§ Canto popolare

Favolerie




Antonio Errico



… tutti ripetevano
quello che lui aveva raccontato,
ognuno ci metteva
la sua parte di memoria
e le storie crescevano
diventavano vive

Ogni fine d'estate passava come uccello di passo.
E diceva parole leggere come nuvola e neve, come mano che accarezza i capelli o sospiro d'amore, come fossero odore di viole, come fossero ore di sonno e di sogno pacato e scordato al mattino.
Diceva tu sei porta di castello, colonna d'oro, penna di pavone; diceva tu sei fiore senza nome, grazia che mi viene senza voto.
E quelle parole furono calappio che mi legò e mi strinse a nodo duro.
Poi una sera di settembre invecchiato e di luna bianca e immensa come non l'ho vista mai più, mi prese le mani e mi sciolse capelli e paura.
Mi disse: conosco un paese lontano, sul mare, dove si infila il corallo e il pane è di grano, dove il sangue di lepre innaffia la terra e dentro ogni notte c'è un canto che arriva al mattino.
Ti porterà con me quando l'estate che verrà sarà passata e avrai fortuna e avrai letto di rose e nessun dolore avrai, nessun rimpianto. Ti lascio in pegno la tristezza di questi occhi.
Così mi disse. E mi baciò sul cuore.
Io avevo vent'anni, il sangue era caldo, caldo era il fiato che sentivo sul viso. Durò non so quanto. So dirti soltanto che l'ardore si spense in un dolce sorriso. Ma un sorriso che il vento fece un po' tremolare, che un'ombra di ramo coprì all'improvviso.
L'inverno fu quieto. Ti crescevo, sentivo il tuo vivermi dentro e contavo le lune. Aspettai come si può aspettare un miracolo o come aspettavo quand'ero bambina che venisse il giorno della festa per comprarmi la bambola di pezza.
Tu venisti, una sera. Lui non venne mai più. Io restavo per ore a guardare la strada tra gli ulivi da dove ogni volta arrivava e l'attesa mi moriva tra le braccia ogni sera.
E la notte, figlia, fu veglia angosciosa, fu preghiera e bestemmia, fuscaglia negli occhi. Ogni notte di lui mi tornava la voce. Mi tornava la voce a coprirmi, a scaldarmi, s'insinuava nel corpo, mi stringeva. l'amavo. Ho amato una voce per anni, ho sentito il fremito, il gemito, il respiro affannoso.
Poi ogni notte la notte passava. Anche l'estate ogni estate passava. E io l'aspettavo con gli uccelli di passo. L'aspettavo. Dicevo tornerà, non sarà sempre solo voce nella notte.
E invece tornava soltanto la voce. Quante parole, dio, quante parole.
Fiabe mi sembravano, infinite. Di feste raccontava, gioie e fiori.
Storie nuove ogni volta, mai sentite, ed ognuna aveva segreti e porte chiuse da svelare e da aprire ad ogni notte.
Poi una notte dissi a quella voce: vorrei parlarti. Tu sei terra. Tu non puoi parlare. La terra chiude il seme e lo fa germogliare. Non puoi parlare, disse. Tu sei madre, arancio che fiorisce, stagione che ritorna, notte e giorno, tu sei l'immensità del cielo, pozzo senza fondo. Tu sei il letto in cui si può sognare, tu sei memoria che non si oscura mai, medicamento sei, nido e palomba. Così mi disse.
Così passò il mio tempo. Per vent'anni ho ascoltato quelle storie.
E adesso non so dirti se è stato solo un sogno, se fu veglia la mia o se dormissi, se tutto durò vent'anni o un solo istante.
Non so, figlia, e poi che vuoi che cambi sapere cos'è stato, com'è stato.

