§ Malattie parassitarie

La toxoplasmosi umana




ltalo Vittorio Tondi



Esula dal nostro articolo rifare, per estenso, l'excursus storico della Toxoplasmosi umana (T.U.), una antropo-zoonosi ubiquitaria, provocata da un protozoo: il toxoplasma gondii. Ci limitiamo a segnalare ch'esso fu scoperto, contemporaneamente, nel 1908, da Splendore in Brasile e da Nicolle e Manceaux in un roditore africano, lo Ctenodactylus gundi. la prima osservazione di T.U., in senso assoluto, fu quella di Wolf e Cowen del 1937.
Nell'immediato dopoguerra (1946-47), la malattia venne osservata e descritta in Europa, da Bamatter in Svizzera e da Binkhorst in Olanda. dal medico americano Robinson in Italia. Circostanza fortuita, e per noi salentini sorprendente e preziosa, fu che l'osservazione e la descrizione di Robinson (Ann. Paediat.; 168, 134; 1947) si riferivano ad un caso di neurotoxoplasmosi acuta, acquisita, diagnosticata (per la presenza del parassita nel liquor) e curata a S. Maria di Leuca, in una ragazza ospite di un campo-profughi.
Precedentemente, però, le Scuole genovesi di Clinica pediatrica e di Clinica oculistica, con Tolentino e Bucalossi, rispettivamente, avevano con ampiezza di documentazioni descritto più casi di T.U. congenita (La Toxoplasmosi, Editore "Il Pensiero Scientifico", 1954).
Dopo una fase di stallo, nel 1951, in una magistrale lezione, il prof. Frugoni illustrò il primo caso italiano della malattia acquisita nell'adulto (Il Policlinico-Sez. Prat.; 1, 1; 1951 ).
Quando, nel 1955, fummo chiamati a dirigere le Divisioni di Medicina e di Malattie infettive dell'Ospedale di Gallipoli, la nostra curiosità ed interesse scientifico ci spinsero ad indagare se i casi di Robinson e di Frugoni, anziché autoctoni, fossero di importazione; anche se le numerose segnalazioni di Tolentino, sempre di T. congenita, deponessero per una infezione nostrana, con la logica deduzione che il protozoo fosse da considerarsi ospite-fisso nel nostro territorio.
Con la preziosa collaborazione della Ditta Lilly di Indianapolis e dell'Istituto Sieroterapico Milanese, procedemmo ad uno screening di massa in persone dell'hinterland gallipolino, eseguendo lo skin-test (intradermoreazione) con toxoplasmina e la reazione tintoriale di Sabin-Feldman, con risultati sorprendenti. Il gruppo saggiato aveva risposto positivamente per il 20% allo skin-test e per il 50% alla reazione di Sabin-Feldman.
L'esito di tali indagini, in una con due nostre Osservazioni cliniche, confermateci da esami eseguiti in Svizzera (Ospedale di Herisau) ed in Germania (Clinica Ginecologica della Università di Tubinga) ed edite, rispettivamente, nelle riviste il Policlinico-Sez. Prat.; n. 1; 1962 e la Gazzetta Sanitaria; n. 1/2; 1963, ci indusse a ritenere autoctona, nella nostra provincia, l'infezione-malattia protozoaria. Estendendo successivamente i nostri dépistages, oltre la provincia di Lecce, ci fu possibile dimostrare che l'area geografica interessava l'intero Salento (Minerva Ginecologica; 15; 1965).
Riprendiamo il discorso sull'agente eziologico, il toxoplasma (così chiamato per la sua forma ad arco) gondii e sulla epidemiologia.
Appartiene alla classe dei Coccidi. Il suo ciclo biologico è costituito da una fase asessuata ed una fase sessuata, ed è un parassita obbligato.
