intanto sono iniziati gli altri corsi, lui inizierà
il suo di direzione giovedì, e oggi ha semplicemente aperto
la manifestazione. Che manifestazione! In Europa non c'è sicuramente
un corrispettivo dopo che Darmstadt si è un po' ripiegata su
se stessa.
C'è l'Ircam al completo, poi i corsi di informatica, mentre
Nattez, un semiologo, forse il più accreditato oggi, canadese
viso pulito aperto sereno, ha iniziato i corsi di analisi.
Sto seguendoli entrambi, pur avendo difficoltà con la lingua.
Qui tutto è bello. Siamo ospiti di una certosa bellissima,
immersa nel verde, ma nella città, sovrastata da un castello.
L'organizzazione è semplicemente perfetta. Giovedì mi
toccherà dirigere. Spero bene anche se ho lavorato poco. Non
per pigrizia, ma il tempo da quando ho saputo che ero stato ammesso
ad oggi è stato davvero poco, per preparare dei pezzi difficilissimi.
Ho lavorato comunque con calma e questo mi dà fiducia.
C'è poi un'altra considerazione. La musica di Boulez, al di
là d'ogni apparenza, è fatta di dualismi fluidificanti,
per cui la disposizione ideale per interpretarla è quella d'una
consapevolezza continuamente divergente. Ma la mia rischia di essere
semplicemente una scarsa consapevolezza! Vedremo comunque, ti dirò
cosa mi dirà Boulez!
Alloggio con un amico pianista di Roma, una persona gradevole e colta,
in un bellissimo albergo, ma non costoso, tenuto con un gusto incredibile,
lontano da tutto, a dieci chilometri da qui. Di italiani corsisti
pochissimi in mezzo a gente che viene davvero da ogni parte del mondo.
Scusa per la carta di riporto ma non ne avevo altra. Per andare in
Ungheria passerò per l'Italia. Potrei dare un passaggio a Maurizio.
Per ora non so quando partirò, ma te lo farò sapere.
Cosimo
Da Darmstadt (lettera ms.) 6.8.1988
Caro Antonio,
ti scrivo da una casa stupenda in cui fortuna vuole che momentaneamente
abiti. E' una splendida mansarda arredata con gusto, senza indulgere
a particolari languori, da cui si dominano i boschi di Darmstadt.
Possiede un giardino pensile che la rende ancora più accogliente.
Insomma, sono nelle migliori (?!) condizioni per studiare.
I mitici Ferienkurse sono una vera delusione. Pensare che qui è
fiorita l'avanguardia degli anni '60! Ed infatti oggi si sprecano
le immagini con Nono, Stockhausen, Berio, che chiacchierano distesi
sul prato antistante la scuola. Ma oggi? Oggi quelle immagini sono
davvero storia e oleografia. Non riesco a capire come vi convenga
tanta gente da ogni parte del mondo. Io vi sono andato spinto dalla
curiosità, ma c'è gente che viene da anni.
Qui platealmente si sperimenta e si pratica il compromesso. Tutto
ruota intorno a Ferneybough, il grande manovratore! Già, perché
non è che qui si fa il punto su esperienze nodali della ricerca
musicale a livello compositivo, semplicemente si ha l'occasione di
veder eseguiti da esecutori di più o meno buon livello, in
spazi più o meno importanti ed idonei, i propri pezzi.
il fatto è che non so sinceramente trovare una buona ragione
per essere qui. I seminari e le conferenze sono noiosissime. Sono
stati invitati i musicisti e i compositori dell'Università
di San Diego (dove insegna anche Ferneybough!) i quali o fanno performances
o musica vile. Mi godo questa casa, guarda, senza piangere molto su
tutto quello che ti ho detto. Noi, insieme con Marina (c'è
anche lei qui, più contrariata di tutti perché trova
la mensa immonda), al lago a fare il bagno. Vedessi i tedeschi: quasi
tutti praticano il nudo integrale. Glisso su questo tema per raccontarti
della Francia, perché il mio soggiorno avignonese del mese
scorso è avvenuto in un'altra splendida casa-albergo in piena
campagna, all'insegna anche qui del naturismo, praticato in piscina.
Boulez, già, vorrai sapere di lui. E' una persona capace di
essere simpatica. Poter studiare con lui è stato emozionante.
La TV era sempre presente, sembrava che il tutto fosse stato organizzato
in funzione del richiamo che l'intero impianto poteva esercitare su
di un pubblico il più indifferenziato possibile, richiamo verso
Boulez, verso chi ha organizzato tutto, verso la francesità
mai come qui emergente. Quanto sarebbe stato diverso il successivo
soggiorno in Ungheria! Qui si agisce in funzione di ciò in
cui veramente si crede e che appassiona. Splendidi musicisti, da cui
ho imparato molto. Troppe durezze, forse, troppa drammatizzazione,
troppa concentrazione. E io, oggi più che mai, ho bisogno di
diluirmi.
Tra qualche giorno qui a Darmstadt mi eseguiranno un pezzo, Dune.
Poi dovrò suonare insieme con Marina un pezzo di un compositore
romano per pianoforte a quattro mani. Pensa, gli italiani sono la
colonia di compositori che vanta più presenze, tanto che verrà
realizzata una giornata italiana, nella quale ha trovato posto, appunto,
il mio pezzo.
Sto pensando che Oslo non è lontana. Mi sta venendo il trip
del viaggio. Alla fine del mese verrò a trovarti. Ciao
Cosimo
SALVATORE COLAZZO
Da Pescara (lettera
datt.) 1 luglio 1988
Caro Antonio,
pensavo di trovare su questo numero di "Sudpuglia" il mio
saggio sul Doctor Faustus di Th. Mann. Puoi cortesemente informarti
quando il direttore intende farlo uscire? Se Aldo Bello non ti sembra
entusiasta del saggio fammelo sapere perché ho l'opportunità
di farlo pubblicare altrove.
Io, caro Antonio, ci tenevo che uscisse su "Sudpuglia" perché
è una rivista letta anche qui. Mi trovo nel paradosso di essere
praticamente tagliato fuori dalla cultura salentina perché
costantemente inserito nel dibattito nazionale. Essendo la salentina
una cultura molto provinciale, se non pubblichi su riviste locali,
ritiene di poterti totalmente ignorare. E questo per me è un
cruccio.
Ma è pur vero che quando comincia ad accorgersi che esisti
è talmente miope che non riesce ad esprimere alcun giudizio
di valore. Ed allora corri il pericolo di essere accostato a quelle
centinaia di scalzacani che imbrattano inutilmente carta che meriterebbe
di rimanere vergine.
Tempo addietro (sarà passato ormai qualche mese) leggevo su
"Quotidiano" una riflessione di Bonea sul ribollire di iniziative
editoriali nel Salento. Riviste per valore assai differente erano
messe sul medesimo piano.
Tutto bene, tutto OK. No, non condivido questo "populismo"
critico. E' la maniera per affossare le uniche iniziative meritevoli
di sopravvivere.
Hai mai assistito ai lunedì letterari di Manni al "Gatto
rosso" di Melpignano? Lì vi troverai condensato quello
che dico. Anche chi scrive un tema decente, purché salentino,
è uno scrittore (mi riferisco al lunedì che ha visto
protagonista la "scrittrice" Mancarella, gli altri li ho
disertati).
La salentinite è una gran brutta malattia. Di essa patiscono
molte istituzioni nostre. Il germe, non ti spiaccia, mi è parso
anche di scorgerlo - non lo faccio per stroncare il tuo entusiasmo
- nella neocostituita sezione locale del Sindacato Nazionale Scrittori.
Quanta inutile pretenziosità vi alberga. E poi partorirà
un topolino...
Comunque, aspettiamo e stiamo a vedere.
Ma, lasciamo da parte queste considerazioni, perché volevo
parlarti di quello che sto facendo adesso.
Comincia a concretizzarsi un mio progetto vecchio ormai di un anno.
Tu sai del mio entusiasmo per la videoscrittura. E' da un paio d'anni
che non scrivo una sola parola a penna.
Ho intenzione ora di produrre qualcosa che sia perfettamente adeguato
al mezzo.
Il computer è diventato una sorta di estensione della mia memoria,
perché nella sua "mente" si trova tutto ciò
che io in questi due anni ho scritto: articoli, saggi, interventi,
interviste, appunti, schede di lettura, lettere, libere divagazioni,
riflessioni autobiografiche... Quanto più si scrive tanto più
rischia di rimanere qualcosa sepolto nella memoria del computer: qualcosa
che tu hai scritto, ma hai dimenticato di avere scritto. Ogni volta
che mi accingo a comporre qualcosa di nuovo lo faccio rimettendo in
gioco quello che ho; qualcosa di quello che ho. E' così che
sono nati ad esempio i saggi che ora sto raccogliendo in volume sotto
il titolo de La musica negata (li pubblicherà Capone). Ogni
saggio è la rielaborazione del precedente. Contiene qualcosa
del precedente. Del computer mi piace soprattutto la funzione del
"taglia e incolla". Entri in un tuo precedente scritto,
o nello scritto di qualcun altro, prelevi la frase che ti interessa
e la incolli ad un'altra frase. Niente come il computer ti dà
il gusto feticistico, di cui diceva Barthes, di una scrittura "ritagliata".
Il discorso diventa un processo catalitico e l'ispirazione vecchio-tipo
se ne va a farsi benedire. Lo scrivere diventa un processo molto più
oggettivo. Ebbene, io ora voglio estendere la tecnica di scrittura
che ho sperimentato quest'anno con i saggi di cui ti dicevo. Voglio
mettere in gioco tutti i materiali che ho depositati nel mio computer.
Ho pensato ad una struttura che renda compatibili i differenti elementi
a disposizione: dalla frase che puoi estrarre dalla pagina di diario
alla frase che puoi invece estrarre dallo scritto critico. Sardi quindi
un qualcosa che finirà per unire la riflessione teorica con
l'esperienza esistenziale (si tratta comunque - chiarisco - di una
esperienza esistenziale già divenuta parola, cioè molto
mediata e carica di elementi oggettivanti).
Comunque, di questo ti parlerò più ampiamente quando
passerò alla realizzazione pratica del progetto, quando potrò
farti leggere qualche pagina del mio lavoro.
Un caro saluto, tuo affezionatissimo
Salvatore Colazzo
Da Cursi (lettera datt.) 7 luglio 1988
Caro Antonio,
rientrato qui, a Cursi, trovo il tuo breve messaggio a risposta della
lettera che ti inviai il 1 luglio scorso. Tra le altre cose mi chiedi
di parlarti un po' più diffusamente di questo lavoro che ho
in mente. Ti incuriosisce - mi dici - il rapido riferimento a Barthes
ed il mio bisogno di una scrittura "oggettiva". D'accordo,
cercherò di chiarirti quello che intendo fare. Partiamo da
Barthes. Non so se a torto o a ragione, ma a me Barthes piace tantissimo.
L'ho conosciuto leggendo la voce Ascolto da lui scritta assieme ad
Haves per
l'Enciclopedia Einaudi; poi La grana della voce, quindi il resto il
lavoro che ho in mente di scrivere vorrei che si configurasse come
una sorta di "omaggio a Barthes". Avrei anche pensato al
titolo: "Anamorfosi".
Omaggio a Barthes sotto numerosi aspetti. Innanzi tutto a Barthes
uomo, ovverosia all'immagine che di Barthes mediante i suoi scritti
e gli altrui che lo riguardano mi sono fatto. Se avessi avuto la ventura
di conoscerlo di persona credo che lo avrei amato. E poi al pensatore,
col quale sento numerose affinità: mi piace soprattutto il
modo in cui riesce a far slittare le immagini, i concetti, il senso
delle parole, quel suo sotterraneo ed in fondo ambiguo lavoro con
le frasi. Omaggiare Barthes è allora anche usare Barthes, impadronirsi
della sua lingua, lavorare le sue frasi, lavorare con le sue frasi
per dire sé (o l'"immaginario", nel senso in cui
Lacan ha usato questa parola, ossia quella condizione del soggetto,
per cui questi aderisce ad un'immagine, in un movimento di identificazione).
Ed ancora: usare le parole degli altri, parlare con la voce di altri,
oppure trattare le proprie frasi come se fossero di altri. Ed in tal
modo rendere l'idea di quanto il discorso che dice "io"
sia in effetti "montato".
La scrittura come omaggio. L'amico Pietro Antonaci - te lo farò
conoscere: una sensibilità inconsueta ed una bella intelligenza
- inviandomi alcune sue poesie, così me le porgeva: "La
loro unica ragione di essere è morta col tempo della loro composizione.
La loro forza interna è etica, ma la parola, che è la
loro forma, è il limite supremo di quella volontà etica.
Perciò essi riprendono il loro senso solo come omaggio. E'
l'omaggio la loro luce. Caro Salvatore, tienili tu soltanto, poiché
essi non possono nutrire indiscriminatamente. Non sono dei miei migliori
e ho intenzione di progredire in futuro". Così si pensa
quando si sente la scrittura come omaggio. Anamorfosi è il
titolo d'una pagina d'album di Salvatore Sciarrino apparsa qualche
tempo addietro sulla rivista "Piano Time". Gioco di illusione
ottica, l'anamorfosi è fondamentalmente una operazione di "mascheramento",
di "nascondimento". Ma anche di deformazione dei concetti,
nel senso in cui usa tale parola Barthes (cfr. pag. 271 de La grana
della voce, Einaudi, 1980). O per dirla col sottotitolo d'un meraviglioso
saggio di Bortolotto: "in specchio ed in enigma".
Quello che voglio che alla fine risulti chiaro è che io non
ho affatto intenzione di compiere una operazione provocatoria. Il
mio vuole essere un esercizio di scrittura in fondo innocente, e non
mi interessa se si configurerà come un prodotto smaccatamente
"non finito", se qualcuno lo considererò privo di
"stile". Chissà se troverò qualche critico
disposto a definire come "narrativo" il mio racconto.
Sai, Antonio, io, sin da quand'ero molto giovane, ero affascinato
- ancor più di oggi - dalla letteratura. Ho amato, ammirato,
apprezzato e letto tanti autori. Ho sempre desiderato scrivere un
romanzo, una novella, un racconto. Ma nonostante ciò questo
mio desiderio è rimasto inespresso. Sì ho scritto, ma
da "saggista". E - si sa - si è saggisti perché
si è cerebrali. La mia attitudine critica ha sempre prevalso
sulla dimensione fantastica, l'ha in qualche modo fatta svaporare
al suo nascere, ricompresa in delle cristallizzazioni concettuali.
E perciò ne ho sofferto.
Una volta ti feci leggere alcuni miei componimenti poetici e tu, Antonio,
dicesti: "troppo poco poetici; poche immagini; intellettualistici!".
