§ Societą in movimento

Ceneri e diamanti




Enzo Giustino



I modi tradizionali di misurare il disagio meridionale in termini di divario, di produttività o di sofisticate analisi sociologiche, appaiono inesorabilmente desueti e inadeguati. Se ne è avuta una tangibile prova al convegno di Capri dei "Giovani imprenditori", dove la maggiore attenzione, anche per il contenuto delle tesi, è stata giustamente riservata alla partecipazione dell'Alto Commissario, Sica, e alla replica del Presidente del Consiglio. Ci sono tuttavia alcuni aspetti della classica "questione" che appaiono relegati nell'angolo su cui bisognerebbe maggiormente riflettere. Vorrei tentare di riassumerne alcuni.
1) Le previsioni statistiche avevano predetto che la disoccupazione al Nord sarebbe stata pressoché inesistente, mentre quella meridionale avrebbe toccato punte del 25-30%.Quelle previsioni si sono puntualmente verificate. Conseguentemente, la società italiana negli anni '90 sarà caratterizzata da anziani al Nord e da giovani al Sud. Paradossalmente, i giovani del Sud dovrebbero pagare le pensioni agli anziani del Nord. Quest'ultimo obiettivo evidentemente si potrebbe realizzare solo in due modi: o mediante il trasferimento in massa di giovani al Nord, o riequilibrando la sviluppo sull'intero territorio, coinvolgendo il Sud. Qualcuno sostiene che dopo tanti anni di polemiche dovremmo rivisitare Vera Lutz. Ma è intervenuto un fatto nuovo, quello degli immigrati Paesi in via di sviluppo.
E' un problema delicato, questo, che ovviamente non può e non deve essere confuso con la disoccupazione meridionale. Tuttavia va richiamato il pericolo insito in alcuni ragionamenti secondo cui alla mancanza di manodopera nelle regioni forti si può far fronte reclutando il personale nei Paesi del Nord Africa. Il pericolo, evidentemente, non risiede nel fatto che gli immigrati possano sottrarre lavoro ai meridionali. Sotto questo profilo, il problema non si pone, non fosse altro che per gli aspetti qualitativi dello stesso, ed in ogni caso è da escludere che sarà il Mezzogiorno a porlo. Il pericolo risiede invece in una implicita, se non esplicita, rinuncia a considerare l'economia italiana nella sua globalità, visto che le regioni forti possono attenuare la propria dipendenza dal Sud. Insomma, una sorta di riproposizione della divisione dell'Italia in "Padania" e "Borbonia".
2) "Comincia a diventare molto ampia la convenienza a spostare la produzione fuori del nostro Paese. Condizioni appetibili sono offerte oggi non solo dalla Spagna o dall'Irlanda, ma dalla stessa Francia e da alcune zone della Germania". Questa dichiarazione responsabilmente resa dal presidente della Confindustria, Pininfarina, trova un'eco nell'altra tesi, secondo cui per il futuro industriale del nostro Paese le esigenze imposte dalla tecnologia e dall'ambiente imporranno un decentramento, sia pure parziale, delle unità produttive dalle regioni forti verso altre aree. Ora, verso quali aree si indirizzerà il decentramento? E' questo un risvolto dell'Europa del '92 sul quale non ci si è sufficientemente soffermati, anche se il "trialismo" di Saraceno, alla vigilia dell'allargamento dell'Europa a 12, lo aveva ampiamente anticipato.
Lo stesso Saraceno, comunque, ci ha recentemente ricordato che il Mezzogiorno non è più un'area sottosviluppata, ma un'area a debole industrializzazione. Se questo è vero, la questione da porre è come si fa a industrializzare ulteriormente il Mezzogiorno.
3) Si torna a discutere In termini di "intervento straordinario sì", "intervento straordinario no". La verità è che l'intervento straordinario, almeno così come lo conoscevamo, non esiste più da tempo. Ciò è dovuto sia al "conflitto" della spesa pubblica, sia alla nuova logica, secondo cui bisognava richiamare gli enti locali alle proprie responsabilità. In realtà, gli enti locali non hanno retto alla prova. Si deve quindi cambiare. La soluzione tuttavia non può essere ricercata tornando indietro, ma andando avanti. Ecco perché appare prioritaria la riforma delle autonomie locali rispetto allo stesso intervento straordinario. Ciò anche perché la questione dei grandi progetti può essere benissimo risolta all'interno delle politiche e dei piani nazionali.
La riforma delle autonomie locali, d'altra parte, è importante non solo per conferire efficienza, ma soprattutto per proseguire da un lato l'obiettivo di creare il "presupposto per far funzionare i controlli e battere così l'infiltrazione mafiosa", come ha detto Sica, dall'altro perché, come autorevolmente ci si è chiesto, "il modello di risposta legislativa e giudiziaria che ha battuto il terrorismo possa essere adottato con successo anche contro il potere mafioso".
Spesso mi viene in mente Peter Nichols, il giornalista inglese profondo conoscitore e amico del nostro Paese, prematuramente scomparso, un uomo che "odiava chi scrive dell'Italia senza conoscerla"; il quale, a metà degli anni '70, preconizzò il superamento della crisi italiana. Commentando quegli anni, Nichols scrisse che il calore del momento era stato spesso così intenso da lasciarsi dietro, più che ceneri, diamanti. Chissà che la società meridionale non riesca ad ottenere gli stessi risultati.


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