Grande inquisito per la diffusione della infezione è, oggi, il gatto (ma anche altri felini possono esserlo) perché, nel suo intestino, si svolgerebbe, oltre alla fase asessuata (come nell'uomo e negli altri animali), anche la fase sessuata del suo ciclo vitale, con la formazione di macro-microgameti (rispettivamente femminili e maschili) e la successiva eliminazione con le feci di oocisti (infettanti da alcune settimane a qualche mese).
Una volta pervenute al terreno (autentico serbatoio del protozoo) l'uomo, gli animali domestici, da cortile, selvatici, gli uccelli ed anche gli artropodi possono ingerirle, verificandosi in essi (attraverso la successiva formazione di sporoblasti, sporocisti e sporozoiti) la fase asessuata, con possibilità di infezione o malattia, a carattere acuto o cronico, da parte di forme proliferative e cistiche del parassita. Il contagio umano, prescindendo da quello potenziale di laboratorio e professionale (veterinari, macellai, pellai, ecc.), avviene per via orale o attraverso soluzioni di continuo, cutaneo-mucose, con l'ingestione di carne cruda o poco cotta di animali infetti o malati (nella nostra vasta casistica questa modalità risulterebbe presente nel 70-80% dei casi) o per contaminazione con loro escreti o secreti e per via diaplacentare.
L'uomo e gli animali infetti o malati eliminano il parassita con le urine, le feci, il latte ed il secreto vaginale.
Il contagio negli e tra gli animali avviene per cannibalismo o per contatto col terreno contaminato e nei rapporti biologici.
Essendo un protozoo intracellulare obbligato, le cellule intestinali parassitate vanno incontro o alla citolisi, con parassitemia secondaria o all'incistamento. A loro volta le cisti (che rappresentano una fase di sviluppo lento ma non di quiescenza biologica) andrebbero incontro o alla morte o alla rottura, con conseguente parassitemia e quindi ad una riaccensione della malattia (tale evento costituirebbe la causa principale delle recidive e delle riacutizzazioni).
Un'altra modalità di contagio è data dal passaggio, in fase di parassitemia, del protozoo dalla madre al prodotto di concepimento per via diaplacentare, con la induzione di una T. congenita.
L'accertamento diagnostico si avvale delle seguenti indagini:
1) Osservazione diretta del parassita al microscopio in contrasto di fase sul materiale patologico o sull'inoculum del materiale infetto (prova biologica) in cavità peritoneale, o nel cervello di animali recettivi (elettivamente il topino bianco) o nei preparati istologici.
E' da precisare che tali indagini, per la loro complessità e difficoltà, sono eccezionalmente richieste. Sono pertanto le metodiche indirette quelle correntemente impiegate.
2) Dye-test o reazione tintoriale di Sabin-Feldman.
3) Fissazione del complemento (FC).
4) Agglutinazione diretta ed indiretta.
5) Emoagglutinazione.
6) Immunofluorescenza indiretta.
7) Ricerca anticorpi specifici (IgG e IgM), con la metodica immuno-enzimatica ELISA.
8) Intradermoreazione (skin-test) alla toxoplasmina.
Diciamo subito che l'agglutinazione diretta ed indiretta, l'emoaggIutinazione e la intradermoreazione trovano indicazione solo per screening di massa, agli effetti epidemiologici.
Oggi, pertanto, agli scopi diagnostici e differenziali tra infezione e malattia, latente o patente (mono-oligo-poli-sintomatica) congenita ed acquisita, locale o sistemica, assumono valore e significato determinante (specie se confortati dall'incremento del titolo di positività in un secondo-terzo controllo, da eseguirsi a dieci-quindici giorni di distanza l'uno dall'altro), oltre al dye-test di Sabin-Feldman (che viene praticato da pochissimi laboratori, per difficoltà tecniche), la fissazione del complemento (FC) con antigeni standardizzati; l'immunofluorescenza indiretta (specie se eseguita con la variante di Remington) ed il test immuno-enzimatico ELISA.
