§ L'inedito

Dieci anni in rivista




Maurizio Nocera, Antonio Verri



Elenco dei corrispondenti

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questo numero
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ROLANDO CERTA

Da Mazara del Vallo (lettera datt., carta intestata: "impegno 80") 9.1.1983

Caro Verri,
grazie per la tua lettera del 9.12. d.a. e grazie per l'invito a collaborare. Ho ricevuto gli ultimi due numeri del vostro foglio (già Armida mi aveva inviato alcuni numeri di "Pensionante dei saraceni", dove avevo letto alcune belle poesie erotiche) ed ho molto apprezzato il paginone dedicato ai poeti albanesi. Naturalmente bisognerebbe scoprire anche i poeti albanesi di Calabria, dove vivono - mi hanno detto - circa centomila persone di origine albanese e dove lo stato italiano, con la sua brutale indifferenza, sta commettendo e consumando un vero e proprio "etnocidio".
Aderisco alla tua/vostra iniziativa e mi dichiaro con essa solidale. Ho già spedito ad Armida Marasco un articolo sull'ultimo libro ("Oniroplio": La nave dei sogni) del poeta italo-ellenico (scrive in italiano e greco) Febo Delfi. Le ho rimesso anche una mia poesia, "Ai fratelli di Mahdia", che il 15 febbraio reciterò in Tunisia in occasione del gemellaggio fra Mazara del Vallo e Mahdia. La stanno traducendo in arabo e in francese.
Ti mando anche, oggi, cinque mie poesie (tutti i materiali sono inediti), che ho scritto sull'onda dei miei viaggi all'estero e dei miei incontri, anche "amorosi".
Si potrebbe fare un paginone dedicato alla poesia greca contemporanea, ma mi occorre del tempo. Per Pasqua mi recherà ad Atene e con l'occasione, insieme a Febo Delfi e qualche altro italianista greco, potremmo fare una scelta di testi e presentare una decina di poeti. In prosieguo, come ho scritto ad Armida, potrà farti avere dei testi di una giovane poetessa araba-egiziana (da me tradotti dal francese). Come tu sai parecchi poeti arabi scrivono nella loro lingua madre o direttamente in francese. E ti invierà anche alcuni medaglioni, non solo di poeti greci ma anche romeni, iugoslavi, ecc. Nel 1982 ho visitato Tunisia, Grecia, Bulgaria, Iugoslavia e Romania ed ho molti contatti ed anche materiali. Intanto, ti rimetto alcuni numeri della rivista da me curata e alcune pubblicazioni, in modo tale che tu possa farti un'idea dei miei/nostri interessi. Se credi, potrai anche recensire o riportare, citando la fonte.
Tanti auguri per la tua attività e cordiali saluti.
Rolando Certa

FERNANDO CEZZI


Da Lecce (lettera datt.) giugno 1988

Carissimo Antonio,
quando mi proponesti, circa un anno fa, di scriverti una cosa su Totò Toma, da inserire in una cartella che andavi concependo per lui, mi chiesi in che modo potesse interessare a te o ad altri una mia idea o una mia esperienza di Totò: un'amicizia troppo fuggevole, ahimé, una delle mie occasioni perdute…
Le sue carpe giapponesi trovavano giovamento, cibo e salute, dal fango e dal papiro della fontana grande che era nel mio giardino; le tartarughe amazzoniche, nere veloci con la coda affusolata, dovevo lasciarle libere e sole - ogni tanto un pezzettino di carne - nell'altra fontana con le ninfee e i piccoli isolotti emergenti; nel padulario mi sconsigliava di tenere i ramarri, insofferenti alle recinzioni; ci stavano bene, invece, ed erano interessanti da osservare di nascosto, le ile e le rane; il rospo, attento a non calpestarlo, ché tende a mimetizzarsi fra l'edera dell'aiuola del padulario.
Tese brevi, come se avessimo paura e pudore di approfondire noi stessi, le nostre conversazioni nel suo "Tarabuso", in giardino, fra i suoi cani nel bosco, o incontrandoci casualmente per le vie di Maglie, lui adagiato sulla vespa io fermo sul marciapiede.
Il suo "ozio attivo" era un'attività di conoscenza, un mezzo per inserirsi nel flusso degli eventi e capirli: massima sapienza umana? Vincendo la mia, stupida, ritrosia, un giorno gli comunicai una mia impressione sul risveglio, improvviso lento magico, delle cose all'alba; mi suggerì che quando inizia la notte e la luna si accende nel bosco c'è ancora più incanto. Queste "dolci meraviglie" della vita egli difendeva con me e mi esortava a tenerle mie "nella stessa intensità di come / ti appartengono i tuoi desideri".
E' questo il segno di Totò per me.
Non so dirti altro, carissimo Antonio. Leggiamolo, perché nelle sue poesie egli ci ha pensati. "Voglio che dicano di me: ha vissuto la nostra infanzia con maturità! ci ha pensati nel senso più vero, più puro, più bello passibile!". Senza monumenti, Antonio, per carità.
Affettuosamente,
Fernando Cezzi
[Lo splendido autore del racconto di Irene al quale ci siamo sempre rivolti per traduzioni dal francese]

GAETANO CHIAPPINI


Da Firenze (lettera ms.) 22.2.1982

Caro Verri,
lei non mi conosce, ma mi ha mandato il suo bel foglio "Pensionante de' Saraceni" (qualcosa a che vedere con il pittore inventato da Roberto Longhi: il "pensionante" del Saraceni, perché vicino a lui come tecnica, ecc.?): desidero ringraziarla e, se posso, aggiungermi a coloro che incoraggeranno il suo lavoro. Leggo le poesie del mio amico Ercole Ugo D'Andrea, ma anche quelle degli altri. Le dirà che sono molto curioso, di poeti soprattutto, se poi sono meridionali sono ancora più interessato, perché lì si aggiunge quel rancore, sfida, tensione, lotta, ecc. di cui lei parla e che io vorrei vedere fondato sul vivo di una presenza concreta e forte, di veri lavori, di supporti robusti e non sulle astrazioni e gli urli di nessun genere... Vi aspetto nei numeri successivi (se posso contribuire con qualche poca lira, me lo dica), per vedere una continuità (non obbligatoria) e una certezza della propria identità. Il resto è esperimento. Grazie e Auguri!
Gaetano Chiappini


Da Firenze (lettera datt.) 9.XII. 1983

Caro Verri,
da tempo volevo scriverle per ringraziarla del suo libro Il pane sotto la neve: letture e riletture, come di consueto, mi impediscono di scrivere subito, pena la ancora più esigua pochezza del giudizio di lettura. Certamente, il suo è un discorso in qualche modo sperimentale nella spirale dell'impasto linguistico o mistolinguistico, che è poi vizio pericoloso avallato da Contini; a me, per la verità, non sempre grato, perché la varietà interna della voce mi sembra non sempre consentire riposata lettura di sé e delle cose. Il fatto è che il suo scrivere in sussulto porta il segno della dira rabies meridionale-giovanile-finiseculare-novecentesca (con la quale mi conformo fino allo spasimo! ma spero sempre che la voce dei poeti mi porti qualche meditazione in sovrappiù ... ). Tolto questo velo sono interamente d'accordo con l'urgenza lacerante della sua poesia, attenta agli incanti più che ai brividi, sensibile agli echi di Vittorio amatissimo (anche da me!) e nell'ascolto dei miti ancestrali del castello e della madre... Come posso non esserle grato, visto che il cercare disperatamente mi coinvolge, e la illusione delle occasioni perdute (ma ci saranno poi state?) è anche la mia ansia di alibi non trascurati... Sono complice, quindi!
Mi scriva quando vuole, caro Amico: ogni voce del Sud del Sud ha diritto di attenzione da parte mia: dal Salento (e da tanto Sud) mi viene più affetto e solidarietà, in tante occasioni!
Anche a lei sono grato e le chiedo di perdonare i balbettii della mia scrittura (il cuore non è lontano, comunque!)
Gaetano Chiappini


EMILIO COCO


Da San Marco in Lamis (lettera ms.) 2.IX. 1985

Caro Antonio Verri,
ti ringrazio per il 2/3 del "Pensionante de' Saraceni" (il numero è difettoso, mancano una 20° di pagine, ed altre sono ripetute) e ti invio alcune traduzioni mie di poesie del poeta Josè Maria Bermejo, accompagnate da sue risposte a un mio questionario.
Se trovi interessante il materiale, puoi pubblicarlo su un prossimo numero della rivista.
Se non è possibile, ti prego di farmelo sapere, lo manderò a qualche altra rivista.
Ti accludo anche una poesia di E. Luis Espantado, tradotta da me, in settenari (inedita).
Aspetto tue notizie
un cordiale saluto
Emilio Coco
P.S. Se si pubblicherà, il titolo potrebbe essere: 12 domande a Josè Maria Bermejo.
Le poesie: Poetica, Fiore d'acqua, Sui gigli, Già sei in te lampo, sono inedite.

COSIMO L. COLAZZO


Da Trento (lettera ms.) 4.2.1987

Caro Antonio,
purtroppo questo fine-settimana non potremo vederci. Sono ammalato e non posso muovermi. A Trento alcuni amici si prendono cura di me. In compenso ho lavorato abbastanza e ho terminato di stendere in bella copia il tuo pezzo. In questo periodo sento di essere molto provato, dai viaggi, ma anche da difficoltà di altro genere, come quella di trovare un equilibrio nelle relazioni con persone a cui tengo più che a me stesso. E' difficile, per via del mio carattere instabile, ma anche per le persone per cui mi capita di esaltarmi. Vado a ricercarmi sempre le persone sbagliate.
Ho molti progetti di lavoro nella mente ma non riesco a darvi corso. Sento di dovere, come mi dice spesso Sciarrino, mettere su casa. Non mettere su famiglia, ma regolare la mia vita secondo cadenze costanti. Avere dei punti di riferimento per cui muoversi è necessario. Io ho tante idee per la testa, ma nessuna riesce ad avere una forza tale da attirare su di sé l'attenzione di tutte le mie energie. Quella di scindere la mia vita tra tanti luoghi e situazioni anche molto diverse tra loro è un'esigenza che non riesco a reprimere e che io razionalizzo dicendola utile per la mia vita, perché mi rende capace di agire in molti contesti. La verità è che vivere così nuoce al mio lavoro ed anche alla mia salute. Sono ammalato, ti dicevo, ma non di un comune raffreddore. Un medico m'ha detto che forse ho l'artrosi cervicale. Non ho mai sofferto come in questi giorni. Perciò ho deciso di prendere un po' di respiro. Quest'estate sarò a Lecce come non faccio da un po' di tempo e sogno di trascorrere le giornate, al mattino scrivendo, nel pomeriggio al mare. Il 12 dovrò essere a Lecce e mi fermerò fino al 17. Spero che il tuo lavoro proceda bene. La riduzione teatrale del tuo Galateo, ma anche l'incontro-scontro con il tuo "squalo". A proposito, volevo dirti che per me l'ansia ha l'aspetto di un animale di terra, proprio di un animale che vive tra la terra o sotto-terra.Un ragno, forse.
A presto, allora
Cosimo
N.B. La busta che accompagna questa lettera viene da Buenos Aires. Purtroppo non posso donartene neanche una, perché questo è l'unico esemplare di busta argentina che ho, per averla avuta in dono da un'amica che lì è stata.


Da Trento (lettera ms.) 19.5.1987

Caro Antonio,
ieri sera ti ho sentito un po' dispiaciuto per il fatto che non sono andato a trovare Conversano. Non ho potuto spiegarti per telefono, ma ti assicuro che è perché non' ne ho avuto davvero il tempo. Avrei potuto solo se avessi rinunciato alle prove con gli esecutori. Ma non me la sono sentita. Non che a poche ore dal concerto io abbia potuto migliorare la resa del mio pezzo (se mai fosse stato possibile, perché loro, gli esecutori, erano davvero bravissimi). Ma in questi casi, al di là di ogni ragionevolezza, si è legati a se stessi e alle proprie cose. Lucio sardi incazzato con me. E ne ha tutte le ragioni. Gli ho scritto spiegandogli tutto e chiedendogli di scusarmi. Io naturalmente sono un po' giù per l'esito del concorso. Comunque, l'unico pezzo che hanno premiato funzionava abbastanza, per cui non mi sento di dire che mi abbiano defraudato di qualcosa. Ho notato che le mie cose non hanno una presa immediata su chi le ascolta. Gli esecutori del mio pezzo mi dicevano in tutta sincerità che all'inizio lo avevano trovato un po' impenetrabile. Ma poi, ora, lo amano molto. E ti assicuro che lo hanno suonato con amore.
Purtroppo quest'aspetto della mia musica, il fatto, cioè, che sia intenzionalmente antiretorica (il pezzo che ha vinto era molto retorico, con grandi gesti sonori, effetti eclatanti, e a me non è piaciuto perché è lontano dalla mia poetica, e comunque era scritto bene) la rende poco amabile. La registrazione del pezzo dovrei averla se me la invia il compositore che ha vinto, che ha registrato tutto il concerto. L'organizzazione del concorso da questo punto di vista non ha fatto niente, e in genere è stata pessima.
Domenica prossima sarò a Lecce. Tieniti pronto per una cena la sera stessa di domenica. Ti telefonerò sabato da Avellino per confermartelo. Dillo naturalmente a Licia, a Paola, ai suoi bambini. Tu sarai un po' scettico perché io do buca agli appuntamenti, ma domenica non mancherò.
Ciao
Cosimo


Da Aldeno (lettera ms.) 24.12.1987

Caro Antonio,
buon Natale, anche se tardi, e Buon Anno a te e a Licia. Marina ti ringrazia per il tuo ennesimo pensiero e ha preparato per te la buona grappa che conosci. Non sono andato a sciare, spero nei prossimi giorni, se il tempo sarà propenso. Lavorare, poco. Il clima di qui è vacanziero e bisogna adeguarsi. Ho da scrivere un pezzo per pianoforte e vari strumenti per la fine di gennaio. Poco mi è chiaro in mente, sento solo, nettamente, che il pezzo, stavolta, sarà più "colorato" del solito, più energico.
Intanto lavoro sul Klavierstüycke di Stockhausen, dai quali mi pare di non poter prescindere, così pieni di invenzioni fantasiose. Ma ho qui con me un po' di tutto (venendo in macchina mi è stato facile): Tre Concerti di Prokosieff, il n. 2 di Chopin, il n. 3 di Bartok, tutto Beethoven, Rachmaninoff ed altro.
Tu sai che, anche se da poco, amo molto lavorare con le scritture degli altri. Il pezzo ricavato da Debussy per Noema, il pezzo di violino che ti ho mostrato ma che non hai sentito e di cui niente ti ho detto, che commistiona Berio e Sciarrino.
Da qualche giorno mi succede che la musica degli altri, in questo caso degli autori di cui sopra, mi fermenta dentro, gorgoglia e a volte vorrei scrivere di getto, lanciarmi nel vuoto, azzardare.
Provare. La mano incomincia a seguire la mente, e i sogni e le fantasie al loro ritmo?! Ah, le trasparenze ammiccanti, le scritture che si riflettono l'una nell'altra e sfrigolano reagendo tra loro e ti fanno sorridere o ti prendono allo stomaco! Se tutto questo riuscisse. Ci vuole rigore e fantasia, applicazione e voli e voglia di scherzare. E' difficile ma bello. Ciao e arrivederci a presto
Cosimo