Ricordo d'aver preso consapevolezza di questa mia incapacità
in "analisi": la mia analista ha cominciato a dirmi della
mia tendenza a permanere in un ambito "metalinguistico"
più che "linguistico", a in qualche modo rimproverarmi
di non offrirle mai una realtà inconscia, ma già delle
interpretazioni strutturate. In me la sensazione che questo fosse
un discorso senza senso, perché avevo l'impressione che questo
inconscio di cui lei parlava fosse consustanziale al mio dire e quindi
realmente inapprendibile. Sicché - ricordo - lentamente il
nostro rapporto terapeutico si trasformò in un intenso rapporto
intellettuale: dal lettino alla scrivania. E' molto strano - a pensarci
- il mio rapporto con la psicoanalisi. Ho maturato, nei suoi confronti,
una sorta di odio/amore. Nonostante tutto oggi io trovo avvincente
la lettura simbolica o parapsicoanalitica. Ma non so se permetterei
a qualcuno di dare di me una lettura psicoanalitica...
Anche Cosimo mi ha sempre rimproverato questo mio atteggiamento critico,
riflessivo. E lui che è un compositore, un musicista, che pensa
con i suoni, non ha mai tollerato questo linguaggio di secondo grado.
Mi ha accusato di parassitismo e di colonialismo, si è sempre
sentito "fottere" da questa mia attitudine e per questo
- non ridere - qualche volta siamo arrivati persino alle mani, abbiamo
espresso eclatantemente e manifestatamente questa differenza.
E dei perché ciò sia potuto succedere penso m'abbia
data qualche buona ragione ancora una volta Pietro Antonaci - quant'affetto
e quanta ammirazione nutro per lui! -, quando avendo letto un mio
lavoro (ce lo hai anche tu: si tratta del saggio pubblicato su "Eunomio")
m'ha scritto: "L'idea su cui poggia il tuo saggio mi sembra l'unica
che oggi possa avanzare legittimamente il diritto di validità
metodica intorno a una discussione ancora seria sull'arte. Un lavoro
critico serio si distingue in base al grado di pregnanza con cui un'idea
agisce su ogni elemento verbale dello scritto e sulla molteplicità
del materiale filologico. Ma è dal punto di vista della composizione
e della vita del compositore che le cose cambiano. In questo senso
è mia piena convinzione che ogni linguaggio subisca una logica
diversa dall'altro e che perciò, quindi, alla critica è
precluso in partenza l'accesso nell'opera. Nei suoi momenti migliori
la critica è un'opera d'arte a sé. Ma essa tende una
mano a una logica diversa dalla sua e s'incontra nella vita del critico.
Ma la vita è il punto in cui il senso di ogni logica si estingue.
La Musa della critica non è la stessa dell'opera. Il punto
di partenza di uno stato compositivo non si amalgama con il risultato
teorico di un'analisi di storia dei problemi. Tali risultati hanno
un valore principale solo entro la logica della critica. Ma entro
la logica dell'arte quelle categorie non decidono nulla laddove le
categorie della critica giungono a maturazione a partire dall'esistenza
di opere e di interpretazioni e dunque a partire da fatti storici
che si distendono nel tempo storico, le condizioni che hanno deciso
dell'opera non conoscono il tempo storico, ma sono fecondate solo
dal tempo individuale. I tempi di maturazione di un'idea possono essere
forzati, dall'artista, col concetto solo a prezzo di vanificare l'azione
artistica di quella maturazione su di lui. La stessa cosa cresce ma
su terreni diversi. E l'eco che attraversa i due ambiti è comune
nella misura in cui non parla un linguaggio.
Al contrario, l'estensione di categorie, maturate sul terreno dell'analisi
della storia dei problemi, al progetto compositivo, capovolge l'arte
nella mistica religiosa, nel rituale, in cui, nel nostro caso, il
silenzio dell'umano, posto alla base del progetto, non sarà
mai perso di vista nella sua forma invariata, poiché tale deve
essere la forma per avere fecondità filosofica.
La validità del tuo lavoro sta nel fatto che in esso un'idea
vitale non è mai perduta di vista e questo in un senso che
solo la pregnanza che si avverte alla lettura può rendere,
ma mi sembra di cogliere anche punti in cui la pregnanza corrode il
suo stesso linguaggio e sconfina verso un qualcosa che sta a cuore.
Un ideale più bello per un critico non c'è.
Ma quell'idea è critica in una maniera pericolosa per il compositore.
In quanto giustamente non lascia spazio a punti di fuga, e divieto
assoluto, la sua semplice trasposizione sul piano della composizione
sarebbe letale. La critica non può fornire una prassi per l'arte.
La stessa idea, nell'arte e nella critica, proviene da direzioni diverse
e si incontra nella loro dissoluzione. Il fraintendimento di prospettive
riguardo quell'idea trascinerebbe il compositore sotto una legge la
cui universalità e il rispetto sarebbero legittimi solo nell'ambito
dell'etico".
Io in fondo mi ritengo un "bricoleur": sì scrivo
perché mi piace, ma quel che mi piace della scrittura in fondo
è il riporto, il taglio/incollo, la citazione, il plagio. Per
me scrivere è stato sempre un leggere ed un riscrivere; anzi
un leggere per scrivere. Ed anche questo benedetto racconto di cui
stiamo parlando è in fondo un "bricolage", perché
in esso alla metafora, al segno che significa un altro segno, perché
in qualche modo e per qualche ragione gli somiglia, sostituendovisi,
è preferita la metonimia, accostamento di segni, dalla cui
contiguità, dal cui contagio, potrebbe persino dirsi, scaturisce
il senso. E' una sorta di catalisi, trattandosi di una operazione
di prolungamento - nel discorso, nel sintagma - d'un segno con un
altro segno. Il contatto crea l'affinità e genera insospettatamente
il significato. E così noi, guidati dall'intuito, che porta
a costruire insolite alchimie di parole, di frasi, di testi, ci disponiamo
ad imparare dalla nostra scrittura.
Propriamente scrivere è com-porre. Com-porre, cioè montare
le lessie, i commenti delle lessie, le disgressioni è, in qualche
misura, predisporsi al caso, farsi fecondare dal caso. Ma è
chiaro che si tratta di una felice occasione, molto voluta, molto
pensata: spiata in qualche modo.
Mi rendo sempre più conto che per me la scrittura ormai è
solo questo. Anche quando essa si presenta come autobiografica, anche
quando essa si carica dell'intenzione di manifestare qualche brandello
coscienziale. Anche allora si presenta ricca di citazioni e di riporti.
Ad esempio in Anamorfosi riporterà ampie citazioni di lettere
che avevo scritto per una ragazza di cui forse sono follemente innamorato,
lettere a loro volta piene al loro interno di rimandi, di citazioni
e di plagi, e che volevano comunque presentarsi come massimamente
sincere, scritte per decifrare i termini d'un rapporto che si presentava
realmente difficile. Lettere massimamente riflessive e serie; ma al
loro fondo scrittura, anzi... ricomprese in Anamorfosi troveranno
la loro giusta dimensione...
Corto circuito d'una scrittura che si pensa avulsa dalla vita, ma
è ad essa connessa tanto da svolgervi una funzione terapeutica,
o paradosso d'una vita pensata in funzione della scrittura?
Vedi qui bisognerebbe invocare la psicoanalisi quale chiave di lettura
d'una contraddizione così
problematica.
Non mi sento di azzardare una risposta; è questo un "nodo"
d'un problema, ma io non ho gli strumenti per togliere questo nodo.
Il paradosso è che si tratta di lettere che la destinataria
ha ricevuto solo parzialmente, qualche brandello.
"Imbalsamiamo la nostra parola per renderla eterna"...
Qualcuno ha detto che "il nostro parlato è immediatamente
teatrale", nel senso che "è sempre tattico",
ma anche innocente, perché si muove secondo una tattica "percepibile
a chi sa ascoltare". C'è il corpo; ma sempre mascherato.
Quindi non ti meraviglierai se ora io, Antonio, ti dirà che
lo scrivere è forse un gratuito esercizio destinato ad esaurirsi
in sé e nella traccia che di sé lascia, alimentato da
un'improvvisa quanto insperata disponibilità di libido. Un
puro gioco di significanti, un messaggio per nessuno, che pertanto
diventa un messaggio per tutti (cioè per il lettore). Un discorrere
in superficie, che poi ha, paradossalmente, come riscontro l'arrivare
alla meta a pezzi... o a due a due (cioè a dire il proprio
coinvolgimento e/o quello altrui).
Non so se sia mai possibile che la scrittura - penso ai surrealisti
- possa qualificarsi come una sorta di macchina di non gestione delle
contraddizioni, un'espressione "non selettiva" d'un io alla
deriva. Io penso alla scrittura come ad un qualcosa di oggettivo che
decentra l'io in quanto in qualche modo lo scrive.
La scrittura scrive il soggetto. Essa, pur potendo essere in rapporto
col soggetto, sono convinto che non per questo è "vera".
In questo racconto così cerebrale che sarà Anamorfosi
cercherò - non so se vi riuscirò - di spiazzare per
quanto possibile il soggetto, di non permettergli una identificazione
definitiva... Non so se ciò coincida con un senso di liberazione
o se invece ingeneri un senso di angoscia profonda (di mancata adesione
alle cose). Beh, io penso che in questo gioco di spiazzamento il soggetto
trovi dei punti di attrito, si rapprende su qualcosa e tanto basta
perché il suo senso d'angoscia sia continuamente eluso... Il
soggetto non può essere un non-luogo; può al limite
essere ubiquo; ma in qualche luogo deve pur starci. Può porsi
delle domande, che debbono avere per lui un senso. Bando alle certezze,
ma anche bando alla morte, la cui coscienza tutti i simboli ed umani
sensi governa. Come pensare di non essere coinvolti in qualcosa?
Ecco allora il senso che ha l'elemento autobiografico, la descrizione
del coinvolgimento procurato all'io narrante da una donna.
Egli la conosce in una città piuttosto lontana da quella della
sua abituale residenza e questo dà sin da subito uno strano
tono al rapporto. Una città in cui si reca con una certa regolarità
per motivi connessi al suo lavoro e che ama particolarmente perché
gli sembra abbia una luce particolare e soprattutto un'aria acre,
che è goduria per le sue narici; ma anche perché lì
ha il tempo di fare delle lunghe passeggiate, con passo lento, fra
una folla frenetica ed anonima, a cui è nessuno, e non pensare
fino allo stupimento, fino a che i pensieri diventano sbrindellati
ed eterei vapori. L'essere lontani comporta che il loro rapporto si
consumi soprattutto per telefono, uno strumento stupendo per un lato,
ma che riducendo il corpo alla sola voce è capace di indurre,
a causa della sua astrattezza, una coazione a ripetere, alimentata
dalla insoddisfazione che la parola senza gesto, senza occhi, senza
bocca e senza mani causa. Col telefono si può al massimo dare
un indizio della propria esistenza, ma qualsiasi cosa si dice attraverso
esso sa così inutile... eppure l'usarlo può divenire
nevrotico bisogno...
Ma non si tratta di un rapporto normale perché e l'uno e l'altra
hanno deciso che esso non debba essere un qualcosa di normale. Essi
hanno bisogno di sentire aleggiare attorno a loro il silenzio, il
mistero, diventa una occasione per commisurarsi con l'alterità.
E quando decidono di voler rientrare nell'ordine normale dell'esistenza
scoprono che è divenuto impossibile: ormai sono condannati
ad essere sospesi nell'"irrealtà', e non cessano di meravigliarsi
che gli altri vivano conficcati nell'ordine normale dell'esistenza.
Ad un certo punto l'io narrante dirà rivolgendosi a lei: "A
me sembra un grande mistero come gli altri possano esistere; eppure
essi esistono e sono reali e noi ci nutriamo di nulla, siamo nulla.
Per uno che cessi di esistere -e cessa di esistere dal momento in
cui ha deciso di amarti - non può non meravigliarsi di come
gli altri stiano con i piedi per terra su questo mondo. Stando con
te la realtà per me è diventata sempre più rarefatta
e più non ho trovato risposta alle mie domande, che si sono
moltiplicate. E tu mi hai insegnato che l'irrealtà nostro patrimonio
era pari pari la nostra realtà; con te sono diventato capace
di pensare la realtà pervasa di silenzio; ed il silenzio non
è un'altra cosa dal suono, ma è il suono stesso, la
condizione della sua pensabilità. Per non avvertire questo
silenzio che è il suono bisognerebbe avere la possibilità
di percepire un suono e non nel suono il silenzio. Bisognerebbe non
aver mai cominciato questo rapporto irreale che è il nostro
rapporto".
Ecco, vedi?, Anamorfosi è iniziata: l'inizio ce lo hai sotto
gli occhi; coincide esattamente con questa lettera. Spera che non
per questo ti sentirai "ingannato", caro Antonio. Accetta
ch'io ti saluti caramente e t'abbracci.
Salvatore
LUCIO CONVERSANO
Da Strevi (lettera
ms.) 5 ottobre 1986
Carissimo Antonio,
sono felice, distrutto e affamato. Sono al verde totale, stanco e
felice. Mi sembra di aver toccato il fondo, invece il fondo è
sempre più fondo. Sono stanco distrutto e affamato. Sono a
Strevi. Sono in una mansarda senza illuminazione. Sono quasi al buio
ma posso scriverti alla luce di queste candele. Adesso abito a Strevi.
A Strevi hanno quasi tutti un brutto carattere.
Strevi si trova a cinque minuti di treno da Acqui Terme e a mezz'ora
abbondante da Alessandria. Stanotte ho dormito poco. A Strevi sono
quasi tutti intrattabili, ma c'è della gente gentile. La mia
Mansarda mi è costata tutto quello che avevo addosso, e per
vedere "verde" dovrò aspettare la fine di ottobre.
In questa mansarda completamente vuota o quasi, c'è un lavandino
con l'acqua corr. ed una brandina senza materasso. Stanotte ho dormito
sulla brandina senza materasso chiesta come per elemosina ad una vecchia
Signora. Non ho soldi per comprare il materasso. Non ho soldi neanche
per mangiare. Mangio frise e insalata (non ho toccato ancora il fondo).
Domani comprerò il materasso facendo un prestito. Dopodomani
prenderò un po' di soldi, quello che mi è rimasto della
banca di Valenza (spero siano una Sessanta Settantamila) (le ho già
prese ieri, erano 40.000), così potrò durare fino al
15 o 20 ott.
Riusciresti a farmi pervenire entro il 15 o 20 max. ottobre 1. 100.000?
Caro Antonio, fai di tutto. Per forza di cose sono costretto a chiedere
dei soldi anche ai miei. SONO TUTTI IN BOLLETTA.
Ti scrivo il mio indirizzo, ma tu i soldi spediscili, mandali alla
posta, non so il procedimento, vedi tu. Io, anche se con qualche difficoltà,
sto lavorando sui disegni di Laporta.