I risultati di tali esami, anche parziali, chiariranno sufficientemente e/o decisamente, col loro titolo di sieroconversione, se si è di fronte ad una cicatrice immunologica (reazione anticorpale ad un pregresso contagio o ad una pregressa malattia ed in tal caso il soggetto è da considerarsi immuno-protetto) o ad una forma attiva o sub-attiva della stessa.
Avendo questo articolo soprattutto scopo informativo per i "non addetti ai lavori", ci asteniamo da dettagli tecnici di laboratorio e dalle diverse valutazioni delle risposte dei singoli esami, anche per non ingenerare nei lettori interessati false o imperfette interpretazioni, talora non assenti neppure tra i medici, specie se ci si avvale per la diagnosi del diffuso toxo-test. A proposito del quale Gioannini (Medicina Clinica; vol. IV - Edizioni Scientifiche Italiane1985) asserisce: "è doveroso osservare che questo test viene effettuato in molti laboratori con un metodo indicato come toxo-test, i cui risultati sono assolutamente inattendibili". Un'ultima parola, ai fini diagnostici, la riserviamo all'esame istologico-linfonodale, caratterizzato dalla presenza di grosse cellule tipo Piringer-Kuchinka.
Per quanto De Lalla (Annali Sclavo; 2; 145; 1974) minimizzi il significato diagnostico della loro presenza (perché osservate in altre affezioni) a noi pare ch'essa, sia pure ridimensionata, vada interpretata e valutata nel contesto del quadro clinico e dei reperti sierologici.
Sotto l'aspetto clinico, la T.U. può presentarsi come forma congenita, connatale ed acquisita.
La nostra lunga vasta esperienza ci è derivata, per la massima parte, daIl'osservazione di forme acquisite, ma non ci sono mancate osservazioni edite (La Riforma Medica; 34; 1964; e 29;1973) ed inedite della forma congenita.
Forma congenita: di solito essa è caratterizzata dalla tetrade di Sabin; anche se talvolta incompleta, e cioè: idrocefalo interno o microcefalia, convulsioni o altre manifestazioni neuro-psichiche, corioretinite o altre lesioni oculari, calcificazioni endocerebrali. E' provocata dal passaggio, per via transplacentare, del protozoo dalla madre al prodotto del concepimento, con la potenziale induzione di aborto ed embrio-fetopatia, a seconda dello stadio della gravidanza.
Per Couvreur, tale rischio sarebbe riportabile ad una frequenza del 25-30-50%, a seconda che il contagio si verifichi, rispettivamente, nel 1°-2°-3° trimestre della gestazione.
Forma connatale: è da intendersi, invece, la malattia contratta dal neonato nell'espletamento del parto, per la presenza nei lochi e nei frustoli placentari del parassita. E' da considerarsi, pertanto, una forma acquisita.
L'assioma di Sabin che una madre infetta partorirebbe "un solo figlio toxoplasmotico", perché la susseguente immunizzazione le precluderebbe ulteriori gravidanze abortive, non spiega la non infrequente segnalazione di aborti reiterati. Responsabile, in tale circostanza, secondo varii AA., sarebbe una metro-endometrite toxoplasmica materna, avvalorata dalla presenza del parassita nei lochi, nel secreto vaginale e nel sangue mestruale.
In un nostro contributo (La Riforma Medica; 5,1975), sulla "vexata quaestio", così ci esprimemmo: "della dibattuta ed ancora non pacifica questione della metro-endometrite toxoplasmica, inducente agli aborti reiterati, pensiamo che corollario pratico sia la opportunità di un trattamento profilattico-terapeutico, ove i valori dei test sierologici o la presenza del parassita nei frustoli placentari o nel sangue mestruale lo richiedano; ciò è altrettanto utile nella ipotesi che la responsabilità abortigena sia addebitabile ad una infezione cronica materna, riacutizzantesi in gravidanza".
