Oriente-Occidente: lettera dall'Islam




Thar Ben Jelloun



Nel 1967 lo storico marocchino Abdallah Laroui ha scritto un saggio sull'ideologia araba contemporanea. Questo libro pone gravi quesiti sul rapporto tumultuoso, ambiguo, per non dire nevrotico, fra l'Occidente e il mondo arabo-musulmano. Fu pubblicato prima in francese, poi in arabo, subito dopo la guerra arabo-israeliana del giugno '67. Era il momento propizio per un'analisi seria dell'essere arabo e del suo divenire. Abdallah Laroui comincia subito con l'evocare l'angoscioso problema che ossessiona gli arabi da molto tempo: "Da tre quarti di secolo gli arabi si chiedono sempre la stesso cosa: "chi è l'altro e chi sono io?"". E ricorda che anche nel 1952 un intellettuale egiziano, Salama Mûssa, aveva pubblicato un articolo il cui titolo riassume tutto: "Perché loro sono potenti?". loro" sta per l'altro.
L'altro è l'Occidente, l'Europa sviluppata, cristiana, che ha giù realizzato le sue rivoluzioni politiche, industriali, economiche; un'Europa che ha già fatto le sue guerre, che conosce una maturità e un invecchiamento tali da permetterle di continuare a dominare terre e popoli, senza occuparli militarmente.
Con gli anni '70, cioè gli anni della crisi del petrolio, delle lacerazioni del Libano, della rivoluzione iraniana, il problema dell'identità si pone in maniera tragica, con un insieme di malintesi, di confusioni e di amalgami.
Oggi, il mondo arabo-islamico scopre che fra lui e l'Occidente il malinteso permane. Fra i due nulla è stato accomodato. Il contenzioso esiste ed è abbastanza pesante e molto complesso, perché interessa parecchi settori.
Dopo decenni di immigrazione, la Francia, la Germania, l'Inghilterra e l'Italia non solo scoprono che l'altro esiste, ma che soffre, che non sa chi sia, dove si trovino i suoi valori e quale sarà il destino dei suoi figli. L'Europa continua a considerare queste comunità come il risultato di un incidente della storia, un fenomeno transitorio.
Nei Paesi che hanno accolto gli immigrati le politiche dell'immigrazione sono differenti. Almeno per il momento, nessuna politica di armonizzazione e di concertazione è stata annunciata in vista dell'Europa del 1993. Per ora, la Spagna, i cui rapporti col Maghreb sono motto ambigui, ha instaurato un visto d'entrata per i maghrebini nel suo territorio. Diventerà obbligatorio a partire dal marzo 1990. La Spagna si allinea così alla politica dell'ex primo ministro francese Chirac, il quale aveva imposto ai maghrebini nel periodo in cui Parigi era teatro di attentati terroristici, nel settembre '86. Il governo è cambiato. I successori hanno mantenuto il visto.
Se l'Europa sarà costituita sulla base di una democrazia parlamentare, non è lo stesso per i Paesi arabo-islamici, Paesi di origine degli immigrati. La costituzione, a Marrakech, dell'"Unione del Maghreb arabo" è già un passo positivo, addirittura storico, e l'avvenire ci dirà se servirà a cambiare il rapporto con l'Europa.
A causa di questa ineguaglianza di scambio e di vedute, alcuni immigrati di origine islamica vivono e considerano l'Islam più che una religione, una cultura, un'identità. L'Islam è per loro l'unico riferimento culturale. Ciò permette sfruttamenti e manipolazioni politiche da parte di Stati o di gruppi che contano sulla religione per mobilitare e provocare un consenso che esprimerebbe brutalmente il contenzioso semplicistico "Occidente-Oriente". Dietro a tutto questo si scorge l'ombra di una volontà appena dissimulata di rottura con l'Occidente, con la sua cultura, le sue immagini, i suoi costumi, con la sua civiltà troppo attraente e troppo pericolosa per quei valori che difficilmente possono conciliare la vita moderna con la vita spirituale.
Di che cosa è fatto questo contenzioso? Di storia lacerante, d'incomprensione, di memoria ferita e non rispettata, di dominazione coloniale non del tutto finita, di spodestamento culturale e poi di choc fra due universi: due visioni del mondo, due civiltà che non hanno mai imparato a comunicare, a rispettare le reciproche differenze.
Da un lato, l'Europa si sviluppa in quanto spazio di legittimità, in quanto diritto su fondo di democrazia. Dall'altro, troviamo Stati, alcuni dei quali mancano di legittimità istituzionale ed hanno anche problemi di sviluppo economico. Da un lato, l'Europa vende armi e tecnologia. Dall'altro, si fanno le guerre e si coltiva il culto della tecnologia sofisticato.