Va be' ora ti saluto, tuo
Lucio Conversano
P.S. Appena riuscirò a metterci dentro un cucinino e un altro
letto potrai anche venire a trovarmi. In fondo Strevi è un
paesino tranquillo e molto bello e la mia mansarda non è niente
male, ed è abbastanza grande e luminosa. Appena la renderò
accogliente potresti venire a lavorare con la massima tranquillità.
Se vuoi vieni entro questo mese, ma prima aspetta la mia telefonata
di conferma. Ancora ciao.
Da Strevi (lettera ms.) (19 febbraio 1987)
Caro Betisso;
mai, sul serio, mai incasinato come in questo periodo. Solo oggi 19
febbraio 87 ricevo il tanto atteso "CORRIERE INTERN." e
la trepidazione dell'attesa ha reso più orgasmante questo momento
felice. Già il 10 febbraio ti scrivevo una lunga lettera in
risposta alla tua datata 2-2-'87 che non riuscendo a spedire per ovvii
motivi dovuti tra l'altro a sana pigrizia, ho ancora qui davanti in
tutto il suo squallore anacronistico. In altre parole dicevo di avere
un gran da fare con la mia scuola maledetta e con i miei cari bambocci
che sembrano saltati fuori da libri come "Gianburrasca"
e simili.
Ma parliamo di noi, di te, della Betissa? Avrei voluto già
d'ora spedirti qualche (fantastico) disegno, ma NIENTE BETISSE: sono
studi di maschere, ma a te non possono interessare per il momento.
Ora devo assolutamente cercare di arrivare in tempo alla 1° prova
dei concorsi (a Bari il primo, a Bologna il secondo). Arriverò
ad ambedue senza fiato, da emerito sprovveduto e senza sufficiente
preparazione come al solito, e poi piangerò a dirotto per non
essere riuscito a superarne nemmeno uno.
La vita è quello che trovi sotto la neve, ed io ho trovato:
una carcassa di topo, una carcassa di uccello, un germoglio, torsoli
di mele e bucce d'arance, altri germogli bianchicci, 1/2 pacchetto
di sigarette fradice...
La neve sa, è come gli squali, un niente e si propaga, un altro
niente e scompare. Oggi ancora una nevicata. Fresca, soffice, bianca
ha ricoperto ogni cosa. In questo periodo mi va il Grignolino.
A presto
Lucio Conversano
Da Strevi (lettera ms.) 27 marzo 1987
Carissimo Verri,
oggi sono andato ad Alessandria per fotografare decentemente i miei
disegni fatti per il tuo capolavoro letterario. Mi è capitato
di farli vedere a tre quattro persone (un collega, un gallerista,
un paio di curiosi perfetti sconosciuti) e sono rimasti letteralmente
allucinati con sguardo ebete e senza parole. Mi sono reso conto anch'io
che sono scioccanti, e spero che lo siano in senso buono anche per
te, per il tuo editore (che spero non sia bigotto) e per il tuo tipografo
(non sarà, spero, come Scorrano Junior, dopo tutto questo sperare
da parte mia, aggiungo che i disegni aumentano di numero, e che già
comincio a scartare i primi che ho fatto, che ritengo troppo descrittivi.
Oggi, stasera, ne ho fatto uno dopo cena in una trattoria di Cassine,
ed un altro in una desertissima stazioncina, aspettando l'ultimo treno
per Strevi. L'ultimo è sempre quello che mi piace di più.
Ma i disegni parleranno.
Dovranno essere stampati in offset, perfettamente, non so se sopporteranno
la riduzione di dimensioni. Sia chiaro, se c'è qualche problema
tecnico o pratico, ho già pronti quattro o cinque disegni,
molto facili da stampare, e molto poetici, privi però della
DRAMMATICITA' della quale ritengo siano carichi questi che ti spedisco.
Mi raccomando di non rovinarmi gli originali, anche perché
non li ho fotocopiati tutti, inoltre quelli fotocopiati non rendono
molto. Voglio risposta immediata, ma ti chiamerò al telefono,
e poi naturalmente mi farò rimborsare da te (che potresti anche
degnarti di mandarmi qualche bigliettone). Al più presto riprenderò
a lavorare l'acrilico su tavola. Per ora ti saluto. A presto tuo
Lucio Conversano
Da Strevi (lettera ms.) lunedì 11 maggio 1987
Carissimo Antonio,
oggi non sono molto in forma, sono nel caos più totale. Ho
scritto qualcosa, ma non riesco a non essere contraddittorio. Le idee
ce l'ho chiare, ma sono esse stesse già contrastanti (come
al solito, aggiungerei). Non ho più niente da dipingere, da
imbrattare. Mi si è rotta una specchiera (porta male) e nella
sua ossatura in panforte ci ho dipinto. Ho dipinto anche un piatto
(ne ho a sufficienza), e poi un paio di barattoli. Stavo per dipingere
il mio frigo, ma poi ho pensato che non posso permettermi di sprecare
il colore così, su un lavoro che non potrò portare alla
mostra. (Sono stanco, ma non abbastanza da prendere sonno, eppure
dovrò andare a dormire perché domani ho lezione e devo
essere in forma). Vedi un po' se quello che ti ho scritto ti può
essere utile e se riesci a decifrare. Carissimo, per ora ti lascio.
Aspetto tue notizie.
Lucio
P.S. C'è un appunto sul Manierismo del '500, poi ci sono dei
"pensieri", infine, se riesci, dai una lettura superficiale
al resto in 1° stesura, ma non tenerne conto. Ciao.
Da Strevi (lettera ms.) 21 settembre 1987
Carissimo Antonio,
oggi ho ricevuto la tua lettera con molto piacere. Navigo in cattive
acque, tra decisioni che sento decisive riguardo il mio lavoro nella
scuola e la mia permanenza qui, in provincia di Alessandria. Decisamente
sono sfortunato! Non mi riconfermano per quest'anno per una serie
di condizioni a me sfavorevoli. Proverò nella scuola privata,
ma è un ripiego, tanto per temporeggiare. Ho paura di trovarmi
nuovamente nella condizione di disoccupato dopo aver investito due
anni della mia vita (al sacrificio) tutto dedicato alla scuola. Ancora
una volta mi sento uno sfruttato e un idiota ad aver fatto il mio
lavoro di insegnante con tanta dedizione e spreco di energie. Ma,
ritornando a noi, ti dico che di stelle ne ho create; con una bacchetta
pesante come una clava e per niente magica, sto riempiendo un firmamento
di stelle quadrate, bipropulsive, vortice, stelle mannare, superstelle,
ecc. Stelle che nascono da Vulcani, stelle legate ad un filo, stelle
dentate e pianeti e buchi neri... Ed ancora qualche vulcano... qualche
pesce volante ... !!! Questo fine settimana sono stato in montagna
(sabato e domenica). Ho fatto insieme ad amici una SCARPINATA dalle
7 alle 19 quasi senza soste, molto dure, su per i monti a 2.300/2.400
metri d'altezza fino al M, Mongio, molto vicino al M. Viso... Più
vicino che si può al cielo. Ora, lunedì, sono qui ad
Alessandria, a scriverti... forse che è difficile decidere,
sbagliare.
Per ora non tornerò a Lecce. Aspetto tue notizie. A presto.
Lucio Conversano
Da Strevi (lettera ms.) 27 gennaio 1988
Carissimo Verri,
qui a Strevi va tutto bene, come al solito la neve è già
caduta, ma quest'anno è bagnata e si è sciolta quasi
ovunque, oramai. Pensandoci bene, scrivere di neve all'una di notte
mi sembra un po' idiota, ma tutto mi sembra un po' idiota da un po'
di tempo a questa parte. Comunque questo di Strevi è uno stupido
inverno idiota e mite, almeno per il momento. Mi domando di quanto
sono cresciuto e di quanto mi sarebbe piaciuto restare piccolo idiota
ignorante e infantile, da tre anni a questa parte. Son cambiate molte
cose da tre anni a questa parte. A presto
Lucio Conversano
Da Strevi (lettera ms., a seguire all'altra lettera) 28 gennaio 1988
Carissimo,
già da un pezzo ho scritto a Nocera e ad Aldo Bello, ma solo
oggi ho spedito. Mi sono chiesto perché codeste lettere sono
rimaste così a lungo nel mio cassetto; e la verità è
che sentivo che scottavano un po'. Troppo determinanti per il mio
carattere fondamentalmente indeciso. Questo lo scrivo a te in tono
confidenziale perché so della tua suscettibilità e della
tua discrezione. Certo, sono lettere che parlano anche di te, brevi,
chiare, determinanti. In fondo sono uno mite con quel po' di arroganza
che prende la mano a chi crede che scrivere serva a qualcosa. Tutti
gli scrittori sono arroganti, ed anche gli artisti.
Conto al più presto di recuperare quei disegni che ti ho dato
in visione. Se vuoi puoi fartene fotocopie di tutto il pacchetto.
Mi serviranno al più presto, prima di Pasqua per una esposizione
che forse mi organizzeranno amici (conosciuti da poco) della Toscana.
Con il tuo benvolere ti riferirò particolari e disposizioni
a proposito.
Conto di andare a Roma un fine settimana di questi a vedere tra l'altro
qualche mostra d'arte. Puoi mandarmi l'indirizzo e telef. di quel
tuo amico? (No smarrito, me tapino). Vorrei mettermi in contatto con
lui e sapere se può ospitarmi.
I miei alunni sono vivaci ma la scuola lascia poco spazio alla sperimentazione.
La scuola di Aqui Terme diventa sempre più noiosa e burocratica
con l'aumento degli iscritti e il ricambio del personale.
Sono a fondo pagina, non aggiungo altro. Mandami TUTTE LE FOTO.
(Pagherò).
A presto vederci. Tuo
Lucio Conversano
Da Strevi (lettera ms., bianco su carta nera con sulla sinistra, in
alto, disegnate dodici stelle particolarissime) dodici febbraio 1988
Carissimo Verri,
le mie giornate sono sempre molto piene. Piene d'attesa. Ma io sono
uno che ha imparato ad aspettare anche se certe volte dimentico il
motivo e l'oggetto delle mie attese. Sotto tua indicazione avevo scritto
(qualcosa) per Salvatore Toma; poi l'ho riletta, e riveduta, ho cambiato
i termini, ho consumato ore ed ore, ho cestinato cinquanta fogli,
ma ciò che volevo dire può chiudersi in una sola brevissima
frase: LA MEMORIA NON RIPORTA IN VITA.
Lucio Conversano
Da Strevi (lettera ms.) cinque marzo 1988
Carissimo Verri,
finalmente ho deciso di spedire queste lettere rimaste ferme nel mio
cassetto. Ti risparmio le mie scuse, scusanti, lamentele, ecc.; quello
che si fa, si fa; quello che si è, si è. Quando si cresce,
si cresce. Il mondo è proprio pazzo!!! Non sopporto la saggezza
ed io mi innamoro all'improvviso di una fragile, delicata apparenza
che ha il collo alla Modì... ma sono cresciuto troppo per credere
a quello che mi dà spinte emotive. L'unica saggezza sta nel
riuscire a vivere come un bambino, senza tempo, senza verità,
senza egoismo. Le lastre non te le spedisco, è inutile! Usa,
se vuoi, i miei disegni che hai in consegna tu. A Pasqua tornerò
a Lecce.
Ci vedremo, spero. A presto
Lucio Conversano
Da Strevi (lettera ms. allegata alla precedente) 27 febbraio 1988
Carissimo Verri,
sono troppi i mille chilometri che mi separano da Lecce. Sento di
non avere radici, contatti, ed intervenire nei tuoi progetti diventa
complicato e dispersivo. Mi sconvolge questa mia assenza dalla patria,
questo mio viaggio senza ritorno, ed appresso non mi sono portato
neanche lo spazzolino da denti; e sono completamente nudo nel mio
labirinto in cerca di formule matematiche, e di espedienti che mi
portino a percorrere una volta lo stesso corridoio; non ho con me
il filo di Arianna, e quest'anno non c'è neanche la neve, per
cui scorgere, identificare le mie stesse tracce sul percorso già
percorso mi sembra quasi impossibile.
Il sogno, le stelle, i vortici, le altezze, le torri babeliche stanno
abbandonando il quadro della mia esistenza inghiottite dalla nebbia
sempre più fitta... tra le urla dell'uomo falco che per un
attimo si è creduto davvero il Grande Costruttore. Ora sento
di dover descrivere punto per punto i corridoi del mio labirinto e
non posso fermarmi a sognare, né concedermi di aver paura.
A presto
Lucio Conversano
Da Strevi (lettera ms., allegata, con disegni di occhi e labirinti
come nelle due precedenti) s.d.
Carissimo Verri,
ho preparato due lastre per incisioni in puntasecca e conto di spedirtele
ugualmente, anche se sono un po' in ritardo. Se puoi e se ti interessa,
tu le potrai portare dall'INCISORE (Urso Leo per esempio) e discuti,
chiarisci sulla possibilità quantitativa e qualitativa ed anche
di quella economica perché io non posso addossarmi la spesa
di questa operazione. Se vuoi puoi abbandonare questa idea dell'incisione
e per esempio puoi fotocopiare qualche mio disegno tra quelli che
tu hai in consegna (evita quelli già pubblicati e in ogni caso
non usarne più di 5. Scegli tu quali). Sarei contento e grato
se riuscirai a farci entrare anche CONVERSANO, nella tua raccolta
volume in ricordo di Toma. Sono tornato ieri da Roma. Ho incontrato
F. Latino, è stato gentilissimo come mi aspettavo. Ricordati
di salutarmi Licia. A presto
Lucio Conversano
Da Bologna (cartolina ms.) 5 aprile 1988
Carissimo Verri,
Bologna mi è cara e tra l'altro mi ricorda Roberto ....
(Lucio Conversano)
[Conversano, uno dei più assidui in Pensionante (ma prima in
Caffè Greco). Compagno anche di povertà ed entusiasmo
nelle due edizioni "al banco", al Circolo Cittadino di Lecce.
Possiamo andare avanti e citare: "Scritture", nella libreria
Rinascita, Lecce (1- 15 marzo 1983); "Ventifogli. La sposa ubriaca"
nei quaderni del Centro (settembre 1984); "50 disegni" alla
Biblioteca Provinciale di Lecce nel dicembre 1985, ecc. ecc.].
