Quella
che nella prospettiva del '93 è stata chiamata fortezza europea
si sta preparando a meglio definire la sua identità, il suo spazio,
la sua strategia, mentre l'Italia sardi chiamata ad affrontare una tematica
specifica, che è tanto complessa e pressante. Il panorama che
ci è dinanzi e le incombenze ed i riflessi che ne discendono
sono quanto mai articolati ed impegnativi. Riguardano principalmente:
- l'adeguamento il più possibile ravvicinato delle condizioni
di partenza del nostro Paese, con riguardo ai vuoti maggiori che si
presentano e che devono essere colmati,
- l'integrazione dell'Europa, in alcuni aspetti almeno oltre la CEE
stessa;
- il rapporto triangolare Usa-Giappone-CEE;
- le relazioni con i Paesi dell'Est;
- i rapporti con i Paesi del Terzo mondo,
- la stabilità finanziaria internazionale, nella ricerca dei
possibili equilibri singolarmente e collettivamente ricercati e valutati.
Il contesto, nel quale tutta questa tematica si inserisce, fortunatamente
non denuncia al momento apprezzabili tensioni negative. Si può
dire anzi che tutti i fattori cercano condizioni di reciproco assestamento,
mentre le economie leaders registrano un andamento di quelle reali in
gran parte positivo a fronte di un'instabilità finanziaria, di
rilievo in alcuni Paesi, fra cui il nostro. Per il disavanzo pubblico
o per il livello inflazionistico non ancora chiaramente indirizzato
ad un graduale rientro od ancora per la dimensione della disoccupazione
o del problema del Sud, questa instabilità fa infatti certamente
e purtroppo spicco nell'ambito CEE per l'Italia, mentre all'esterno
della CEE essa acquista particolare evidenza negli USA, ad esempio,
con i problemi del debito pubblico ed il deficit dei conti con l'estero.
Immediatamente davanti ai nostri occhi sono in via preliminare i ritardi
che si presentano nel nostro sforzo di recupero. Dobbiamo in questa
fase, con un corrispondente decisionismo politico, confermare lo stesso
impegno che il nostro Paese ha manifestato allorché si è
reso promotore con gli altri Padri della Comunità del Trattato
di Roma. Il primo ritardo concerne le nostre inadempienze rispetto al
recepimento delle direttive comunitarie. I ricorsi presentati alla Corte
di Giustizia della CEE trovano l'Italia al primo posto con 193, seguita
dal Belgio con 103, dalla Francia con 101, dalla Germania con 54, dalla
Grecia con 53, dai Paesi Bassi con 27, dalla Gran Bretagna con 23. Il
contenzioso fra l'Italia e la CEE si articola in due gruppi di nostre
inadempienze, e cioè nella vigenza attribuita a disposizioni
contrastanti con i principii del diritto comunitario e del mancato recepimento
attraverso le necessarie norme di attuazione delle direttive della CEE.
Rientrano in quest'ultimo novero ben 255 direttive delle quali è
già è scaduto il termine di attuazione previsto. E si
tratta di materie di spiccatissima rilevanza, inerenti all'ambiente,
al lavoro, alle finanze, all'industria, all'agricoltura.
Per superare più o meno rapidamente questo stato di fatto è
intervenuta nei primi mesi dell'89 una legge che prevede la predisposizione
di una legge annuale da utilizzare come strumento per dare attuazione
attraverso provvedimenti approntati dal Governo entro marzo e vedremo
cosa ci risponderà il relativo iter parlamentare con un grado
di diligenza che il governo per la sua parte annuncia con l'indizione
mensile da parte sua di riunioni dedicate appunto al tema dei rapporti
Italia-CEE. Le verifiche di tutto dovranno essere naturalmente attuate
sul terreno di fatti che siano tempestivi, ma che hanno invece alle
spalle le esperienze negative di cui si è detto.
L'altro ritardo, che riguarda sempre le attitudini con le quali l'Italia
si presenta nell'ambito della CEE, riguarda la maniera con la quale
affrontiamo la sfida tecnologica, che si riflette nei connotati competitivi
del nostro sistema. Orbene, da questo punto di vista l'Italia ha difficoltà
a spendere i fondi per la ricerca che la CEE mette annualmente a disposizione
dei Paesi membri. Non è il solo caso sempre per l'Italia, ma
è quanto mai eloquente in un ambito, nazionale e comunitario
che deve, vuole avanzare, per chiamarsi appunto fortezza, naturalmente
- come diremo appresso - non contrapposta o isolata rispetto ad altre,
ma con la sua identità di evoluta efficienza, portata ad integrarsi
ed anche a competere con le altre.