Inoltre, l'Europa continua ad attirare a sé una parte dell'élite scientifica e intellettuale di questi Paesi in via di sviluppo. Per alcuni, essa "ruba" i loro elementi migliori, i quali si staccano pian piano dalle loro radici, dimenticando i valori fondamentali della cultura d'origine. C'è qui un paradosso:, l'Europa ha accolto così male i lavoratori provenienti dal Maghreb, dall'Africa e dall'Asia, al punto che il razzismo non è solo un fantasma, ma una realtà concreta che spesso si esprime nella violenza omicida. Nello stesso tempo, quest'Europa ha dato spazio a uomini di scienza e di lettere originari di queste terre povere e poco valorizzate. (Se Salman Rushdie non fosse di origine musulmana e non fosse nato a Bombay, probabilmente il suo libro non avrebbe provocato reazioni tanto violente!).
C'è allora da meravigliarsi, osservando che in Europa si sviluppano espressioni d'identità beffeggiata, che si aggrappano all'Islam al punto di diventare fanatiche? Ma dietro questa intolleranza, non ci sono forse ferite gravi, offese e frustrazioni?
Fra l'Occidente e l'Oriente c'è senz'altro qualcosa di malato. Al di là del problema della fede e dell'esercizio di questa fede - che è un diritto personale - bisognerà ripensare al dialogo e il modo di osservarsi. Altrimenti il contenzioso diverrà più grave, più pesante, e i malintesi si accumuleranno sempre di più. Vincerà solo l'estremismo, cioè l'oscurantismo.