Da Lecce (lettera datt.) 8 maggio 1988

Caro Antonio,
ti passo la Lettera a Luisa, che risale più o meno ad un anno fa, appena appena riveduta, e che tra l'altro avevo già dato a Sudpuglia. Eccola: "Il mio farlo è un suono delicato ma non etereo, che abbia - te l'ho già detto - la leggerezza impenetrabile e la incisività del granulo di sabbia.
Tu mi hai detto: "Ti ricordo Da quando vivo solo con me stesso, da laddove i tuoi ricordi si fermano, io amo questa phoné. La mia musica è secca. La mia musica è intenzionalmente secca, in ogni aspetto. Si organizza senza ridondanze, giusto con qualche scarto che stimoli l'attenzione o indirizzi la memoria, i miei suoni sono i timbri, forzati nel loro darsi 'comuni' ed 'inespressivi', le emissioni 'normali', le dinamiche fisse.
La mia scrittura è forse "repressa". Represso, forse....E' il suono acqueo dell'arpa alla fine di D'incanto - tu così hai intuito - è la nostalgia d'una libertà e d'una integrità non più ritrovabili. Represso - forse - ma se non mi faccio vincere dal segno, se ti scrivo che amo quel suono, che uso i segni per quel suono, sarò forse un perverso, un feticista,...ma la mia vita quotidiana, i segni, la mia musica fanno tutti insieme un tutt'uno. Essere d'avanguardia non ci interessa più. Ecco, il mio, il nostro mondo, quello di oggi è così: un po' perverso ma non scisso. Oggi noi tutti abbiamo una scarsa moralità, o meglio, una moralità elastica e sappiamo accettare, canalizzare le nostre debolezze, comunicare con e per le nostre debolezze.
Ma ti parlerò della mia musica.
Vorrei fartela ascoltare più che parlartene. Parlarti di me, delle mie ossessioni forse, per me, già basta. L'arte è soprattutto oggettivazione, è vero. Ma questo è un problema del compositore al momento del comporre: saper oggettivare le proprie nevrosi. Scriverti del mio tentativo, ti giuro, mi pesa. E' come se componendo la mia musica le mie energie, chiamiamole così, formalizzanti si dissolvano senza residui in essa. Ti posso dire che ora mi interessa lavorare con le scritture degli altri. D'incanto per arpa non organizza una trama di suoni da connotare attraverso la realizzazione in un decorso formale, ma materiali giù di per sé fortemente connotati (la musica "afro" in una scrittura ritmica essenziale, la musica della TV con il suo mai logoro INTERVALLO, e poi la musica classica ), stili, allora, da mettere in relazione tra loro, non decorativamente ma secondo regole formali-musicali-comunicative precise: una trama di forme, di stili.
Ho appena terminato Voilese englouties par Ondine (da Debussy) per pianoforte, una scommessa, un gioco per cui frullo tre Preludes di Debussy e il suo suono acqueo.
In D'incanto l'acqua è la dimensione preculturale (data nella veste culturale più idonea, il suono acqueo di Debussy, il primitivismo di Sacre, lo sciabordio dell'arpa) a cui si giunge dopo mille suggestioni culturali (la musica "afro", la musica della TV ), uno dei due termini del percorso macro-formale. Tu interpreti: dal cosciente al sub-cosciente, dal reale al surreale; e sia. Ora: l'acqua in Voiles...è sì il preculturale, il prenatale, ma averla trattata così, come un qualunque altro materiale da comporre, senza trovarlo particolarmente sensuale, mi ha permesso di prosciugare il suono acqueo di Debussy. Almeno per me è cosa fatta: Debussy è ossificato. E forse con lui ho un po' prosciugato me stesso".
Cosimo Leonardo Colazzo
[In progress lo splendido itinerario culturale di Cosimo L. Colazzo. Anni di collaborazione con Sciarrino. Altre esperienze. Nell'estate '88 in Francia (con Boulez), in Germania, in Unghería]


Da Villeneuve les Avignon (lettera ms.) 6.7.1988

Caro Antonio,
due giorni fa l'atteso incontro con Boulez, carino, disponibile al sorriso, affabile. Intanto sono iniziati gli altri corsi, lui inizierà il suo di direzione giovedì, e oggi ha semplicemente aperto la manifestazione. Che manifestazione! In Europa non c'è sicuramente un corrispettivo dopo che Darmstadt si è un po' ripiegata su se stessa.
C'è l'Ircam al completo, poi i corsi di informatica, mentre Nattez, un semiologo, forse il più accreditato oggi, canadese viso pulito aperto sereno, ha iniziato i corsi di analisi.
Sto seguendoli entrambi, pur avendo difficoltà con la lingua. Qui tutto è bello. Siamo ospiti di una certosa bellissima, immersa nel verde, ma nella città, sovrastata da un castello. L'organizzazione è semplicemente perfetta. Giovedì mi toccherà dirigere. Spero bene anche se ho lavorato poco. Non per pigrizia, ma il tempo da quando ho saputo che ero stato ammesso ad oggi è stato davvero poco, per preparare dei pezzi difficilissimi. Ho lavorato comunque con calma e questo mi dà fiducia.
C'è poi un'altra considerazione. La musica di Boulez, al di là d'ogni apparenza, è fatta di dualismi fluidificanti, per cui la disposizione ideale per interpretarla è quella d'una consapevolezza continuamente divergente. Ma la mia rischia di essere semplicemente una scarsa consapevolezza! Vedremo comunque, ti dirò cosa mi dirà Boulez!
Alloggio con un amico pianista di Roma, una persona gradevole e colta, in un bellissimo albergo, ma non costoso, tenuto con un gusto incredibile, lontano da tutto, a dieci chilometri da qui. Di italiani corsisti pochissimi in mezzo a gente che viene davvero da ogni parte del mondo. Scusa per la carta di riporto ma non ne avevo altra. Per andare in Ungheria passerò per l'Italia. Potrei dare un passaggio a Maurizio. Per ora non so quando partirò, ma te lo farò sapere.
Cosimo


Da Darmstadt (lettera ms.) 6.8.1988

Caro Antonio,
ti scrivo da una casa stupenda in cui fortuna vuole che momentaneamente abiti. E' una splendida mansarda arredata con gusto, senza indulgere a particolari languori, da cui si dominano i boschi di Darmstadt. Possiede un giardino pensile che la rende ancora più accogliente. Insomma, sono nelle migliori (?!) condizioni per studiare.
I mitici Ferienkurse sono una vera delusione. Pensare che qui è fiorita l'avanguardia degli anni '60! Ed infatti oggi si sprecano le immagini con Nono, Stockhausen, Berio, che chiacchierano distesi sul prato antistante la scuola. Ma oggi? Oggi quelle immagini sono davvero storia e oleografia. Non riesco a capire come vi convenga tanta gente da ogni parte del mondo. Io vi sono andato spinto dalla curiosità, ma c'è gente che viene da anni.
Qui platealmente si sperimenta e si pratica il compromesso. Tutto ruota intorno a Ferneybough, il grande manovratore! Già, perché non è che qui si fa il punto su esperienze nodali della ricerca musicale a livello compositivo, semplicemente si ha l'occasione di veder eseguiti da esecutori di più o meno buon livello, in spazi più o meno importanti ed idonei, i propri pezzi.
il fatto è che non so sinceramente trovare una buona ragione per essere qui. I seminari e le conferenze sono noiosissime. Sono stati invitati i musicisti e i compositori dell'Università di San Diego (dove insegna anche Ferneybough!) i quali o fanno performances o musica vile. Mi godo questa casa, guarda, senza piangere molto su tutto quello che ti ho detto. Noi, insieme con Marina (c'è anche lei qui, più contrariata di tutti perché trova la mensa immonda), al lago a fare il bagno. Vedessi i tedeschi: quasi tutti praticano il nudo integrale. Glisso su questo tema per raccontarti della Francia, perché il mio soggiorno avignonese del mese scorso è avvenuto in un'altra splendida casa-albergo in piena campagna, all'insegna anche qui del naturismo, praticato in piscina.
Boulez, già, vorrai sapere di lui. E' una persona capace di essere simpatica. Poter studiare con lui è stato emozionante. La TV era sempre presente, sembrava che il tutto fosse stato organizzato in funzione del richiamo che l'intero impianto poteva esercitare su di un pubblico il più indifferenziato possibile, richiamo verso Boulez, verso chi ha organizzato tutto, verso la francesità mai come qui emergente. Quanto sarebbe stato diverso il successivo soggiorno in Ungheria! Qui si agisce in funzione di ciò in cui veramente si crede e che appassiona. Splendidi musicisti, da cui ho imparato molto. Troppe durezze, forse, troppa drammatizzazione, troppa concentrazione. E io, oggi più che mai, ho bisogno di diluirmi.
Tra qualche giorno qui a Darmstadt mi eseguiranno un pezzo, Dune. Poi dovrò suonare insieme con Marina un pezzo di un compositore romano per pianoforte a quattro mani. Pensa, gli italiani sono la colonia di compositori che vanta più presenze, tanto che verrà realizzata una giornata italiana, nella quale ha trovato posto, appunto, il mio pezzo.
Sto pensando che Oslo non è lontana. Mi sta venendo il trip del viaggio. Alla fine del mese verrò a trovarti. Ciao
Cosimo

SALVATORE COLAZZO

Da Pescara (lettera datt.) 1 luglio 1988

Caro Antonio,
pensavo di trovare su questo numero di "Sudpuglia" il mio saggio sul Doctor Faustus di Th. Mann. Puoi cortesemente informarti quando il direttore intende farlo uscire? Se Aldo Bello non ti sembra entusiasta del saggio fammelo sapere perché ho l'opportunità di farlo pubblicare altrove.
Io, caro Antonio, ci tenevo che uscisse su "Sudpuglia" perché è una rivista letta anche qui. Mi trovo nel paradosso di essere praticamente tagliato fuori dalla cultura salentina perché costantemente inserito nel dibattito nazionale. Essendo la salentina una cultura molto provinciale, se non pubblichi su riviste locali, ritiene di poterti totalmente ignorare. E questo per me è un cruccio.
Ma è pur vero che quando comincia ad accorgersi che esisti è talmente miope che non riesce ad esprimere alcun giudizio di valore. Ed allora corri il pericolo di essere accostato a quelle centinaia di scalzacani che imbrattano inutilmente carta che meriterebbe di rimanere vergine.
Tempo addietro (sarà passato ormai qualche mese) leggevo su "Quotidiano" una riflessione di Bonea sul ribollire di iniziative editoriali nel Salento. Riviste per valore assai differente erano messe sul medesimo piano.
Tutto bene, tutto OK. No, non condivido questo "populismo" critico. E' la maniera per affossare le uniche iniziative meritevoli di sopravvivere.
Hai mai assistito ai lunedì letterari di Manni al "Gatto rosso" di Melpignano? Lì vi troverai condensato quello che dico. Anche chi scrive un tema decente, purché salentino, è uno scrittore (mi riferisco al lunedì che ha visto protagonista la "scrittrice" Mancarella, gli altri li ho disertati).
La salentinite è una gran brutta malattia. Di essa patiscono molte istituzioni nostre. Il germe, non ti spiaccia, mi è parso anche di scorgerlo - non lo faccio per stroncare il tuo entusiasmo - nella neocostituita sezione locale del Sindacato Nazionale Scrittori. Quanta inutile pretenziosità vi alberga. E poi partorirà un topolino...
Comunque, aspettiamo e stiamo a vedere.
Ma, lasciamo da parte queste considerazioni, perché volevo parlarti di quello che sto facendo adesso.
Comincia a concretizzarsi un mio progetto vecchio ormai di un anno.
Tu sai del mio entusiasmo per la videoscrittura. E' da un paio d'anni che non scrivo una sola parola a penna.
Ho intenzione ora di produrre qualcosa che sia perfettamente adeguato al mezzo.
Il computer è diventato una sorta di estensione della mia memoria, perché nella sua "mente" si trova tutto ciò che io in questi due anni ho scritto: articoli, saggi, interventi, interviste, appunti, schede di lettura, lettere, libere divagazioni, riflessioni autobiografiche... Quanto più si scrive tanto più rischia di rimanere qualcosa sepolto nella memoria del computer: qualcosa che tu hai scritto, ma hai dimenticato di avere scritto. Ogni volta che mi accingo a comporre qualcosa di nuovo lo faccio rimettendo in gioco quello che ho; qualcosa di quello che ho. E' così che sono nati ad esempio i saggi che ora sto raccogliendo in volume sotto il titolo de La musica negata (li pubblicherà Capone). Ogni saggio è la rielaborazione del precedente. Contiene qualcosa del precedente. Del computer mi piace soprattutto la funzione del "taglia e incolla". Entri in un tuo precedente scritto, o nello scritto di qualcun altro, prelevi la frase che ti interessa e la incolli ad un'altra frase. Niente come il computer ti dà il gusto feticistico, di cui diceva Barthes, di una scrittura "ritagliata". Il discorso diventa un processo catalitico e l'ispirazione vecchio-tipo se ne va a farsi benedire. Lo scrivere diventa un processo molto più oggettivo. Ebbene, io ora voglio estendere la tecnica di scrittura che ho sperimentato quest'anno con i saggi di cui ti dicevo. Voglio mettere in gioco tutti i materiali che ho depositati nel mio computer. Ho pensato ad una struttura che renda compatibili i differenti elementi a disposizione: dalla frase che puoi estrarre dalla pagina di diario alla frase che puoi invece estrarre dallo scritto critico. Sardi quindi un qualcosa che finirà per unire la riflessione teorica con l'esperienza esistenziale (si tratta comunque - chiarisco - di una esperienza esistenziale già divenuta parola, cioè molto mediata e carica di elementi oggettivanti).
Comunque, di questo ti parlerò più ampiamente quando passerò alla realizzazione pratica del progetto, quando potrò farti leggere qualche pagina del mio lavoro.
Un caro saluto, tuo affezionatissimo
Salvatore Colazzo