E scrivemmo ancora: "all'eventuale domanda se in tali evenienze e circostanze possa essere giustificato il ricorso all'aborto terapeutico noi rispondiamo, con Tolentino, negativamente e per la utilità del trattamento profilattico-terapeutico e per la fondata possibilità che da una madre infetta nasca un figlio sano, specie se l'infezione è contratta all'inizio della gravidanza".
Essendo l'entità e l'estensione delle lesioni della T. congenita in rapporto alla virulenza e alla carica parassitaria, al periodo di gestazione e alla reattività anticorpale, la parassitemia può indurre nel feto o nel neonato (in quest'ultimo in caso di T. connatale), oltre alla forma sistemica, altre localizzazioni, nel fegato, polmoni, cuore, intestino, nel sistema nervoso, nell'apparato oculare; sono quest'ultime due le più rilevanti e preoccupanti. La loro associazione costituisce la "sindrome neuro-oftalmica".
Le alterazioni nervose vanno dalla meningite asettica alla meningo-encefalite, alla encefalomielite, alla micro-idrocefalia, fino alle alterazioni elettroencefalografiche e liquorali. Quelle oculari dalla più comune corioretinite alla irite, alla irido-ciclite, alla cataratta, allo strabismo, al coloboma, alla neurite ottica, alla aracnoidite, al microftalmo, ecc. La disseminazione ematogena del parassita, oltre alla capacità di indurre, come giù accennato, localizzazioni d'organo, può determinare una forma sistemica, simil-tifosa e pseudo-rickettsiosica, spesso esantematica.
Pur se discussa, trova probanti riscontri clinici (come da osservazioni di più AA.) la cosiddetta "sindrome neuro-endocrina", caratterizzata dalla evenienza di un diabete insipido o di una distrofia adiposo-genitale o di un nanismo ipofisario, per la localizzazione dei parassiti o delle pseudocisti nella zona ipotalamo-ipofisaria.
A delle pseudocisti calcificate si devono le calcificazioni, periventricolari e corticali, endocerebrali, radiologicamente evidenziabili e facenti parte della tetrade di Sabin.
Forma acquisita: l'infetto primario (seguito alle modalità di contagio già esposte) può esprimersi con una forma generalizzata, acuta, subacuta o cronica, simulando, nella prima ipotesi, un quadro clinico simil-tifoso o pseudorickettsiosico, specie se accompagnato ad esantema.
Delle altre localizzazioni in organi bersaglio della noxa patogena accenneremo più avanti, dovendo dare, per ragioni anatomo-patogenetiche e per la maggiore frequenza, la precedenza alla linfoadenite toxoplasmica.
Furono Gard e Magnusson a descrivere il primo caso (1950); ma spetta a Siim, al cui nome èlegata (toxoplasmosis lynphonodosa di Siim), l'averla ampiamente ed accuratamente studiata. Se si esclude il caso inedito di Tolentino, la malattia era del tutto sconosciuta in Italia quando toccò a noi la ventura dell'osservazione e della descrizione (il Policlinico-Sez.Prat.; 51,1853; 1962) del primo caso italiano.
L'affezione, che predilige l'età giovanile, ma non risparmia le altre, esordisce di solito con una flogosi oro-faringea, astenia, mialgie, interessamento dei linfonodi superficiali e, talora, ilo-polmonari, non impegnando gli organi ipocondriaci, se non, eccezionalmente, la milza. Può decorrere con modica febbre o del tutto apiretticamente e si accompagna, di solito, ad una modesta leucocitosi con linfomonocitosi. Spesso decorre o può decorrere in assoluto silenzio clinico: saranno solo gli ingrossamenti linfoghiandolari a richiamare l'attenzione dei paziente e dei medico. Il reperto istologico èrappresentato da micronoduli perifollicolari, ed anche follicolari, costituiti da cellule epitelioidi, istiociti e macrofagi, linfoblasti e linfociti e da alcune grosse cellule (dette di Piringer-Kuchinka), ovalari, provviste di un nucleo vescicoloso con un grosso nucleolo. le cellule di Piringer-Kuchinka non sono da ritenersi patognomoniche, essendo state riscontrate in altre affezioni linfonodali. E' una affezione benigna, il più delle volte misconosciuta (cioè passata inosservata) o indiagnosticata, suscettibilissima di regressione spontanea e sensibilissima alla terapia.