Comunque questa specifica tematica è diretta nella progettualità
prevista - il suo punto di partenza è costituito dal programma
quadro CEE di ricerca per il quinquennio 1990-1994 stilato tra gli altri
dal nostro commissario Pandolfi - a realizzare una precisa strategia
per l'attivazione della ricerca, avendo a riferimento le concorrenze
tecnologiche massimizzate il più possibile soprattutto dagli
Stati Uniti e dal Giappone.
Le difficoltà e le differenze di posizioni concernono prevalentemente
l'entità delle cifre, come i tempi e i settori di suddivisione.
Si tratta da una parte di fissarne e controllarne gli obiettivi possibili
e dall'altra di verificarne e graduarne i successivi effetti, in modo
che i tempi siano scanditi dal confronto costi e ricavi, riducendo i
primi in conseguenza dell'idoneità dei secondi. In tutto ciò
ovviamente dovrà operare una certa elasticità, risultante
dalla combinazione fra nuove possibilità offerte dalla stessa
evoluzione tecnologica, serie di applicabilità che ne derivano
e possono derivarne, esigenze da affrontare nella duplice spinta che
ci viene dai singoli ambiti nazionali e dalle varie sfere extranazionali,
comprese naturalmente anche quelle al di fuori della CEE.
Parte preminente in questa prospettiva si attribuisce alle tecnologie
dell'informazione, per le quali gli assegnamenti finanziari previsti
(ma ancora da varare) nel quinquennio ammontano a 3 miliardi di ECU,
contro i 7-7,7% globali. Questa rilevanza dell'informazione ha a che
fare con una sua incidenza che se oggi influisce sul 9% del PIL, nei
vari Paesi dell'OCSE, sardi destinata a salire al 21% nel prossimo decennio.
C'è intanto un travaglio politico da affrontare in questo ambito
con le spinte maggioritarie che si registrano e con le remore che trovano,
anche in questa materia, il punto critico nella Gran Bretagna.
La strategia
italiana
Il nostro sforzo è diretto non solo ad entrare meglio e più
compiutamente nell'Europa, ma anche a misurarci con essa più
vigorosamente e proficuamente. La nostra strategia in materia si fonda
su alcuni cardini essenziali, e cioè:
- il nostro Paese sta nettamente dalla parte di chi vuole il mercato
unico aperto alla concorrenza esterna: quindi fortezza, sì,
ma che non è divisa dalle altre dalla chiusura dei ponti levatoi.
Ha ricordato fra l'altro il Presidente Cossiga nella sua visita ufficiale
negli Stati Uniti dello scorso ottobre che l'export italiano in Europa
rappresenta oggi solo la metà del totale e non è la
componente più dinamica.
- l'ancoraggio del sistema CEE al principio ed al fine dell'integrazione,
che dovrà condurre alla coordinazione ed alla cooperazione,
con la pratica del dialogo con l'esterno della Comunità e relativa
pianificazione avente a suo fondamento la massima possibile stabilità
finanziaria internazionale.
- pronto adeguamento del nostro sistema agli imperativi derivanti
dai suddetti obiettivi, cominciando dalla stessa compatibilità
con questi delle nostre istituzioni e del nostro sistema politico.
E qui sono chiamati in causa i gradi di efficacia, efficienza, trasparenza,
con le implicazioni che ne derivano pure per il nostro potenziale
economico concorrenziale. Ed a questi fini, per quanto ci riguarda,
sono indubbiamente necessarie da una parte una deregulation e da un'altra
un'irregulation, che affrontino i problemi riguardanti il nuovo spessore
e la stessa nuova identità di un sistema integrato. E certamente
una più valida allocazione delle risorse, la fecondità
dell'integrazione fra mercato e stato sociale, la correzione dei nostri
mali specifici (finanza pubblica e Mezzogiorno) sono le condizioni
e gli spazi con i quali e nei quali il nostro sistema dovrà
adeguarsi agli altri.
In pratica: integrazione, libero mercato e regole non possono non
coesistere con un mix di principii guida, leggi ed autodisciplina.
Il rapporto
CEE, USA, Giappone
Con la spazialità attribuita alla visuale CEE, questa evidentemente
non può essere solo intesa con la omogeneizzazione dei suoi
12 membri, ma anche con il suo confronto con il mondo esterno.
