§ Le prospettive delle Banche italiane in vista del mercato unico europeo

Credito senza frontiere




S. G.



Sono ormai sufficientemente chiari i principi ispiratori ed i tratti essenziali che contrassegneranno, a partire dall'1.1.1993, il mercato unico europeo, in cui "senza frontiere interne... è garantito il libero movimento di persone, beni, servizi e capitali, (Atto Unico).
In un certo senso, al di là e prima dello sforzo compiuto a livello legislativo, la "forza, stessa delle "cose" ha generato un movimento ineluttabile che spinge sempre più verso l'integrazione dei mercati europei. A fornire un impulso determinante in tal senso sono state in primo luogo le imprese, che - prima di altri soggetti - hanno colto il senso di cambiamento dello scenario degli anni '80, rappresentato dal progresso tecnologico, dall'innovazione, dalla globalizzazione. Non è più, dunque, in discussione il "se" del mercato unico, ma il "come" ed il "quando" di esso.
Numerosi sono gli ostacoli che si frappongono alla piena integrazione dei mercati ed al miglioramento dell'efficienza competitiva della produzione europea. Basti pensare che con il '93 da un lato non cadranno d'incanto le diversità di cultura, di moneta, di sistema fiscale, di tassi, di politiche economiche, ecc. e dall'altro non sarà certamente risolto il problema dell'ampiezza dei poteri che spetteranno alle istituzioni sopranazionali.
In questo contesto è fin troppo evidente che:
a) certamente non ci sarà più spazio per tutte le imprese che oggi operano;
b) in ogni settore emergeranno alcuni leaders, ciascuno dei quali sarà capofila di una rete di imprese.
Se questo è il quadro generale in cui i diversi operatori economici si troveranno ad operare, c'è da chiedersi in quale misura le aziende di credito italiane siano pronte ad affrontare le sfide del nuovo scenario.
Ovviamente è necessario procedere ad una suddistinzione in seno all'espressione aziende di credito italiane, con riferimento al loro aspetto "dimensionale".
L'incremento, ad es., della domanda dei servizi esteri, che certamente sarà alimentata dall'unificazione dei mercati europei, schiuderà alle aziende di credito italiane - in astratto - ampie possibilità di espansione dell'attività internazionale. In concreto, però, le Banche che potranno e - speriamo - sapranno approfittare di questa opportunità saranno solo le banche di maggiori dimensioni. Ciò è affermabile sulla base di una semplice constatazione: l'85% delle operazioni internazionali compiute da Banche italiane è svolto attualmente da 14 banche con Filiali all'estero. La connessione fra dimensioni operative e articolazione estera è fin troppo evidente (Lanciotti). Se si pensa, poi, che quell'85% ha un peso molto modesto nell'ammontare complessivo degli scambi internazionali, si arguisce "a contrario" il ruolo scarsissimo che potranno svolgere tutte le altre aziende di credito italiane non rientranti fra le quattordici.
Anche i problemi relativi alla produttività, all'efficienza ed alla patrimonializzazione delle Banche si prestano ad approcci e soluzioni di tipo diversificato a seconda della classe dimensionale degli Istituti di credito.
Per quanto concerne la produttività, è noto che la redditività del sistema bancario italiano scaturisce in larga misura (73,4% nel 1987) dall'intermediazione tradizionale.
Il fenomeno, in controtendenza con quanto avviene a livello internazionale, appare generalizzato. Esso, tuttavia, caratterizza soprattutto le aziende di credito di minori dimensioni e le banche medie. Le banche maggiori sono meglio posizionate (68,4%), le Banche popolari sono nella posizione più critica (80,9%) (Pontolillo). Ne deriva la vulnerabilità del sistema bancario italiano nel suo complesso; poiché "l'accresciuta competizione in tutti i mercati determinerà drastiche riduzioni del margine unitario di interesse e ciò per la perdita di peso dell'attività tradizionale sia in termini di volumi che di prezzi, (Alberici). Anche nell'area dei servizi le banche italiane presentano sogni di debolezza strutturale. Le banche minori operano prevalentemente su servizi ancorati all'attività tradizionale; quelle maggiori operano più intensamente nei settori cambi e titoli.
Ora, se si considera da un lato la contrazione relativa all'attività tradizionale e la razionalizzazione del sistema dei pagamenti e dall'altro l'imperfetta conoscenza dei costi bancari e della loro formazione, non mancano certo segnali di inquietudine.
E' possibile definire un'offerta razionale di servizi alla clientela? E' possibile determinare i prezzi dei servizi su base non meramente simbolica? Si provi ad esaminare queste domande: non sarà semplice dare ad esse una risposta.
