Italia all'asta




Antonio Cederna



Nell'affannoso dibattito per ridurre il debito pubblico si è imboccata la strada peggiore: non combattere gli sprechi più assurdi, a cominciare ad esempio dalle migliaia di miliardi stanziati per autostrade inutili e devastanti, e vendere gli immobili (questa è stata la proposta), edifici e terreni, che appartengono al demanio. Secondo i calcoli di una commissione nominata nell'85, l'alienazione dei beni appartenenti a Stato, regioni, comuni, aziende autonome, darebbe un introito dai 600 mila ai due milioni di miliardi. La loro alienazione o "dimissione" è prevista nella finanziaria, "con la sola esclusione del lido del mare, della spiaggia, delle rade e dei porti, dei fiumi, dei torrenti e dei laghi". Quindi, se le omissioni hanno un senso, potrebbero essere vendute anche le foreste demaniali e, non diciamo il Colosseo o la Torre di Pisa, ma qualche porzione di musei archeologici, come da anni propongono alcuni luminari dell'economia.
Già nel '72 un altro governo presieduto da Andreotti (ministro del Tesoro, Malagodi) aveva predisposto un disegno di legge per vendere all'asta 351 immobili militari, col cui ricavato "potenziare le forze Armate", e due anni fa un'altra proposta di legge (poi mandata a monte, per fortuna, come la precedente) prevedeva la vendita di 1.024 immobili (caserme, aeroporti, poligoni di tiro, forti costieri e via dicendo).
Ora il governo ci riprova, e intende disfarsi di quasi tutti i beni pubblici d'Italia (anche a dispetto, manco a dirlo, ovvero "a modifica dei vincoli urbanistici"), aprendo così la porta a una nuova ondata di deregulation e speculazione edilizia.
Quegli immobili sono in genere di valore paesistico o, come le caserme, sono situati nei centri urbani: all'opposto di quanto prevede il governo, essi devono essere destinati a usi esclusivamente pubblici, a verde, a centri sociali, culturali, ecc. Non ha senso infatti lamentarsi del degrado e della congestione del nostro ambiente di vita, quando, alienando a privati quei beni, si favorisce l'ulteriore cementificazione di quegli spazi che costituiscono l'ultima occasione per dar respiro e per riqualificare città e territorio.

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