Da Cursi (lettera datt.) 7 luglio 1988

Caro Antonio,
rientrato qui, a Cursi, trovo il tuo breve messaggio a risposta della lettera che ti inviai il 1 luglio scorso. Tra le altre cose mi chiedi di parlarti un po' più diffusamente di questo lavoro che ho in mente. Ti incuriosisce - mi dici - il rapido riferimento a Barthes ed il mio bisogno di una scrittura "oggettiva". D'accordo, cercherò di chiarirti quello che intendo fare. Partiamo da Barthes. Non so se a torto o a ragione, ma a me Barthes piace tantissimo. L'ho conosciuto leggendo la voce Ascolto da lui scritta assieme ad Haves per
l'Enciclopedia Einaudi; poi La grana della voce, quindi il resto il lavoro che ho in mente di scrivere vorrei che si configurasse come una sorta di "omaggio a Barthes". Avrei anche pensato al titolo: "Anamorfosi".
Omaggio a Barthes sotto numerosi aspetti. Innanzi tutto a Barthes uomo, ovverosia all'immagine che di Barthes mediante i suoi scritti e gli altrui che lo riguardano mi sono fatto. Se avessi avuto la ventura di conoscerlo di persona credo che lo avrei amato. E poi al pensatore, col quale sento numerose affinità: mi piace soprattutto il modo in cui riesce a far slittare le immagini, i concetti, il senso delle parole, quel suo sotterraneo ed in fondo ambiguo lavoro con le frasi. Omaggiare Barthes è allora anche usare Barthes, impadronirsi della sua lingua, lavorare le sue frasi, lavorare con le sue frasi per dire sé (o l'"immaginario", nel senso in cui Lacan ha usato questa parola, ossia quella condizione del soggetto, per cui questi aderisce ad un'immagine, in un movimento di identificazione). Ed ancora: usare le parole degli altri, parlare con la voce di altri, oppure trattare le proprie frasi come se fossero di altri. Ed in tal modo rendere l'idea di quanto il discorso che dice "io" sia in effetti "montato".
La scrittura come omaggio. L'amico Pietro Antonaci - te lo farò conoscere: una sensibilità inconsueta ed una bella intelligenza - inviandomi alcune sue poesie, così me le porgeva: "La loro unica ragione di essere è morta col tempo della loro composizione. La loro forza interna è etica, ma la parola, che è la loro forma, è il limite supremo di quella volontà etica. Perciò essi riprendono il loro senso solo come omaggio. E' l'omaggio la loro luce. Caro Salvatore, tienili tu soltanto, poiché essi non possono nutrire indiscriminatamente. Non sono dei miei migliori e ho intenzione di progredire in futuro". Così si pensa quando si sente la scrittura come omaggio. Anamorfosi è il titolo d'una pagina d'album di Salvatore Sciarrino apparsa qualche tempo addietro sulla rivista "Piano Time". Gioco di illusione ottica, l'anamorfosi è fondamentalmente una operazione di "mascheramento", di "nascondimento". Ma anche di deformazione dei concetti, nel senso in cui usa tale parola Barthes (cfr. pag. 271 de La grana della voce, Einaudi, 1980). O per dirla col sottotitolo d'un meraviglioso saggio di Bortolotto: "in specchio ed in enigma".
Quello che voglio che alla fine risulti chiaro è che io non ho affatto intenzione di compiere una operazione provocatoria. Il mio vuole essere un esercizio di scrittura in fondo innocente, e non mi interessa se si configurerà come un prodotto smaccatamente "non finito", se qualcuno lo considererò privo di "stile". Chissà se troverò qualche critico disposto a definire come "narrativo" il mio racconto.
Sai, Antonio, io, sin da quand'ero molto giovane, ero affascinato - ancor più di oggi - dalla letteratura. Ho amato, ammirato, apprezzato e letto tanti autori. Ho sempre desiderato scrivere un romanzo, una novella, un racconto. Ma nonostante ciò questo mio desiderio è rimasto inespresso. Sì ho scritto, ma da "saggista". E - si sa - si è saggisti perché si è cerebrali. La mia attitudine critica ha sempre prevalso sulla dimensione fantastica, l'ha in qualche modo fatta svaporare al suo nascere, ricompresa in delle cristallizzazioni concettuali. E perciò ne ho sofferto.
Una volta ti feci leggere alcuni miei componimenti poetici e tu, Antonio, dicesti: "troppo poco poetici; poche immagini; intellettualistici!".
Ricordo d'aver preso consapevolezza di questa mia incapacità in "analisi": la mia analista ha cominciato a dirmi della mia tendenza a permanere in un ambito "metalinguistico" più che "linguistico", a in qualche modo rimproverarmi di non offrirle mai una realtà inconscia, ma già delle interpretazioni strutturate. In me la sensazione che questo fosse un discorso senza senso, perché avevo l'impressione che questo inconscio di cui lei parlava fosse consustanziale al mio dire e quindi realmente inapprendibile. Sicché - ricordo - lentamente il nostro rapporto terapeutico si trasformò in un intenso rapporto intellettuale: dal lettino alla scrivania. E' molto strano - a pensarci - il mio rapporto con la psicoanalisi. Ho maturato, nei suoi confronti, una sorta di odio/amore. Nonostante tutto oggi io trovo avvincente la lettura simbolica o parapsicoanalitica. Ma non so se permetterei a qualcuno di dare di me una lettura psicoanalitica...
Anche Cosimo mi ha sempre rimproverato questo mio atteggiamento critico, riflessivo. E lui che è un compositore, un musicista, che pensa con i suoni, non ha mai tollerato questo linguaggio di secondo grado. Mi ha accusato di parassitismo e di colonialismo, si è sempre sentito "fottere" da questa mia attitudine e per questo - non ridere - qualche volta siamo arrivati persino alle mani, abbiamo espresso eclatantemente e manifestatamente questa differenza.
E dei perché ciò sia potuto succedere penso m'abbia data qualche buona ragione ancora una volta Pietro Antonaci - quant'affetto e quanta ammirazione nutro per lui! -, quando avendo letto un mio lavoro (ce lo hai anche tu: si tratta del saggio pubblicato su "Eunomio") m'ha scritto: "L'idea su cui poggia il tuo saggio mi sembra l'unica che oggi possa avanzare legittimamente il diritto di validità metodica intorno a una discussione ancora seria sull'arte. Un lavoro critico serio si distingue in base al grado di pregnanza con cui un'idea agisce su ogni elemento verbale dello scritto e sulla molteplicità del materiale filologico. Ma è dal punto di vista della composizione e della vita del compositore che le cose cambiano. In questo senso è mia piena convinzione che ogni linguaggio subisca una logica diversa dall'altro e che perciò, quindi, alla critica è precluso in partenza l'accesso nell'opera. Nei suoi momenti migliori la critica è un'opera d'arte a sé. Ma essa tende una mano a una logica diversa dalla sua e s'incontra nella vita del critico. Ma la vita è il punto in cui il senso di ogni logica si estingue. La Musa della critica non è la stessa dell'opera. Il punto di partenza di uno stato compositivo non si amalgama con il risultato teorico di un'analisi di storia dei problemi. Tali risultati hanno un valore principale solo entro la logica della critica. Ma entro la logica dell'arte quelle categorie non decidono nulla laddove le categorie della critica giungono a maturazione a partire dall'esistenza di opere e di interpretazioni e dunque a partire da fatti storici che si distendono nel tempo storico, le condizioni che hanno deciso dell'opera non conoscono il tempo storico, ma sono fecondate solo dal tempo individuale. I tempi di maturazione di un'idea possono essere forzati, dall'artista, col concetto solo a prezzo di vanificare l'azione artistica di quella maturazione su di lui. La stessa cosa cresce ma su terreni diversi. E l'eco che attraversa i due ambiti è comune nella misura in cui non parla un linguaggio.
Al contrario, l'estensione di categorie, maturate sul terreno dell'analisi della storia dei problemi, al progetto compositivo, capovolge l'arte nella mistica religiosa, nel rituale, in cui, nel nostro caso, il silenzio dell'umano, posto alla base del progetto, non sarà mai perso di vista nella sua forma invariata, poiché tale deve essere la forma per avere fecondità filosofica.
La validità del tuo lavoro sta nel fatto che in esso un'idea vitale non è mai perduta di vista e questo in un senso che solo la pregnanza che si avverte alla lettura può rendere, ma mi sembra di cogliere anche punti in cui la pregnanza corrode il suo stesso linguaggio e sconfina verso un qualcosa che sta a cuore. Un ideale più bello per un critico non c'è.
Ma quell'idea è critica in una maniera pericolosa per il compositore. In quanto giustamente non lascia spazio a punti di fuga, e divieto assoluto, la sua semplice trasposizione sul piano della composizione sarebbe letale. La critica non può fornire una prassi per l'arte. La stessa idea, nell'arte e nella critica, proviene da direzioni diverse e si incontra nella loro dissoluzione. Il fraintendimento di prospettive riguardo quell'idea trascinerebbe il compositore sotto una legge la cui universalità e il rispetto sarebbero legittimi solo nell'ambito dell'etico".
Io in fondo mi ritengo un "bricoleur": sì scrivo perché mi piace, ma quel che mi piace della scrittura in fondo è il riporto, il taglio/incollo, la citazione, il plagio. Per me scrivere è stato sempre un leggere ed un riscrivere; anzi un leggere per scrivere. Ed anche questo benedetto racconto di cui stiamo parlando è in fondo un "bricolage", perché in esso alla metafora, al segno che significa un altro segno, perché in qualche modo e per qualche ragione gli somiglia, sostituendovisi, è preferita la metonimia, accostamento di segni, dalla cui contiguità, dal cui contagio, potrebbe persino dirsi, scaturisce il senso. E' una sorta di catalisi, trattandosi di una operazione di prolungamento - nel discorso, nel sintagma - d'un segno con un altro segno. Il contatto crea l'affinità e genera insospettatamente il significato. E così noi, guidati dall'intuito, che porta a costruire insolite alchimie di parole, di frasi, di testi, ci disponiamo ad imparare dalla nostra scrittura.
Propriamente scrivere è com-porre. Com-porre, cioè montare le lessie, i commenti delle lessie, le disgressioni è, in qualche misura, predisporsi al caso, farsi fecondare dal caso. Ma è chiaro che si tratta di una felice occasione, molto voluta, molto pensata: spiata in qualche modo.
Mi rendo sempre più conto che per me la scrittura ormai è solo questo. Anche quando essa si presenta come autobiografica, anche quando essa si carica dell'intenzione di manifestare qualche brandello coscienziale. Anche allora si presenta ricca di citazioni e di riporti.
Ad esempio in Anamorfosi riporterà ampie citazioni di lettere che avevo scritto per una ragazza di cui forse sono follemente innamorato, lettere a loro volta piene al loro interno di rimandi, di citazioni e di plagi, e che volevano comunque presentarsi come massimamente sincere, scritte per decifrare i termini d'un rapporto che si presentava realmente difficile. Lettere massimamente riflessive e serie; ma al loro fondo scrittura, anzi... ricomprese in Anamorfosi troveranno la loro giusta dimensione...
Corto circuito d'una scrittura che si pensa avulsa dalla vita, ma è ad essa connessa tanto da svolgervi una funzione terapeutica, o paradosso d'una vita pensata in funzione della scrittura?
Vedi qui bisognerebbe invocare la psicoanalisi quale chiave di lettura d'una contraddizione così
problematica.
Non mi sento di azzardare una risposta; è questo un "nodo" d'un problema, ma io non ho gli strumenti per togliere questo nodo.
Il paradosso è che si tratta di lettere che la destinataria ha ricevuto solo parzialmente, qualche brandello.
"Imbalsamiamo la nostra parola per renderla eterna"...
Qualcuno ha detto che "il nostro parlato è immediatamente teatrale", nel senso che "è sempre tattico", ma anche innocente, perché si muove secondo una tattica "percepibile a chi sa ascoltare". C'è il corpo; ma sempre mascherato. Quindi non ti meraviglierai se ora io, Antonio, ti dirà che lo scrivere è forse un gratuito esercizio destinato ad esaurirsi in sé e nella traccia che di sé lascia, alimentato da un'improvvisa quanto insperata disponibilità di libido. Un puro gioco di significanti, un messaggio per nessuno, che pertanto diventa un messaggio per tutti (cioè per il lettore). Un discorrere in superficie, che poi ha, paradossalmente, come riscontro l'arrivare alla meta a pezzi... o a due a due (cioè a dire il proprio coinvolgimento e/o quello altrui).
Non so se sia mai possibile che la scrittura - penso ai surrealisti - possa qualificarsi come una sorta di macchina di non gestione delle contraddizioni, un'espressione "non selettiva" d'un io alla deriva. Io penso alla scrittura come ad un qualcosa di oggettivo che decentra l'io in quanto in qualche modo lo scrive.
La scrittura scrive il soggetto. Essa, pur potendo essere in rapporto col soggetto, sono convinto che non per questo è "vera". In questo racconto così cerebrale che sarà Anamorfosi cercherò - non so se vi riuscirò - di spiazzare per quanto possibile il soggetto, di non permettergli una identificazione definitiva... Non so se ciò coincida con un senso di liberazione o se invece ingeneri un senso di angoscia profonda (di mancata adesione alle cose). Beh, io penso che in questo gioco di spiazzamento il soggetto trovi dei punti di attrito, si rapprende su qualcosa e tanto basta perché il suo senso d'angoscia sia continuamente eluso... Il soggetto non può essere un non-luogo; può al limite essere ubiquo; ma in qualche luogo deve pur starci. Può porsi delle domande, che debbono avere per lui un senso. Bando alle certezze, ma anche bando alla morte, la cui coscienza tutti i simboli ed umani sensi governa. Come pensare di non essere coinvolti in qualcosa?
Ecco allora il senso che ha l'elemento autobiografico, la descrizione del coinvolgimento procurato all'io narrante da una donna.
Egli la conosce in una città piuttosto lontana da quella della sua abituale residenza e questo dà sin da subito uno strano tono al rapporto. Una città in cui si reca con una certa regolarità per motivi connessi al suo lavoro e che ama particolarmente perché gli sembra abbia una luce particolare e soprattutto un'aria acre, che è goduria per le sue narici; ma anche perché lì ha il tempo di fare delle lunghe passeggiate, con passo lento, fra una folla frenetica ed anonima, a cui è nessuno, e non pensare fino allo stupimento, fino a che i pensieri diventano sbrindellati ed eterei vapori. L'essere lontani comporta che il loro rapporto si consumi soprattutto per telefono, uno strumento stupendo per un lato, ma che riducendo il corpo alla sola voce è capace di indurre, a causa della sua astrattezza, una coazione a ripetere, alimentata dalla insoddisfazione che la parola senza gesto, senza occhi, senza bocca e senza mani causa. Col telefono si può al massimo dare un indizio della propria esistenza, ma qualsiasi cosa si dice attraverso esso sa così inutile... eppure l'usarlo può divenire nevrotico bisogno...
Ma non si tratta di un rapporto normale perché e l'uno e l'altra hanno deciso che esso non debba essere un qualcosa di normale. Essi hanno bisogno di sentire aleggiare attorno a loro il silenzio, il mistero, diventa una occasione per commisurarsi con l'alterità. E quando decidono di voler rientrare nell'ordine normale dell'esistenza scoprono che è divenuto impossibile: ormai sono condannati ad essere sospesi nell'"irrealtà', e non cessano di meravigliarsi che gli altri vivano conficcati nell'ordine normale dell'esistenza. Ad un certo punto l'io narrante dirà rivolgendosi a lei: "A me sembra un grande mistero come gli altri possano esistere; eppure essi esistono e sono reali e noi ci nutriamo di nulla, siamo nulla. Per uno che cessi di esistere -e cessa di esistere dal momento in cui ha deciso di amarti - non può non meravigliarsi di come gli altri stiano con i piedi per terra su questo mondo. Stando con te la realtà per me è diventata sempre più rarefatta e più non ho trovato risposta alle mie domande, che si sono moltiplicate. E tu mi hai insegnato che l'irrealtà nostro patrimonio era pari pari la nostra realtà; con te sono diventato capace di pensare la realtà pervasa di silenzio; ed il silenzio non è un'altra cosa dal suono, ma è il suono stesso, la condizione della sua pensabilità. Per non avvertire questo silenzio che è il suono bisognerebbe avere la possibilità di percepire un suono e non nel suono il silenzio. Bisognerebbe non aver mai cominciato questo rapporto irreale che è il nostro rapporto".
Ecco, vedi?, Anamorfosi è iniziata: l'inizio ce lo hai sotto gli occhi; coincide esattamente con questa lettera. Spera che non per questo ti sentirai "ingannato", caro Antonio. Accetta ch'io ti saluti caramente e t'abbracci.
Salvatore


LUCIO CONVERSANO

Da Strevi (lettera ms.) 5 ottobre 1986

Carissimo Antonio,
sono felice, distrutto e affamato. Sono al verde totale, stanco e felice. Mi sembra di aver toccato il fondo, invece il fondo è sempre più fondo. Sono stanco distrutto e affamato. Sono a Strevi. Sono in una mansarda senza illuminazione. Sono quasi al buio ma posso scriverti alla luce di queste candele. Adesso abito a Strevi. A Strevi hanno quasi tutti un brutto carattere.
Strevi si trova a cinque minuti di treno da Acqui Terme e a mezz'ora abbondante da Alessandria. Stanotte ho dormito poco. A Strevi sono quasi tutti intrattabili, ma c'è della gente gentile. La mia Mansarda mi è costata tutto quello che avevo addosso, e per vedere "verde" dovrò aspettare la fine di ottobre.
In questa mansarda completamente vuota o quasi, c'è un lavandino con l'acqua corr. ed una brandina senza materasso. Stanotte ho dormito sulla brandina senza materasso chiesta come per elemosina ad una vecchia Signora. Non ho soldi per comprare il materasso. Non ho soldi neanche per mangiare. Mangio frise e insalata (non ho toccato ancora il fondo). Domani comprerò il materasso facendo un prestito. Dopodomani prenderò un po' di soldi, quello che mi è rimasto della banca di Valenza (spero siano una Sessanta Settantamila) (le ho già prese ieri, erano 40.000), così potrò durare fino al 15 o 20 ott.
Riusciresti a farmi pervenire entro il 15 o 20 max. ottobre 1. 100.000? Caro Antonio, fai di tutto. Per forza di cose sono costretto a chiedere dei soldi anche ai miei. SONO TUTTI IN BOLLETTA.
Ti scrivo il mio indirizzo, ma tu i soldi spediscili, mandali alla posta, non so il procedimento, vedi tu. Io, anche se con qualche difficoltà, sto lavorando sui disegni di Laporta.
Va be' ora ti saluto, tuo
Lucio Conversano
P.S. Appena riuscirò a metterci dentro un cucinino e un altro letto potrai anche venire a trovarmi. In fondo Strevi è un paesino tranquillo e molto bello e la mia mansarda non è niente male, ed è abbastanza grande e luminosa. Appena la renderò accogliente potresti venire a lavorare con la massima tranquillità. Se vuoi vieni entro questo mese, ma prima aspetta la mia telefonata di conferma. Ancora ciao.