Pur essendo molteplici le eziologie di una linfoadenite, si ritiene, oggi, che casi di linfoadenite mononucleosi-simile, Paul-Bunnel negativi, ed altri, istologicamente etichettati come "linfoadenite aspecifica", specie se spontaneamente regredibili, possano essere riportabili ad una eziologia toxoplasmica.
Talvolta la T.U. assume un andamento polifasico, nel senso che contemporaneamente o in rapida successione (se non tempestivamente diagnosticata e curata) può presentarsi sotto più aspetti, come in una nostra osservazione (La Riforma Medica; 2, 111; 1977).
In questo caso la malattia, insorta come forma pseudo-tifosa, virò poi in forma linfonodale ed, infine, in epatite. Il suo inquadramento nosologico ci fu consentito ed ampiamente confermato, oltre che dall'esame ago-bioptico epatico (cioè dall'esame istologico), anche e soprattutto dagli indici di positività dei test siero-immunologici che, per l'interesse del caso, facemmo eseguire in più sedi (dall'Istituto Sieroterapico Milanese, dal prof. Oreste Zardi di Roma e dall'Hip Centralized Laboratory di New-York).
Pensiamo di non soffermarci sulle singole localizzazioni viscerali della T. (nel fegato, polmoni. cuore, intestino), essendo piuttosto rare le loro segnalazioni, né, ulteriormente, sulle alterazioni neurologiche ed oculari, avendone già parlato nella descrizione della forma congenita.
Né ci sembra importante, ai fini di questo articolo, elencare le possibili diverse associazioni dell'infezione toxoplasmica con altre affezioni, elettivamente emopatie e tumori, o della sua possibile interferenza con la patologia da virus; il che può ostacolare l'interpretazione diagnostica sulla responsabilità primaria, come in una nostra Osservazione (La Riforma Medica; 29;1973), che, in altra sede diagnosticata come malattia congenita da cytomegalovirus, fu poi da noi acclarata, in base ai valori di positività della madre e del paziente ed ai controlli clinici dei proff. Terragna e Frezzotti (rispettivamente per la parte medica ed oculistica) di eziologia toxoplasmica, con sensibilissimo beneficio del trattamento specifico farmacologico.
E' interessante sapere che l'infezione toxoplasmica, con quelle da pneumocystis carinii, da cytomegalovirus, da herpes simplex e da criptococcus, è tra le più frequenti infezioni opportuniste che si osservano nei malati da immunodeficienza acquisita (AIDS).
Se non si verificassero (malgrado schemi precisi e codificati in ogni recente libro di terapia e clinica medica) inesattezze e, talora, errori nella opzione chemio-antibiotica e nella posologia, con potenziali implicazioni di patologia iatrogenica, potremmo non intrattenerci sul trattamento terapeutico.
Puntualizziamo che:
1) In gravidanza è da impiegarsi la spiramicina (tre grammi pro die) per periodo di quindici giorni ogni mese, fino all'espletamento del parto; oppure la josamicina (tre grammi pro die) per tre cicli di dieci giorni, intervallati da altrettanti di sosta (Gioannini).