Anno 2001: guerra per l'acqua

I fiumi si esauriscono, i laghi si restringono presentando il conto del cattivo uso che gli uomini hanno fatto delle risorse idriche. L'acqua, ha scritto Sandra Postel in uno studio del Worldwatch Institute, è stata utilizzata come se sgorgasse da una sorgente infinita. Oggi, l'evidente e improvvisa scarsità in tante regioni mette in allarme un po' tutti. Sebbene geograficamente limitati, questi deficit si moltiplicheranno, se si continuerà ad agire senza controlli. Il problema non è se la crisi verrà, ma quando verrà.
Dove c'è scarsità, scatto la competizione: tra nazioni confinanti, tra regioni all'interno di una stesso nazione, tra città e campagna. Le città assetate accusano le campagne che utilizzano grandi riserve. Sarà la soluzione di questi contrasti e interazioni a modellare nei prossimi decenni i paesaggi regionali, le fortune economiche e la produzione di cibo. Un fatto è certo: la battaglia per la sicurezza idrica non avrà vincitori, fino a che le società non riconosceranno i limiti naturali di questa risorsa e vi adegueranno iI numero degli uomini e i loro desideri e bisogni.
"La prossima guerra nella nostra regione sardi per le acque del Nilo", dice l'egiziano Boutros Ghali, ministro degli Esteri. La profezia ricalca quella di un esponente del ministero dell'Agricoltura israeliano: "Se la gente della regione non sardi abbastanza intelligente da discutere una soluzione reciproca alla scarsità d'acqua, la guerra sarà inevitabile".
In nessun altro luogo della terra i conflitti per l'acqua sono potenzialmente più incandescenti che nel Medio Oriente. Tre fiumi formano la spina dorsale dei rifornimenti idrici: il Giordano, il Nilo, il Tigri-Eufrate. Le difficili relazioni politiche impediscono di trovare un accordo sulla spartizione delle acque. Israele, la Giordania e la Siria traggono la maggior parte della loro acqua dal bacino del Giordano. I contadini israeliani sono fra i più efficienti del mondo nell'utilizzare quella disponibile, ma presto il governo potrebbe trovarsi di fronte alla scelta politica di rispondere ai bisogni civili e industriali sottraendo acqua all'agricoltura. I palestinesi della riva occidentale e della striscia di Gaza devono competere con Israele anche per l'acqua del sottosuolo, che sta diminuendo ed è contaminata dal mare. Analogamente, nonostante un buon surplus di acqua, Siria e Iraq potrebbero essere danneggiate dai progetti turchi per potenziare l'energia idroelettrica e l'irrigazione. Quando sarà completato la diga Ataturk, l'aumentato consumo delle acque dell'Eufrate da parte della Turchia potrebbe ostacolare i piani degli altri due Paesi.
In Egitto, i 55 milioni di abitanti dipendono quasi esclusivamente dal Nilo, che però non nasce all'interno dei suoi confini. Un accordo del '59 col Sudan consente al Cairo di prelevare 55,5 miliardi di metri cubi all'anno, quasi due terzi di quanto mediamente entra nella diga di Assuan. Ma mentre per l'Egitto questa accordo sembrava un diritto perpetuo, i paesi dell'Alto Nilo si rifiutano di limitare il loro uso del fiume. I piani di sviluppo dell'Etiopia, ad esempio, potrebbero ridurre la portata del Nilo Azzurro nel Sudan di 5,4 miliardi di metri cubi.
Gestire l'acqua in India è una sfida titanica: la percentuale fornita dalle pioggie è un quarto della media mondiale. Questa scarsità complica le dispute con il Bangladesh, che si sente ostaggio di Nuova Delhi. Le paure sono aumentate dopo il varo del progetto indiano di canalizzare il Brahmaputra. In Cina la situazione è particolarmente grave nelle pianure del Nord, a Pekino e nel nodo commerciale di Tianjin.
Si aspettano miracoli dalla deviazione dello Yangtze, ma già si profila la guerra tra città e campagna. L'Unione Sovietica insegna che cosa può succedere a cambiare il corso dei fiumi. Deviati in largo parte i due tributari del Mar d'Aral (o Lago d'Aral), il Syr Dar e l'Amu Dar, per irrigare i campi dell'Asia centrale, il grande lago salato si sta frantumando in piccoli laghi, zone un tempo fertili diventano secche e cresce la tensione politica. Nessuno sa come porre rimedio, riportare i fiumi all'Aral nelle condizioni anteriori al 1960 significa toglier cibo e lavoro alle popolazioni che si sono stabilite nelle nuove zone fertili, Mantenere il Mar d'Aral all'attuale livello significa aumentare di cinque volte l'odierna portata dei due affluenti, con pesanti tagli all'agricoltura.
Qualcuno aveva pensato di risolvere il problema facendo piegare a sud-ovest il corso dei fiumi della Siberia, che normalmente vanno verso nord. Ma il progetto è stato bloccato nell'86.
Comune a tutte queste storie è l'incapacità di valutare in maniera corretta le risorse d'acqua e i loro limiti naturali. Una storia a parte meritano poi i cosiddetti fiumi-operai (il Danubio, il Reno, il Volga, lo stesso Po), ridotti a fogne a cielo aperto in ampi tratti dei rispettivi corsi, con dirette influenze nel contesto ambientale.


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