Ci sono due confronti più a portata di mano, per la loro urgenza
o per la loro vicinanza. Il primo concerne quello con gli Stati Uniti
e con il Giappone, in considerazione del confronto da fare e degli
impegni da assolvere nell'ambito dei sette Paesi maggiormente industrializzati;
il secondo invece riguarda i Paesi dell'Est, vicini per l'incombenza
che discende dalla loro attuale problematica e dagli sviluppi che
si intravvedono o per lo meno si sperano nelle loro evoluzioni politiche,
sociali ed anche economiche con le nuove scelte di campo, ma vicini
anche territorialmente in funzione di quella cosiddetta "casa
europea", che però non è certamente dietro l'angolo
in significazioni concrete di ampia convergenza.
Qualcuno, nell'abbozzare lo sfondo del confronto fra Stati Uniti ed
Europa, in quanto attiene ad un aspetto fondamentale del confronto
stesso, ha accennato al fatto che se negli Stati Uniti stanno ormai
sviluppando una psicosi di rigetto a causa della crescente dipendenza
tecnologica e finanziaria dal Giappone, in Europa questo ancora non
succede in conseguenza delle barriere erette contro un Giappone straordinariamente
competitivo. L'industria europea dovrà quindi accelerare il
ritmo dell'innovazione per non incontrare gli stessi pericoli degli
USA, che scontano la dipendenza per molti prodotti elettronici, per
nuovi materiali e per le applicazioni più nuove delle scoperte
scientifiche. Il che sta a significare che il primo documento, il
vero passaporto che le singole economie oltrepassando le proprie frontiere
devono possedere e mostrare, è quello dell'efficienza tecnologica,
che sarà così oggetto di scambi e di integrazione.
E qui fondamentale è quanto sarà fatto d'intesa e nei
confronti con gli USA. Con la loro collaborazione dovremo anzitutto
allargare e diversificare la base tecnologica, creando nuovi oggetti
e trasferendo lo stock di conoscenze accumulato all'interno dei sistemi
produttivi. Con la loro collaborazione dovremo altresì eliminare
le ritorsioni che fanno parlare di una fortezza USA che argina il
libero scambio. E qui si ricordano le questioni degli ormoni, il contenzioso
su altre materie, ecc., che sono altrettanti temi di reciproca contestazione.
Senza parlare della questione Olivetti, di forniture cioè all'URSS,
con le riserve che sono state espresse dagli USA circa gli impegni
di non esportazione di taluni materiali e le opposte affermazioni
che le esportazioni effettuate non rientravano in questo novero.
Sia per motivi economici sia soprattutto per presupposti derivanti
da una alleanza che è stata ed è soprattutto di civiltà
e di difesa di comuni principii la tematica rapporti CEE-USA sarà
sempre più attuale e decisiva, anche se non mancheranno i distinguo,
le differenziazioni più o meno contingenti, i sospetti stessi.
E veniamo al Giappone. Le relazioni con la CEE ed i singoli Paesi
partecipanti stanno registrando un positivo svolgimento, ma evidentemente
le spinte dell'una e degli altri sono più intense e vigorose
di quanto si possa oggi registrare nel campo dei risultati.
Abbiamo detto del progresso tecnologico di cui il Giappone è
portatore... Aggiungiamo che perciò i prodotti giapponesi,
a poco meno di nove lustri dal crollo totale dell'impero nipponico,
sono famosi in tutto il mondo. Con una popolazione pari al 2,6% di
quella mondiale. Il Giappone produce il 10% dei beni e servizi dell'economia
globale. I giapponesi sono i maggiori creditori mondiali: venti delle
cinquanta banche più importanti del mondo, fra cui le prime
quattro, sono giapponesi. Si prevede inoltre che entro il 1995 la
consistenza patrimoniale giapponese all'estero raggiungerà
i 500 miliardi di dollari USA.
Il Giappone acquista così un nuovo ruolo e dovrà gestirlo;
il che comporta anche per esso una serie di aggiustamenti di prospettive
e di strategie, fra i quali non potranno non avere peso quelli concernenti
la CEE e la stessa Italia, la quale - come si sa - è oggetto
di particolare attenzione per la messa a fuoco di congrue iniziative.
C'è chi parla così di una nuova alba per la terra del
Sol levante, ma in questa valutazione bisogna ricordare che tante
sono le albe che stanno sorgendo e che più che considerare
la maggiore o minore luminosità di ciascuna di esse bisogna
far sì che la luminosità si irradi vigorosa su tutto
il globo, ed anche la CEE per la sua parte ne costituirà certamente
la forza.
La prospettiva
mediterranea
Prima di volgere il nostro sguardo all'Est, consideriamo il quadro
che ci è immediatamente innanzi e cioè quello del Mediterraneo.