MARIA CORTI
Da Milano (lettera ms., carta intestata: università degli Studi
- Pavia) 19.5.1983
Gentilissimo Antonio
Verri,
la ringrazio di avermi inviato due numeri del "Pensionante de'
Saraceni": non sapevo dell'idea peregrina di dare una laurea
honoris causa a Carmelo Bene. L'inconscio, o il conscio, degli accademici
tende a dare molta importanza ai titoli culturali. E' una impagabile
ingenuità della categoria! Ho letto con interesse il giornale,
e mi congratulo con lei; unico neo è un eccedere nel rappresentare
realtà e problemi della provincia. Attenzione al pericolo di
diventare provinciali! Perché non aprite di più alla
cultura tout-court, venga da Torino, dall'URSS o dall'USA? Perdoni
il mio desiderio di vedervi perfetti. Cordialità e buon lavoro
Maria Corti
Da Pellio Intelvi (lettera ms., carta intestata come la precedente)
5.9.1983
Caro Verri,
mi spiace non poterla accontentare, ma purtroppo per troppi impegni
non ho mai preso parte alla vita del Sindacato Scrittori.
So che è colpa mia, pigrizia mia e tutto quello che vuole,
ma non sono in grado di esprimere giudizi su un'istituzione che non
conosco - se non di nome.
Cordiali saluti
Maria Corti
P.S. Posso solo dire di essere grata al S.N.S. per gli aiuti che mi
ha dato in un viaggio nei paesi orientali.
Da Pavia (cartolina ms., corta intestata come la precedente) 19.2.1988
Gentilissimo Antonio
Verri,
sono appena tornata da un giro di conferenze all'estero e sono in
partenza per Lecce. Ho letto il suo scritto del 1° febbraio con
la richiesta di un intervento a giro di posta su Toma.
La cosa mi è stata, come vede, impossibile. E poi era contro
il mio senso della cultura: per un vero poeta come Toma non si fa
un intervento a giro di posta. Prima o dopo me ne occuperò,
ma con l'agio intellettuale necessario. Molti cordiali saluti
Maria Corti
[Certo eravamo molto fieri del nostro lavoro quando la Corti, venendo
a Lecce nell'ottantadue-ottantatré, chiese al Bar Alvino dove
poteva trovare i poeti di Caffè Greco. Le risposero piuttosto
seccamente. A Lecce non c'erano poeti, men che meno di Caffè
Greco!]
ANTONINO CREMONA
Da Agrigento (lettera ms.) 16 marzo 1982
Caro Antonio Verri,
ho ricevuto ieri, insieme, il numero di febbraio (che dall'editoriale
sembra essere il primo) e quello di marzo di "Pensionante de'
Saraceni". Non conosco "Caffè Greco", non conosco
"Poesia e Letteratura"; e me ne rammarico. Sono grato dell'invio.
Non mi piace la scontentezza, che pervade il sottofondo del numero
di febbraio. Mi piace la stampa artigianale e il formato. Preferisco
la grafica del secondo numero, il nuovo disegno della testata. Preferirei
una maggiore casualità nell'immissione dei testi (un giornale
dei poeti potrebbe essere quotidiano; qualcuno deve già averlo
detto, forse - però - con ironia).
In definitiva - ed ecco perché ne sono grato - mi piace l'iniziativa,
viva, libera, persino estrosa. Mi piace questo scrutarsi, e scrutare
intorno; talvolta con malizia amabile, mi sembra. Caspita, "bisogna
esserci"!
Poiché volete cucirvi a realtà geografiche non delimitate,
metto qui un testo che - se mi si permette la spontanea autoironia
- sardi una qualche rarità / difficilmente potrò collocarlo
nel sistema dei miei libri futuri ed eventuali. Un testo, inedito,
di mesi addietro che mi serve - adesso - per dire grazie ai saraceni.
Ora, questa faccenda saraceno mi tocca un poco: perché sono
di quaggiù, a livello di costa africana. E a Lecce parlate
un siciliano antico. Tanti auguri per tutto. Cordialmente
Antonino Cremona
Da Agrigento (lettera ms.) 24 agosto 1982
Caro Antonio Verri,
ecco un testo inedito. Doveva andare - come giustificazione - nell'antologia
"erotica" della Newton Compton, ma poi non vi è stata
messa "giustificazione" d'alcuno: solo l'introduzione di
Carlo Villa.
Tanti auguri, sempre, e cordiali saluti.
Antonino Cremona
Enzo Panareo e Rina Durante rimangono estranei al Pensionante de'
Saraceni?
Da Agrigento (lettera ms.) 11 maggio 1983
Caro Antonio,
mi piace il piglio dell'ultimo numero, che non diviene cipiglio: sempre
meglio cultura e società, realtà locale, il meridionalissimo
sud. Molto "bello"; chi sa non mi suggerisca qualcosa, da
mandarti.
Per ora eccoti un'impudica prima stesura di poesiole che, poi emendate,
sono apparse ne L'odore della poesia. Chi sa quali vanno peggio.
Vorreste delle recensioni (saggi in due cartelle, tre al massimo)?
In bocca al lupo. Ma fatevi il conto corrente postale. Tanti saluti
Antonino
Da Agrigento (lettera ms.) 7 luglio 1983
Caro Antonio,
in confidenza: quanto mi era parso vivo il "morto" Nino
Palumbo, forse perché certamente mio amico (e io suo amico).
E quanto mi sembra penosetto il discorso col numero di protocollo
che giustamente - documentalmente - stampi nell'ultimo numero, proveniente
da quel numero di protocollo e non dal mio amico (e io suo amico)
Aldo De Jaco. Stimolante, sempre, anche quest'ultimo numero; nel quale
- vedo - cominci a pubblicare quelle mie prime stesure. Ti mando un
"piccolo diario", frazionabile, da mettere in coda alle
mie cose che hai. Cari saluti per tutti, a cominciare - salvognuno
- dai nostri "morti". Grazie
Antonio
Da Agrigento (lettera ms.) 21 luglio 1983
Caro Antonio,
del s.n.s., proprio, non vorrei scrivere. Vi è stata una storia
lunga e fastidiosa. Ho partecipato al rinnovamento del sindacato,
ho determinato la scissione della "destra", sono stato in
segreteria nazionale - con sacrifici durissimi anche di salute - non
so quanti anni, ho determinato quasi tutta la linea sindacale di allora.
In segreteria nazionale sono andato con l'impegno, da me proposto,
che alle prime elezioni sarei stato sostituito da un pugliese e così
via in rotazione delle regioni del sud. Venuto il momento, e rammentato
l'impegno (mi pare, assolutamente democratico e ugualitario) sono
stato - sì - sostituito da Rina ma come reprobo ecc.
Il mio intervento nel congresso di Bologna è stato addirittura
soppresso dagli atti. Sicché mi sono dimesso, pur fra molte
resistenze di Aldo De Jaco. In questi giorni egli è tornato
a premermi, specialmente il nuovo segretario regionale Lucio Zinna;
abbiamo raggiunto un compromesso: torno ad essere un semplice iscritto,
è assolutamente escluso che mi si dia un incarico quale possa
esserne il livello. In "questi giorni" significa: negli
ultimi mesi. In definitiva, non mi sono sentito di negare questo favore
a Lucio né alle appassionate pressioni di Aldo. Il veto ai
miei incarichi è stato posto (si capisce) da me.
Dunque, posso dirti di storie regionali e nazionali. Ma preferisco
non farlo, perché si potrebbe sospettare di un mio desiderio
di "tornare" (in ogni senso) "alla carica".
Anche se non si fa più viva da allora (chi sa perché),
Rina è sempre per me un'amica. Non ho fatto nulla che possa
ostacolarla, e anche dopo il suo ingresso nella segreteria nazionale
ha avuto da me prove di amicizia. Di colleganza. Disinteressate e,
spero, simpatiche. Nino Palumbo mi ha sempre dato -quando ha potuto,
e violando in modo stupendo la mia riservatezza - senza mai chiedermi
qualcosa. Nino Palumbo è un monumento di bronzo a tutte le
virtù intellettuali ed etiche. Come autore, ho dato al sindacato
un cupo silenzio: in tutto quel tempo ho scritto una poesiola ogni
anno e mezzo: non avevo tempo per fare di più. Più che
dire "ho dato" vorrei dire "ho avuto". Tu mi scusi,
vero, se non ti faccio l'articolo. Grazie anche di questo. Cari saluti
Antonino
Da Agrigento (lettera ms.) 22 settembre 1983
Caro Antonio,
l'idea poteva - doveva - venire ad ognuno. Chi sa non sia già
venuta, prima di questo luglio/settembre saraceno: se si prendono
disegni di un solo autore per spargerli in un numero di rivista, perché
non fare altrettanto (e voi lo avete fatto - variamente - con Raffaele
Nigro) spargendo testi di un solo poeta. L'effetto è molto
buono, anche perché la scelta è varia.
Territorio, si diceva una volta (e per molti aspetti, l'ho scritto,
non mi vanno molte delle implicazioni e molti degli sviluppi turistico-culturali
e razzistico-culturali del termine); ma, in definitiva, che deve fare
un gruppo di curatori di rivista: tradurre - per dire - Frenaud (sempre)
o esprimere la propria realtà. Dico per p. 3 e per l'articolo
di pag. 4. E se non la si esprime dove, allora, esprimerla, la rivista
è fatta proprio per questo: esprimerla.
Quasi un racconto il tuo testo, ma stupenda quell'inserzione vernacola
che poi si accresce e domina - e conclude - con andamento lirico;
ritengo lirico, ma nel senso del metro interiore, non per sminuire.
Vuole il caso - o l'Antonio - che a p. 2 si ritrovino insieme tre
ch'erano stati nel s.n.s. al vertice. Ognuno con il proprio umore
d'allora. Non dico di me, ché sempre parlo di una cosa parlando
d'altro. Ma il Toti, con la sua prevedibile imprevedibilità;
morfologica, sintattica, concettuale; a volte aconcettuale. Il suo
chiodo - qui ribadito, qui in questo numero - è, santamente,
rimettere tutto (sempre) in discussione; però con la tendenza
(sempre, e maledetta) non a verificare, ma a distruggere - pure quand'è
chiaro che distruggere non serve o guasta - pur sapendo di non possedere
alcuno strumento per costruire poi qualcosa. E con il vezzo di fare
paradigma di tutto una qualsiasi personale vicenda. Sicché
pure questo suo testo è un delirio, a volte piacevole. Cosa
vorrebbe - gli risponde bene De Jaco - che la sua tenzone con Guanda
si risolvesse con mezzi non legali, non giuridici, spettacolari? Sì;
Toti è uomo di spettacolo. Però - in casi del genere
- io spettacolo rimane fine a se stesso.
Ha ragione Toti nel dire che non si fa niente; e ha torto nel non
riconoscere che si può fare solo una cosa: pensare e discutere.
Ha ragione De Jaco nelle sue analisi. Ma non per la faccenda dei viaggi:
all'estero si aspettano gli autori più noti, gli altri li buttiamo.
Avvertenza: io, personalmente, odio viaggiare. Seconda avvertenza:
so tutto, ho vissuto tutto, ho provato tutto (ognuno si arroga la
paternità di ogni cosa), prima del '69, dopo il '69 ma sino
al congresso di Bologna e alla pubblicazione dei suoi atti. Nulla
so di dopo, nemmeno di un numero della rivista. Neppure dopo il mio
"rientro". Dei quattro punti negativi elencati da De Jaco,
contesto la veridicità dei primi tre: alcuni si comportavano
come lui riferisce, ma l'azione del sindacato si svolse in senso di
riforma; non di abbattimento né dell'ufficio della proprietà
letteraria e suoi premi, né della Siae e sue bollature, né
della cassa di previdenza. L'errore fuori numerazione - pure segnalato
da De Jaco, e di cui riconosco la mia ampia responsabilità
- è quello della trasformazione del s.n.s. in sindacato di
operatori culturali, perché così facevano in Svizzera
e in Germania e perché così premeva la situazione; avremmo
dovuto resistere alla spinta e non mischiare le competenze; però
gli impiegati territoriali erano ottimi organizzatori e noi - per
nostra natura e nostra scrittura - individualisti indifesi.
Questa continuo ad essere una rubata confessione; con la quale ti
mando ogni augurio e ogni caro saluto...
Antonino
VITTORINO CURCI
Da Noci (lettera
ms., carta intestato: Porta Nuova, rivista di poesia) 11.12.1984
Caro Verri,
ti mando le mie due pubblicazioni di poesia. Fammi sapere se ti interessano.
Ne approfitto per chiederti tutti i numeri disponibili della tua rivista
(puoi spedirmeli in contrassegno) di cui ho sentito parlare molto
e bene. Un cordiale saluto
Vittorino Curci
Da Noci (lettera datt., carta intestata: Bosco delle noci, rivista
di poesia) 9 aprile 1986
Caro Verri,
sto preparando un altro numero del Bosco su questo tema specifico:
"La Poesia in Puglia: Anni Ottanta e Sesta Generazione".
Nell'intervento critico di Enzo Panareo si fa riferimento alla tua
produzione poetica. Affinché il mio impegno editoriale ottenga
l'esito che spero - quello cioè di fornire le prime utili indicazioni
sulla poesia dei nostri anni - ti sarei sinceramente grato se tu potessi
mandarmi quanto prima tue notizie biobibliografiche ed eventuali pubblicazioni
disponibili. Posso contarci?
Un cordiale saluto
Vittorino Curci
P.S. A quando il prossimo numero del "Pensionante"? Potresti,
per caso, fornirmi l'indirizzo di Salvatore TOMA?
Da Noci (lettera ms.) 18 febbraio 1988
Carissimo Antonio,
sono appena tornato da un breve viaggio in Cina. Ho trovato la tua
lettera e ti confermo subito che ci tengo anch'io - eccome - al povero
Toma. Stravagante, geniale, era un autentico poeta come da queste
parti si incontrano raramente. Fare qualcosa per lui, più che
giusto, è un dovere. Ti mando allora una poesia. Mi sembra
il modo migliore per ricordarlo.
Spero di non essere in ritardo! Ti abbraccio
Vittorino
GIANNI CUSTODERO
Da Bari (lettera
ms.) 2.3.1982
Carissimo Verri,
complimenti, prima di tutto, per il "Pensionante de' Saraceni":
è sicuramente un atto di coraggio, come lo sono tutte le iniziative,
qui, che rompono le vecchie logiche terriero-mercantil-utilitaristiche.
Ti aspetti, naturalmente, accanto alle parole di incoraggiamento,
che lasciano il tempo che trovano, qualcosa di più concreto.
Purtroppo, il settore stampa della Regione, che io dirigo, è
tutt'altra cosa rispetto all'Assessorato alla cultura: la mia allergia...
ai beni materiali funziona anche nel versante dell'impegno mio professionale.
In effetti, per i contributi ex legge 76/79 si fa un discorso di piano
etc. etc. etc. Vedrò di parlarne con l'assessore Troccoli e
con il collega Pani...
Piuttosto (e in questo tenterei di esserti utile) perché non
fai una domanda al Presidente della Regione, mandandola in busta a
me, per chiedere un contributo per qualche manifestazione culturale?