Sono stati menzionati solo alcuni fra i principali "nodi" che bisognerà sciogliere quanto prima per non lasciarsi sfuggire le opportunità di cui sarà foriero il '92.
Tre sono i fattori che spingono la Banca italiana ad essere sempre meno "ente"
esercente attività amministrata e sempre più "impresa":
a) mutamenti del quadro normativo;
b) sviluppi tecnologici;
C) nuove attese/richieste da parte della clientela.
Si comprende, allora, fin troppo agevolmente che ogni banca è chiamata in primo luogo a dare una sola risposta: l'innalzamento del livello di efficienza, nell'ambito di linee strategiche predeterminate con oculatezza. Bisognerà esser pronti, insomma, a fronteggiare dinamicamente una sempre crescente concorrenzialità sui mercati.
Per far questo occorrerà disporre di una vasta gamma di prodotti/servizi, pena la perdita di consistenti quote di mercato.
Nessuno potrà illudersi, insomma, di aver già acquisito, e per giunta definitivamente, una propria "nicchia" di mercato; viceversa, bisognerà fare "attenzione che questa nicchia non assomigli molto al loculo cimiteriale "(Battini).
Va accelerato il processo di "crescita dimensionale", senza, però, attribuire a tale fattore le prerogative di un fine primario da perseguire ad ogni costo; ma riconoscendo in esso solo uno strumento (opportuno? necessario?) per accrescere - questo il vero obiettivo - l'efficienza.
Il perseguimento di più efficienti assetti aziendali induce, pur se a livelli diversi, tutte le banche a svolgere attente valutazioni circa la sostenibilità in via autonoma degli oneri connessi al potenziamento o alla creazione di nuove strutture che consentano lo sfruttamento di possibili sinergie.
La quaestio può essere esposta in termini ancora più crudi: bisogna crescere per essere più efficienti; bisogna essere più efficienti per conseguire più profitti.
Ma... crescere "come"?
Le vie sono due:
a) le concentrazioni (fusioni o incorporazioni);
b) la cooperazione (latu sensu) tra organismi consimili (consorzi, network, gruppi polifunzionali).
Se la "concentrazione" consente immediati aumenti dimensionali con pronta acquisizione dei possibili benefici, è pur vero che non si deve ignorare il prezzo da pagare in termini di disomogeneità (organizzativa, culturale), di sovrapposizione delle strutture operative (sportelli e risorse umane), ecc., e ciò soprattutto nell'ipotesi di fusione piuttosto che in quella di incorporazione. Si può forse sintetizzare il punto, riportando il pensiero di due banchieri: "bisogna abbandonare la credenza che sommando mezze debolezze si possano ottenere posizioni di forza" ovvero le fusioni vanno auspicate "purché due più due faccia cinque e non tre, come sovente accade".
La via della cooperazione è, in un certo senso, agli inizi (consorzi) o addirittura tutta da scrivere (gruppi polifunzionali, network). I problemi che suscitano queste figure a livello giuridico, strategico ed organizzativo non sono né pochi, né semplici, ma la loro adozione potrebbe consentire la "sopravvivenza" di una banca al di fuori della logica dell'aumento "ad ogni costo" della dimensione aziendale.
Con il network, attraverso un apporto di sinergie, i canali di distribuzione di una determinata banca offrono servizi realizzati all'ingrosso" da altri produttori. Questo strumento potrebbe rappresentare per ciascuna Banca la risposta all'esigenza che va profilandosi sempre più di dover, per effetto dell'accresciuta competitività ed a tutela della propria quota di mercato, offrire gamme diversificate e differenziate di servizi alla clientela.
In senso positivo si deve notare che il prodotto fornito da terzi può esser personalizzato dalla Banca sulla propria clientela: "si attivano in tal modo elementi distintivi non imitabili da altri competitori, nel quadro del mantenimento e del consolidamento dei rapporti di clientela e del perseguimento di un maggior grado di efficienza aziendale" (Alberici).
La creazione di gruppi polifunzionali - sistemi di società specializzate governate da holdings con funzioni di pianificazione e di controllo -costituisce al momento un modello di struttura organizzativa, che suscita notevole interesse. Le problematiche che questa ipotesi genera in parte scaturiscono dalla carente normativa specifica; in parte riguardano l'effettiva capacità del "gruppo polifunzionale" di far emergere le sinergie tra le diverse attività svolte nel gruppo, di coordinare efficacemente l'azione delle differenti società per il tramite di indicazioni operative che evitino competizioni e sovrapposizioni e, infine, di controllare i risultati conseguiti.