Da Strevi (lettera ms.) (19 febbraio 1987)

Caro Betisso;
mai, sul serio, mai incasinato come in questo periodo. Solo oggi 19 febbraio 87 ricevo il tanto atteso "CORRIERE INTERN." e la trepidazione dell'attesa ha reso più orgasmante questo momento felice. Già il 10 febbraio ti scrivevo una lunga lettera in risposta alla tua datata 2-2-'87 che non riuscendo a spedire per ovvii motivi dovuti tra l'altro a sana pigrizia, ho ancora qui davanti in tutto il suo squallore anacronistico. In altre parole dicevo di avere un gran da fare con la mia scuola maledetta e con i miei cari bambocci che sembrano saltati fuori da libri come "Gianburrasca" e simili.
Ma parliamo di noi, di te, della Betissa? Avrei voluto già d'ora spedirti qualche (fantastico) disegno, ma NIENTE BETISSE: sono studi di maschere, ma a te non possono interessare per il momento. Ora devo assolutamente cercare di arrivare in tempo alla 1° prova dei concorsi (a Bari il primo, a Bologna il secondo). Arriverò ad ambedue senza fiato, da emerito sprovveduto e senza sufficiente preparazione come al solito, e poi piangerò a dirotto per non essere riuscito a superarne nemmeno uno.
La vita è quello che trovi sotto la neve, ed io ho trovato: una carcassa di topo, una carcassa di uccello, un germoglio, torsoli di mele e bucce d'arance, altri germogli bianchicci, 1/2 pacchetto di sigarette fradice...
La neve sa, è come gli squali, un niente e si propaga, un altro niente e scompare. Oggi ancora una nevicata. Fresca, soffice, bianca ha ricoperto ogni cosa. In questo periodo mi va il Grignolino.
A presto
Lucio Conversano


Da Strevi (lettera ms.) 27 marzo 1987

Carissimo Verri,
oggi sono andato ad Alessandria per fotografare decentemente i miei disegni fatti per il tuo capolavoro letterario. Mi è capitato di farli vedere a tre quattro persone (un collega, un gallerista, un paio di curiosi perfetti sconosciuti) e sono rimasti letteralmente allucinati con sguardo ebete e senza parole. Mi sono reso conto anch'io che sono scioccanti, e spero che lo siano in senso buono anche per te, per il tuo editore (che spero non sia bigotto) e per il tuo tipografo (non sarà, spero, come Scorrano Junior, dopo tutto questo sperare da parte mia, aggiungo che i disegni aumentano di numero, e che già comincio a scartare i primi che ho fatto, che ritengo troppo descrittivi. Oggi, stasera, ne ho fatto uno dopo cena in una trattoria di Cassine, ed un altro in una desertissima stazioncina, aspettando l'ultimo treno per Strevi. L'ultimo è sempre quello che mi piace di più. Ma i disegni parleranno.
Dovranno essere stampati in offset, perfettamente, non so se sopporteranno la riduzione di dimensioni. Sia chiaro, se c'è qualche problema tecnico o pratico, ho già pronti quattro o cinque disegni, molto facili da stampare, e molto poetici, privi però della DRAMMATICITA' della quale ritengo siano carichi questi che ti spedisco. Mi raccomando di non rovinarmi gli originali, anche perché non li ho fotocopiati tutti, inoltre quelli fotocopiati non rendono molto. Voglio risposta immediata, ma ti chiamerò al telefono, e poi naturalmente mi farò rimborsare da te (che potresti anche degnarti di mandarmi qualche bigliettone). Al più presto riprenderò a lavorare l'acrilico su tavola. Per ora ti saluto. A presto tuo
Lucio Conversano


Da Strevi (lettera ms.) lunedì 11 maggio 1987

Carissimo Antonio,
oggi non sono molto in forma, sono nel caos più totale. Ho scritto qualcosa, ma non riesco a non essere contraddittorio. Le idee ce l'ho chiare, ma sono esse stesse già contrastanti (come al solito, aggiungerei). Non ho più niente da dipingere, da imbrattare. Mi si è rotta una specchiera (porta male) e nella sua ossatura in panforte ci ho dipinto. Ho dipinto anche un piatto (ne ho a sufficienza), e poi un paio di barattoli. Stavo per dipingere il mio frigo, ma poi ho pensato che non posso permettermi di sprecare il colore così, su un lavoro che non potrò portare alla mostra. (Sono stanco, ma non abbastanza da prendere sonno, eppure dovrò andare a dormire perché domani ho lezione e devo essere in forma). Vedi un po' se quello che ti ho scritto ti può essere utile e se riesci a decifrare. Carissimo, per ora ti lascio. Aspetto tue notizie.
Lucio
P.S. C'è un appunto sul Manierismo del '500, poi ci sono dei "pensieri", infine, se riesci, dai una lettura superficiale al resto in 1° stesura, ma non tenerne conto. Ciao.


Da Strevi (lettera ms.) 21 settembre 1987

Carissimo Antonio,
oggi ho ricevuto la tua lettera con molto piacere. Navigo in cattive acque, tra decisioni che sento decisive riguardo il mio lavoro nella scuola e la mia permanenza qui, in provincia di Alessandria. Decisamente sono sfortunato! Non mi riconfermano per quest'anno per una serie di condizioni a me sfavorevoli. Proverò nella scuola privata, ma è un ripiego, tanto per temporeggiare. Ho paura di trovarmi nuovamente nella condizione di disoccupato dopo aver investito due anni della mia vita (al sacrificio) tutto dedicato alla scuola. Ancora una volta mi sento uno sfruttato e un idiota ad aver fatto il mio lavoro di insegnante con tanta dedizione e spreco di energie. Ma, ritornando a noi, ti dico che di stelle ne ho create; con una bacchetta pesante come una clava e per niente magica, sto riempiendo un firmamento di stelle quadrate, bipropulsive, vortice, stelle mannare, superstelle, ecc. Stelle che nascono da Vulcani, stelle legate ad un filo, stelle dentate e pianeti e buchi neri... Ed ancora qualche vulcano... qualche pesce volante ... !!! Questo fine settimana sono stato in montagna (sabato e domenica). Ho fatto insieme ad amici una SCARPINATA dalle 7 alle 19 quasi senza soste, molto dure, su per i monti a 2.300/2.400 metri d'altezza fino al M, Mongio, molto vicino al M. Viso... Più vicino che si può al cielo. Ora, lunedì, sono qui ad Alessandria, a scriverti... forse che è difficile decidere, sbagliare.
Per ora non tornerò a Lecce. Aspetto tue notizie. A presto.
Lucio Conversano


Da Strevi (lettera ms.) 27 gennaio 1988

Carissimo Verri,
qui a Strevi va tutto bene, come al solito la neve è già caduta, ma quest'anno è bagnata e si è sciolta quasi ovunque, oramai. Pensandoci bene, scrivere di neve all'una di notte mi sembra un po' idiota, ma tutto mi sembra un po' idiota da un po' di tempo a questa parte. Comunque questo di Strevi è uno stupido inverno idiota e mite, almeno per il momento. Mi domando di quanto sono cresciuto e di quanto mi sarebbe piaciuto restare piccolo idiota ignorante e infantile, da tre anni a questa parte. Son cambiate molte cose da tre anni a questa parte. A presto
Lucio Conversano


Da Strevi (lettera ms., a seguire all'altra lettera) 28 gennaio 1988

Carissimo,
già da un pezzo ho scritto a Nocera e ad Aldo Bello, ma solo oggi ho spedito. Mi sono chiesto perché codeste lettere sono rimaste così a lungo nel mio cassetto; e la verità è che sentivo che scottavano un po'. Troppo determinanti per il mio carattere fondamentalmente indeciso. Questo lo scrivo a te in tono confidenziale perché so della tua suscettibilità e della tua discrezione. Certo, sono lettere che parlano anche di te, brevi, chiare, determinanti. In fondo sono uno mite con quel po' di arroganza che prende la mano a chi crede che scrivere serva a qualcosa. Tutti gli scrittori sono arroganti, ed anche gli artisti.
Conto al più presto di recuperare quei disegni che ti ho dato in visione. Se vuoi puoi fartene fotocopie di tutto il pacchetto. Mi serviranno al più presto, prima di Pasqua per una esposizione che forse mi organizzeranno amici (conosciuti da poco) della Toscana. Con il tuo benvolere ti riferirò particolari e disposizioni a proposito.
Conto di andare a Roma un fine settimana di questi a vedere tra l'altro qualche mostra d'arte. Puoi mandarmi l'indirizzo e telef. di quel tuo amico? (No smarrito, me tapino). Vorrei mettermi in contatto con lui e sapere se può ospitarmi.
I miei alunni sono vivaci ma la scuola lascia poco spazio alla sperimentazione. La scuola di Aqui Terme diventa sempre più noiosa e burocratica con l'aumento degli iscritti e il ricambio del personale.
Sono a fondo pagina, non aggiungo altro. Mandami TUTTE LE FOTO.
(Pagherò).
A presto vederci. Tuo
Lucio Conversano


Da Strevi (lettera ms., bianco su carta nera con sulla sinistra, in alto, disegnate dodici stelle particolarissime) dodici febbraio 1988

Carissimo Verri,
le mie giornate sono sempre molto piene. Piene d'attesa. Ma io sono uno che ha imparato ad aspettare anche se certe volte dimentico il motivo e l'oggetto delle mie attese. Sotto tua indicazione avevo scritto (qualcosa) per Salvatore Toma; poi l'ho riletta, e riveduta, ho cambiato i termini, ho consumato ore ed ore, ho cestinato cinquanta fogli, ma ciò che volevo dire può chiudersi in una sola brevissima frase: LA MEMORIA NON RIPORTA IN VITA.
Lucio Conversano


Da Strevi (lettera ms.) cinque marzo 1988

Carissimo Verri,
finalmente ho deciso di spedire queste lettere rimaste ferme nel mio cassetto. Ti risparmio le mie scuse, scusanti, lamentele, ecc.; quello che si fa, si fa; quello che si è, si è. Quando si cresce, si cresce. Il mondo è proprio pazzo!!! Non sopporto la saggezza ed io mi innamoro all'improvviso di una fragile, delicata apparenza che ha il collo alla Modì... ma sono cresciuto troppo per credere a quello che mi dà spinte emotive. L'unica saggezza sta nel riuscire a vivere come un bambino, senza tempo, senza verità, senza egoismo. Le lastre non te le spedisco, è inutile! Usa, se vuoi, i miei disegni che hai in consegna tu. A Pasqua tornerò a Lecce.
Ci vedremo, spero. A presto
Lucio Conversano


Da Strevi (lettera ms. allegata alla precedente) 27 febbraio 1988

Carissimo Verri,
sono troppi i mille chilometri che mi separano da Lecce. Sento di non avere radici, contatti, ed intervenire nei tuoi progetti diventa complicato e dispersivo. Mi sconvolge questa mia assenza dalla patria, questo mio viaggio senza ritorno, ed appresso non mi sono portato neanche lo spazzolino da denti; e sono completamente nudo nel mio labirinto in cerca di formule matematiche, e di espedienti che mi portino a percorrere una volta lo stesso corridoio; non ho con me il filo di Arianna, e quest'anno non c'è neanche la neve, per cui scorgere, identificare le mie stesse tracce sul percorso già percorso mi sembra quasi impossibile.
Il sogno, le stelle, i vortici, le altezze, le torri babeliche stanno abbandonando il quadro della mia esistenza inghiottite dalla nebbia sempre più fitta... tra le urla dell'uomo falco che per un attimo si è creduto davvero il Grande Costruttore. Ora sento di dover descrivere punto per punto i corridoi del mio labirinto e non posso fermarmi a sognare, né concedermi di aver paura. A presto
Lucio Conversano


Da Strevi (lettera ms., allegata, con disegni di occhi e labirinti come nelle due precedenti) s.d.

Carissimo Verri,
ho preparato due lastre per incisioni in puntasecca e conto di spedirtele ugualmente, anche se sono un po' in ritardo. Se puoi e se ti interessa, tu le potrai portare dall'INCISORE (Urso Leo per esempio) e discuti, chiarisci sulla possibilità quantitativa e qualitativa ed anche di quella economica perché io non posso addossarmi la spesa di questa operazione. Se vuoi puoi abbandonare questa idea dell'incisione e per esempio puoi fotocopiare qualche mio disegno tra quelli che tu hai in consegna (evita quelli già pubblicati e in ogni caso non usarne più di 5. Scegli tu quali). Sarei contento e grato se riuscirai a farci entrare anche CONVERSANO, nella tua raccolta volume in ricordo di Toma. Sono tornato ieri da Roma. Ho incontrato F. Latino, è stato gentilissimo come mi aspettavo. Ricordati di salutarmi Licia. A presto
Lucio Conversano


Da Bologna (cartolina ms.) 5 aprile 1988

Carissimo Verri,
Bologna mi è cara e tra l'altro mi ricorda Roberto ....
(Lucio Conversano)
[Conversano, uno dei più assidui in Pensionante (ma prima in Caffè Greco). Compagno anche di povertà ed entusiasmo nelle due edizioni "al banco", al Circolo Cittadino di Lecce. Possiamo andare avanti e citare: "Scritture", nella libreria Rinascita, Lecce (1- 15 marzo 1983); "Ventifogli. La sposa ubriaca" nei quaderni del Centro (settembre 1984); "50 disegni" alla Biblioteca Provinciale di Lecce nel dicembre 1985, ecc. ecc.].

MARIA CORTI


Da Milano (lettera ms., carta intestata: università degli Studi - Pavia) 19.5.1983

Gentilissimo Antonio Verri,
la ringrazio di avermi inviato due numeri del "Pensionante de' Saraceni": non sapevo dell'idea peregrina di dare una laurea honoris causa a Carmelo Bene. L'inconscio, o il conscio, degli accademici tende a dare molta importanza ai titoli culturali. E' una impagabile ingenuità della categoria! Ho letto con interesse il giornale, e mi congratulo con lei; unico neo è un eccedere nel rappresentare realtà e problemi della provincia. Attenzione al pericolo di diventare provinciali! Perché non aprite di più alla cultura tout-court, venga da Torino, dall'URSS o dall'USA? Perdoni il mio desiderio di vedervi perfetti. Cordialità e buon lavoro
Maria Corti


Da Pellio Intelvi (lettera ms., carta intestata come la precedente) 5.9.1983

Caro Verri,
mi spiace non poterla accontentare, ma purtroppo per troppi impegni non ho mai preso parte alla vita del Sindacato Scrittori.
So che è colpa mia, pigrizia mia e tutto quello che vuole, ma non sono in grado di esprimere giudizi su un'istituzione che non conosco - se non di nome.
Cordiali saluti
Maria Corti
P.S. Posso solo dire di essere grata al S.N.S. per gli aiuti che mi ha dato in un viaggio nei paesi orientali.


Da Pavia (cartolina ms., corta intestata come la precedente) 19.2.1988

Gentilissimo Antonio Verri,
sono appena tornata da un giro di conferenze all'estero e sono in partenza per Lecce. Ho letto il suo scritto del 1° febbraio con la richiesta di un intervento a giro di posta su Toma.
La cosa mi è stata, come vede, impossibile. E poi era contro il mio senso della cultura: per un vero poeta come Toma non si fa un intervento a giro di posta. Prima o dopo me ne occuperò, ma con l'agio intellettuale necessario. Molti cordiali saluti
Maria Corti
[Certo eravamo molto fieri del nostro lavoro quando la Corti, venendo a Lecce nell'ottantadue-ottantatré, chiese al Bar Alvino dove poteva trovare i poeti di Caffè Greco. Le risposero piuttosto seccamente. A Lecce non c'erano poeti, men che meno di Caffè Greco!]

ANTONINO CREMONA


Da Agrigento (lettera ms.) 16 marzo 1982

Caro Antonio Verri,
ho ricevuto ieri, insieme, il numero di febbraio (che dall'editoriale sembra essere il primo) e quello di marzo di "Pensionante de' Saraceni". Non conosco "Caffè Greco", non conosco "Poesia e Letteratura"; e me ne rammarico. Sono grato dell'invio.
Non mi piace la scontentezza, che pervade il sottofondo del numero di febbraio. Mi piace la stampa artigianale e il formato. Preferisco la grafica del secondo numero, il nuovo disegno della testata. Preferirei una maggiore casualità nell'immissione dei testi (un giornale dei poeti potrebbe essere quotidiano; qualcuno deve già averlo detto, forse - però - con ironia).
In definitiva - ed ecco perché ne sono grato - mi piace l'iniziativa, viva, libera, persino estrosa. Mi piace questo scrutarsi, e scrutare intorno; talvolta con malizia amabile, mi sembra. Caspita, "bisogna esserci"!
Poiché volete cucirvi a realtà geografiche non delimitate, metto qui un testo che - se mi si permette la spontanea autoironia - sardi una qualche rarità / difficilmente potrò collocarlo nel sistema dei miei libri futuri ed eventuali. Un testo, inedito, di mesi addietro che mi serve - adesso - per dire grazie ai saraceni.
Ora, questa faccenda saraceno mi tocca un poco: perché sono di quaggiù, a livello di costa africana. E a Lecce parlate un siciliano antico. Tanti auguri per tutto. Cordialmente
Antonino Cremona


Da Agrigento (lettera ms.) 24 agosto 1982

Caro Antonio Verri,
ecco un testo inedito. Doveva andare - come giustificazione - nell'antologia "erotica" della Newton Compton, ma poi non vi è stata messa "giustificazione" d'alcuno: solo l'introduzione di Carlo Villa.
Tanti auguri, sempre, e cordiali saluti.
Antonino Cremona
Enzo Panareo e Rina Durante rimangono estranei al Pensionante de' Saraceni?


