Nidi, bambini, denari




V. M.



Nel luglio 1947, fui assunto, come assistente pediatra, al Brefotrofio di Roma; tra il luglio e l'agosto firmai 75 denunce di morte di lattanti; le morti erano legate ad infezioni: il termine che si usava erA quello di ospedalismo. Non si trattava certo di una novità (i brefotrofi erano tristemente celebri!) ma, per un giovane medico di 23 anni, fu una dura esperienza. Dopo alcuni anni mi resi conto che, anche nelle migliori condizioni igienico ambientali e con spese iperboliche (la retta del brefotrofio era divenuta con gli anni pressoché uguale a quella di un ospedale pediatrico), la frequenza di affezioni, specie respiratorie, era assolutamente non paragonabile a quella dei bambini delle famiglie, anche se i bambini non morivano più.
Definii, quando preparai la prima legge sull'adozione (1964), le comunità di lattanti sani come "comunità di malati del soma e della psiche". Cercai con l'adozione e con gli affidamenti familiari di distruggere le corsie brefotrofiali.
Rimasi perciò sconvolto quando mi accorsi che ai "relativamente" pochi brefotrofi, comunque in via di riduzione, si voleva affiancare un numero enorme di brefotrofi diurni: i "nidi".
Nidi esistevano già da una trentina di anni (la mai troppo compianta ONMI ne aveva creato circa 500), ma si era sempre trattato di nidi assistenziali, cioè utilizzati per particolari situazioni di emergenza. I movimenti politici tendevano invece al nido per tutti, al nido come servizio sociale; il piano quinquennale di sviluppo 1963-68 e l'UDI facevano programmi per molte centinaia di migliaia di bambini nei nidi, ben al di sopra del numero dei bambini delle madri lavoratrici extradomestiche. Il nido veniva concepito come una tappa obbligata della socializzazione del bambino e, tra l'altro, liberando la madre, era gradito come determinante anche della socializzazione materna!!!
Iniziai una campagna nel 1967, sul periodico dell'OMNI, contro tali tesi, ma nel 1977 venne la legge per il contributo pubblico per la costruzione e la gestione degli asili nido.
Quello che era più sconcertante, sia sul piano UDI, sia nel piano quinquennale di sviluppo, sia nella legge del 1971, erano le previsioni di spesa di gestione, assolutamente ridicole: da una decima parte ad una quinta parte della realtà. Poiché non è pensabile che i programmatori non conoscessero neppure i bilanci ONMI per i nidi allora esistenti, si deve arguire che in malafede si è agito sul Parlamento per far approvare una legge che avrebbe portato invece un onere notevole. Oggi, dai bilanci di un grande Comune, risulta che il costo di un bambino in un asilo nido è di circa 25 milioni l'anno, ma si tratta di una sottostima perché è riferito al costo unitario di un iscritto, non a quello di un bambino realmente presente (le assenze per malattia superano il 45% degli iscritti): un bambino costa cioè in realtà circa 40 milioni l'anno.
Tale cifra è pari alla retribuzione di 2 operaie addette al commercio ed all'industria, e forse a 3 dell'agricoltura.
Se il nido dovesse divenire un servizio per i figli della maggior parte delle donne lavoratrici, converrebbe lasciare i figli con le madri a casa, continuando a pagare gli stipendi, e non facendo ammalare i bambini.
Dal punto di vista economico la cosa assume poi maggiore carattere di gravità, perché il nido è in maggioranza frequentato da figli di coppie sposate, in cui lavorano entrambi guadagnando così due stipendi, mentre altri due vengono loro regalati a carico pubblico, a spese anche di quella famiglia che ha il solo stipendio del marito e paga le tasse per un uso così maldestro del denaro pubblico. Difficile è poi spiegare a quest'ultimo che la fortunata è lei, che non danneggia il proprio figlio! La verità è che queste istituzioni sono volute da quei gruppi elitari in cui la donna non può, per ragioni di carriera, assentarsi 1-2 anni dal lavoro, e non dalla gran massa, che si contenterebbe di una parte di stipendio per stare con il proprio figlio.
Torniamo alla salute dei bambini: le ultime ricerche avvalorano sempre più l'importanza dei nidi per una patologia infettiva: frequenti circa tre volte rispetto ai bambini allevati a domicilio sono le affezioni faringee, bronchiali, broncopolmonari, cinque volte maggiori le infezioni da haemophilus (causa tra l'altro, anche di meningiti), diffusissimo il citomegalovirus e la giardiasi, sembra siano anche molto più rappresentate le affezioni asmatiche.
Per ciò che concerne l'aspetto psicologico i difensori del nido parlano di socializzazione precoce: non ho mai visto una socializzazione tra le culle, perciò fino ad un anno e mezzo non vi può essere vantaggio dalla frequenza in un nido. Dopo il 18° mese dipende dalla validità relativa dell'istituzione e dell'ambiente familiare; il nido potrebbe essere valido se la famiglia non lo è! E' solo a tre anni che domina l'esigenza di socializzazione.
Da quanto detto si evince che non dovrebbero esistere nidi per bambini sotto 18 mesi, salvo che per gravi e transitorie emergenze assistenziali (altro che il nido per tutti), ve ne dovrebbero essere pochi e ben fatti, sempre per prevalenti ragioni assistenziali da 18 mesi a 3 anni e vi dovrebbe essere la scuola materna per tutti.
Oltre ai prolungati sussidi di maternità (12-18 mesi), si dovrebbero valorizzare le NONNE (spesso non vogliono affidar loro i bambini perché li... viziano!). Mai un atto di insensibilità ed ingenerosità più crudele è stato fatto nei confronti dei figli e dei vecchi!
Bisognerebbe fare poi cauti esperimenti di nidi di palazzo: una famiglia controllata dal servizi sociali può tenere 3-4 bambini a costi sicuramente inferiori a quelli dei nidi - non più di 6-8 milioni l'anno - a tasso di infezioni molto ridotto rispetto ai nidi e con rapporti affettivi sicuramente più personalizzati, e con orari più flessibili.
L'avvenire si presenta più roseo di 10- 15 anni fa, perché i comuni, che hanno sperimentato il costo mostruoso dei nidi, fanno fortunatamente orecchie da mercante alle richieste urlate o lamentose di nuove istituzioni, ma questo non basta. Bisogna distruggere queste gabbie d'oro per i bambini e restituirli per i primi tre anni di vita alle loro madri con il vantaggio dei Pubblici bilanci, ed aiutando naturalmente le madri perché svolgano il loro compito più serenamente.

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