Vi sono, infine, forti dubbi sulla possibilità del modello di trovare pratica attuazione nel caso di istituzioni creditizie di limitate dimensioni.
Non si può proporre alcun modello come quello più idoneo ad assicurare, in assoluto, l'ottimale crescita dell'impresa bancaria. Occorre prima identificare quali sono gli interessi concreti e gli obiettivi strategici della singola impresa o del singolo gruppo di imprese.
Più sopra sono stati esposti, senza alcuna pretesa di completezza, alcuni fra i temi più dibattuti nel mondo bancario alla vigilia del completamento del mercato unico europeo.
Sarebbe, ora, interessante cercare di individuare, all'interno del "panorama" italiano, l'attuale condizione delle banche salentine e le possibili linee direttrici che esse potranno o dovranno percorrere.
Il sistema bancario salentino presenta alcune innegabili specificità, fra cui quella dell'elevato numero di aziende di credito locali. Il fenomeno (comune anche al resto della regione) sta registrando in questi ultimi anni un notevole ridimensionamento.
Nel periodo 1978-1989 in Puglia vi sono state 13 operazioni di "concentrazione" (8 incorporazioni e 5 fusioni); di esse, 9 hanno interessato la penisola salentina (5 incorporazioni e 4 fusioni).
Due importanti operazioni di incorporazione sono state concluse, però, da Istituti di credito del Nord.
La contrazione del numero delle banche locali, registratasi nell'ultimo decennio, non è stata certamente compensata dalla costituzione di 5 Casse Rurali, di cui una sola operante nel Salento.
Ora, se si considera che la presenza delle banche non pugliesi nel nostro territorio sta diventando sempre più significativa; se si rammenta che il mercato richiede la produzione di servizi e prodotti sempre migliori (e, sotto questo profilo, pur volendo essere ottimisti, non si può certo sostenere che i nostri servizi abbiano raggiunto lo stesso livello qualitativo di quelli delle aziende del Nord); se si tiene conto dell'aumento considerevole del numero di operatori non bancari (finanziarie in testa, si può ragionevolmente ipotizzare che anche in un prossimo futuro le aziende di credito locali dovranno vivere, e speriamo superare, periodi non troppo facili.
Ecco perché a proposito della c.d. "Puglia delle Banche" (locali), oggi con molta serenità dobbiamo chiederci se si è in presenza di una realtà in corso di evoluzione o di un "mito" destinato a tramontare definitivamente.
Il sistema bancario salentino è "costretto" ad operare in un contesto, che è comune, al di là di alcuni aspetti "tipici" della propria realtà (quale quello più sopra esaminato), a tutto il meridione. Quanto si dirà più avanti in relazione al Mezzogiorno d'Italia varrà ovviamente anche per il nostro contesto territoriale; poiché il "tutto" (meridione) contiene la "parte" (Salento). Le banche del Sud, pur spuntando condizioni migliori nell'attività di intermediazione finanziaria, conseguono utili inferiori rispetto a quelle del Nord (1).
Fra le cause che concorrono a determinare questo fenomeno si possono ricordare:
a) i più alti costi operativi e le maggiori spese per il personale;
b) la minore diffusione dei processi di automazione e la peggiore organizzazione dell'attività creditizia;
c) la maggiore rischiosità nell'esercizio dell'attività creditizia (sofferenze pari al 12,54% degli impieghi nel Meridione contro il 6,45% che si registra nell'area CentroNord).
Ciampi pensa che per colmare il divario fra Nord e Sud (omogeneizzando le due aree del Paese nel settore dell'intermediazione finanziaria e dei servizi ad essa connessi) un contributo notevole possa esser dato da una più ampia presenza nel Meridione di gruppi bancari "... di dimensione nazionale in grado di operare, per acquistare esperienza professionale e per disponibilità di articolazioni organizzative e societarie, nei diversi segmenti funzionali di mercato. Una più ampia loro presenza, accanto a quella dei maggiori istituti meridionali, favorisce lo sviluppo dell'area; non sostituisce quella delle banche locali minori che possono trovarvi stimolo all'efficienza e all'innovazione ... ".
In prospettiva del '92 le parole pronunziate dal Governatore possono esser lette in un'ottica più vasta. Le banche italiane di maggiori dimensioni subiranno immediatamente l'impatto degli effetti concorrenziali e all'estero e in Italia. Esse, da un lato, saranno stimolate a migliorare l'efficienza dei prodotti esposti alla concorrenza estera e, dall'altro, saranno costrette da necessità di conto economico a cercare profitti in aree nelle quali sono (o entreranno) in contatto con banche minori.