Da Agrigento (lettera ms.) 11 maggio 1983

Caro Antonio,
mi piace il piglio dell'ultimo numero, che non diviene cipiglio: sempre meglio cultura e società, realtà locale, il meridionalissimo sud. Molto "bello"; chi sa non mi suggerisca qualcosa, da mandarti.
Per ora eccoti un'impudica prima stesura di poesiole che, poi emendate, sono apparse ne L'odore della poesia. Chi sa quali vanno peggio.
Vorreste delle recensioni (saggi in due cartelle, tre al massimo)?
In bocca al lupo. Ma fatevi il conto corrente postale. Tanti saluti
Antonino


Da Agrigento (lettera ms.) 7 luglio 1983

Caro Antonio,
in confidenza: quanto mi era parso vivo il "morto" Nino Palumbo, forse perché certamente mio amico (e io suo amico). E quanto mi sembra penosetto il discorso col numero di protocollo che giustamente - documentalmente - stampi nell'ultimo numero, proveniente da quel numero di protocollo e non dal mio amico (e io suo amico) Aldo De Jaco. Stimolante, sempre, anche quest'ultimo numero; nel quale - vedo - cominci a pubblicare quelle mie prime stesure. Ti mando un "piccolo diario", frazionabile, da mettere in coda alle mie cose che hai. Cari saluti per tutti, a cominciare - salvognuno - dai nostri "morti". Grazie
Antonio


Da Agrigento (lettera ms.) 21 luglio 1983

Caro Antonio,
del s.n.s., proprio, non vorrei scrivere. Vi è stata una storia lunga e fastidiosa. Ho partecipato al rinnovamento del sindacato, ho determinato la scissione della "destra", sono stato in segreteria nazionale - con sacrifici durissimi anche di salute - non so quanti anni, ho determinato quasi tutta la linea sindacale di allora. In segreteria nazionale sono andato con l'impegno, da me proposto, che alle prime elezioni sarei stato sostituito da un pugliese e così via in rotazione delle regioni del sud. Venuto il momento, e rammentato l'impegno (mi pare, assolutamente democratico e ugualitario) sono stato - sì - sostituito da Rina ma come reprobo ecc.
Il mio intervento nel congresso di Bologna è stato addirittura soppresso dagli atti. Sicché mi sono dimesso, pur fra molte resistenze di Aldo De Jaco. In questi giorni egli è tornato a premermi, specialmente il nuovo segretario regionale Lucio Zinna; abbiamo raggiunto un compromesso: torno ad essere un semplice iscritto, è assolutamente escluso che mi si dia un incarico quale possa esserne il livello. In "questi giorni" significa: negli ultimi mesi. In definitiva, non mi sono sentito di negare questo favore a Lucio né alle appassionate pressioni di Aldo. Il veto ai miei incarichi è stato posto (si capisce) da me.
Dunque, posso dirti di storie regionali e nazionali. Ma preferisco non farlo, perché si potrebbe sospettare di un mio desiderio di "tornare" (in ogni senso) "alla carica".
Anche se non si fa più viva da allora (chi sa perché), Rina è sempre per me un'amica. Non ho fatto nulla che possa ostacolarla, e anche dopo il suo ingresso nella segreteria nazionale ha avuto da me prove di amicizia. Di colleganza. Disinteressate e, spero, simpatiche. Nino Palumbo mi ha sempre dato -quando ha potuto, e violando in modo stupendo la mia riservatezza - senza mai chiedermi qualcosa. Nino Palumbo è un monumento di bronzo a tutte le virtù intellettuali ed etiche. Come autore, ho dato al sindacato un cupo silenzio: in tutto quel tempo ho scritto una poesiola ogni anno e mezzo: non avevo tempo per fare di più. Più che dire "ho dato" vorrei dire "ho avuto". Tu mi scusi, vero, se non ti faccio l'articolo. Grazie anche di questo. Cari saluti
Antonino


Da Agrigento (lettera ms.) 22 settembre 1983

Caro Antonio,
l'idea poteva - doveva - venire ad ognuno. Chi sa non sia già venuta, prima di questo luglio/settembre saraceno: se si prendono disegni di un solo autore per spargerli in un numero di rivista, perché non fare altrettanto (e voi lo avete fatto - variamente - con Raffaele Nigro) spargendo testi di un solo poeta. L'effetto è molto buono, anche perché la scelta è varia.
Territorio, si diceva una volta (e per molti aspetti, l'ho scritto, non mi vanno molte delle implicazioni e molti degli sviluppi turistico-culturali e razzistico-culturali del termine); ma, in definitiva, che deve fare un gruppo di curatori di rivista: tradurre - per dire - Frenaud (sempre) o esprimere la propria realtà. Dico per p. 3 e per l'articolo di pag. 4. E se non la si esprime dove, allora, esprimerla, la rivista è fatta proprio per questo: esprimerla.
Quasi un racconto il tuo testo, ma stupenda quell'inserzione vernacola che poi si accresce e domina - e conclude - con andamento lirico; ritengo lirico, ma nel senso del metro interiore, non per sminuire.
Vuole il caso - o l'Antonio - che a p. 2 si ritrovino insieme tre ch'erano stati nel s.n.s. al vertice. Ognuno con il proprio umore d'allora. Non dico di me, ché sempre parlo di una cosa parlando d'altro. Ma il Toti, con la sua prevedibile imprevedibilità; morfologica, sintattica, concettuale; a volte aconcettuale. Il suo chiodo - qui ribadito, qui in questo numero - è, santamente, rimettere tutto (sempre) in discussione; però con la tendenza (sempre, e maledetta) non a verificare, ma a distruggere - pure quand'è chiaro che distruggere non serve o guasta - pur sapendo di non possedere alcuno strumento per costruire poi qualcosa. E con il vezzo di fare paradigma di tutto una qualsiasi personale vicenda. Sicché pure questo suo testo è un delirio, a volte piacevole. Cosa vorrebbe - gli risponde bene De Jaco - che la sua tenzone con Guanda si risolvesse con mezzi non legali, non giuridici, spettacolari? Sì; Toti è uomo di spettacolo. Però - in casi del genere - io spettacolo rimane fine a se stesso.
Ha ragione Toti nel dire che non si fa niente; e ha torto nel non riconoscere che si può fare solo una cosa: pensare e discutere. Ha ragione De Jaco nelle sue analisi. Ma non per la faccenda dei viaggi: all'estero si aspettano gli autori più noti, gli altri li buttiamo. Avvertenza: io, personalmente, odio viaggiare. Seconda avvertenza: so tutto, ho vissuto tutto, ho provato tutto (ognuno si arroga la paternità di ogni cosa), prima del '69, dopo il '69 ma sino al congresso di Bologna e alla pubblicazione dei suoi atti. Nulla so di dopo, nemmeno di un numero della rivista. Neppure dopo il mio "rientro". Dei quattro punti negativi elencati da De Jaco, contesto la veridicità dei primi tre: alcuni si comportavano come lui riferisce, ma l'azione del sindacato si svolse in senso di riforma; non di abbattimento né dell'ufficio della proprietà letteraria e suoi premi, né della Siae e sue bollature, né della cassa di previdenza. L'errore fuori numerazione - pure segnalato da De Jaco, e di cui riconosco la mia ampia responsabilità - è quello della trasformazione del s.n.s. in sindacato di operatori culturali, perché così facevano in Svizzera e in Germania e perché così premeva la situazione; avremmo dovuto resistere alla spinta e non mischiare le competenze; però gli impiegati territoriali erano ottimi organizzatori e noi - per nostra natura e nostra scrittura - individualisti indifesi.
Questa continuo ad essere una rubata confessione; con la quale ti mando ogni augurio e ogni caro saluto...
Antonino

VITTORINO CURCI

Da Noci (lettera ms., carta intestato: Porta Nuova, rivista di poesia) 11.12.1984

Caro Verri,
ti mando le mie due pubblicazioni di poesia. Fammi sapere se ti interessano. Ne approfitto per chiederti tutti i numeri disponibili della tua rivista (puoi spedirmeli in contrassegno) di cui ho sentito parlare molto e bene. Un cordiale saluto
Vittorino Curci


Da Noci (lettera datt., carta intestata: Bosco delle noci, rivista di poesia) 9 aprile 1986

Caro Verri,
sto preparando un altro numero del Bosco su questo tema specifico: "La Poesia in Puglia: Anni Ottanta e Sesta Generazione".
Nell'intervento critico di Enzo Panareo si fa riferimento alla tua produzione poetica. Affinché il mio impegno editoriale ottenga l'esito che spero - quello cioè di fornire le prime utili indicazioni sulla poesia dei nostri anni - ti sarei sinceramente grato se tu potessi mandarmi quanto prima tue notizie biobibliografiche ed eventuali pubblicazioni disponibili. Posso contarci?
Un cordiale saluto
Vittorino Curci
P.S. A quando il prossimo numero del "Pensionante"? Potresti, per caso, fornirmi l'indirizzo di Salvatore TOMA?


Da Noci (lettera ms.) 18 febbraio 1988

Carissimo Antonio,
sono appena tornato da un breve viaggio in Cina. Ho trovato la tua lettera e ti confermo subito che ci tengo anch'io - eccome - al povero Toma. Stravagante, geniale, era un autentico poeta come da queste parti si incontrano raramente. Fare qualcosa per lui, più che giusto, è un dovere. Ti mando allora una poesia. Mi sembra il modo migliore per ricordarlo.
Spero di non essere in ritardo! Ti abbraccio
Vittorino

GIANNI CUSTODERO

Da Bari (lettera ms.) 2.3.1982

Carissimo Verri,
complimenti, prima di tutto, per il "Pensionante de' Saraceni": è sicuramente un atto di coraggio, come lo sono tutte le iniziative, qui, che rompono le vecchie logiche terriero-mercantil-utilitaristiche.
Ti aspetti, naturalmente, accanto alle parole di incoraggiamento, che lasciano il tempo che trovano, qualcosa di più concreto. Purtroppo, il settore stampa della Regione, che io dirigo, è tutt'altra cosa rispetto all'Assessorato alla cultura: la mia allergia... ai beni materiali funziona anche nel versante dell'impegno mio professionale. In effetti, per i contributi ex legge 76/79 si fa un discorso di piano etc. etc. etc. Vedrò di parlarne con l'assessore Troccoli e con il collega Pani...
Piuttosto (e in questo tenterei di esserti utile) perché non fai una domanda al Presidente della Regione, mandandola in busta a me, per chiedere un contributo per qualche manifestazione culturale? O anche per proporre l'acquisto di qualche quaderno. E' un'idea. Comunque, non ti perdere d'animo. Con o senza contributi, le scelte di coraggio, come la fede, possono muovere le montagne. Un cordiale abbraccio dal tuo
Gianni Custodero


Da Bari (lettera ms.) 14.3.1984

Carissimo Antonio,
rispondo subito alla tua di due giorni fa. Ti allego copia della legge che ti interessa e che, all'art. 11, disciplina il piano per gli interventi culturali. Per ogni altro chiarimento puoi rivolgerti all'Assessorato alla cultura (via Venezia - Bari). Sarebbe, però, più opportuno che alla prossima tua venuta a Bari, facessi un salto di persona lì, chiedendo della signora Pesola: non è lei che si occupa direttamente di queste cose, ma potrebbe indirizzarti al funzionario giusto per avviare la pratica.
L'Assessorato alla cultura è un palazzone che fa da cerniera tra il mare e Bari vecchia: puoi chiedere della "muraglia" per raggiungerlo. Allo stesso assessorato puoi proporre pure le edizioni del "Pensionante" per l'acquisto di un po' di copie. Noi, come Settore stampa, siamo ad un altro capo del mondo. Se, comunque, ti serve qualche telefonata di sollecitazione, inutile dire che sono a tua disposizione.
Complimenti naturalmente, per il discorso che vai portando avanti.
Fatti vedere/sentire!
Con un cordiale in bocca al lupo ed un abbraccio, credimi
tuo Gianni

ROLANDO D'ALONZO

Da Chieti (lettera ms.) 6.41982

Caro Antonio,
ho ricevuto il "Pensionante" di marzo e voglio esprimerti le mie congratulazioni per la qualità di questo foglio di poesia e letteratura. Molto buono il contenuto, gradevolissime l'impaginazione e la grafica.
Penso che nel Sud una rivista di questo genere possa fissare dei punti fermi nell'ambito della letteratura contemporanea e nelle intrecciate querelles che sorgono ad ogni stagione sulla questione poesia.
La problematica che vi si tratteggia è ben centrata anche se, ovviamente, dovrò essere adesso snocciolata organicamente tramite ulteriori interventi e testimonianze.
Collaborerò molto volentieri con te e, per dimostrarti concretamente questa volontà, ti invio delle poesie inedite mie e di Pina Allegrini che potrai adoperare come meglio credi. Ti dico anche che il nostro gruppo sta per riorganizzare i "Quaderni della Malora" che usciranno tra poco in edizioni semestrali (il primo nuovo numero conterrà, tra l'altro, inediti di poeti americani e poeti spagnoli con testo a fronte). Perciò formulo anche a te l'invito alla collaborazione: se vorrai mandarmi tuoi scritti sarò molto contento di presentarli al comitato di redazione per proporne la pubblicazione (data l'impostazione passata, e la linea scelta oggi dal comitato, la rivista impiegherà poco, pochissimo spazio per le recensioni e la critica, mentre darà molto risalto ai testi originali di poesia e teatro).
Dunque attendo anch'io tue nuove. Ti saluto caramente augurandoti buon lavoro e ancora ottimi
consensi.
Ciao Rolando


Da Chieti (lettera ms.) s.d.

Caro Antonio,
eccoti alcune pagine di "inediti" che, spero, ti piaceranno: sono la continuazione del poema "Fancy Hand" (di cui alcuni brani usciranno forse nel mese di giugno su "Lettera"); gli ultimi numeri del "Pensionante" mi sono apparsi molto consistenti e rigorosi: hai portato ancora a livelli superiori lo stile e il valore della rivista. Non mi sono fatto più vivo perché sono stato coinvolto in una serie di problemi, tra i quali due rappresentazioni teatrali (la compagnia è professionista, quindi permessi, burocrazie varie, piazze, impegni con gli enti che hanno comprato gli spettacoli, impegni con gli attori, viaggi a Roma, etc.).
Forse quest'estate porteremo anche in Puglia uno studio su le "Coefore" di Eschilo, nella traduzione di Pina Allegrini e per la mia regia.
Per quanto riguarda "i quaderni" abbiamo ancora soprasseduto a causa di problemi logistici, ma penso che durante l'estate verrà fuori almeno un fascicolo.
Ti auguro buon lavoro e spero di risentirti o di incontrarti presto Ciao
Rolando

SERGIO D'AMARO

Da S. Marco in Larnis (cartolina ill. ms.) 1983

Carissimo Tonio,
ho prelevato dalle mani di Raffaele il tuo graditissimo malloppo saraceno. Ricevo oggi, inoltre, l'ultimo "tuo" (leggo) "Pensionante". Ti ringrazio moltissimo di tutto. Resto, comunque, nel fascettario? Volevo pregarti di una cosa. Ho chiesto a Stamerra di collaborare a "Quotidiano di Lecce", inviando alcuni pezzi. Puoi (se puoi) sollecitare il nostro Direttore a dare una risposta e... giustificativi? Aspetto e spero. A te i migliori auguri
Sergio


Da S. Marco in Lamis (lettera datt.) 24.9.1984

Carissimo Antonio,
accolgo con gioia la notizia sulla nuova vita del "Pensionante", al quale intendo collaborare con
continuità grazie alla tua gentilezza.
Per cui, ti spedisco senz'altro alcuni testi. Quello di riflessione riguarda due volumi in certo modo complementari, non foss'altro che per ragioni geografiche: il Parnaso pugliese di Dell'Aquila, uscito l'anno scorso, e un Panorama sulla Cultura letteraria contemporanea in Capitanata di De Matteis. Come vedi, è piuttosto lunghetto, ma gli spiriti polemici che lo attraversano possono fare forse da antidoto. Se impossibile, potrai tagliarlo in due puntate! Quanto ai testi creativi (è una distinzione scolastica, naturalmente) ti mando tre liriche che fanno parte di un progettato libretto di poesia, da intitolarsi Il ponte di Heidelberg.
Ti ricordo che sei in possesso di altri miei pezzi, sia giornalistici che poetici: i primi riguardano 1) il Codice turbato della poesia; 2) Note sull'arte d'avanguardia e 3) Appunti post-bellici sulla guerra. I secondi sono: 1) Poema incombusto; 2) Versi dell'ultimo dell'anno; 3) In viaggio; 4) De speranza; 5) Per Pasolini (già apparso); 6) L'esperta solitudine; 7) Le strade; 8) Poema 3350.
Ti ringrazio moltissimo per i volumi così sollecitamente inviati. Su quello di Augieri dovrò parlare al più presto! Mi interessano subito anche quelli sulla cultura grica.
Ti lascio con i migliori auguri per te e per il tuo lavoro
culturale
Sergio D'Amaro


Da S. Marco in Lamis (lettera ms.) 16.XII. 1984

Carissimo Antonio,
mi sembra maturo un altro invio di contributi per il tuo "Pensionante", in modo da non lasciare solo Dell'Aquila col suo Parnaso. Il libro di Rossano che recensisco è di qualche anno fa, ma credo possa andare come pretesto di riflessione sul teatro meridionale. Nigro e Custodero li conosci bene. Prossimamente conto di mandarti qualcosa su Cara, Angiuli, Accrocca e Bodini (dimmi se li gradisci!).
Riscontri nomi tutti meridionali perché sto cercando di arricchire la sezione di una raccolta (non solo letteraria) sulla società e la cultura meridionale che spero di pubblicare con Levante.
A presto, dunque, con rinnovati auguri di Natale!
Ciao Sergio


