§ In tema di formazione / 2

Considerazioni inopportune?




Giuseppe Tondi



a) il progetto è avviato.
Antonio Santese si è soffermato spesso, e continua a farlo anche in questo numero, sull'azione avviata negli ultimi anni dalla Banca in campo di "formazione".
Sinteticamente: circa uno su quattro dei Collaboratori dell'Azienda sono stati direttamente interessati nel corso dell'anno 1989, mentre la restante parte del Personale lo è stata - per così dire - solo indirettamente.
A tutti i partecipanti si è cercato di "inculcare" l'opportunità di una svolta decisiva: tutto deve essere orientato al "cliente".
Per chi opera presso gli sportelli il "cliente" è quello "esterno"; per chi opera a livello di "staff" il proprio "cliente" è da individuarsi nei colleghi di "line".
Insomma, ognuno di noi, a prescindere dalla posizione che occupa nell'organigramma aziendale, ha un proprio cliente (interno o esterno) da servire.
Il Cliente è, pertanto, il Sovrano dell'Azienda.
Il principio su cui si è insistito fino all'ossessione è molto radicale, molto più di quanto possa apparire a prima vista, e reca con sè numerose conseguenze e altrettanti collegamenti facilmente intuibili.
Innanzitutto non dovremo, alla fine di questo processo di cambiamento della nostra mentalità e del nostro modus operandi, finalizzare esclusivamente la nostra azione nel "vendere di più" ciò che produciamo (anche se attualmente, ed a ragione, si cerca almeno di conseguire l'obiettivo parziale dell'incremento della vendita), ma sarà necessario produrre "bene" ciò che il cliente effettivamente richiede.

b) due casi esemplari che, forse, rispecchiano l'attuale situazione delle Aziende di credito in Italia.
Il circolo "virtuoso" da instaurare è: lo staff offre solo quello che realmente è più utile alla line (cliente interno), perché questa sia messa nelle condizioni più favorevoli per meglio servire il cliente (esterno), in ciò che egli stesso chiede che gli venga "venduto" come prodotto o servizio.
Occorre, insomma, superare l'attuale fase di settorializzazione esasperata in cui gli uffici di staff pensano e propongono ciò che ritengono sia importante "vendere" alla line e all'esterno e, in concomitanza di ciò, elaborano tantissimi strumenti di verifica e controllo sull'operato dei colleghi di periferia.
Con questo non si vuole assolutamente dire che strumenti quali il budget, ecc. o procedure di controllo o strumenti di verifica siano inutili; tutt'altro. Solo, si vuole paventare il pericolo che l'uso di questi strumenti venga assolutizzato e che, innamorandosi di essi, siano trasformati da strumenti di ausilio in finalità primarie da perseguire ad ogni costo, dimenticando, così, il fondamento (la sovranità del Cliente) ed il fine ultimo (il miglior servizio da rendere al Cliente) della nostra azione quotidiana (1).
Sono perfettamente convinto che è abbastanza semplice affermare il concetto della "Sovranità del Cliente e dell'inderogabile nostro compito di meglio servirlo"; i problemi, e non pochi, sorgono, invece, allorquando si cerca di trasformare la parola in azione e l'azione in fatto che modifica la precedente realtà.
Gli ostacoli diventano tantissimi e quasi insormontabili; poiché non si dovrà intervenire solo nei confronti di uno "specifico" comporta dell'Azienda, ma bisognerà mutare totalmente i valori e l'azione aziendali (si pensi, ad es., ai riverberi che l'affermazione di questi principii ed il loro effettivo perseguimento eserciteranno su: 1) la selezione dei futuri Collaboratori; 2) il mutamento (necessario) della natura dei rapporti oggi esistenti fra centro e periferia e di quella dei rapporti fra periferia e clientela esterna; 3) la necessità di coinvolgere il Personale tutto e di riqualificare, inevitabilmente, una parte di esso; 4) i differenti criteri di valutazione, incentivazione ed avanzamento dei Collaboratori, ecc.).
Può sembrare strano ma, a differenza di altri, credo che in quanto sopra detto non vi sia nulla di sovversivo in assoluto, anche se il mutamento richiesto provocherà, nel caso di una sua totale e sistematica affermazione, 180 gradi di variazione nella vita aziendale.
L'illogico e l'assurdo regnano, invece, proprio oggi.
La situazione odierna è caratterizzata da quello che abbiamo chiamato poco fa finalizzazione dello strumento e dal progressivo snaturamento delle figure professionali.
Un esempio significativo: laddove si sono create specializzazioni, per meglio assistere, le altre funzioni aziendali, tali specializzazioni si sono trasformate di fatto, nel corso degli anni, in tanti piccoli regni chiusi, fra i quali non esiste (o esiste con estrema difficoltà) comunicazione corretta e, di conseguenza, non v'è traccia di collaborazione proficua. L'importante, per ogni satrapo posto a capo di Aree o di Servizi centrali (uso la parola satrapo, e non viceré, principe o altra equivalente, poiché tengo conto della differente natura dei poteri e delle prerogative dei primi e che mai spettarono agli altri), è vigilare a che vengano scongiurate eventuali scorribande altrui nel proprio territorio. Vige, insomma, una sorta di maldestro accordo tacito: evitare le interferenze reciproche. Se, in qualche, e forse rarissima, circostanza, tale intesa dovesse esser violata... state tranquilli gli interessati, scandalizzati, griderebbero che l'armonia aziendale è stata compromessa... e tutto ritornerà come prima!
La (relativamente) pacifica ed ordinata convivenza, che i satrapi di molte aziende di credito si sono data, non manca di dispiegare tutti i propri nefasti influssi sulla vita quotidiana delle banche: lentezza esasperata nell'azione, quando non proprio paralisi di essa.
Un altro esempio, fra i tanti possibili, può essere interessante: si parla da lungo tempo di mentalità manageriale che deve contraddistinguere il bancario (o almeno quello che ha raggiunto certi livelli) e specialmente quello di line.
Un amico che dirige una filiale di una grande (o soltanto "grossa"?) banca, mi ha fatto riflettere tempo fa sulla buona dose di utopia contenuta in quel l'affermazione, se riferita al contesto concreto nel quale egli è costretto a lavorare.
"Possono farmi fare tutti i corsi di questo mondo per convincermi che è giusto ed indispensabile che io debba pensare e muovermi come un manager, e non più come un mero esecutore di ordini... ecc., ecc., ma di grazia quando mai io potrò agire da "manager", se tutto ciò che è rilevante per la sede in cui opero viene discusso, analizzato, pianificato, prodotto, ecc. da gente che si trova a mille chilometri di distanza e che mi sottopone a tutta una serie di controlli solo per verificare se gli obiettivi, che mi hanno (loro) fissato, sono stati raggiunti?
Come potrà operare da manager, se non mi è data la possibilità - in un contesto in cui si affermino decentramento, delega e fiducia - di colloquiare con il "Centro" e di apportare, onde perseguire meglio gli obiettivi "tout-court" aziendali, gli opportuni "aggiustamenti" per rendere più incisiva l'azione di questa sede, che opera "qui ed ora" in un certo tipo di mercato e deve fare i conti con una determinata clientela?
Che manager potrò mai essere io, che a fronte della mia firma impegnativa per X milioni, non ho a disposizione Y lire da impiegare, se mai sbagliando e dovendone poi render conto, per migliorare l'immagine della mia azienda nel territorio in cui opero?".
E' difficile non condividere, almeno in parte (2), queste considerazioni (che credo non siano riferibili solo a quella banca).
Ed è ancora più difficile sostenere la giustezza della realtà odierna delle Banche, pur se spesso questa realtà viene edulcorata. facendo ricorso ad esigenze di razionalità, efficienza, pianificazione... e chi più ne ha, più ne metta.

