§ La caduta degli dei

E rivoluzione sia




Ralf Dahrendorf



Non siamo i primi ad essere tormentati dal dilemma "economia e politica". Nel momento in cui la Rivoluzione francese stava per svolgere il suo tragico epilogo e il popolo tumultuava perché non aveva niente da mangiare, un irato Robespierre si rivolse così alla Convenzione: "Come sarebbe? Hanno la Repubblica e gridano per avere pane? Solo i tiranni danno pane ai loro sudditi. Ciò che la Costituzione deve al popolo francese è la libertà, cementata da leggi umane. Quel che la Repubblica assicura ai cittadini è il godimento dei sacrosanti diritti umani e l'esercizio di tutte le virtù sociali". Per fortuna Gorbaciov non è un Robespierre, e quest'ultimo non viene certo ricordato dalla storia in quanto assertore della libertà e di leggi umane, eppure il punto di vista del Presidente dell'Urss non è molto diverso: "Come sarebbe? Hanno libertà di parola e vere elezioni, e protestano perché gli scaffali dei negozi sono vuoti?". E' vero che l'uomo non vive di solo pane, ma neppure di sola glasnost e perestrojka, e neppure di sola democrazia.
Quando si tratta di pane, o di scaffali vuoti, le rivoluzioni non sono di grande aiuto. In realtà la Rivoluzione arrestò, invece di accelerare, "il processo di modernizzazione". Ci vollero trent'anni perché il commercio francese tornasse ai livelli pre-rivoluzionari. Per di più, non si può certo dire che la Rivoluzione fece avanzare la causa della democrazia. Anzi, finì in uno Stato militare.
E' necessario ritornare al dramma della rivoluzione. Il concetto di "transizione", quale lo usiamo oggi, non è un sinonimo di "rivoluzione", ma è, al contrario, il tentativo di realizzare le speranze della rivoluzione senza pagarne il prezzo. Ecco perché Timothy Garton Ash, il brillante studioso del mutamento dell'Europa orientale, parla di refolution, che è una combinazione di riforma e rivoluzione.
L'enunciazione è importante, ma a maggior ragione lo è la sostanza.
Per "transizione" si intende la trasformazione controllata di Stati non liberali in Stati liberali. Le transizioni vengono avviate dall'alto. Possono costituire una risposta a una pressione popolare più o meno articolata, ma è il governo a farsene carico. Se la transizione procede, è probabile che questi governi subiscano cambiamenti profondi. Si può essere tentati di chiamare "rivoluzionari" gli effetti della transizione; tuttavia, non viene mai del tutto spezzato il filo della continuità. In Inghilterra, nel 1688, ci fu una transizione; in Francia, nel 1789 (o forse si potrebbe dire nel 1792), ci fu una rivoluzione.
La transizione, pertanto, è un ordine impossibile. Forse eccede le capacità umane. I processi di transizione sono senza dubbio precari. E' facile che sfuggano di mano, specialmente nelle fasi iniziali. Possono liberare delle forze che non tengono affatto conto dei loro obiettivi, mentre il potere stabilito, attuale o in via di superamento, aspetta solo di gettare a mare i protagonisti della transizione.
In realtà, le rivoluzioni sono uno dei modi in cui la transizione sfugge di mano. I primi rivoluzionari del 1790 si sarebbero accontentati di ottenere dal "cittadino-re" Luigi XVI il giuramento di "difendere e conservare la libertà costituzionale". I giacobini, la ghigliottina, la dittatura militare furono in ugual misura fallimenti della transizione e parte di un piano scellerato. Era inevitabile che la transizione fallisse? La necessità storica non esiste. Dobbiamo partire dal presupposto che la transizione graduale e non violenta è possibile.
Ma come? Oggi sappiamo che Marx sbagliava nel ritenere che ci fosse un rapporto di necessità tra sviluppi economico e politico. Ci sono periodi nei quali un gruppo, una classe, è interessato a tutti e due i tipi di sviluppi, ma si tratta di eccezioni alla regola. La borghesia del XVIII secolo costituì in questo senso un'eccezione, ed è importante ricordare che non riuscì a raggiungere il suo duplice obiettivo nello stesso tempo e nello stesso periodo. La rivoluzione industriale avvenne in Gran Bretagna e quella politica in Francia. Anche oggi ci sono coloro, compreso il Presidente dell'Urss, Gorbaciov, che le vogliono entrambe. Perché non dovrebbero riuscire? Come possono riuscire nel loro tentativo di abbandonare un autoritarismo che ha fallito sotto tutti i punti di vista?
Una risposta allo Stato illiberale, si tratti di socialismo realizzato o di dittatura di altro colore, è la democrazia. Il significato del termine è spesso poco chiaro. Che cosa avevano esattamente in mente gli studenti di Pekino e Shangai? Che cosa vuole l'opposizione di Santiago del Cile? Che cosa si aspetta l'opposizione a Varsavia?
Tutti questi gruppi chiedono che il popolo possa dire la sua, possibilmente attraverso elezioni.
Chiedono alternative al Governo in carica. Chiedono libertà di parola e di associazione. Chiedono di finirla con le regole arbitrarie, con la minaccia di detenzione senza processi, con la tortura. Insomma, "democrazia" comprende un insieme di regole giuridiche e di diritti politici, normalmente associati alle Costituzioni delle nazioni libere. Mentre coloro che domandano la democrazia negli Stati autoritari spesso affermano che non stanno cercando di imitare nei rispettivi Paesi gli Stati Uniti o la Gran Bretagna, in realtà sono proprio questi i modelli che guidano la loro immaginazione.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000