Da S. Marco in Lamis (lettera ms.) 7.3.1985

Carissimo Antonio,
avrei voluto soddisfare la tua richiesta sul "senso" da dare garganicamente alla "letteratura", ma come fare fra tabelle di marcia e lavoro scolastico? Perdonami e sappi accettare l'annunciata nota su Levi che ti mando, perché possa essere pubblicabile tempestivamente. Purtroppo non incontro spesso il nostro Ricci e quindi non ho l'atteso numero della tua rivista. Ti ha parlato Ricci del mio prossimo impegno con le opere della moglie Maria? Dovrei farne una monografia. La mia fretta attuale, intanto, è data dai tempi che voglio accelerare per la pubblicazione della raccolta pubblicistica. Salutami tutti gli amici comuni, anche fuori del SNS (che non frequento anche per assenza di utili comunicazioni epistolari). A presto
Sergio


Da S. Marco in Lamis (lettera datt.) 19.5.1985

Caro Antonio,
ho avuto finalmente il "Pensionante"! E' una gran bella rivista, la migliore attualmente in Puglia in campo letterario. Congratulazioni! Incoraggiato ti mando qualche altro fresco contributo (appartengono alla raccolta di articoli e saggi
che spero di stampare tra breve dalla barese levante). Il mio prossimo impegno è il lavoro su levi, che dovrebbe uscire negli "omaggi" di Lacaita. Naturalmente non ti chiedo di pubblicare tutto, ma puoi scegliere a tuo piacimento nel materiale finora in tuo possesso. Non farmi mancare il prossimo numero e ogni altra novità di cui sono ghiotto.
A presto e con mille auguri.
Sergio


Da S. Marco in Lamis (lettera ms.) 27.8.1985

Carissimo Antonio,
ti mando un fascicoletto di ultime poesie scritte tra ozi e negozi estivi. Continuano l'ideale epistolario di Heidelberg e rispondono dunque ad una condizione psicologica che dura e si approfondisce da almeno due anni. La finzione, tra l'altro, mi consente un linguaggio finalmente più semplice e più pieno, al quale forse invano ho teso precedentemente. Pensaci un po' e vedi se puoi ospitarne anche parte in un prossimo numero del "Pensionante". Ho ricevuto l'ultimo numero ed è molto appetibile.
Fammi sapere qualcosa dal continente salentino. Qui siamo su un'isola, quasi alla deriva.
A rileggerti presto e con i più fraterni saluti.
Sergio D'Amaro


Da S. Marco in Lamis (lettera datt.) 26.2.1986

Carissimo Antonio,
ti mando altre prove di poesia, in assenza di prose. Sempre "II ponte Heidelberg" e sempre dunque questo diario che mi accompagna e mi ossessiona. Avrai capito che voglio pubblicare subito questi versi perché il tempo che passa...passa troppo in fretta. Scegli tu, in attesa del libretto che verrà pubblicato più in là. Ora sono impegnato con le prime bozze della
raccolta di articoli e saggi, che dovrebbe uscire a giugno. Ho visto che sull'ultimo "Pensionante" la Folliero, ha parlato di Cara. Penso che il mio pezzo non sardi più proponibile, per ovvie ragioni.
Ad maiora, con i saluti più fraterni
Sergio D'Amaro


Da S. Marco in Lamis (cartolina ill.) s.d.

Carissimo Antonio,
Friedrich continua con me il suo dialogo, non è ancora svanito. Sono fiero di poter apparire sul vostro Corriere. Mandamene una o più copie appena stampato e mandami anche tutto quello che credi. Mi leggerai, forse presto, sulla Gazzetta del M. con la quale ho avviato la collaborazione. Ora sto lavorando sull'emigrazione.
Abbiti i più fraterni saluti e auguri
Sergio
L'indirizzo di Motta è...


Da S. Marco in Lamis (lettera ms.) 5.6.1986

Caro Antonio,
mi dispiace sinceramente che lasci il "Pensionante". Dovrò (e dovremo) avere un nuovo interlocutore e chissà quanto flessibile. Spero comunque che resterai nei paraggi. Ti mando il saggio sui poeti giovani della Daunia, che mi auguro non abbia difficoltà per la sua lunghezza.
Aggiornami sulla tua (e vostra) produzione.
A presto con i più fraterni saluti.
Sergio


Da S. Marco in Lamis (lettera datt.) 31.8.1987

Caro Antonio,
ti ringrazio moltissimo per il tuo libretto nuovo di zecca, che vedo intelligentemente appoggiato da una banca. In questi giorni ho ricevuto da Giacomucci, dell'ed. Tracce di Pescara, la proposta di una antologia sulla giovane poesia pugliese. Si sovrappone guardacaso alla ricerca, più stretta, che sto facendo per preparare il pezzo per la "Gazzetta". Ho bisogno di nomi e di indirizzi.
Purtroppo essi non sono pochi. lascio a te la pazienza di rintracciarli a tuo libito e a tuo tempo: Augieri, Stefanelli, Pinto, Salvemini, Amodio, Giaracuni, Vespucci, Pacella, Cometti, Rizzo, Vernaglione, R. Miglietta, D'Amely, Di Vieste, D. Gatti, Conversano, Provenzano, Vergallo, Sciacovelli. Aggiungerai, ovviamente, quelli che non ho citato per ignoranza e che tu sai essere meritevoli di almeno uno sguardo. Aspetto dunque e tanti auguri per il tuo nuovo libro
Sergio

ERCOLE UGO D'ANDREA


Da Galatone (biglietto ms.) 11.3.1982

Caro poeta,
ti accludo il biglietto a te intestato per mano di Gaetano Chiappini, al quale ti dissi di spedire il foglio giallo. Gaetano m'incarica di far ciò. Siccome non posso venire fin lì. Non ho preso ancora da Milella il 2° foglio giallo: ma lo farò. Sta' bene. Cordialissimi saluti a madre e moglie.
Ercole Ugo D'Andrea
P.S. Hai visto il Pierino? O è sempre contro tutti? Scherzo. Ma Betocchi aspetta, ed è Betocchi!
(I "vezzi" del fiorentino di Galatone erano sulla bocca di tutti. La sua indolenza ermetica era stata presa di mira da Toma e non solo da Toma!)

CLAUDE DARBELLAY

Da la Chaux-de-Fonds (lettera ms.) 12.12.1988

Caro Antonio,
grazie per la Betissa e Sudpuglia 3. La Betissa mi ha coinvolto. Non è più un genere letterario. Hai inventato una vera "storia composita", ciò è una specie di frontiera tra le diverse forme, ciò che dò alla testa. Come quando si beve del vino (buono), che poi il mondo gira, però all'interno di te e tu diventi il prato ( ... ), pensi, che lo fa girare. C'è un sorriso al lector che gli dice: tu non sei così eppure l'uomo dei curli e la grassa signora ti assomigliano. Un po'. Troppo?
Il tuo testo sopra Edoardo De Candia fa vivere le sue tele attraverso lo sguardo di quelli che lo considerano matto, dando così una "topografia" dello sguardo. Perché c'è anche il tuo, Carmelo Bene, ecc.
Ti mando un testo che ho fatto per un pittore. Con una fotocopia di un dipinto in colore, la pittura ha preso il colore della scrittura. Succede...
Se vuoi tradurre qualche testo da "En sortant n'oubliez pas d'éteindre", d'accordo. Grazie mille. Così si saprò che fine farò la poesia quando esce.
Aspetto il tuo romanzo. E notizie di te. Buon anno a te, poeta. Però, attenzione. Le porte che non portano ad un cammino sono sempre aperte.
Ciao Antonio
Claude

ALDO DE JACO


Da Roma (lettera datt., carta intestata: Sindacato Nazionale Scrittori, pubblicata su "Pensionante", foglio giallo, col titolo: Caro direttore, caro segretario, maggio-giugno 1983) 6.6.1983

Caro direttore,
"de mortuis ... " con quel che segue. Ma questa lettera non intende rispondere a un morto che accusa altri morti ("sono scrittori e poeti e critici che presumono di essere persone vive ma che invece sono larve") bensì chiederti con che stomaco hai pubblicato lo sfogo di uno scrittore ahimè appena deceduto, uno dei tanti sfoghi alle sue frustrazioni, che dalla morte avrebbero dovuto ricavare il diritto a restare in un pietoso cassetto.
Nino Palumbo è stato uno dei dirigenti del nostro Sindacato e il fatto che lo si possa elencare fra i pochi che hanno partecipato da invitati al nostro ultimo congresso ti dirò in quale conto lo avevamo. Ricambiati? Non direi. E questo anche per.. merito degli omuncoli che gli riempivano le orecchie di insinuazioni contro terzi ed il cuore di angoscia (e tutto ciò mentre dei "terzi" si dicevano - gli omuncoli in questione - amici ed estimatori).
Alla lettera di Palumbo per altro sottende, sollecitata, una critica a un convegno del Sindacato che, pur pieno di difetti, ha avuto però il vantaggio - oltre quello di essere stato portato in porto (e questo non è poco in una terra di fallimenti come la nostra) - di aver segnato un momento positivo del ripensamento critico sulla cultura meridionale. Qualche invito è rimasto per strada? Qualcuno degli organizzatori si è alla fine defilato?
Tutti questi ed altri interrogativi sono certo proponibili mentre non è proponibile l'atteggiamento autodenigratorio di chi, come te, essendo uno degli uomini più rappresentativi del Sindacato in Puglia, si diverte a utilizzare acriticamente gli sfoghi di un morto.
Perché non utilizzi invece le assise democratiche del Sindacato? E perché non esprimi in prima persona sul tuo giornale - motivatamente - il tuo dissenso, se - come credo - c'è?
Quando facessi questo troveresti interlocutori sia a Roma che, credo, a Bari ed a Lecce; fino a quando invece utilizzerai i morti per parlare non si potrà che dirti di lasciarli alla loro pace e di avere quel minimo di coraggio che corrisponde all'impegno di firmare le proprie critiche.
Aldo De Jaco
N.B. - Conto sulla legge e sulla tua cortesia per veder pubblicata questa lettera sul "Pensionante".


Da Roma (lettera datt., carta intestata come la precedente) 3.10.1983

Caro Verri,
ti ringrazio per le duecento copie del "Pensionante". Ti passo un elenco di possibili indirizzi ai quali intendo mandarlo perché tu faccia una verifica cancellando i nomi già compresi nel tuo elenco, rimandandomelo poi subito in modo che io possa provvedere.
Cordialmente
Aldo De Jaco
N.B. Che cosa vuoi, con precisione, per quanto riguarda i rapporti con l'estero?


Da Roma (lettera datt., carta intestata come la precedente) 18.10.1983

Caro Verri,
ho colto tutta la malinconia della tua lettera perché come "operatore culturale" - e sia tu sia io tali siamo ho un fiume di esperienze di chiusure, temporanee o meno, di riviste o di iniziative. L'ultima è appunto la chiusura (temporanea spero) di "Produzione e Cultura".
Spero comunque che tu riesca a far rivivere il "Pensionante" o comunque a esercitare in qualche modo la tua vocazione (perché quella di operatore culturale è appunto una vocazione).
Per quanto riguarda le vicende del Sindacato in Puglia l'ultima cosa che so è che Rina Durante ha inviato una lettera a Gino Santoro e per conoscenza a noi per delegarlo a fare una riunione ecc. Potresti informarti da quella parte e si potrebbe così arrivare a questa benedetta riunione. Anche Mancino si dice interessato alla cosa ma ho l'impressione che stia attraversando un periodo in cui il "privato" prevalica decisamente sul "sociale" e quindi c'è poco da contare su di lui. In generale sono molto perplesso sulla situazione pugliese e credo che ci vorrà molta buona volontà e molta prudenza per riprendere le fila del Sindacato impedendo che affoghi in una pozzanghera. E' tempo cioè che le persone più serie e di buona volontà recuperino quel poco che è rimasto in piedi e ristrutturino tutta la faccenda su nuove basi. Ci vediamo per Natale, se non prima.
Cordialmente.
Aldo De Jaco
N.B. Ti prego di scrivermi quanto costerebbe nella tipografia che tu utilizzi un foglio a 4 pagine formato "pensionante" per 2000 copie. Mi serve per vedere se è possibile far nascere almeno un bollettino del S.N.S.


Da Roma (lettera ms.) 23 settembre 1984

Caro Antonio,
tornando a casa - stamane ti ho telefonato - ho trovato la tua lettera. Rispondo dunque alla lettera e alle
questioni poste dalla telefonata.
1) mi congratulo per lo sviluppo della rivista. Sai bene, naturalmente, che stai affrontando una prospettiva di grosso lavoro. Ti raccomando la qualità, la "presenza" della tematica che affronti. Non ti farò l'affronto (e siamo a tre) di continuare su questo tasto. Per quanto mi riguarda ti farò con piacere da corrispondente da Roma. Non dare troppo spago alla Folliero però o dovrai scegliere tra noi due. Ne parleremo comunque col numero della rivista in mano.
2) le copie di "Nica libre - anche tenendo conto della sordità del PCI leccese - non devono restarti sullo stomaco. Organizziamo per dicembre un dibattito a Lecce e a Maglie e le farai fuori. Invita Bonea (io gli scriverò pregandolo di accettare) e programma i dibattiti sui due viaggi: Cina e Nicaragua. Se sei d'accordo ti farò mandare, al momento opportuno, qualche copia del libro sulla Cina. Per Maglie tieni conto della buona volontà della bibliotecaria.
3) Bene per il libro. Te lo porterò quando vengo e "tratteremo" sul numero delle pagine e sul resto. Naturalmente tu comprendi che io accetto la cosa per fiducia in te, malgrado il guaio passato con il libro sulla Cina. E' del resto tuo interesse assicurarti che l'editore abbia una distribuzione almeno regionale con dei collegamenti con le grandi città e sappia prendere iniziative per sorreggere i libri che stampa. Se così è, benissimo, buttiamoci con lui.
Discuteremo al mio ritorno in Salento sul significato di "biografia salentina" e quindi anche sulla sua composizione. Ho già il sommario pronto. Si tratta di sette racconti (che vanno dal '57 al '77 e in tutto fanno 190 cartelle) + l'introduzione. Il resto è in discussione e dipende dal numero di pagine cui si può arrivare. Per quanto riguarda il contratto... vi darò quello firmato da "Levante" dimezzando la mia percentuale.
4) Parlai subito con Accrocca della tua rivista. Mi ha risposto che non si sentiva competente a scrivere le due cartelle, comunque ti avrebbe scritto (una lettera). Gliene parlerò.
Cordialmente
Aldo


Da Roma (lettera ms.) s.d.

Caro Antonio,
accludo l'introduzione ai racconti. Spero che tutto proceda regolarmente almeno su questo fronte, dato
che della storia a fumetti mi par difficile si faccia nulla. E la rivista?
Se non esce in gennaio ci fai - ci facciamo - una magra figura Qui la vita scorre, vortice nel nulla. A metà
febbraio ci vediamo a Bari se Maurogiovanni mantiene l'impegno che ha preso con me l'altro giorno.
Saluti a tua moglie e a tua madre, mia interlocutrice telefonica.
Aldo


Da Roma (lettera datt., carta intestata: S.N.S.) 16.9.1985

Caro Antonio,
sono appena tornato dalla Bulgaria e ti scrivo per riprendere il discorso sulla rivista e sul resto. Per quanto riguarda Repaci riceverai tra qualche giorno un'intervista con la sua più vicina collaboratrice, la Sobrino, intervista che spero sia buona. Altro non mi pare che dovessi fare per il momento. Ho telefonato tutta la mattina a Refolo ma non ci deve essere nessuno in casa. Digli che lunedì 23 settembre sarò ancora qui e potremo, se vuole, sentirci. Spero di vederti alla prossima riunione del Consiglio Generale alla quale ti invito fin da ora (ti saprò dire poi quando è) mettendo in chiaro che le spese di viaggio sono a carico del Sindacato.
Cordialmente
Aldo
N.B. Ho controllato negli archivi la situazione per il pagamento delle tue quote. Risulta che il 16.9.1983 io ho versato per tuo conto la quota per il 1983; tu poi hai pagato regolarmente l'84 il 25 gennaio tramite c/c postale. Resti debitore dell'85. Hai dato i soldi a me? Se così è io mi sono completamente scordato e me li sono spesi. Non hai che da confermarmelo ed io mi dissanguerò della cifra corrispondente.


Da Roma (lettera ms.) s.d.