O anche per proporre l'acquisto di qualche quaderno. E' un'idea. Comunque,
non ti perdere d'animo. Con o senza contributi, le scelte di coraggio,
come la fede, possono muovere le montagne. Un cordiale abbraccio dal
tuo
Gianni Custodero
Da Bari (lettera ms.) 14.3.1984
Carissimo Antonio,
rispondo subito alla tua di due giorni fa. Ti allego copia della legge
che ti interessa e che, all'art. 11, disciplina il piano per gli interventi
culturali. Per ogni altro chiarimento puoi rivolgerti all'Assessorato
alla cultura (via Venezia - Bari). Sarebbe, però, più
opportuno che alla prossima tua venuta a Bari, facessi un salto di
persona lì, chiedendo della signora Pesola: non è lei
che si occupa direttamente di queste cose, ma potrebbe indirizzarti
al funzionario giusto per avviare la pratica.
L'Assessorato alla cultura è un palazzone che fa da cerniera
tra il mare e Bari vecchia: puoi chiedere della "muraglia"
per raggiungerlo. Allo stesso assessorato puoi proporre pure le edizioni
del "Pensionante" per l'acquisto di un po' di copie. Noi,
come Settore stampa, siamo ad un altro capo del mondo. Se, comunque,
ti serve qualche telefonata di sollecitazione, inutile dire che sono
a tua disposizione.
Complimenti naturalmente, per il discorso che vai portando avanti.
Fatti vedere/sentire!
Con un cordiale in bocca al lupo ed un abbraccio, credimi
tuo Gianni
ROLANDO D'ALONZO
Da Chieti (lettera
ms.) 6.41982
Caro Antonio,
ho ricevuto il "Pensionante" di marzo e voglio esprimerti
le mie congratulazioni per la qualità di questo foglio di poesia
e letteratura. Molto buono il contenuto, gradevolissime l'impaginazione
e la grafica.
Penso che nel Sud una rivista di questo genere possa fissare dei punti
fermi nell'ambito della letteratura contemporanea e nelle intrecciate
querelles che sorgono ad ogni stagione sulla questione poesia.
La problematica che vi si tratteggia è ben centrata anche se,
ovviamente, dovrò essere adesso snocciolata organicamente tramite
ulteriori interventi e testimonianze.
Collaborerò molto volentieri con te e, per dimostrarti concretamente
questa volontà, ti invio delle poesie inedite mie e di Pina
Allegrini che potrai adoperare come meglio credi. Ti dico anche che
il nostro gruppo sta per riorganizzare i "Quaderni della Malora"
che usciranno tra poco in edizioni semestrali (il primo nuovo numero
conterrà, tra l'altro, inediti di poeti americani e poeti spagnoli
con testo a fronte). Perciò formulo anche a te l'invito alla
collaborazione: se vorrai mandarmi tuoi scritti sarò molto
contento di presentarli al comitato di redazione per proporne la pubblicazione
(data l'impostazione passata, e la linea scelta oggi dal comitato,
la rivista impiegherà poco, pochissimo spazio per le recensioni
e la critica, mentre darà molto risalto ai testi originali
di poesia e teatro).
Dunque attendo anch'io tue nuove. Ti saluto caramente augurandoti
buon lavoro e ancora ottimi
consensi.
Ciao Rolando
Da Chieti (lettera ms.) s.d.
Caro Antonio,
eccoti alcune pagine di "inediti" che, spero, ti piaceranno:
sono la continuazione del poema "Fancy Hand" (di cui alcuni
brani usciranno forse nel mese di giugno su "Lettera");
gli ultimi numeri del "Pensionante" mi sono apparsi molto
consistenti e rigorosi: hai portato ancora a livelli superiori lo
stile e il valore della rivista. Non mi sono fatto più vivo
perché sono stato coinvolto in una serie di problemi, tra i
quali due rappresentazioni teatrali (la compagnia è professionista,
quindi permessi, burocrazie varie, piazze, impegni con gli enti che
hanno comprato gli spettacoli, impegni con gli attori, viaggi a Roma,
etc.).
Forse quest'estate porteremo anche in Puglia uno studio su le "Coefore"
di Eschilo, nella traduzione di Pina Allegrini e per la mia regia.
Per quanto riguarda "i quaderni" abbiamo ancora soprasseduto
a causa di problemi logistici, ma penso che durante l'estate verrà
fuori almeno un fascicolo.
Ti auguro buon lavoro e spero di risentirti o di incontrarti presto
Ciao
Rolando
SERGIO D'AMARO
Da S. Marco in
Larnis (cartolina ill. ms.) 1983
Carissimo Tonio,
ho prelevato dalle mani di Raffaele il tuo graditissimo malloppo saraceno.
Ricevo oggi, inoltre, l'ultimo "tuo" (leggo) "Pensionante".
Ti ringrazio moltissimo di tutto. Resto, comunque, nel fascettario?
Volevo pregarti di una cosa. Ho chiesto a Stamerra di collaborare
a "Quotidiano di Lecce", inviando alcuni pezzi. Puoi (se
puoi) sollecitare il nostro Direttore a dare una risposta e... giustificativi?
Aspetto e spero. A te i migliori auguri
Sergio
Da S. Marco in Lamis (lettera datt.) 24.9.1984
Carissimo Antonio,
accolgo con gioia la notizia sulla nuova vita del "Pensionante",
al quale intendo collaborare con
continuità grazie alla tua gentilezza.
Per cui, ti spedisco senz'altro alcuni testi. Quello di riflessione
riguarda due volumi in certo modo complementari, non foss'altro che
per ragioni geografiche: il Parnaso pugliese di Dell'Aquila, uscito
l'anno scorso, e un Panorama sulla Cultura letteraria contemporanea
in Capitanata di De Matteis. Come vedi, è piuttosto lunghetto,
ma gli spiriti polemici che lo attraversano possono fare forse da
antidoto. Se impossibile, potrai tagliarlo in due puntate! Quanto
ai testi creativi (è una distinzione scolastica, naturalmente)
ti mando tre liriche che fanno parte di un progettato libretto di
poesia, da intitolarsi Il ponte di Heidelberg.
Ti ricordo che sei in possesso di altri miei pezzi, sia giornalistici
che poetici: i primi riguardano 1) il Codice turbato della poesia;
2) Note sull'arte d'avanguardia e 3) Appunti post-bellici sulla guerra.
I secondi sono: 1) Poema incombusto; 2) Versi dell'ultimo dell'anno;
3) In viaggio; 4) De speranza; 5) Per Pasolini (già apparso);
6) L'esperta solitudine; 7) Le strade; 8) Poema 3350.
Ti ringrazio moltissimo per i volumi così sollecitamente inviati.
Su quello di Augieri dovrò parlare al più presto! Mi
interessano subito anche quelli sulla cultura grica.
Ti lascio con i migliori auguri per te e per il tuo lavoro
culturale
Sergio D'Amaro
Da S. Marco in Lamis (lettera ms.) 16.XII. 1984
Carissimo Antonio,
mi sembra maturo un altro invio di contributi per il tuo "Pensionante",
in modo da non lasciare solo Dell'Aquila col suo Parnaso. Il libro
di Rossano che recensisco è di qualche anno fa, ma credo possa
andare come pretesto di riflessione sul teatro meridionale. Nigro
e Custodero li conosci bene. Prossimamente conto di mandarti qualcosa
su Cara, Angiuli, Accrocca e Bodini (dimmi se li gradisci!).
Riscontri nomi tutti meridionali perché sto cercando di arricchire
la sezione di una raccolta (non solo letteraria) sulla società
e la cultura meridionale che spero di pubblicare con Levante.
A presto, dunque, con rinnovati auguri di Natale!
Ciao Sergio
Da S. Marco in Lamis (lettera ms.) 7.3.1985
Carissimo Antonio,
avrei voluto soddisfare la tua richiesta sul "senso" da
dare garganicamente alla "letteratura", ma come fare fra
tabelle di marcia e lavoro scolastico? Perdonami e sappi accettare
l'annunciata nota su Levi che ti mando, perché possa essere
pubblicabile tempestivamente. Purtroppo non incontro spesso il nostro
Ricci e quindi non ho l'atteso numero della tua rivista. Ti ha parlato
Ricci del mio prossimo impegno con le opere della moglie Maria? Dovrei
farne una monografia. La mia fretta attuale, intanto, è data
dai tempi che voglio accelerare per la pubblicazione della raccolta
pubblicistica. Salutami tutti gli amici comuni, anche fuori del SNS
(che non frequento anche per assenza di utili comunicazioni epistolari).
A presto
Sergio
Da S. Marco in Lamis (lettera datt.) 19.5.1985
Caro Antonio,
ho avuto finalmente il "Pensionante"! E' una gran bella
rivista, la migliore attualmente in Puglia in campo letterario. Congratulazioni!
Incoraggiato ti mando qualche altro fresco contributo (appartengono
alla raccolta di articoli e saggi
che spero di stampare tra breve dalla barese levante). Il mio prossimo
impegno è il lavoro su levi, che dovrebbe uscire negli "omaggi"
di Lacaita. Naturalmente non ti chiedo di pubblicare tutto, ma puoi
scegliere a tuo piacimento nel materiale finora in tuo possesso. Non
farmi mancare il prossimo numero e ogni altra novità di cui
sono ghiotto.
A presto e con mille auguri.
Sergio
Da S. Marco in Lamis (lettera ms.) 27.8.1985
Carissimo Antonio,
ti mando un fascicoletto di ultime poesie scritte tra ozi e negozi
estivi. Continuano l'ideale epistolario di Heidelberg e rispondono
dunque ad una condizione psicologica che dura e si approfondisce da
almeno due anni. La finzione, tra l'altro, mi consente un linguaggio
finalmente più semplice e più pieno, al quale forse
invano ho teso precedentemente. Pensaci un po' e vedi se puoi ospitarne
anche parte in un prossimo numero del "Pensionante". Ho
ricevuto l'ultimo numero ed è molto appetibile.
Fammi sapere qualcosa dal continente salentino. Qui siamo su un'isola,
quasi alla deriva.
A rileggerti presto e con i più fraterni saluti.
Sergio D'Amaro
Da S. Marco in Lamis (lettera datt.) 26.2.1986
Carissimo Antonio,
ti mando altre prove di poesia, in assenza di prose. Sempre "II
ponte Heidelberg" e sempre dunque questo diario che mi accompagna
e mi ossessiona. Avrai capito che voglio pubblicare subito questi
versi perché il tempo che passa...passa troppo in fretta. Scegli
tu, in attesa del libretto che verrà pubblicato più
in là. Ora sono impegnato con le prime bozze della
raccolta di articoli e saggi, che dovrebbe uscire a giugno. Ho visto
che sull'ultimo "Pensionante" la Folliero, ha parlato di
Cara. Penso che il mio pezzo non sardi più proponibile, per
ovvie ragioni.
Ad maiora, con i saluti più fraterni
Sergio D'Amaro
Da S. Marco in Lamis (cartolina ill.) s.d.
Carissimo Antonio,
Friedrich continua con me il suo dialogo, non è ancora svanito.
Sono fiero di poter apparire sul vostro Corriere. Mandamene una o
più copie appena stampato e mandami anche tutto quello che
credi. Mi leggerai, forse presto, sulla Gazzetta del M. con la quale
ho avviato la collaborazione. Ora sto lavorando sull'emigrazione.
Abbiti i più fraterni saluti e auguri
Sergio
L'indirizzo di Motta è...
Da S. Marco in Lamis (lettera ms.) 5.6.1986
Caro Antonio,
mi dispiace sinceramente che lasci il "Pensionante". Dovrò
(e dovremo) avere un nuovo interlocutore e chissà quanto flessibile.
Spero comunque che resterai nei paraggi. Ti mando il saggio sui poeti
giovani della Daunia, che mi auguro non abbia difficoltà per
la sua lunghezza.
Aggiornami sulla tua (e vostra) produzione.
A presto con i più fraterni saluti.
Sergio
Da S. Marco in Lamis (lettera datt.) 31.8.1987
Caro Antonio,
ti ringrazio moltissimo per il tuo libretto nuovo di zecca, che vedo
intelligentemente appoggiato da una banca. In questi giorni ho ricevuto
da Giacomucci, dell'ed. Tracce di Pescara, la proposta di una antologia
sulla giovane poesia pugliese. Si sovrappone guardacaso alla ricerca,
più stretta, che sto facendo per preparare il pezzo per la
"Gazzetta". Ho bisogno di nomi e di indirizzi.
Purtroppo essi non sono pochi. lascio a te la pazienza di rintracciarli
a tuo libito e a tuo tempo: Augieri, Stefanelli, Pinto, Salvemini,
Amodio, Giaracuni, Vespucci, Pacella, Cometti, Rizzo, Vernaglione,
R. Miglietta, D'Amely, Di Vieste, D. Gatti, Conversano, Provenzano,
Vergallo, Sciacovelli. Aggiungerai, ovviamente, quelli che non ho
citato per ignoranza e che tu sai essere meritevoli di almeno uno
sguardo. Aspetto dunque e tanti auguri per il tuo nuovo libro
Sergio
ERCOLE UGO D'ANDREA
Da Galatone (biglietto ms.) 11.3.1982
Caro poeta,
ti accludo il biglietto a te intestato per mano di Gaetano Chiappini,
al quale ti dissi di spedire il foglio giallo. Gaetano m'incarica
di far ciò. Siccome non posso venire fin lì. Non ho
preso ancora da Milella il 2° foglio giallo: ma lo farò.
Sta' bene. Cordialissimi saluti a madre e moglie.
Ercole Ugo D'Andrea
P.S. Hai visto il Pierino? O è sempre contro tutti? Scherzo.
Ma Betocchi aspetta, ed è Betocchi!
(I "vezzi" del fiorentino di Galatone erano sulla bocca
di tutti. La sua indolenza ermetica era stata presa di mira da Toma
e non solo da Toma!)
CLAUDE DARBELLAY
Da la Chaux-de-Fonds
(lettera ms.) 12.12.1988
Caro Antonio,
grazie per la Betissa e Sudpuglia 3. La Betissa mi ha coinvolto. Non
è più un genere letterario. Hai inventato una vera "storia
composita", ciò è una specie di frontiera tra le
diverse forme, ciò che dò alla testa. Come quando si
beve del vino (buono), che poi il mondo gira, però all'interno
di te e tu diventi il prato ( ... ), pensi, che lo fa girare. C'è
un sorriso al lector che gli dice: tu non sei così eppure l'uomo
dei curli e la grassa signora ti assomigliano. Un po'. Troppo?
Il tuo testo sopra Edoardo De Candia fa vivere le sue tele attraverso
lo sguardo di quelli che lo considerano matto, dando così una
"topografia" dello sguardo. Perché c'è anche
il tuo, Carmelo Bene, ecc.
Ti mando un testo che ho fatto per un pittore. Con una fotocopia di
un dipinto in colore, la pittura ha preso il colore della scrittura.
Succede...