In questo ambito, primo fatto da considerare è l'imminente
domanda del Governo di Malta di formalizzazione della sua richiesta
di adesione alla Comunità entro il 1990. Un'integrazione economica,
alla quale dovrebbe aggiungersi anche quella politica, è sostanzialmente
già operante, perché il 75% delle esportazioni maltesi
si rivolge all'Europa, l'89% delle importazioni proviene sempre dal
nostro Continente, il 90% delle entrate valutarie turistiche è
europeo. Quando da parte maltese si accenna alle possibilità
di sviluppo, agli ulteriori passi innanzi da fare, per quanto in particolare
concerne l'Italia, si fa riferimento alle iniziative in corso o possibili
nel campo di nostri apporti interessanti i settori elettronico, tessile
e della componentistica auto, per i quali sono già in corso
contatti.
E veniamo agli altri settori del Mediterraneo, con i problemi che
derivano dall'andamento e dislocazione della natalità, dai
fabbisogni infrastrutturali, di consumi, di fruizione civile e così
via. Nel Marocco, ad esempio, in appena dieci anni, il tasso di urbanizzazione
è passato dal 34 al 35% della popolazione totale. Le città
con più di 100 mila abitanti sono diventate 14 dalle 10 che
erano. Quelle tra 50 mila e 100 mila sono passate da 6 a 11. Fenomeni
di esplosione demografica ed urbana si ritrovano in Algeria, in Turchia,
in Egitto, ecc.
E' tutta un'area rispetto alla quale bisogna esportare il benessere
ed eliminarne la fame. I problemi da affrontare sono tanti. E la CEE
nel suo complesso li tiene presenti con la concretizzazione di opportuni
interventi ed aiuti regolarmente erogati a tutte queste zone.
Si tratta di concorrere alla gestione delle risorse naturali ed ambientali
che si creano all'interno di questa area, di promuovere la costruzione
di reti di collaborazione per la diffusione delle capacità
scientifiche e tecnologiche, di perseguire con maggiore organicità
il modello delle joint venture, che qui ed altrove è ritenuto
il più adatto propellente. Dicono alcuni esperti che, finita
l'epoca delle forniture chiavi in mano, per andare avanti bisognerà
utilizzare le imprese locali, occorrerà esportare tecnologie
e preparare i quadri. Il che tuttavia non è vero in senso assoluto,
perché c'è sempre un prima che si deve verificare, che
sia in atto o è necessario instaurare, e cioè quello
delle infrastrutture, cui potrà, dovrà far seguito il
resto, che sarà difatti la nota dominante del futuro.
Il richiamo
dell'Est
Un altro aspetto del quadro, sempre europeo, ed oggi in prima linea,
è quello dell'Est. Siamo impegnati con particolare intensità
verso la Polonia, per il decisivo nuovo corso che essa ha assunto,
certamente di portata storica; volgiamo la nostra particolare attenzione
all'Ungheria per le premesse che essa ha posto nella stessa direzione.
Abbiamo avviato una condotta economica di intesa e di collaborazione
con la Yugoslavia. Si muove sempre più, all'insegna della perestrojka,
il complesso delle relazioni fra Occidente ed Unione Sovietica, e
fra l'altro nell'orbita solidale del primo quello concernente il nostro
Paese, riaffermato dal viaggio di Gorbaciov a Roma.
I punti di partenza, i principii, i valori extraeconomici che vengono
richiamati come propellenti di questo nuovo corso dei rapporti Ovest-Est
acquistano spessore e motivazioni ogni giorno più ampi, anche
come riscontri che offrono in termini di rapporti politici internazionali
di sicurezza, di pace, di libertà: in gran parte, per lo meno,
indivisibili.
Ad una recente tavola rotonda, impegnativa per la tematica, ma anche
per la elevatezza delle personalità presenti, un richiamo alla
realtà è stato tuttavia fra gli altri fatto da Gianfranco
Miglio, che ha detto che rimane aperto il problema di come attrezzarsi
per far fronte agli inevitabili contraccolpi che potrebbero spuntare
sulla strada della perestrojka, pericolosa a causa di quella filosofia
fondamentalmente illuministica che porta a credere che i sacrifici
possano essere chiesti e fatti per mera necessità. C'è
da avere presente un tornaconto, naturalmente non di solo e mero contenuto
immediatamente economico, come c'è anche d'avere di fronte
un'autorità centrale e la possibile continuità atta
a fornire sufficienti garanzie rispetto agli impegni che intervengono
tra le parti. E questa è una filosofia che conduce ovviamente
anche al rafforzamento della stessa CEE.