2) Nelle altre situazioni e nell'adulto si ricorrerà al trattamento associato pirimetamina e sulfamidici (con preferenza per quelli a basso dosaggio e a lunga perduranza, sulfametossipirazina e sulfametossipiridazina, rispettivamente nelle dosi di 25 mg. e 0,5 gr. pro die; solo del sulfamidico e per il solo primo giorno si darà una dose doppia o quadrupla, cioè a dire 1-2 gr.). Saranno attuati cicli di venti giorni di trattamento con altrettanti di riposo, sulla scorta dei valori di controllo dei test sieroimmunologici e previ, frequenti esami ematologici per un loro potenziale danno sulla emopoiesi, ed associando sempre dell'acido folinico, nelle fasi di cura, essendone impedita, dalla pirimetamina, la trasformazione dell'acido folico endogeno.
Altri (cotrimossazolo, clindamicina, fansidar, ecc.) sono stati suggeriti ed indicati come farmaci anti-toxoplasma, ma di essi non abbiamo personale esperienza, non avendo accusato insuccessi, od effetti collaterali indesiderabili o rilevanti, dalla predetta terapia.
3) Per i neonati, con segni clinici di malattia congenita o connatale, la terapia è uguale a quella degli adulti, nelle dosi, ovviamente, pediatriche e da ripetersi per tre-quattro volte nel primo anno di vita.
"I nati apparentemente indenni da madre infetta durante la gravidanza - consiglia Gioannini - devono essere ugualmente trattati, nonostante che essi abbiano soltanto il 40% di probabilità di essere infetti".
Agli effetti profilattici di una possibile infezione in gravidanza e del potenziale rischio di una T. congenita nel neonato, è consigliabile per la donna l'accertamento, prima o subito dopo il matrimonio, della presenza o no di una immuno-protezione. Nell'ipotesi negativa, è opportuno che la gestante eviti dal mangiare carne cruda o poco cotta e verdure crude, dal bere latte non pasteurizzato e dall'avere contatti con animali domestici e da cortile. Nel caso di infezione contratta all'esordio della gestazione si dovrà applicare il trattamento con spiramicina o josamicina, come sopra detto.
Venticinque anni or sono dopo una comunicazione (La Riforma Medica; 34,1964) al Simposio Interregionale della Sezione Ligure della Soc. IT. per lo studio delle malattie infettive e parassitarie (Genova, 20 giugno 1964) commentammo come l'apporto di nuova casistica e le numerose comunicazioni sulla T. di quel Convegno dimostrassero quanto diffusa fosse, anche in Italia, l'infezione-malattia e come sentito fosse il bisogno di un analitico esame dei vari problemi di fondo e marginali, ad essa attinenti o da essa derivanti.
Nello stesso anno (settembre 1964) una riunione monotematica della Soc. Pugliese di Ostetricia e Ginecologia su "Toxoplasmosi e gravidanza" si tenne a Lecce. Ma fu un mese dopo (Roma-ottobre 1964) che essa ricevette con le interessantissime e documentatissime relazioni di Bartorelli e Berengo per la parte medica, e di Bencini e Frezzotti per la parte oculistica, solenne investitura, nel 65° Congresso della Società Italiana di Medicina Interna. Sempre nello stesso anno, il nostro Direttore, prof. Cannavò, dell'Università di Messina, titolava un suo articolo "La Toxoplasmosi all'ordine del giorno della patologia e della clinica".
Il seme gettato aveva prodotto i suoi primi frutti; ma, come ci ha ammoniti Goethe. "nelle cose di natura più si scava e più si vede che resta ancora da scavare, perché il fondo non si trova mai".
E, come era accaduto per i casi di T. linfoghiandolare, a noi toccò ancora la sorte di osservare una cospicua casistica, nelle sue più classiche ed eterogenee espressioni cliniche: forma congenita, neuroassitica, pseudo-tumorale, tifosimile, pseudo-rickettsiosica, cronica, polifasica, oltre alle numerose linfonodali, oculari e materno-fetali.
Tanta esperienza ci indusse e convinse a non giudicare retorica né enfatica la immaginifica espressione pronunciata da Bamatter, quando, nel citato Simposio di Genova dei 1964, ebbe a definire la Toxoplasmosi "maladie vedette" e "fléau menaçent".

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