Se vuoi tradurre qualche testo da "En sortant n'oubliez pas d'éteindre",
d'accordo. Grazie mille. Così si saprò che fine farò
la poesia quando esce.
Aspetto il tuo romanzo. E notizie di te. Buon anno a te, poeta. Però,
attenzione. Le porte che non portano ad un cammino sono sempre aperte.
Ciao Antonio
Claude
ALDO DE JACO
Da Roma (lettera datt., carta intestata: Sindacato Nazionale Scrittori,
pubblicata su "Pensionante", foglio giallo, col titolo:
Caro direttore, caro segretario, maggio-giugno 1983) 6.6.1983
Caro direttore,
"de mortuis ... " con quel che segue. Ma questa lettera
non intende rispondere a un morto che accusa altri morti ("sono
scrittori e poeti e critici che presumono di essere persone vive ma
che invece sono larve") bensì chiederti con che stomaco
hai pubblicato lo sfogo di uno scrittore ahimè appena deceduto,
uno dei tanti sfoghi alle sue frustrazioni, che dalla morte avrebbero
dovuto ricavare il diritto a restare in un pietoso cassetto.
Nino Palumbo è stato uno dei dirigenti del nostro Sindacato
e il fatto che lo si possa elencare fra i pochi che hanno partecipato
da invitati al nostro ultimo congresso ti dirò in quale conto
lo avevamo. Ricambiati? Non direi. E questo anche per.. merito degli
omuncoli che gli riempivano le orecchie di insinuazioni contro terzi
ed il cuore di angoscia (e tutto ciò mentre dei "terzi"
si dicevano - gli omuncoli in questione - amici ed estimatori).
Alla lettera di Palumbo per altro sottende, sollecitata, una critica
a un convegno del Sindacato che, pur pieno di difetti, ha avuto però
il vantaggio - oltre quello di essere stato portato in porto (e questo
non è poco in una terra di fallimenti come la nostra) - di
aver segnato un momento positivo del ripensamento critico sulla cultura
meridionale. Qualche invito è rimasto per strada? Qualcuno
degli organizzatori si è alla fine defilato?
Tutti questi ed altri interrogativi sono certo proponibili mentre
non è proponibile l'atteggiamento autodenigratorio di chi,
come te, essendo uno degli uomini più rappresentativi del Sindacato
in Puglia, si diverte a utilizzare acriticamente gli sfoghi di un
morto.
Perché non utilizzi invece le assise democratiche del Sindacato?
E perché non esprimi in prima persona sul tuo giornale - motivatamente
- il tuo dissenso, se - come credo - c'è?
Quando facessi questo troveresti interlocutori sia a Roma che, credo,
a Bari ed a Lecce; fino a quando invece utilizzerai i morti per parlare
non si potrà che dirti di lasciarli alla loro pace e di avere
quel minimo di coraggio che corrisponde all'impegno di firmare le
proprie critiche.
Aldo De Jaco
N.B. - Conto sulla legge e sulla tua cortesia per veder pubblicata
questa lettera sul "Pensionante".
Da Roma (lettera datt., carta intestata come la precedente) 3.10.1983
Caro Verri,
ti ringrazio per le duecento copie del "Pensionante". Ti
passo un elenco di possibili indirizzi ai quali intendo mandarlo perché
tu faccia una verifica cancellando i nomi già compresi nel
tuo elenco, rimandandomelo poi subito in modo che io possa provvedere.
Cordialmente
Aldo De Jaco
N.B. Che cosa vuoi, con precisione, per quanto riguarda i rapporti
con l'estero?
Da Roma (lettera datt., carta intestata come la precedente) 18.10.1983
Caro Verri,
ho colto tutta la malinconia della tua lettera perché come
"operatore culturale" - e sia tu sia io tali siamo ho un
fiume di esperienze di chiusure, temporanee o meno, di riviste o di
iniziative. L'ultima è appunto la chiusura (temporanea spero)
di "Produzione e Cultura".
Spero comunque che tu riesca a far rivivere il "Pensionante"
o comunque a esercitare in qualche modo la tua vocazione (perché
quella di operatore culturale è appunto una vocazione).
Per quanto riguarda le vicende del Sindacato in Puglia l'ultima cosa
che so è che Rina Durante ha inviato una lettera a Gino Santoro
e per conoscenza a noi per delegarlo a fare una riunione ecc. Potresti
informarti da quella parte e si potrebbe così arrivare a questa
benedetta riunione. Anche Mancino si dice interessato alla cosa ma
ho l'impressione che stia attraversando un periodo in cui il "privato"
prevalica decisamente sul "sociale" e quindi c'è
poco da contare su di lui. In generale sono molto perplesso sulla
situazione pugliese e credo che ci vorrà molta buona volontà
e molta prudenza per riprendere le fila del Sindacato impedendo che
affoghi in una pozzanghera. E' tempo cioè che le persone più
serie e di buona volontà recuperino quel poco che è
rimasto in piedi e ristrutturino tutta la faccenda su nuove basi.
Ci vediamo per Natale, se non prima.
Cordialmente.
Aldo De Jaco
N.B. Ti prego di scrivermi quanto costerebbe nella tipografia che
tu utilizzi un foglio a 4 pagine formato "pensionante" per
2000 copie. Mi serve per vedere se è possibile far nascere
almeno un bollettino del S.N.S.
Da Roma (lettera ms.) 23 settembre 1984
Caro Antonio,
tornando a casa - stamane ti ho telefonato - ho trovato la tua lettera.
Rispondo dunque alla lettera e alle
questioni poste dalla telefonata.
1) mi congratulo per lo sviluppo della rivista. Sai bene, naturalmente,
che stai affrontando una prospettiva di grosso lavoro. Ti raccomando
la qualità, la "presenza" della tematica che affronti.
Non ti farò l'affronto (e siamo a tre) di continuare su questo
tasto. Per quanto mi riguarda ti farò con piacere da corrispondente
da Roma. Non dare troppo spago alla Folliero però o dovrai
scegliere tra noi due. Ne parleremo comunque col numero della rivista
in mano.
2) le copie di "Nica libre - anche tenendo conto della sordità
del PCI leccese - non devono restarti sullo stomaco. Organizziamo
per dicembre un dibattito a Lecce e a Maglie e le farai fuori. Invita
Bonea (io gli scriverò pregandolo di accettare) e programma
i dibattiti sui due viaggi: Cina e Nicaragua. Se sei d'accordo ti
farò mandare, al momento opportuno, qualche copia del libro
sulla Cina. Per Maglie tieni conto della buona volontà della
bibliotecaria.
3) Bene per il libro. Te lo porterò quando vengo e "tratteremo"
sul numero delle pagine e sul resto. Naturalmente tu comprendi che
io accetto la cosa per fiducia in te, malgrado il guaio passato con
il libro sulla Cina. E' del resto tuo interesse assicurarti che l'editore
abbia una distribuzione almeno regionale con dei collegamenti con
le grandi città e sappia prendere iniziative per sorreggere
i libri che stampa. Se così è, benissimo, buttiamoci
con lui.
Discuteremo al mio ritorno in Salento sul significato di "biografia
salentina" e quindi anche sulla sua composizione. Ho già
il sommario pronto. Si tratta di sette racconti (che vanno dal '57
al '77 e in tutto fanno 190 cartelle) + l'introduzione. Il resto è
in discussione e dipende dal numero di pagine cui si può arrivare.
Per quanto riguarda il contratto... vi darò quello firmato
da "Levante" dimezzando la mia percentuale.
4) Parlai subito con Accrocca della tua rivista. Mi ha risposto che
non si sentiva competente a scrivere le due cartelle, comunque ti
avrebbe scritto (una lettera). Gliene parlerò.
Cordialmente
Aldo
Da Roma (lettera ms.) s.d.
Caro Antonio,
accludo l'introduzione ai racconti. Spero che tutto proceda regolarmente
almeno su questo fronte, dato
che della storia a fumetti mi par difficile si faccia nulla. E la
rivista?
Se non esce in gennaio ci fai - ci facciamo - una magra figura Qui
la vita scorre, vortice nel nulla. A metà
febbraio ci vediamo a Bari se Maurogiovanni mantiene l'impegno che
ha preso con me l'altro giorno.
Saluti a tua moglie e a tua madre, mia interlocutrice telefonica.
Aldo
Da Roma (lettera datt., carta intestata: S.N.S.) 16.9.1985
Caro Antonio,
sono appena tornato dalla Bulgaria e ti scrivo per riprendere il discorso
sulla rivista e sul resto. Per quanto riguarda Repaci riceverai tra
qualche giorno un'intervista con la sua più vicina collaboratrice,
la Sobrino, intervista che spero sia buona. Altro non mi pare che
dovessi fare per il momento. Ho telefonato tutta la mattina a Refolo
ma non ci deve essere nessuno in casa. Digli che lunedì 23
settembre sarò ancora qui e potremo, se vuole, sentirci. Spero
di vederti alla prossima riunione del Consiglio Generale alla quale
ti invito fin da ora (ti saprò dire poi quando è) mettendo
in chiaro che le spese di viaggio sono a carico del Sindacato.
Cordialmente
Aldo
N.B. Ho controllato negli archivi la situazione per il pagamento delle
tue quote. Risulta che il 16.9.1983 io ho versato per tuo conto la
quota per il 1983; tu poi hai pagato regolarmente l'84 il 25 gennaio
tramite c/c postale. Resti debitore dell'85. Hai dato i soldi a me?
Se così è io mi sono completamente scordato e me li
sono spesi. Non hai che da confermarmelo ed io mi dissanguerò
della cifra corrispondente.
Da Roma (lettera ms.) s.d.
Caro Antonio,
e se mi diventi bibliotecario o non so che, che fine fa la rivista
e la collana nella quale esce il mio libro? Quasi quasi faccio il
tifo per il tuo insuccesso. Ma no! Se non per te, per tua moglie ti
auguro di vincere il concorso. Maledizione! Che fine fa un meridionale?
Partecipa a un concorso. E magari lo vince.
Comunque...Ti mando quanto ti ho promesso e cioè:
1) l'editoriale di cesare milanese
2) i testi per lo spazio dedicato alle questioni sindacali
3) ti mando inoltre un divertente "Picasso in estinzione"
fatto al FNLAV che si collega alle attività che stiamo svolgendo
e tu, secondo me, potresti utilizzarlo per la copertina, come sul
primo numero c'era il solito Pasolini
4) ti mando la rivista del FNLAV fra l'altro perché mi piace
il quadro di copertina (fallo vedere a Pino: è il suo "urlo"
aggiornato).
Se non ho capito male pubblicherai nel prossimo numero il mio poemetto
su Leningrado. Bene: per il futuro ti porterò i testi collegati
ai disegni che ti ho dato e il testo teatrale. Ho anche intenzione
di scrivere un soggetto in polemica con G. C. Ferretti. Vedremo se
ne avrò il tempo e se non mi passerà la voglia.
Ho chiesto in giro dei testi e li avrò di certo, almeno da
Accrocca e da Violiani. Mi ha promesso qualcosa
anche Lunetta.
Arrivederci
Aldo
Da Caprarica di Lecce (lettera ms., successiva alla pubblicazione
di "Stazioni di posta") 10.5.1986
Caro Aldo,
rassicurato (stamattina, 7.45!) sulle tue condizioni di salute, eccomi
ad altro: "Stazioni di posta", allora. Un libro di poesia
di Aldo De Jaco merita una carta speciale, questa, e non certo una
biro!
Ho avuto il libro una ventina di giorni fa (una corsa fino a Sannicola
da Antonio Errico) e l'ho finito di leggere ieri in un trenino (dorato)
che andava a Gallipoli. Un incanto! Veramente un buon libro! E fai
male, e fanno male a volerlo dare come un racconto di tue delusioni
o di tue passioni civili. D'accordo, c'è "l'ospite ingrato"
(non poteva non esserci), c'è l'entusiasmo di un Aldone che
sicuramente un po' ha pianto (di nascosto, magari, confondendo eventuali
accompagnatori con dei colpi di tosse e due-tre strizzate d'occhi)
davanti alle scritte di "viva Sandino", "Sandino vive",
ecc. ecc., c'è il De Jaco dagli occhi spalancati dal sogno
(cominciato con la prima Fuga da Maglie), ma c'è soprattutto
il sogno, c'è il poeta: il sogno vive nelle e tra le righe,
e il poeta, come ogni buon poeta, non crede molto in se stesso, non
si prende molto sul serio... Ma c'è. E come se c'è il
poeta. C'è il poeta e l'ironia del poeta. Sapessi farlo te
lo sezionerei il libro, per far racconto (come fanno i buoni critici)
delle tue emozioni, delle tue pause da poeta; ma devo accontentarmi
(e non è poco!) delle sensazioni, dei ricordi di sensazioni,
che esso libro mi da, pagina dopo pagina.
Beh, allora non è difficile rivedere il lupo che tra un verso
e l'altro, tra una lettura di poesie e l'altra, ha galoppato con me
- per tre, quattro estati, - attraverso tutto il Salento (oddio! è
soltanto dopo che uno si accorge - magari a libro uscito - di essere
un po' come quei "fedeli di re Totila dalle giubbe pelose, i
lunghi baffi, i denti guasti, gli occhi di fuoco ... ") alla
ricerca di ruote di creta, fischietti originali, bastoni d'altri tempi,
ninnoli da sistemare, in bella mostra, sul tuo "incrociatore
tutto pettinato".
(Ohel, De Jaco, è vero, non sono un critico - anzi sono quel
giovine poeta che a volte pare "approfitti" del padre-scrittore
per farsi strada! - però so leggere nel libro la tua allegria,
la curiosità che nascondi così bene in quelle mezze
rime, in quelle assonanze, nei versi lunghi, nelle incisive che usi
moltissimo, anche quando parli, ecc. ecc.).
Bene. Allora, galoppando galoppando, attraverso una Germania che ha
una distanza poetica, una Mosca sotto la neve (ma sei il poeta di
Samarcanda!), una Leningrado dall'"ottimo stufato", Varna
(ma è la città del mio ipotetico viaggio bulgaro?) che
è bella sì, ma non vale Viareggio o Riccione, una Madrid
che sottoscrivo per tutto quei rosso di quella "ragazza venuta
dopo, dopo di tutto"; galoppando galoppando eccoti qua, fino
alle splendidamente amare terre del Saraceno, al mistero dei "consigli
ad un indiano Cheyenne", alla fascinosa e incantevole Enea (lettura
estiva: Tuglie o Salento Poesia?) dai "piccoli seni come gli
interruttori della luce di una volta"...
Beh, Aldo, a questo punto, penso che in questo tuo libro dovevano
trovare sistemazione anche le poesie che hai lasciato, volontariamente
o per necessità, fuori (dov'è finita quella che hai
scritto sulla porto di De Carlo in quella sera buia? e quelle altre
che ho letto, che ho sentito al numero 114 di via Alighieri?). Ti
auguro una nuova edizione! Ecco.