Per queste ultime sarà possibile sostenere la competizione solo se riusciranno, sfruttando le profonde radici che le legano alle varie realtà locali, a soddisfare la propria clientela, offrendo i prodotti che essa richiede e che non possono essere facilmente forniti dalla concorrenza.
Ora, se è vero che tutti gli istituti di credito meridionali sono chiamati ad affrontare la "sfida" degli anni '90, è ipotizzabile che non tutti, probabilmente, riusciranno a dare una risposta adeguata a quella sfida. Con questo assunto, però, non si vuole affatto sostenere che il ruolo essenziale svolto dalle banche locali sia destinato, come vorrebbero alcuni, a tramontare rapidamente.
Non va dimenticato, infatti, il notevole contributo da esse fornito nel valutare e sostenere le imprese ed i loro progetti di investimento. Tutto questo grazie alla conoscenza diretta dell'ambiente socio-economico in cui operano.
Nesi non molto tempo fa ebbe ad affermare che " il mercato meridionale è una regione tipica. L'esperienza [ ... ] insegna che si conseguono buoni risultati quando si opera con strutture tipiche ed uomini che realmente conoscono il mercato". Il Governatore idealmente si riallaccia a Nesi e richiama l'attenzione sul fatto che "l'apporlo della banca sta nella selezione delle imprese, valutandone i progetti in una visione d'assieme, che implica la conoscenza dell'ambiente economico del Mezzogiorno".
A questo proposito si rimprovera da più parti alle banche meridionali la loro propensione ad attribuire maggior rilievo, nel concedere affidamenti, alle garanzie reali piuttosto che alla validità dei progetti. Tale affermazione in sé e per sé non è falsa, ma non va nemmeno assolutizzata nella sua portata. Agli addetti al "settore" non sfugge, infatti, che è certamente più difficile essere e fare il banchiere al Sud piuttosto che al Nord. E' ancora il Governatore a parlare: " ... è più complessa la valutazione del merito di credito agli imprenditori (nel Sud, N.d.r.), più incerto l'esito dei progetti, più elevata la probabilità che le iniziative produttive trovino ostacoli nelle strutture sociali ed economiche, nelle diseconomie esterne ... ".
Se questa è la realtà effettiva in cui deve esser svolta l'attività creditizia, è del tutto infondato valutare potenzialità imprenditoriali, ecc. e, contestualmente, far assistere il credito da opportuna garanzia?
Non sarà stato sicuramente cancellato dal passare del tempo il ricordo di un caso particolarmente significativo: quello di una banca estera che, insediatasi con proprio sportello operativo in Italia, concesse credito ispirandosi unicamente a criteri di valutazione "innovativi". L'operato di quella banca venne indicato da molti come felice modello, cui si sarebbero dovute ispirare le altre istituzioni creditizie. Dopo qualche anno, quella azienda, in virtù delle perdite registrate, preferì abbandonare il nostro Paese.
Anche in questo comparto bisogna agire con gradualità!
Parlare del Mezzogiorno, per fortuna, non significa parlare solo di difficoltà o di occasioni mancate. Banchieri ed industriali sono concordi nel ritenere che nel Sud le aziende di credito locali -che riusciranno a caratterizzarsi per la loro presenza dinamica ed efficiente potranno contribuire in modo determinante allo sviluppo del Mezzogiorno (2).


NOTE
1) Il Governatore della Banca d'Italia, nella relazione del corrente anno, non ha mancato di rilevare a proposito dell'intermediazione finanziaria quanto ancora sia notevole il divario fra Nord e Sud del Paese.
Chi ha bisogno di un prestito e lo chiede al "Sud" paga di più di chi lo chiede al "Nord", mentre chi deposita denaro ha una remunerazione inferiore; il risultato di gestione che vantano le banche del Centro-Nord è pari all'1,48% dei fondi intermediati contro l'1,07% del Sud; mentre l'utile netto delle banche centro-settentrionali è quasi il doppio di quelle meridionali: 0,50% dei fondi intermediati contro lo 0,27%.
2) A mo' di sintesi può esser ripreso il pensiero di Ciampi: "le regioni meridionali, non solo per sottoutilizzo delle risorse umane e materiali di cui dispongono, offrono potenzialità di sviluppo. Esistono spazi per nuove iniziative industriali per la modernizzazione dell'agricoltura, per la produzione di attività del terziario avanzato. Dallo stesso tessuto economico e sociale del Mezzogiorno sono emersi in questi anni operatoti capaci di assumersi il rischio di impresa e di mettere in moto significativi, benché ancora limitati, processi endogeni di crescita".


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