Un recente rapporto confidenziale redatto da alcuni membri della Commissione
trilaterale (e cioè Henry Kissinger, Valery Giscard d'Estaing
e Yasuhiro Nakasone, che in gennaio furono ricevuti da Gorbaciov)
mette in evidenza i seguenti punti principali:
- L'Occidente ha un'opportunità unica di cambiare la natura
dei rapporti Est-Ovest in un senso favorevole all'Occidente, purché
perseguita secondo una strategia chiara. Questa consisterebbe nel
sottovalutare la presenza e l'importanza di Gorbaciov, dato che sarebbe
uno sbaglio analizzare o creare politiche sulla base di un'unica personalità.
- Gli sforzi di Gorbaciov non possono non essere apprezzati ed apprezzabili
anche nel finalismo dichiarato, ma non sempre limpido e spesso ancorato
ad un possibilismo che fa pure spazio alle contraddizioni ed anche
talvolta ad un certo avanti quasi indietro.
- La tenuta in considerazione del fatto che la politica estera di
Gorbaciov è concepita per la necessità di poter contare
sulla pace mentre lavora alla politica interna è essenziale,
dovendosi tenere presente che i risultati di questa strategia (disarmo,
ritiro dall'Afghanistan e dalla Cambogia) sono positivi.
- L'Occidente deve attuare una politica prudente e saggia nei confronti
dell'Europa orientale; non deve dare l'impressione di mettere in pericolo
la sicurezza dell'Urss, ma deve impegnarla a rispettare la rinunzia
alla politica dell'aiuto fraterno, all'interferenza, ed incoraggiare
l'associazione in economia dei satelliti alla CEE sulla base dell'articolo
238 del Trattato di Roma.
- La perestrojka va apprezzata, ma è consigliabile non incoraggiarla
con aiuti finanziari a pioggia. Andrebbero incoraggiate solo le joint-ventures
- e questo meccanismo è ancora sottolineato pure qui nella
sua privilegiata validità rispetto ad altre forme e del resto
le grandi imprese già vi stanno facendo, anche in queste aree,
largo ricorso - e quelle istituzioni ed iniziative che realmente avvicinassero
l'Urss al sistema occidentale di libero scambio.
Ma quest'ultima strada è molto lunga e difficile ad essere
percorsa, anche se la sua scelta proprio così non è
stata fatta, con le spinte in senso contrario dei cosiddetti conservatori
e le accelerazioni dei rinnovatori, che non solo non hanno il coraggio
e la stessa loro convinzione ideologica a spingerli tanto innanzi,
ma hanno da fare i conti con quella che in effetti è oggi la
politica graduale, ma soprattutto mediatrice, di Gorbaciov.
C'è un interrogativo al riguardo: volontarietà o necessità
per Gorbaciov di assumere questo ruolo? Secondo il rapporto suddetto,
fondamentalmente gli occidentali dovrebbero tener conto che le possibilità
di manovra di Gorbaciov sono limitate "con un'elevata propensione
al fallimento".
Si può essere, si dovrà essere meno pessimisti. Ma è
la strategia dell'attenzione e delle verifiche che dovrò certamente
fare premio su tutte le altre. L'Urss, ricordiamolo, è una
grande fortezza. Ma le sue remore, registrate oggi dai cronisti e
corrispondenti, che da Mosca diffondono le loro corrispondenze, continuano
ad essere tante. Le deficienze di produzioni, di consumi, di servizi
lamentate dalle pubblicazioni anticomuniste di 40 anni fa e ritenute
allora derivanti da anticomunismo viscerale, preconcette e false,
sono esattamente confermate oggi dai corrispondenti stranieri, nonostante
enunciazioni, interventi, misure, ecc., molti dei quali già
sul piano dell'autocritica o vicini ad esserlo.
Questo a grandi linee il punto di partenza, anche per considerare
quella che è l'attuale capacità di acquisto del cittadino
sovietico, ma ad esso bisogna aggiungere il rozzo conservatorismo
ancora persistente in talune fasce, per fortuna ristrette, ed il nazionalismo
emergente. Si sa che l'Unione Sovietica è composta da 15 Repubbliche,
da 38 entità autonome e che i suoi 284 milioni di abitanti
sono divisi in 100 popoli: gli slavi sono la maggioranza, il 70%;
i musulmani 45 milioni; ci sono inoltre da aggiungere gli estoni,
i lituani, i lettoni, annessi dopo l'ultima guerra mondiale. E si
sa che Gorbaciov è contrario ad ogni revisione territoriale
dello statu quo.