Ciao Aldone, ci si vede questa estate, ancora in questi strani posti
dove è ancora facile coricarsi e sognare "grandi carri,
botti, contadini che tornano sull'asino, padroni con gli stivali"
o magari donne con "piccoli seni e fianchi tondi", ciao
antonio [verri]
Da Roma (lettera ms.) 3 aprile 1987
Caro Antonio,
io sono un detenuto, un disadattato, un "responsabile" dalla
vita completamente irresponsabile, non l'hai capito? E un narcisista,
come vedi, che trova nella tua lettura ampiamente dedicata a Toma
lo spunto per incominciare parlando di sé.
Ma anche questo è comprensibile, no?
La "morticeddra", quando ti passa vicino, penetra con una
ondata di freddo nelle tue ossa e ti lascia alla certezza che "ora
tocca a te". Poi tu hai la malvagità di non dir nulla
(come? perché?) di quanto potrebbe farmi pensare: ecco è
capitato a lui, a me non potrebbe perché...
Ma se tu non mi dici perché è morto io non posso prendere
le distanze e sono qui con questo morto sulle braccia che ridacchia
e mi minaccia: non creder di cavartela...
Verrò a Maglie il 28 o il 29 e ho già fatto i conti
di cosa devo comprare con i soldi che mi darai. Mi darai allora le
poesie di Toma da pubblicare insieme al testo di Errico.
Arrivederci, caro ex direttore (non ho mai visto alcuno costruirsi
e autodistruggersi con tanta rapidità come te). Tuo
Aldo
Da Roma (lettera datt., carta intestata: S.N.S.) 28.12.1987
Caro Antonio,
rispondo alla tua lettera del 15 u.s. dicendoti innanzitutto che quei
tuo sigillo - cerchio nero con punto bianco - mi ossessiona, fondamentalmente
perché non lo capisco eppure mi ricorda qualcosa di archeologico:
che cosa? Ma veniamo alla lettera. Sono assai lieto dell'aumento degli
iscritti per un contributo particolare del Salento e vengo subito
a dirti che non vedo niente di scandaloso nella tua proposta di formare
una sezione salentina. E' cosa che però deve seguire un certo
iter e cioè secondo me è una proposta che tu devi avanzare
al Congresso e a chi in quel momento rappresenterà il Sindacato
Nazionale, senza toni astiosi nei riguardi di Bari, naturalmente,
ma con l'affermazione che la creazione di una sezione leccese del
Sindacato agevolerebbe lo sviluppo dell'attività nella zona.
Io credo che il Congresso dovrebbe rinviare la cosa alla Segreteria
Nazionale, la quale - se ascolterà la mia opinione - la approverà.
Questo per quanto riguarda la costituzione di una sezione autonoma
rispetto a Bari ma già da oggi dovreste sviluppare una qualche
attività che renda comprensibile questa ricerca dell'autonomia.
Altra questione: il foglio. Sarebbe una buona cosa se però
avesse una vitalità superiore a pochi numeri. Comunque per
quel che vale ti assicuro la mia partecipazione nei modi che tu riterrai
opportuni.
Ora veniamo ad altre cose.
1) E' uscita la rivista di Aldo Bello? Io non l'ho ancora avuta ed
ho avuto qualche giorno fa il numero precedente. Nella mia ingenuità
pensavo di utilizzare gli estratti come omaggio e auguri per il nuovo
anno. In ogni caso mi puoi dire quando me li manderete?
2) In segno di affetto e di stima ti mando una copia dell'ultimo racconto
che ho scritto perché la scelta di un eventuale racconto da
pubblicare sulla rivista sia più vasta. Ti mando anche una
"chicca". Uno scambio di lettere cioè tra Giorgio
Amendola e me a proposito del volume "Vocazione agit prop".
Tutte queste liberalità derivano dalla mia speranza che un
giorno tu scriverai (in mortem?) la mia biografia.
Cordialmente
Aldo
N.B. Il racconto e le lettere te le mando a parte.
[Registriamo una lettera-telegramma di E.F Accrocca, dicembre '84,
per un incontro su due libri di De Jaco (Cina e Nicaragua), tenuto,
a cura del Pensionante, e presentato da Bonea nel Teatrino degli Impraticabili,
Lecce. Un altro libro di De Jaco, "L'ospite Ingrato" fu
presentato da Durante-Strazzeri in una delle due edizioni di "Al
banco di Caffè Greco"]
FRANCISCO DELGADO
Da Vandoeuvres, Svizzera (lettera ms.) 3-8-87
Caro Antonio,
j'ai bien reçu la belle revue Sudpuglai que tu m'as envoyé
et je te remercie des mots gentils pleins d'amitié que tu m'as
consacrés, dans le texte. Toi aussi, cher Antonio, poète
italien, tu es resté dans mon coeur, avec ton air farouche
et sombre, pour cacher un sourire de beauté d'enfant.
J'ai aussi reçu le numéro 1 de 1987 de la même
revue, où j'ai eu le plaisir de découvrir ton texte
inédit "LA BETISSA", plein de ces qualités
que j'avais découvert dans tes poèmes d'Yverdon.
Ne te fâche pas avec moi. Dernièrement, j'ai écris
rarement pour te donner des nouvelles, car j'ai eu une vie très
agitée, avec beaucoup de voyages (Portugal, France, Ecosse).
En ce moment, je me prépare àpartir di New York, pour
trouver ma fille ELSA qui vient de terminer ses études de médicine.
A' la fin du mois, elle reviendra en Suisse, pour travailler à
l'hôpital de Montreux (et pour la joie de mon coeur).
Avec: tout cela, la poésie reste en attente! Antonio, je n'écris
pas! La poésie a déserté! J'ai froid!
Les amis du Comité des Rencontres Poétiques (Lucette,
Roger-Louis, Paul Thierrin, Jean Bar) te saluent bien et ont beaucoup
apprécié ton article sur les dernières Rencontres.
Nous tous te demandons de nous indiquer le nom de 2 ou 3 poètes
italiens, avec leurs adresses, poètes qui pourraient être
invités pour les Rencontres de 1988. OK? Cher Antonio, excuse-moi
de t'écrire en français. Tu peux choisir un traducteur
(traditore) mais choisi de préférence une traductrice,
bela ragazza, avec une belle voix, pour te lire ces mots envoyés
de Suisse, royaume de la neige que tu aimes tant.
A bientôt, l'ami.
Francisco
Delgado
[Una delle lettere di Delgado, dal pianeta Yverdon: delicato poeta
ma anche forte bevitore di Pinot nero]
MICHELE DELL'AQUILA
Da Bari (biglietto ms.) 19.1.1983 (t.p.)
Caro Verri,
grazie ancora dei bellissimi libretti di versi e delle bellissime
litografie che li illustrano (di Conversano). Mi sembrano cose assai
raffinate e intense. Ho scritto anche all'indirizzo della redazione
del "Pensionante" perchè non avevo il tuo indirizzo
che poi ho trovato.
Grazie ancora, e auguri non solo per Natale ma per l'ottimo lavoro
che fai anche con il "Pensionante".
Cordialmente tuo
Michele Dell'Aquila
Da Bari (biglietto ms.) 19.12.83 (t.p.)
Caro Verri,
grazie del bellissimo "Pensionante" che ricevo puntualmente
e dei volumi. State svolgendo un lavoro veramente di alto livello
e di intelligente ironia. Anche l'impostazione grafica è bella.
Tante cose care e auguri dal tuo
Michele Dell'Aquila
Da Bari (cartolina post., intestato: Università degli Studi)
16 ottobre 1987
Caro Verri,
quanto mi scrivi sulle difficoltà del Pensionante mi dà
tristezza e preoccupazione. Allora anche gli sforzi più generosi
per una cultura e per una editoria libera e intelligente sono destinati
a cadere?
Spero di poter fare qualcosa, sempre che la "Gazzetta" voglia
pubblicare. Ma ormai credo non resti che bussare all'Ente Pubblico,
con tutte le conseguenze. Cordiali saluti con molta simpatia e stima
dal tuo
Michele Dell'Aquila
Da Bari (biglietto ms.) 29 gennaio 1988
Caro Verri,
mi rallegro molto per il Premio della Cultura della Presidenza del
Consiglio conferito al "Pensionante de' Saraceni": premio
meritatissimo che vuoi essere anche un incoraggiamento a continuare!
In un servizio in tre puntate che apparirà tra non molto sulla
Gazzetta intorno alla Poesia in Puglia anni '80 si parlerà
anche del Pensionante.
Affettuosi saluti e un abbraccio dal tuo
Michele Dell'Aquila
[Premiò il Pensionante, ad Adeffla (84?), come miglior editore
pugliese. Premio un pò più militante di quello ottenuto
nel gennaio '88 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri]
PINO DENTICO
Da Monopoli (lettera ms.) 3 dicembre 1984
Carissimo Antonio,
spero perdonerai il lungo ritardo - un mese abbondante - con cui provvedo
a darti notizia della manifestazione, tenutasi a Gioia il 22 e 23
ottobre con Martin, e ad informarti della vendita delle trenta copie
de "i fuochi e la malinconia". Purtroppo in queste settimane
sono stato assorbito da una mole di nuovi impegni che mi hanno impedito
di scrivertene al riguardo. Inoltre attendevo che la vendita venisse
"perfezionata" dagli acquirenti "ritardatari"
che avevano omesso di provvedere al pagamento. Ritengo comunque che
ogni cosa sia andata per il meglio: abbiamo venduto le trenta copie
e verso la fine del mese scorso ti ho inviato l'importo relativo per
mezzo di un vaglia postale. Ma veniamo a quei giorni: quanto mi scrivevi
nella tua ultima lettera ha avuto piena conferma nelle ore - purtroppo
poche! - trascorse con Martin. Davvero abbiamo incontrato un "personaggio",
ottimo amministratore della propria immagine (in senso ovviamente
benevolo), ed un "viaggiatore", attento visitatore non tanto
dei luoghi quanto delle persone. Prova ne è data dal rapporto,
subito partecipe e caldo, che ha saputo allacciare, e non solo con
me. Davvero, quando è partito, è parso un po' a tutti
gli amici, che lo hanno seguito nella due-giorni a Gioia, che partisse
un amico. In queste settimane, così tumultuose e decisive per
il Cile, non manchiamo di pensare a lui e attendiamo con impazienza
una sua cartolina, una sua lettera. E poi, non da ultimo, la sua poesia
che ha catturato un po' tutti, sia nell'incontro a scuola, con gli
studenti delle medie superiori, che nel momento conclusivo del 23
ottobre. Quando ha letto gli ultimi versi - a chiusura della serata
- il foltissimo pubblico, oltre duecento persone, ha voluto manifestare
la propria adesione ed il proprio entusiasmo con un lunghissimo, intensissimo
applauso. Dunque un bersaglio pienamente centrato per tutti, per Martin,
per la Fondazione "Canudo", per chi ha organizzato l'incontro.
Parte del risultato è dovuta a te, alla tua disponibilità,
e te ne ringrazio sinceramente. Anche a Monopoli l'iniziativa ha colto
in pieno gli obiettivi propostisi, anche se ha incontrato un pubblico
meno appassionato e vigile. Ma della giornata monopolitana ritengo
ti parlerò più diffusamente Lino o Carmine Tedeschi
che l'organizzava.
In conclusione, un incontro che necessitava e che ci ha permesso al
contempo di spalancare una finestra - mi auguro di aprire una porta
- sia su una realtà poco conosciuta, sia su un modo di pronunciare
e vivere la "parola", di cui si avverte sempre più
urgentemente il bisogno.
Approfitto dell'occasione per ringraziarti dell'interesse che hai
individuato nelle mie cose, su cui gradirei conoscere un parere più
puntuale.
Attendo ora un tuo cenno di risposta, non foss'altro che per darmi
conferma se ti sia giunto il vaglia postale; e l'ultimo numero del
"Pensionante", che penso di non aver letto.
Invitandoti a tenermi informato delle tue attività, soprattutto
editoriali, ti saluto
cordialmente
Pino
P.S. Potresti inviarmi altre 5-6 copie de "i fuochi e la malinconia"?
Potrei impegnarmi a venderle nei prossimi mesi. Grazie.
LUCIANO DE ROSA
Da Lecce (biglietto ms.) 3.XII. 1987
Caro Verri, grazie
(con imperdonabile ritardo) del cortese omaggio de "La Betissa".
Mi sono più volte cimentato nella lettura, gustosa per la torrenziale
invenzione e ricchezza linguistica. Ma tanto ardua, da richiedere,
quanto meno, un lessico ad hoc. E una nota esplicativa generale, almeno
per tentare di vedere in quale toppa occorre infilare la chiave di
lettura, senza girare a vuoto intorno al testo. Ma auguri lo stesso.
(Quanto a noi, queste cose ci avvertono che siamo invecchiati). Cordialmente
Luciano De
Rosa
CESARE DE SANTIS
Da Sternatia (lettera ms.) 23.8.1983
Esimio Sig. Verri,
In riferimento alla Sua promessa fattami circa un mese fa (oggetto
6 libri) le chiedo abbia cortesemente la compiacenza di volermeli
inviare con mia figlia Lucia e mio genero Antonio che verranno costò
a visitarlo di persona.
I miei figli hanno aspettato invano questi miei sospirati libri, e
devono partire domani con rincrescimento di non aver potuto vedere
la Sua e mia opera. La prego vivamente di essere così gentile,
e di mantenere la promessa fattami. Tenga il presente da me firmato
quale ricevuta dei sei o dieci libri che mi invierò.
La ringrazio sentitamente salutandola con massima stima.
S. servo Cesare De
Santis
(Un bracciante, un raccontatore stupendo, in griko, che ha lasciato
pagine e pagine di cultura grecanica. Primo "quaderno" del
Pensionante)
FRANCESCO SAVERIO
DODARO
Da Caprarica di Lecce (lettera ms.) (adesione al Movimento Genetico)
1.5.1988
Caro Saverio,
ecco la mia formale adesione al Movimento Genetico: dico formale perché
tu sai benissimo da quant'è che ho assorbito (e anche usato:
Betissa e Trofei fanno testo) le tue intuizioni genetiche, le tue
geniali idee, i tuoi voli, i vastissimi campi che possono essere esplorati
dal tam tam armonioso, materno, disarmante, monotono, primordiale,
vitale; quanto la poetica del tuo Movimento non dia altro, in definitiva,
che l'idea del corpo che racconta, copula, plasma, irrita...
Quello che forse non sai è quanto io amo, ho sempre amato,
le tue illuminazioni improvvise, le tue anche candide (perché
poetiche) illuminazioni improvvise, il tuo rigore, le tue misurazioni
continue e per qualsiasi operazione, il tuo lavoro silenzioso e continuo
che ha, per efficacia e contributi, dimensione universale.