Caro Antonio,
e se mi diventi bibliotecario o non so che, che fine fa la rivista e la collana nella quale esce il mio libro? Quasi quasi faccio il tifo per il tuo insuccesso. Ma no! Se non per te, per tua moglie ti auguro di vincere il concorso. Maledizione! Che fine fa un meridionale? Partecipa a un concorso. E magari lo vince.
Comunque...Ti mando quanto ti ho promesso e cioè:
1) l'editoriale di cesare milanese
2) i testi per lo spazio dedicato alle questioni sindacali
3) ti mando inoltre un divertente "Picasso in estinzione" fatto al FNLAV che si collega alle attività che stiamo svolgendo e tu, secondo me, potresti utilizzarlo per la copertina, come sul primo numero c'era il solito Pasolini
4) ti mando la rivista del FNLAV fra l'altro perché mi piace il quadro di copertina (fallo vedere a Pino: è il suo "urlo" aggiornato).
Se non ho capito male pubblicherai nel prossimo numero il mio poemetto su Leningrado. Bene: per il futuro ti porterò i testi collegati ai disegni che ti ho dato e il testo teatrale. Ho anche intenzione di scrivere un soggetto in polemica con G. C. Ferretti. Vedremo se ne avrò il tempo e se non mi passerà la voglia.
Ho chiesto in giro dei testi e li avrò di certo, almeno da Accrocca e da Violiani. Mi ha promesso qualcosa
anche Lunetta.
Arrivederci
Aldo


Da Caprarica di Lecce (lettera ms., successiva alla pubblicazione di "Stazioni di posta") 10.5.1986

Caro Aldo,
rassicurato (stamattina, 7.45!) sulle tue condizioni di salute, eccomi ad altro: "Stazioni di posta", allora. Un libro di poesia di Aldo De Jaco merita una carta speciale, questa, e non certo una biro!
Ho avuto il libro una ventina di giorni fa (una corsa fino a Sannicola da Antonio Errico) e l'ho finito di leggere ieri in un trenino (dorato) che andava a Gallipoli. Un incanto! Veramente un buon libro! E fai male, e fanno male a volerlo dare come un racconto di tue delusioni o di tue passioni civili. D'accordo, c'è "l'ospite ingrato" (non poteva non esserci), c'è l'entusiasmo di un Aldone che sicuramente un po' ha pianto (di nascosto, magari, confondendo eventuali accompagnatori con dei colpi di tosse e due-tre strizzate d'occhi) davanti alle scritte di "viva Sandino", "Sandino vive", ecc. ecc., c'è il De Jaco dagli occhi spalancati dal sogno (cominciato con la prima Fuga da Maglie), ma c'è soprattutto il sogno, c'è il poeta: il sogno vive nelle e tra le righe, e il poeta, come ogni buon poeta, non crede molto in se stesso, non si prende molto sul serio... Ma c'è. E come se c'è il poeta. C'è il poeta e l'ironia del poeta. Sapessi farlo te lo sezionerei il libro, per far racconto (come fanno i buoni critici) delle tue emozioni, delle tue pause da poeta; ma devo accontentarmi (e non è poco!) delle sensazioni, dei ricordi di sensazioni, che esso libro mi da, pagina dopo pagina.
Beh, allora non è difficile rivedere il lupo che tra un verso e l'altro, tra una lettura di poesie e l'altra, ha galoppato con me - per tre, quattro estati, - attraverso tutto il Salento (oddio! è soltanto dopo che uno si accorge - magari a libro uscito - di essere un po' come quei "fedeli di re Totila dalle giubbe pelose, i lunghi baffi, i denti guasti, gli occhi di fuoco ... ") alla ricerca di ruote di creta, fischietti originali, bastoni d'altri tempi, ninnoli da sistemare, in bella mostra, sul tuo "incrociatore tutto pettinato".
(Ohel, De Jaco, è vero, non sono un critico - anzi sono quel giovine poeta che a volte pare "approfitti" del padre-scrittore per farsi strada! - però so leggere nel libro la tua allegria, la curiosità che nascondi così bene in quelle mezze rime, in quelle assonanze, nei versi lunghi, nelle incisive che usi moltissimo, anche quando parli, ecc. ecc.).
Bene. Allora, galoppando galoppando, attraverso una Germania che ha una distanza poetica, una Mosca sotto la neve (ma sei il poeta di Samarcanda!), una Leningrado dall'"ottimo stufato", Varna (ma è la città del mio ipotetico viaggio bulgaro?) che è bella sì, ma non vale Viareggio o Riccione, una Madrid che sottoscrivo per tutto quei rosso di quella "ragazza venuta dopo, dopo di tutto"; galoppando galoppando eccoti qua, fino alle splendidamente amare terre del Saraceno, al mistero dei "consigli ad un indiano Cheyenne", alla fascinosa e incantevole Enea (lettura estiva: Tuglie o Salento Poesia?) dai "piccoli seni come gli interruttori della luce di una volta"...
Beh, Aldo, a questo punto, penso che in questo tuo libro dovevano trovare sistemazione anche le poesie che hai lasciato, volontariamente o per necessità, fuori (dov'è finita quella che hai scritto sulla porto di De Carlo in quella sera buia? e quelle altre che ho letto, che ho sentito al numero 114 di via Alighieri?). Ti auguro una nuova edizione! Ecco.
Ciao Aldone, ci si vede questa estate, ancora in questi strani posti dove è ancora facile coricarsi e sognare "grandi carri, botti, contadini che tornano sull'asino, padroni con gli stivali" o magari donne con "piccoli seni e fianchi tondi", ciao
antonio [verri]


Da Roma (lettera ms.) 3 aprile 1987

Caro Antonio,
io sono un detenuto, un disadattato, un "responsabile" dalla vita completamente irresponsabile, non l'hai capito? E un narcisista, come vedi, che trova nella tua lettura ampiamente dedicata a Toma lo spunto per incominciare parlando di sé.
Ma anche questo è comprensibile, no?
La "morticeddra", quando ti passa vicino, penetra con una ondata di freddo nelle tue ossa e ti lascia alla certezza che "ora tocca a te". Poi tu hai la malvagità di non dir nulla (come? perché?) di quanto potrebbe farmi pensare: ecco è capitato a lui, a me non potrebbe perché...
Ma se tu non mi dici perché è morto io non posso prendere le distanze e sono qui con questo morto sulle braccia che ridacchia e mi minaccia: non creder di cavartela...
Verrò a Maglie il 28 o il 29 e ho già fatto i conti di cosa devo comprare con i soldi che mi darai. Mi darai allora le poesie di Toma da pubblicare insieme al testo di Errico.
Arrivederci, caro ex direttore (non ho mai visto alcuno costruirsi e autodistruggersi con tanta rapidità come te). Tuo
Aldo


Da Roma (lettera datt., carta intestata: S.N.S.) 28.12.1987

Caro Antonio,
rispondo alla tua lettera del 15 u.s. dicendoti innanzitutto che quei tuo sigillo - cerchio nero con punto bianco - mi ossessiona, fondamentalmente perché non lo capisco eppure mi ricorda qualcosa di archeologico: che cosa? Ma veniamo alla lettera. Sono assai lieto dell'aumento degli iscritti per un contributo particolare del Salento e vengo subito a dirti che non vedo niente di scandaloso nella tua proposta di formare una sezione salentina. E' cosa che però deve seguire un certo iter e cioè secondo me è una proposta che tu devi avanzare al Congresso e a chi in quel momento rappresenterà il Sindacato Nazionale, senza toni astiosi nei riguardi di Bari, naturalmente, ma con l'affermazione che la creazione di una sezione leccese del Sindacato agevolerebbe lo sviluppo dell'attività nella zona. Io credo che il Congresso dovrebbe rinviare la cosa alla Segreteria Nazionale, la quale - se ascolterà la mia opinione - la approverà. Questo per quanto riguarda la costituzione di una sezione autonoma rispetto a Bari ma già da oggi dovreste sviluppare una qualche attività che renda comprensibile questa ricerca dell'autonomia.
Altra questione: il foglio. Sarebbe una buona cosa se però avesse una vitalità superiore a pochi numeri. Comunque per quel che vale ti assicuro la mia partecipazione nei modi che tu riterrai opportuni.
Ora veniamo ad altre cose.
1) E' uscita la rivista di Aldo Bello? Io non l'ho ancora avuta ed ho avuto qualche giorno fa il numero precedente. Nella mia ingenuità pensavo di utilizzare gli estratti come omaggio e auguri per il nuovo anno. In ogni caso mi puoi dire quando me li manderete?
2) In segno di affetto e di stima ti mando una copia dell'ultimo racconto che ho scritto perché la scelta di un eventuale racconto da pubblicare sulla rivista sia più vasta. Ti mando anche una "chicca". Uno scambio di lettere cioè tra Giorgio Amendola e me a proposito del volume "Vocazione agit prop". Tutte queste liberalità derivano dalla mia speranza che un giorno tu scriverai (in mortem?) la mia biografia.
Cordialmente
Aldo
N.B. Il racconto e le lettere te le mando a parte.
[Registriamo una lettera-telegramma di E.F Accrocca, dicembre '84, per un incontro su due libri di De Jaco (Cina e Nicaragua), tenuto, a cura del Pensionante, e presentato da Bonea nel Teatrino degli Impraticabili, Lecce. Un altro libro di De Jaco, "L'ospite Ingrato" fu presentato da Durante-Strazzeri in una delle due edizioni di "Al banco di Caffè Greco"]

FRANCISCO DELGADO


Da Vandoeuvres, Svizzera (lettera ms.) 3-8-87

Caro Antonio, j'ai bien reçu la belle revue Sudpuglai que tu m'as envoyé et je te remercie des mots gentils pleins d'amitié que tu m'as consacrés, dans le texte. Toi aussi, cher Antonio, poète italien, tu es resté dans mon coeur, avec ton air farouche et sombre, pour cacher un sourire de beauté d'enfant.
J'ai aussi reçu le numéro 1 de 1987 de la même revue, où j'ai eu le plaisir de découvrir ton texte inédit "LA BETISSA", plein de ces qualités que j'avais découvert dans tes poèmes d'Yverdon.
Ne te fâche pas avec moi. Dernièrement, j'ai écris rarement pour te donner des nouvelles, car j'ai eu une vie très agitée, avec beaucoup de voyages (Portugal, France, Ecosse). En ce moment, je me prépare àpartir di New York, pour trouver ma fille ELSA qui vient de terminer ses études de médicine. A' la fin du mois, elle reviendra en Suisse, pour travailler à l'hôpital de Montreux (et pour la joie de mon coeur).
Avec: tout cela, la poésie reste en attente! Antonio, je n'écris pas! La poésie a déserté! J'ai froid!
Les amis du Comité des Rencontres Poétiques (Lucette, Roger-Louis, Paul Thierrin, Jean Bar) te saluent bien et ont beaucoup apprécié ton article sur les dernières Rencontres.
Nous tous te demandons de nous indiquer le nom de 2 ou 3 poètes italiens, avec leurs adresses, poètes qui pourraient être invités pour les Rencontres de 1988. OK? Cher Antonio, excuse-moi de t'écrire en français. Tu peux choisir un traducteur (traditore) mais choisi de préférence une traductrice, bela ragazza, avec une belle voix, pour te lire ces mots envoyés de Suisse, royaume de la neige que tu aimes tant.
A bientôt, l'ami.
Francisco
Delgado
[Una delle lettere di Delgado, dal pianeta Yverdon: delicato poeta ma anche forte bevitore di Pinot nero]

MICHELE DELL'AQUILA


Da Bari (biglietto ms.) 19.1.1983 (t.p.)

Caro Verri,
grazie ancora dei bellissimi libretti di versi e delle bellissime litografie che li illustrano (di Conversano). Mi sembrano cose assai raffinate e intense. Ho scritto anche all'indirizzo della redazione del "Pensionante" perchè non avevo il tuo indirizzo che poi ho trovato.
Grazie ancora, e auguri non solo per Natale ma per l'ottimo lavoro che fai anche con il "Pensionante".
Cordialmente tuo
Michele Dell'Aquila


Da Bari (biglietto ms.) 19.12.83 (t.p.)

Caro Verri,
grazie del bellissimo "Pensionante" che ricevo puntualmente e dei volumi. State svolgendo un lavoro veramente di alto livello e di intelligente ironia. Anche l'impostazione grafica è bella.
Tante cose care e auguri dal tuo
Michele Dell'Aquila


Da Bari (cartolina post., intestato: Università degli Studi) 16 ottobre 1987

Caro Verri,
quanto mi scrivi sulle difficoltà del Pensionante mi dà tristezza e preoccupazione. Allora anche gli sforzi più generosi per una cultura e per una editoria libera e intelligente sono destinati a cadere?
Spero di poter fare qualcosa, sempre che la "Gazzetta" voglia pubblicare. Ma ormai credo non resti che bussare all'Ente Pubblico, con tutte le conseguenze. Cordiali saluti con molta simpatia e stima dal tuo
Michele Dell'Aquila


Da Bari (biglietto ms.) 29 gennaio 1988

Caro Verri,
mi rallegro molto per il Premio della Cultura della Presidenza del Consiglio conferito al "Pensionante de' Saraceni": premio meritatissimo che vuoi essere anche un incoraggiamento a continuare! In un servizio in tre puntate che apparirà tra non molto sulla Gazzetta intorno alla Poesia in Puglia anni '80 si parlerà anche del Pensionante.
Affettuosi saluti e un abbraccio dal tuo
Michele Dell'Aquila
[Premiò il Pensionante, ad Adeffla (84?), come miglior editore pugliese. Premio un pò più militante di quello ottenuto nel gennaio '88 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri]

PINO DENTICO


Da Monopoli (lettera ms.) 3 dicembre 1984

Carissimo Antonio,
spero perdonerai il lungo ritardo - un mese abbondante - con cui provvedo a darti notizia della manifestazione, tenutasi a Gioia il 22 e 23 ottobre con Martin, e ad informarti della vendita delle trenta copie de "i fuochi e la malinconia". Purtroppo in queste settimane sono stato assorbito da una mole di nuovi impegni che mi hanno impedito di scrivertene al riguardo. Inoltre attendevo che la vendita venisse "perfezionata" dagli acquirenti "ritardatari" che avevano omesso di provvedere al pagamento. Ritengo comunque che ogni cosa sia andata per il meglio: abbiamo venduto le trenta copie e verso la fine del mese scorso ti ho inviato l'importo relativo per mezzo di un vaglia postale. Ma veniamo a quei giorni: quanto mi scrivevi nella tua ultima lettera ha avuto piena conferma nelle ore - purtroppo poche! - trascorse con Martin. Davvero abbiamo incontrato un "personaggio", ottimo amministratore della propria immagine (in senso ovviamente benevolo), ed un "viaggiatore", attento visitatore non tanto dei luoghi quanto delle persone. Prova ne è data dal rapporto, subito partecipe e caldo, che ha saputo allacciare, e non solo con me. Davvero, quando è partito, è parso un po' a tutti gli amici, che lo hanno seguito nella due-giorni a Gioia, che partisse un amico. In queste settimane, così tumultuose e decisive per il Cile, non manchiamo di pensare a lui e attendiamo con impazienza una sua cartolina, una sua lettera. E poi, non da ultimo, la sua poesia che ha catturato un po' tutti, sia nell'incontro a scuola, con gli studenti delle medie superiori, che nel momento conclusivo del 23 ottobre. Quando ha letto gli ultimi versi - a chiusura della serata - il foltissimo pubblico, oltre duecento persone, ha voluto manifestare la propria adesione ed il proprio entusiasmo con un lunghissimo, intensissimo applauso. Dunque un bersaglio pienamente centrato per tutti, per Martin, per la Fondazione "Canudo", per chi ha organizzato l'incontro. Parte del risultato è dovuta a te, alla tua disponibilità, e te ne ringrazio sinceramente. Anche a Monopoli l'iniziativa ha colto in pieno gli obiettivi propostisi, anche se ha incontrato un pubblico meno appassionato e vigile. Ma della giornata monopolitana ritengo ti parlerò più diffusamente Lino o Carmine Tedeschi che l'organizzava.
In conclusione, un incontro che necessitava e che ci ha permesso al contempo di spalancare una finestra - mi auguro di aprire una porta - sia su una realtà poco conosciuta, sia su un modo di pronunciare e vivere la "parola", di cui si avverte sempre più urgentemente il bisogno.
Approfitto dell'occasione per ringraziarti dell'interesse che hai individuato nelle mie cose, su cui gradirei conoscere un parere più puntuale.
Attendo ora un tuo cenno di risposta, non foss'altro che per darmi conferma se ti sia giunto il vaglia postale; e l'ultimo numero del "Pensionante", che penso di non aver letto.
Invitandoti a tenermi informato delle tue attività, soprattutto editoriali, ti saluto
cordialmente
Pino
P.S. Potresti inviarmi altre 5-6 copie de "i fuochi e la malinconia"? Potrei impegnarmi a venderle nei prossimi mesi. Grazie.