In questo quadro, la "casa europea" cui accenna lo stesso
Gorbaciov, mentre ha a che fare con una fortezza sovietica da rilevare
nelle profonde differenze rispetto alle altre fortezze che tendono
sostanzialmente ad essere aperte, diventa una professione di fede,
condizionata dai vincoli dei fatti reali e quindi con una ragione
come sempre limitativa fino a verificata prova contraria.
Prudenza ed ottimismi si scontrano fra loro come sempre, ma con la
speranza che vincano i secondi, dei quali la storia cerca sempre di
alimentarsi, anche se i suoi previsti o ritenuti possibili pro non
si sono ancora verificati.
Comunque la storia delle relazioni Est-Ovest si sta muovendo in questa
direzione nuova: molti la ritengono irreversibile, altri una speranza,
altri ancora non si avventurano nelle aggettivazioni e fanno appello
alla prudenza sia in quello che si può o si deve fare, sia
in quanto si deve evitare.
La CEE è intanto una delle leve essenziali. L'Unione Sovietica
sta entrando in sostanza in acque inesplorate. Di queste acque non
si conoscono i vari fondi che effettivamente interessano l'Unione
Sovietica. Si parla di reazioni dell'economia sovietica alle leggi
del mercato, alla concorrenza fra aziende, all'introduzione di prezzi
realistici. E si offrono da vari Paesi occidentali, oltre che combinazioni
economiche, anche squadre di esperti e metodologie appropriate. La
leadership sovietica sembra interessata a questa tematica, ma è
certo che fra l'apprendimento e l'applicazione le distanze sono tante,
come fra il dire ed il fare, fra l'altro indefiniti in partenza.
C'è da mettere nel conto solo i piccoli passi, con gli accertamenti
continui delle loro direzioni, dei loro tempi, del loro grado o meno
di compatibilità e continuità.
Questa sembra essere oggi la condotta della CEE e dei Paesi che intendono
mettere al bando l'enfasi.
Intanto riportiamoci sul terreno che si sta manifestando sotto i nostri
occhi attualmente.
Le intese che vengono ricercate fra Urss e CEE, oltre a quelle generali
e bilaterali, concernono lo sviluppo degli investimenti occidentali,
le condizioni di garanzia di joint ventures in Urss, le clausole di
salvaguardia per la sospensione degli effetti dell'accordo in casi
determinati, le facilitazioni ai movimenti ed all'attività
in loco degli uomini di affari. Ne dovrebbe discendere un accordo
di ampia cooperazione economica e commerciale.
Gli sviluppi dovrebbero aversi anche nel settore dell'uso pacifico
dell'energia nucleare, con particolare riferimento alla ricerca tecnologica
ed alla sicurezza delle centrali, nella cooperazione nei settori dei
trasporti, della produzione energetica, dell'ambiente. Come si è
detto prima, l'Urss è particolarmente interessata allo sviluppo
della collaborazione tecnologica, ed in questa sua visuale tende a
conseguire un allentamento delle regole del Cocom, il comitato per
il controllo delle esportazioni di tecnologie occidentali anche d'interesse
militare.
Intanto accordi di cooperazione economica sono stati firmati dalla
CEE e messi in vigore da altri tre Paesi del Comecon, il mercato comune
dell'Est, e cioè la Cecoslovacchia, l'Ungheria e la Polonia,
dei quali il primo Paese continua ad essere fra i più rigidi
conservatori e riluttanti a qualsiasi forma di nuovo corso. Trattative
sono in corso o saranno avviate, ma difficili per questi motivi di
ordine politico, con la Romania, la Bulgaria, la Repubblica Democratica
Tedesca, che mostrano più o meno di intendere alla loro vecchia
maniera i rapporti con l'Ovest.
Tutto ciò sta a ricordare che in questo panorama di fortezze
i ponti levatoi da sollevare sono tanti e molti si alzano lentamente.
Teniamone conto.
Il Terzo mondo
E poi c'è la realtà complessa del Terzo mondo e dei
Paesi in via di sviluppo.
Nel finalismo e nella strategia CEE, il centralismo del primo aspetto
è certamente fra quelli più determinanti ed incisivi.
C'è l'aspetto economico, in quanto lo sviluppo appunto del
Terzo mondo, oltre che alle finalità civili, sociali, umane,
politiche, economiche a carattere interno, deve rispondere anche alle
necessità ed all'equilibramento dello sviluppo, completo ed
armonico, in tutto il globo. Da questo sviluppo è condizionato
in parte non secondaria anche quello specifico europeo: si pensi ad
esempio al fatto che il Terzo mondo assorbe una quota mediamente del
35% delle esportazioni europee.