Intanto aderisco, dopo ti verrò a trovare perché, lo
sai, non ho finito di usarti. Sto chiedendomi, per il "Declaro",
qual è (eccome) il segreto della ripetizione o lo scavo, l'intreccio,
la radice delle parole: frequentarti, per me, vorrà dire semplicemente
entrare nella tua ampissima alchimia, se così possiamo chiamare
la tua officina razionale, poetica ed analitica.
Vorresti una frase? Ecco: EDOARDO CHE MENTRE CON INSOLENZA VIOLA L'ACQUA,
E' COSTRETTO A TORNARE, E NON SOLO CON LA MEMORIA, AD UNA LONTANISSIMA
CROSTA SORELLA ALL'INIZIO DELL'UNIVERSO.
Ciao Saverio, ti auguro buone cose e buona salute
antonio verri
Da Lecce (lettera ms., carta intestata: GHEN) 18.5.1988 (t.p.)
Caro Antonio,
la tua adesione mi commuove, profondamente. E' inchiostrata dal Puer.
Affascina, avvolge, stringe. Sarai un compagno d'onda amabilissimo.
Insieme, disarmati dispersi, interrogheremo la luna e le stelle. Il
sole no: è fuggito portandosi la parola sole.
Dialogheremo, sulla parola, sul seme segreto. La parola. Quante parole!
Quante pagine! Quanti libri!
Quante biblioteche! Per dire rosa. Tutte metafore, spostamenti, capovolgimenti
per esprimere, forse, un fonema, uno solo, che ci ha marcato. Un fonema
contro l'idea. Abbiamo rifiutato di crescere, di esserci, trasgredendo,
violando l'Historia. Una trasgressione all'evoluzione. La parola:
l'atto rivoluzionario. Noi, parolieri, siamo gli autentici rivoluzionari,
Noi, e solo noi, siamo la rivoluzione.
e
e
e
Ecco il suono, il vento e le campane della rivoluzione.
Ecco Betissa e Trofei sui boulevards della Bastille. Che ampiezza
d'onda! Che purezza di
suono!
Il Salento era ormai maturo per partorire un grande poeta, un grande
canto, un grande Verri. Ti abbraccio
Saverio
Un giorno qualsiasi, in un luogo qualsiasi.
[Tutta da scrivere ancora la storia del Movimento Genetico e del suo
purissimo
capo]
ANTONIO DONNO
Da Lecce (lettera datt.) 19 settembre 1983
Caro Verri,
ho ricevuto oggi l'ultimo numero di "Pensionante de' Saraceni":
l'ho scorso attentamente, ne ho letto alcune cose, ma ho avuto la
netta sensazione che da qualche tempo ad oggi "Pensionante"
abbia perso la sua connotazione originaria. Qualche critica nel merito:
inutile, noioso e qualche volta irritante quel tran-tran che da qualche
numero si trascina sul Sindacato Nazionale Scrittori: non so a chi
possa interessare. Rifletti un po': "Pensionante" aveva
svolto la funzione di "dare" poesia e narrativa di una certa
pregnanza ai suoi lettori, riuscendoci spesso in una maniera egregia
nel desolante panorama locale dominato dal vernacolo per tutti i gusti.
Ora ci propina questioni di "burocrazia" sindacale per scrittori
che evidentemente non sanno fare il loro mestiere. Al diavolo il sindacato,
puttana di un mondo falsamente democratico, in realtà appiattito
per il gusto depravato delle maggioranze!
E poi, quel piagnucolio un po' ipocrita della De Lorentiis su Lecce,
il provincialismo e le solite menate del genere; infine, quel tuo
quasi-racconto onestamente indefinibile, al limite del riempitivo.
Per favore, cerca di riaddrizzare questo "Pensionante",
di riportarlo alla sua funzione originaria, ben lungi dall'essere
esaurita, altrimenti questa tendenza attuale all'inutilità
del foglio si trasformerà -almeno per me - in un meccanico
gesto di cestinatura. So di poterti parlare con la franchezza che
ho usato. Tuo
Antonio Donno
RINA DURANTE
Da Lecce (lettera
datt., pubblicata su Caffè Greco, ottobre 1980, col titolo
"Ai giovani poeti di Caffè Greco")
Non è piacevole
scrivere di me, del mio lavoro passato, tracciare programmi per il
futuro. L'idea di farlo per voi, ultima generazione di poeti del Salento,
mi rende addirittura inquieta. Provo fastidio, questa è la
verità, a parlare della mia attività letteraria. Sono
partita da atmosfere sature di letteratura, i miei idoli erano Rilke,
Proust, poi Pavese, Vittorini, Montale. Il tardo ermetismo è
stato il mio primo nutrimento. Non è stato facile scrivere
i primi versi avendo accanto un mostro come Vittorio Pagano. Lui la
sapeva lunga, era tutto dentro la letteratura. Credo che il mondo
fuori di lui lo interessasse solo a patto che si lasciasse filtrare
dalla sua parola poetica. Credo anche che il Salento abbia avuto in
lui un poeta eccezionale, capace di andargli incontro, di affrontarlo,
senza venire a patti con lui. Pagano è stato il primo a sbattermi
fuori dal nido. Sono caduta fra gente come Giacomo De Benedetti, Elio
Vittorini, che ancora non avevo messo le penne. Brutto affare. Ma
in fondo sono stata fortunata. In qualche modo ho imparato a volare,
mi sono ritagliato il mio pezzo di cielo, adesso so dove e come andare.
("Ma è tardi, sempre più tardi"].
Della poesia ho un'idea ecologica: esiste la comunità (Melendugno
o New York, non fa differenza), fatta di gente che zappa, che fabbrica,
che compra, che vende, che fa poesia. Fare il poeta è un mestiere.
Chi lo sa fare bene è un poeta collettivo.
Fare il poeta, (ma anche lo scrittore), è faticoso, perché
è una grande fatica trovare la verità di tutti, ma ancora
di più dirla a tutti. In un mondo che sempre più rinuncia
al proprio volto, che fa di tutto per mistificarsi, fare il mestiere
di poeta diventa sempre più difficile. Questo è un mondo
che va sempre più verso l'ordine (ma, come dice Frassineti,
solo nel disordine è qualche speranza!), che tende più
o meno inconsciamente all'appiattimento, al livellamento universale.
Esso si aspetta dal poeta più o meno ciò che il popolo
di Israele si aspettava da Cristo: una consacrazione ufficiale dell'ordine
costituito. Ma Cristo ebbe il coraggio di deluderlo, affermando: non
sono venuto a unire, ma a dividere...
Il poeta, oggi, ha questo dovere di deludere, gridando alta la sua
verità. Ma, attenzione, la croce che vi aspetta non è
quella d'ulivo, non sarete appesi al paio, né legati col filo
del telegrafo. Vi sarà consegnata una cetra di materiale pregiato,
i vostri carnefici vi aspetteranno dentro un molto confortevole ufficio
di una grande casa editrice, per consegnarvela. Se vi andrà
bene, morirete di successo. Se no, camperete di solitudine. Credo
che non ci sia alternativa. Strano però che ci siano in giro
poeti, di questi tempi, giovani per giunta.
Quando ero molto giovane, mi svegliavo la notte con l'incubo che gli
altri intorno a me stessero scrivendo il capolavoro, mentre io dormivo.
Non era vero niente: gli altri dormivano beatamente, ero io la sola
a vegliare pensando al libro. Poi questo libro l'ho persino scritto.
L'ho scritto mentre mia madre moriva, e se ne andava con la mia ultima
giovinezza. L'ho pensato in una corsia di un orribile ospedale, mentre
mia madre moriva, come tutte le madri del mondo, dopo avermi detto:
"Ma sai dirmi che morte è questa?", e intorno a me
c'erano altre madri, vecchie madri che si erano messe a occhi chiusi
per morire, ma proprio come bambine ubbidienti, perché erano
davvero molto vecchie e persino i figli nel salutarle quella sera
glielo avevano garbatamente fatto capire che non era dopotutto il
caso di insistere. C'era un'unica infermiera molto stanca e nervosa
che andava su e giù a portare qualcosa alle vecchie madri,
e alla fine non ce la fece più. Suonavano i campanelli quella
notte, si perdevano i richiami nel silenzio del reparto. Io pensai
che se fossi riuscita a scrivere quel libro, non sarei morta né
sola, né disperata. Ecco, pensavo che quando l'ora fosse giunta,
ricordando quel libro, avrei persino potuto ridere. E con questa certezza
dentro pensai tutto il libro, che poi scrissi di getto, nel giro di
una ventina di giorni.
Scrivevo senza staccare mai la penna dal foglio, interrompendomi solo
per recuperare l'uso del braccio intorpidito. Ho scritto quel libro
con tale allegria che neppure l'idea della morte mi può più
minacciare.
Vi ho parlato di quel libro perché più degli altri assomiglia
a un'opera poetica. Forse volevo dirvi che siamo, siete dei privilegiati.
La gente ha ragione di accennare un sorrisetto ironico, quando dice
"è un poeta". Di tutti i mezzi, la poesia è
il più efficace per esorcizzare la morte. Questo la gente lo
sa, e se non lo sa, lo intuisce. Ma la gente perdona ai poeti che
le donano un po' del loro esorcismo.
Solo chi lavora sul nulla detesta i poeti. I politici di carriera,
ad esempio, i rimestatori volgari di mediocri verità, i superficiali
per calcolo, quelli che prendono le distanze per paura di non avere
tutto gratis. Consolatevi: essi morranno. Soli. Del resto anche da
vivi non seppero stare in compagnia. Chi è più solo
di un idiota che finge di proferire grandi verità di fronte
a un pubblico che finge di ascoltarlo?
Essere poeti nel Salento. No, non è diverso dall'essere poeti
in qualunque altro posto della terra. Essere impegnati. I veri poeti
lo sono, molto più dei cosiddetti politici, e questo i cosiddetti
politici non glielo perdonano. D'altra parte è raro che un
grande politico non sia un poeta. Ma, attenzione, il capolavoro di
un politico è la sua opera politica. Non faremo l'errore che
i politici fanno con i poeti, non gli chiederemo di scriverla, e tanto
meno in versi. La verità è che i politici non leggono
i versi, come sarebbe auspicabile, nell'interesse della comunità,
e dei poeti, che finalmente non sarebbero più sottoposti a
processi ridicoli da parte dei soliti burocrati di partito. Se insisto
sul rapporto tra politici e poeti è perché esso ha causato
e continua a causare l'infelicità dei poeti, anche quaggiù
nel Salento. Occorre molto coraggio per non soggiacere alle violenze
morali dei burocrati, dei grandi giudici di regime. Siate intrepidi
nel sostenere la verità in faccia ai servi di partito, siate
sinceri fino alla spudoratezza. Wolfango Borchert, poeta di vent'anni,
diceva che "la verità è dura e nuda come la morte,
ma è pur tanto soave, stupefacente e giusta".
Da Caprarica di Lecce (lettera datt.) 12.1.1986
Cara Rina,
mi inviti a riflettere sul mio "Pensionante". Ecco. Proprio
così. A riflettere. Niente altro. Quanto ti posso essere utile
non so... comunque...
Non proponimenti né programmi (anche se è "una
rivista da due chili", come dici), solo vuoti, amarezze e...
il solito candore! "Pensionante de' Saraceni", come prima
"Caffè Greco", è figlio, appunto, delle amarezze,
dei vuoti, degli sbandamenti e del candore di un direttore che non
ha mai cominciato a vivere sul serio (anche se spera tanto di farlo!),
in modo regolare, con le Pasque e i Natali al posto giusto...
In fondo in fondo credo che non ti meraviglierai di quel che scrivo,
né del tono di questa che doveva essere una cartella per una
possibile intervista.
Ecco. Lontani i tempi in cui volantinavo, con Angelo Fabbiano, il
mio foglio giallo a cento lire la copia, lontanissimi quelli del primo
tremore davanti al primo piombo tipografico, o quelli del primo approccio
con la squinternata autrice della "Malapianta" (che aveva
conosciuto Vittorini o che aveva scritto il suo primo romanzo senza
"staccare mai la penna dal foglio"), lontani anche tanti
altri piaceri e dispiaceri di carta, quel che oggi resta è
la sempre casuale caparbietà a chiudere in sedicesimi, non
poesie o racconti, ma la disperazione, la povertà, l'entusiasmo
mozzato di tutti i miei amici "creatori" (disperazioni e
povertà ed entusiasmi anche miei, a volte, ma, meglio lasciar
perdere ... ) ed operatori culturali che hanno finalmente trovato
un porto (lontano dagli assessori' che rubano allegria o da giornalisti
"venditori di tappeti", che pure, pare, abbiano una loro
logica, loro passioni ... ) dove far confluire, a volte su grossi
barconi, i loro guizzi, i loro disagi (almeno così è
stato fino ad oggi ... ): è inutile dirti, penso, che mi accettano
come loro regolatore, o direttore, solo perché hanno da sempre
capito che sono in fondo come loro, un po' vile, un po' triste, un
po' amico dei Turchi. Sì, cara Rina, per essere buon direttore
di una rivista di letteratura, qui da noi, bisogna proprio essere
amico dei Turchi...
Che dirti altro? Ah, le "carte internazionali"! Gli amici
autori in francese, inglese o tedesco (per cui qualcuno mi dice Superprovinciale!).
Beh, quella è tutta colpa mia. Ne avevo, ne ho bisogno per
vivere in questo posto! Con qualcuno di questi mi vedo, scambio libri,
riviste (però non ho mai dato, per esempio, quattro copie di
"Pensionante" per una copia di rivista francese o inglese
o che diavolo!), hanno tutti gli occhi chiari, qualche volta la barba,
vengono da paesi di neve... E poi ho scoperto - è questa soprattutto
la ragione della mia ospitalità, della mia amicizia - che "si
svegliano di notte con l'incubo che gli altri, intorno, stanno scrivendo
il capolavoro, mentre loro dormono"I Oppure "scrivono libri
con tale allegria che neppure l'idea della morte li può minacciare"!
Altro. Nient'altro che la solita insoddisfazione per i numeri (anche
se da due chili!) di "Pensionante" già fatti, un
numero storico che ora chiudiamo per Pagano, o la voglia (un lumicino
lontanissimo) di un "Pensionante" annuale di ricerca letteraria
e altro.
Ciao Rina, e, parafrasandoti ancora, essere direttore di una rivista
letteraria nel Salento non è diverso dall'essere direttore
di una rivista letteraria in qualunque altro posto della terra. L'importante
è essere un po' triste, un po' amico dei Turchi... Ciao
il tuo amico georgiano antonio verri
[Personaggio per noi molto coro e importante: ma chi compra Rina,
compra non solo la sua cultura ma anche le sue bizze, le sue passioni]