- Madre, una domanda sola
- zitta, figlia, la legna sta finendo
- devo capire
- non è tempo di capire adesso
- una voce, dimmi, può bastare?
- basta
- una voce, solo voce per vent'anni
- per venti, cento anni, basta
- ma il giorno, madre, il giorno che passava
- di volpi e lupi è fatto il giorno, figlia, di volpi e lupi
- ma il giorno, dimmi
- ha avuto sempre poco senso il giorno
- quando la voce non ti parlava dico
- foglie sono stati i giorni, figlia, paglia che s'è sparsa, spersa. Questo
- madre, come si può vivere da sola
- da sola non si vive
- ma tu
- io non sono mai stata sola. Il fuoco è spento. Adesso basta figlia
- i carboni ardono ancora. madre. Parla
- ardono a lungo i carboni
- che cosa rimane adesso
- i carboni, vedi che rimane
- a te, dico, che resta
- il vento sbatte le imposte. Chiudi figlia
- che cosa resta, dimmi
- le storie, te l'ho detto, quelle storie, nuvole di parole, fantasia, voce che allontana la paura, un bacio sopra il cuore, il sognamento.
Mi resta ogni estate ch'è finita, gli uccelli di passo andati e ritornati
- soltanto questo madre
- non è poco
- dimmi, ti parla ancora, madre, lei, ti parla?
- adesso è tutto ormai tanto distante. Ho pace adesso e la notte a volte dormo. Lei ritorna sempre più di rado, e non è forte, sai, non è più forte. La sento che giunge da lontano, come un sussurro, a volte quasi un pianto. Ma ne avrei bisogno ancora, figlia. Vorrei che mi parlasse ancora quella voce, che m'accendesse il fuoco dentro il petto come la sera che lui fu angelo e fu incanto e bagliore di stella dentro gli occhi e la campagna tutt'intorno straluceva, nella sera straluceva di rugiada
- racconta ancora madre
- adesso è notte, figlia è notte. Basta
- racconta madre
- e cosa posso raccontarti, figlia. Ho solo la memoria di un'attesa e una domanda che mi resta in gola.
- quale domanda, madre
- se mai ebbe paura o nostalgia, se mai lo prese un palpito di cuore quando mi ha ripensata o se mai ha avuto un soprassalto dentro il sonno, un sogno di luna bianca come il latte. Figlia, questo soltanto vorrei aver saputo. Che dici tu, ha avuto un sogno?
- madre
- no, non mi rispondere. E che dici, ha avuto mai un pianto di nascosto, un pensiero di te, gli sei apparsa anche per un istante dentro gli occhi?
- madre
- non rispondermi. Tu sai. Non mi rispondere
- madre, come potrei sapere
- sai. Guardati gli occhi nello specchio, guarda il tuo volto scuro, il tuo sorriso, guardati il tuo modo di guardarmi
- madre
- ascoltati la voce. E' quella.
E' quella che mi ha ridato fiato, che ho aspettato per mille notti e aspetto ancora nel fondo di ogni notte
- madre, forse il tempo ti ha confusa
- il cuore forse s'è confuso, figlia. E ha rivolto e ha scompigliato il sogno e la passione non s'è più distinta. Per me sei stata inferno e paradiso rabbia consolazione desianza, sei stata la maledizione e la salvezza della mia vita. Tu sei stata l'ansia lo scuro la vertigine l'orgoglio il frutto amaro acerbo la dolcezza il tormento la miseria e poi spavento sei stata, lacrime fatica dolenza luce malasorte, figlia sconosciuta come il mare, figlia speculo splendente
- madre basta
- adesso invece parlo parlo
- basta
- il conto mi ritorna adesso, figlia, mi ritorna fino all'ultimo minuto, e non ho perso niente, è tutto vivo, è tutto qui davanti a me che parlo, tutto mi torna e storna ogni lamento.
Sapessi figlia il tempo che ho aspettato per arrivare fino a questa sera
- madre purissima
- figlia pura come l'alba, come acqua di fonte, stupore di bambino
- madre castissima
- figlia casta come carezza lontana, ricordo di un tepore, ombra del destino
- madre inviolata
- come cima di monte, torre allo strapiombo
- madre intemerata
- come la tua coscienza e il mio silenzio, come il segreto di questo eterno lutto
- quale segreto, madre?
- i carboni ormai si sono spenti. Non farmi più domande. Basta, figlia.


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