Allo stato dei fatti, tutti i Paesi del Terzo mondo possono esportare,
in esenzione di dazi doganali, i loro prodotti finiti e semifiniti
verso la Comunità grazie alle preferenze generalizzate. Paesi
meno sviluppati a loro volta sono esenti dalle limitazioni quantitative
previste in determinati casi. Sono inoltre consentiti dazi nulli o
ridotti per numerosi prodotti agricoli. Infine, accordi speciali facilitano
l'esportazione di prodotti artigianali da una ventina di Stati.
Per favorire poi lo sviluppo sempre del Terzo mondo la Comunità
ha concluso accordi con molti Paesi, come si vedrà meglio in
seguito. Viene accordato altresì anche un aiuto finanziario
e tecnico, che concentrato inizialmente in Africa e nel bacino mediterraneo,
successivamente si è esteso ai Paesi asiatici e dell'America
latina, ai quali il bilancio europeo 1987 ha destinato circa 284 milioni
di ECU. La Comunità sviluppa inoltre la propria cooperazione
con l'insieme del Terzo mondo in settori quali l'energia, la promozione
commerciale, la formazione, ecc. Vi sono inoltre aiuti alimentari
di una certa consistenza che quasi raddoppiano la cifra suddetta.
Come si vede l'intervento è molto ampio, ma esso diviene ancora
più significativo quando il problema di questo sviluppo è
inteso nei programmi e nelle strategie come un vero e proprio dovere
di presenza e partecipazione della Comunità, così che
essa si sente impegnata, nel quadro pure dell'ONU e dei suoi organi
specializzati, ad attivare iniziative, accordi, interventi diretti
a determinare e favorire politiche mirate ad accelerare lo sviluppo
del Terzo mondo. Sempre in quest'orbita va sottolineato quanto la
Comunità ha fatto e rappresenta relativamente a:
- i Paesi del Mediterraneo, con gli accordi di associazione e di cooperazione
interessanti 12 Paesi terzi. Si tratta della Yugoslavia (che gode
di franchigie doganali per la maggior parte dei suoi prodotti industriali
e di prestiti della BEI), della Turchia, della già citata Malta
e di Cipro, per preparare l'adesione o l'unione doganale. Si tratta
ancora dell'Algeria, del Marocco, della Tunisia, dell'Egitto, di Israele,
della Giordania, del Libano e della Siria, con i quali sono in atto
accordi di cooperazione commerciale, industriale, tecnica e finanziaria
che prevedono il libero ingresso dei loro prodotti industriali nel
mercato europeo, concessioni specifiche per alcuni prodotti agricoli,
aiuti finanziari, ecc.
- i Paesi del vicino Oriente, con l'accordo non preferenziale di cooperazione
commerciale, economica e di sviluppo con lo Yemen del Nord, con strumenti
di cooperazione e di attivazione degli scambi commerciali con i Paesi
arabi del golfo, in vista di più ampie forme di collaborazione
concernenti il trasferimento tecnologico, i traffici, l'agricoltura,
i problemi di manodopera, gli scambi culturali.
- l'Africa, i Caraibi, alcuni Paesi del Pacifico, nella cui orbita
64 Stati ACP hanno concluso la convenzione di Lomè, che esenta
da qualunque dazio doganale senza obbligo di reciprocità il
99,5% della loro esportazione verso la Comunità, la quale inoltre
accorda aiuti tecnici e finanziari, intensifica la propria cooperazione
nei campi dello sviluppo rurale, dell'energia, dell'industria, della
pesca, della problematica socio-culturale, ecc.
- l'America Latina, con gli accordi di cooperazione economica e commerciale
con Messico, Brasile, Bolivia, Colombia, Ecuador, Perù, Venezuela,
Uruguay, Costarica, Guatemala, Honduras, Nicaragua, Panama e Salvador.
In vari di questi Paesi sono investiti anche raccordi di natura extraeconomici,
per i quali si trattano o si auspicano gli aspetti pure inerenti alla
promozione della democrazia, al consolidamento o conseguimento della
pace, al debellamento di fattori negativi per la convivenza, a cominciare
da quelli interessanti la droga o l'ambiente.