LUCIANO DE ROSA


Da Lecce (biglietto ms.) 3.XII. 1987

Caro Verri, grazie (con imperdonabile ritardo) del cortese omaggio de "La Betissa". Mi sono più volte cimentato nella lettura, gustosa per la torrenziale invenzione e ricchezza linguistica. Ma tanto ardua, da richiedere, quanto meno, un lessico ad hoc. E una nota esplicativa generale, almeno per tentare di vedere in quale toppa occorre infilare la chiave di lettura, senza girare a vuoto intorno al testo. Ma auguri lo stesso. (Quanto a noi, queste cose ci avvertono che siamo invecchiati). Cordialmente
Luciano De
Rosa

CESARE DE SANTIS


Da Sternatia (lettera ms.) 23.8.1983

Esimio Sig. Verri,
In riferimento alla Sua promessa fattami circa un mese fa (oggetto 6 libri) le chiedo abbia cortesemente la compiacenza di volermeli inviare con mia figlia Lucia e mio genero Antonio che verranno costò a visitarlo di persona.
I miei figli hanno aspettato invano questi miei sospirati libri, e devono partire domani con rincrescimento di non aver potuto vedere la Sua e mia opera. La prego vivamente di essere così gentile, e di mantenere la promessa fattami. Tenga il presente da me firmato quale ricevuta dei sei o dieci libri che mi invierò.
La ringrazio sentitamente salutandola con massima stima.
S. servo Cesare De
Santis
(Un bracciante, un raccontatore stupendo, in griko, che ha lasciato pagine e pagine di cultura grecanica. Primo "quaderno" del Pensionante)

FRANCESCO SAVERIO DODARO


Da Caprarica di Lecce (lettera ms.) (adesione al Movimento Genetico) 1.5.1988

Caro Saverio,
ecco la mia formale adesione al Movimento Genetico: dico formale perché tu sai benissimo da quant'è che ho assorbito (e anche usato: Betissa e Trofei fanno testo) le tue intuizioni genetiche, le tue geniali idee, i tuoi voli, i vastissimi campi che possono essere esplorati dal tam tam armonioso, materno, disarmante, monotono, primordiale, vitale; quanto la poetica del tuo Movimento non dia altro, in definitiva, che l'idea del corpo che racconta, copula, plasma, irrita...
Quello che forse non sai è quanto io amo, ho sempre amato, le tue illuminazioni improvvise, le tue anche candide (perché poetiche) illuminazioni improvvise, il tuo rigore, le tue misurazioni continue e per qualsiasi operazione, il tuo lavoro silenzioso e continuo che ha, per efficacia e contributi, dimensione universale.
Intanto aderisco, dopo ti verrò a trovare perché, lo sai, non ho finito di usarti. Sto chiedendomi, per il "Declaro", qual è (eccome) il segreto della ripetizione o lo scavo, l'intreccio, la radice delle parole: frequentarti, per me, vorrà dire semplicemente entrare nella tua ampissima alchimia, se così possiamo chiamare la tua officina razionale, poetica ed analitica.
Vorresti una frase? Ecco: EDOARDO CHE MENTRE CON INSOLENZA VIOLA L'ACQUA, E' COSTRETTO A TORNARE, E NON SOLO CON LA MEMORIA, AD UNA LONTANISSIMA CROSTA SORELLA ALL'INIZIO DELL'UNIVERSO.
Ciao Saverio, ti auguro buone cose e buona salute
antonio verri


Da Lecce (lettera ms., carta intestata: GHEN) 18.5.1988 (t.p.)

Caro Antonio,
la tua adesione mi commuove, profondamente. E' inchiostrata dal Puer. Affascina, avvolge, stringe. Sarai un compagno d'onda amabilissimo. Insieme, disarmati dispersi, interrogheremo la luna e le stelle. Il sole no: è fuggito portandosi la parola sole.
Dialogheremo, sulla parola, sul seme segreto. La parola. Quante parole! Quante pagine! Quanti libri!
Quante biblioteche! Per dire rosa. Tutte metafore, spostamenti, capovolgimenti per esprimere, forse, un fonema, uno solo, che ci ha marcato. Un fonema contro l'idea. Abbiamo rifiutato di crescere, di esserci, trasgredendo, violando l'Historia. Una trasgressione all'evoluzione. La parola: l'atto rivoluzionario. Noi, parolieri, siamo gli autentici rivoluzionari, Noi, e solo noi, siamo la rivoluzione.
e
e
e
Ecco il suono, il vento e le campane della rivoluzione.
Ecco Betissa e Trofei sui boulevards della Bastille. Che ampiezza d'onda! Che purezza di
suono!
Il Salento era ormai maturo per partorire un grande poeta, un grande canto, un grande Verri. Ti abbraccio
Saverio
Un giorno qualsiasi, in un luogo qualsiasi.
[Tutta da scrivere ancora la storia del Movimento Genetico e del suo purissimo
capo]

ANTONIO DONNO


Da Lecce (lettera datt.) 19 settembre 1983

Caro Verri,
ho ricevuto oggi l'ultimo numero di "Pensionante de' Saraceni": l'ho scorso attentamente, ne ho letto alcune cose, ma ho avuto la netta sensazione che da qualche tempo ad oggi "Pensionante" abbia perso la sua connotazione originaria. Qualche critica nel merito: inutile, noioso e qualche volta irritante quel tran-tran che da qualche numero si trascina sul Sindacato Nazionale Scrittori: non so a chi possa interessare. Rifletti un po': "Pensionante" aveva svolto la funzione di "dare" poesia e narrativa di una certa pregnanza ai suoi lettori, riuscendoci spesso in una maniera egregia nel desolante panorama locale dominato dal vernacolo per tutti i gusti. Ora ci propina questioni di "burocrazia" sindacale per scrittori che evidentemente non sanno fare il loro mestiere. Al diavolo il sindacato, puttana di un mondo falsamente democratico, in realtà appiattito per il gusto depravato delle maggioranze!
E poi, quel piagnucolio un po' ipocrita della De Lorentiis su Lecce, il provincialismo e le solite menate del genere; infine, quel tuo quasi-racconto onestamente indefinibile, al limite del riempitivo. Per favore, cerca di riaddrizzare questo "Pensionante", di riportarlo alla sua funzione originaria, ben lungi dall'essere esaurita, altrimenti questa tendenza attuale all'inutilità del foglio si trasformerà -almeno per me - in un meccanico gesto di cestinatura. So di poterti parlare con la franchezza che ho usato. Tuo
Antonio Donno

RINA DURANTE

Da Lecce (lettera datt., pubblicata su Caffè Greco, ottobre 1980, col titolo "Ai giovani poeti di Caffè Greco")

Non è piacevole scrivere di me, del mio lavoro passato, tracciare programmi per il futuro. L'idea di farlo per voi, ultima generazione di poeti del Salento, mi rende addirittura inquieta. Provo fastidio, questa è la verità, a parlare della mia attività letteraria. Sono partita da atmosfere sature di letteratura, i miei idoli erano Rilke, Proust, poi Pavese, Vittorini, Montale. Il tardo ermetismo è stato il mio primo nutrimento. Non è stato facile scrivere i primi versi avendo accanto un mostro come Vittorio Pagano. Lui la sapeva lunga, era tutto dentro la letteratura. Credo che il mondo fuori di lui lo interessasse solo a patto che si lasciasse filtrare dalla sua parola poetica. Credo anche che il Salento abbia avuto in lui un poeta eccezionale, capace di andargli incontro, di affrontarlo, senza venire a patti con lui. Pagano è stato il primo a sbattermi fuori dal nido. Sono caduta fra gente come Giacomo De Benedetti, Elio Vittorini, che ancora non avevo messo le penne. Brutto affare. Ma in fondo sono stata fortunata. In qualche modo ho imparato a volare, mi sono ritagliato il mio pezzo di cielo, adesso so dove e come andare. ("Ma è tardi, sempre più tardi"].
Della poesia ho un'idea ecologica: esiste la comunità (Melendugno o New York, non fa differenza), fatta di gente che zappa, che fabbrica, che compra, che vende, che fa poesia. Fare il poeta è un mestiere.
Chi lo sa fare bene è un poeta collettivo.
Fare il poeta, (ma anche lo scrittore), è faticoso, perché è una grande fatica trovare la verità di tutti, ma ancora di più dirla a tutti. In un mondo che sempre più rinuncia al proprio volto, che fa di tutto per mistificarsi, fare il mestiere di poeta diventa sempre più difficile. Questo è un mondo che va sempre più verso l'ordine (ma, come dice Frassineti, solo nel disordine è qualche speranza!), che tende più o meno inconsciamente all'appiattimento, al livellamento universale. Esso si aspetta dal poeta più o meno ciò che il popolo di Israele si aspettava da Cristo: una consacrazione ufficiale dell'ordine costituito. Ma Cristo ebbe il coraggio di deluderlo, affermando: non sono venuto a unire, ma a dividere...
Il poeta, oggi, ha questo dovere di deludere, gridando alta la sua verità. Ma, attenzione, la croce che vi aspetta non è quella d'ulivo, non sarete appesi al paio, né legati col filo del telegrafo. Vi sarà consegnata una cetra di materiale pregiato, i vostri carnefici vi aspetteranno dentro un molto confortevole ufficio di una grande casa editrice, per consegnarvela. Se vi andrà bene, morirete di successo. Se no, camperete di solitudine. Credo che non ci sia alternativa. Strano però che ci siano in giro poeti, di questi tempi, giovani per giunta.
Quando ero molto giovane, mi svegliavo la notte con l'incubo che gli altri intorno a me stessero scrivendo il capolavoro, mentre io dormivo. Non era vero niente: gli altri dormivano beatamente, ero io la sola a vegliare pensando al libro. Poi questo libro l'ho persino scritto. L'ho scritto mentre mia madre moriva, e se ne andava con la mia ultima giovinezza. L'ho pensato in una corsia di un orribile ospedale, mentre mia madre moriva, come tutte le madri del mondo, dopo avermi detto: "Ma sai dirmi che morte è questa?", e intorno a me c'erano altre madri, vecchie madri che si erano messe a occhi chiusi per morire, ma proprio come bambine ubbidienti, perché erano davvero molto vecchie e persino i figli nel salutarle quella sera glielo avevano garbatamente fatto capire che non era dopotutto il caso di insistere. C'era un'unica infermiera molto stanca e nervosa che andava su e giù a portare qualcosa alle vecchie madri, e alla fine non ce la fece più. Suonavano i campanelli quella notte, si perdevano i richiami nel silenzio del reparto. Io pensai che se fossi riuscita a scrivere quel libro, non sarei morta né sola, né disperata. Ecco, pensavo che quando l'ora fosse giunta, ricordando quel libro, avrei persino potuto ridere. E con questa certezza dentro pensai tutto il libro, che poi scrissi di getto, nel giro di una ventina di giorni.
Scrivevo senza staccare mai la penna dal foglio, interrompendomi solo per recuperare l'uso del braccio intorpidito. Ho scritto quel libro con tale allegria che neppure l'idea della morte mi può più minacciare.
Vi ho parlato di quel libro perché più degli altri assomiglia a un'opera poetica. Forse volevo dirvi che siamo, siete dei privilegiati.
La gente ha ragione di accennare un sorrisetto ironico, quando dice "è un poeta". Di tutti i mezzi, la poesia è il più efficace per esorcizzare la morte. Questo la gente lo sa, e se non lo sa, lo intuisce. Ma la gente perdona ai poeti che le donano un po' del loro esorcismo.
Solo chi lavora sul nulla detesta i poeti. I politici di carriera, ad esempio, i rimestatori volgari di mediocri verità, i superficiali per calcolo, quelli che prendono le distanze per paura di non avere tutto gratis. Consolatevi: essi morranno. Soli. Del resto anche da vivi non seppero stare in compagnia. Chi è più solo di un idiota che finge di proferire grandi verità di fronte a un pubblico che finge di ascoltarlo?
Essere poeti nel Salento. No, non è diverso dall'essere poeti in qualunque altro posto della terra. Essere impegnati. I veri poeti lo sono, molto più dei cosiddetti politici, e questo i cosiddetti politici non glielo perdonano. D'altra parte è raro che un grande politico non sia un poeta. Ma, attenzione, il capolavoro di un politico è la sua opera politica. Non faremo l'errore che i politici fanno con i poeti, non gli chiederemo di scriverla, e tanto meno in versi. La verità è che i politici non leggono i versi, come sarebbe auspicabile, nell'interesse della comunità, e dei poeti, che finalmente non sarebbero più sottoposti a processi ridicoli da parte dei soliti burocrati di partito. Se insisto sul rapporto tra politici e poeti è perché esso ha causato e continua a causare l'infelicità dei poeti, anche quaggiù nel Salento. Occorre molto coraggio per non soggiacere alle violenze morali dei burocrati, dei grandi giudici di regime. Siate intrepidi nel sostenere la verità in faccia ai servi di partito, siate sinceri fino alla spudoratezza. Wolfango Borchert, poeta di vent'anni, diceva che "la verità è dura e nuda come la morte, ma è pur tanto soave, stupefacente e giusta".


Da Caprarica di Lecce (lettera datt.) 12.1.1986

Cara Rina,
mi inviti a riflettere sul mio "Pensionante". Ecco. Proprio così. A riflettere. Niente altro. Quanto ti posso essere utile non so... comunque...
Non proponimenti né programmi (anche se è "una rivista da due chili", come dici), solo vuoti, amarezze e... il solito candore! "Pensionante de' Saraceni", come prima "Caffè Greco", è figlio, appunto, delle amarezze, dei vuoti, degli sbandamenti e del candore di un direttore che non ha mai cominciato a vivere sul serio (anche se spera tanto di farlo!), in modo regolare, con le Pasque e i Natali al posto giusto...
In fondo in fondo credo che non ti meraviglierai di quel che scrivo, né del tono di questa che doveva essere una cartella per una possibile intervista.
Ecco. Lontani i tempi in cui volantinavo, con Angelo Fabbiano, il mio foglio giallo a cento lire la copia, lontanissimi quelli del primo tremore davanti al primo piombo tipografico, o quelli del primo approccio con la squinternata autrice della "Malapianta" (che aveva conosciuto Vittorini o che aveva scritto il suo primo romanzo senza "staccare mai la penna dal foglio"), lontani anche tanti altri piaceri e dispiaceri di carta, quel che oggi resta è la sempre casuale caparbietà a chiudere in sedicesimi, non poesie o racconti, ma la disperazione, la povertà, l'entusiasmo mozzato di tutti i miei amici "creatori" (disperazioni e povertà ed entusiasmi anche miei, a volte, ma, meglio lasciar perdere ... ) ed operatori culturali che hanno finalmente trovato un porto (lontano dagli assessori' che rubano allegria o da giornalisti "venditori di tappeti", che pure, pare, abbiano una loro logica, loro passioni ... ) dove far confluire, a volte su grossi barconi, i loro guizzi, i loro disagi (almeno così è stato fino ad oggi ... ): è inutile dirti, penso, che mi accettano come loro regolatore, o direttore, solo perché hanno da sempre capito che sono in fondo come loro, un po' vile, un po' triste, un po' amico dei Turchi. Sì, cara Rina, per essere buon direttore di una rivista di letteratura, qui da noi, bisogna proprio essere amico dei Turchi...
Che dirti altro? Ah, le "carte internazionali"! Gli amici autori in francese, inglese o tedesco (per cui qualcuno mi dice Superprovinciale!). Beh, quella è tutta colpa mia. Ne avevo, ne ho bisogno per vivere in questo posto! Con qualcuno di questi mi vedo, scambio libri, riviste (però non ho mai dato, per esempio, quattro copie di "Pensionante" per una copia di rivista francese o inglese o che diavolo!), hanno tutti gli occhi chiari, qualche volta la barba, vengono da paesi di neve... E poi ho scoperto - è questa soprattutto la ragione della mia ospitalità, della mia amicizia - che "si svegliano di notte con l'incubo che gli altri, intorno, stanno scrivendo il capolavoro, mentre loro dormono"I Oppure "scrivono libri con tale allegria che neppure l'idea della morte li può minacciare"!
Altro. Nient'altro che la solita insoddisfazione per i numeri (anche se da due chili!) di "Pensionante" già fatti, un numero storico che ora chiudiamo per Pagano, o la voglia (un lumicino lontanissimo) di un "Pensionante" annuale di ricerca letteraria e altro.
Ciao Rina, e, parafrasandoti ancora, essere direttore di una rivista letteraria nel Salento non è diverso dall'essere direttore di una rivista letteraria in qualunque altro posto della terra. L'importante è essere un po' triste, un po' amico dei Turchi... Ciao
il tuo amico georgiano antonio verri
[Personaggio per noi molto coro e importante: ma chi compra Rina, compra non solo la sua cultura ma anche le sue bizze, le sue passioni]


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