Tutti i Paesi latino-americani beneficiano delle preferenze generalizzate
e di altre misure che ne favoriscano le esportazioni e fruiscono dell'appoggio
comunitario per quanto riguarda lo svolgimento del processo di integrazione
regionale. Dice un documento ufficiale che i principali assi della
politica esterna della Comunità sono il mantenimento della
libertà di scambio e lo sviluppo del Terzo mondo, grazie ai
quali essa auspica di farsi portavoce dell'interesse generale degli
europei, confrontati ad un mondo tormentato in cui la Comunità,
sempre che gliene siano dati i mezzi, può dare alla Europa
una voce più forte di quelle dei suoi Stati membri.
Sempre in questa prospettiva, che è poi di partecipazione oltre
che comunitaria anche occidentale, sono da registrare il maxiprestito
concesso dal Fondo Monetario Internazionale all'Argentina (1,4 miliardi
di dollari) per sostenere le riforme, il particolare accordo di cooperazione
intervenuto fra l'Italia ed il Brasile, quasi simile a quello giù
intervenuto bilateralmente con l'Argentina, per 1 miliardo e 100 milioni
di dollari a bassi tassi e con lunghi tempi di rimborso, ecc.
Il problema che sovrasta tutti gli altri e che deve essere affrontato,
come premessa indispensabile per la reale attivazione dello sviluppo,
è appunto quello per questi Paesi delle disponibilità
necessarie e dell'indebitamento. Il debito estero del solo Terzo mondo
è costituito da 1300 miliardi di dollari.
Gli sforzi sono ora diretti a ricercare una via di uscita, come si
è tentato e si tenta di fare con vari piani, da quello Brady
a quello Baker e con iniziative e sforzi su base sia multilaterale
che bilaterale. Ed a questo proposito abbiamo indicato più
sopra alcune delle più recenti iniziative assunte dall'Italia.
Quanto al nostro Paese, le sollecitazioni che esso ha formulato all'ONU
come capisaldi indicativi di una condotta già unilateralmente
applicata, ma evidentemente da integrare con gli indirizzi non divergenti
degli altri Paesi, concernono l'appoggio all'associazionismo regionale,
l'agganciamento del problema del credito a quello del commercio, la
garanzia a tutti della partecipazione al sistema multilaterale degli
scambi, con il rafforzamento ulteriore del ruolo istituzionale del
GATT. E ciò oltre gli stessi aiuti più diretti ed immediati,
che devono essere considerati come la cornice di un quadro da disegnare
con una concezione decisamente innovativo e riequilibratrice di situazioni
oggi tanto sperequate fra l'Occidente ed il resto del mondo.
L'assetto finanziario
Ma per andare sempre più innanzi occorre anche conseguire un
assetto finanziario, monetario, fiscale, al quale l'Europa comunitaria
sta lavorando con alterne fortune e ritmi che devono essere regolarizzati,
fra l'altro, per quanto attiene alla moneta, alla creazione di una
banca, all'armonizzazione fiscale, ecc. C'è in sostanza la
visuale di un'Europa senza se, e di chi in retroguardia pensa ancora
ad un'Europa con i se.
In quest'ottica, che è di accelerazione, ma è anche
di nuovo assestamento, l'approdo finale, secondo il Presidente della
Commissione CEE, deve essere, non potrà non essere, quello
ad una forma di Eurogoverno federale per l'economia e la moneta.
Fin qui si sono compiuti tanti piccoli passi, secondo il presidente
stesso, ma oggi si deve camminare più in fretta, perché
il tempo stringe, e prima del 1993 occorrerà approvare e ratificare
la seconda riforma del Trattato di Roma, che costituisce la tappa
intermedia per giungere al nuovo traguardo di decollo dell'Europa
della moneta.
La fine dell'eurosclerosi
Gli anni '90 si annunciano con prospettive tranquillizzanti per l'economia
mondiale, ma ciò con riguardo - come si è sottolineato
agli inizi - all'economia reale, e non già al quadro finanziario
che si annuncia instabile e perciò bisognoso di correttivi
e di riequilibratori.
Nella prospettiva di ciò che si dovrà fare, i punti
di partenza dei quali bisogna prendere atto, e lo ha fatto recentemente
il capo del governo della Germania Federale constatando la convergenza,
in occasione del suo incontro con l'omologo italiano, con la posizione
e le attese italiane che la nostra Vecchia Europa si è trasformata,
avendo lasciato definitivamente alle spalle la sua eurosclerosi, in
una fortezza economica che però sarà sempre aperta verso
gli altri Paesi, dando in questo modo anche un contributo a favore
della pace e, si deve aggiungere così, anche del progresso
delle varie comunità del mondo.
Come ciò stia avvenendo abbiamo cercato di dire fin qui, con
la conclusione urgente per il nostro Paese di essere preparato a misurarsi
con questa Europa.
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