c) il "nuovo orientamento" non è affatto nuovo: guardiamo meglio al passato.
Nel punto precedente si è affermato che nel nuovo "orientamento" non vi è nulla di sconvolgente o di rivoluzionario in assoluto. Assurda è solo la situazione odierna.
Quello che si propone oggi come "nuovo ed indispensabile orientamento", è stato già affermato ed attuato, in situazioni socio-politico-economiche differenti nel passato.
Non meravigliatevi!
Nel 1647 il gesuita Baltasar Gracian pubblicò l'Oracolo manuale e arte di prudenza, un testo che è stato più volte ripreso ed esaminato, sotto vari profili, da molti pensatori anche in questi ultimi anni. L'opera, secondo G. Santabrogio, è utile al "giovane manager che desidera curare la propria immagine [ ... ]; per l'uomo post-industriale questo volume è un ottimo manuale di management. [ ... ] Non basta l'informazione, il vero manager deve capire le leggi costanti della vita umana: in ciò il Gracian è un gran maestro [ ... ]".
In un recente articolo G. Bortone S.I. fornisce alcune possibili chiavi di lettura del pensiero del suo confratello e richiama alcuni aforismi dei Gracian, che, specialmente ai nostri fini, assumono un significato importantissimo. Ne estraggo alcuni (senza sistematicità o pretesa di completezza):
1) la necessità dell'informazione "perché la maggior parte della vita la passiamo assumendo informazione; noi viviamo completamente sulla fede altrui" (af. n. 80);
2) la necessità del rinnovamento continuo "bisogna rinnovare il proprio splendore, l'eccellenza (neretto mio) suole invecchiare e con essa la fama; mostrare sempre nuove bellezze [...]" (af. n. 81);
3) dare grande importanza alla cultura: "l'uomo nasce barbaro e si redime [...] coltivandosi ... " (af. n. 87);
4) la necessità di comunicare e controllare la comunicazione: "Le cose non vengono tenute in conto per quello che sono, ma per quello che paiono. Valere e saperlo mostrare è valere due volte; quello che non si vede è come se non ci fosse" (af. n. 130);
5) necessità di conoscere le qualità dei collaboratori (af. n. 273);
6) necessità di saper ascoltare chi sa e chiedere consiglio a chi lo può dare (af. diversi) ed egualmente necessità di vagliare le informazioni ricevute, perché spesso esse sono parziali ed alterano la verità (af. n. 80).
Gli argomenti accennati nei sei punti rappresentano credo, specialmente oggi, alcuni fra i temi più dibattuti fra chi cerca di sciogliere i nodi che attualmente avvinghiano le imprese moderne, per renderle sempre più pronte ad affrontare il domani con consapevolezza e sempre più rapide nella loro capacità di risposta alle sfide, che quotidianamente il mercato lancia loro.

d)... e noi di Sud Puglia guardiamo meglio al nostro passato specifico: la Banca Agricola di Matino.
Appena entrato nell'allora Banca Agricola Popolare di Matino e Lecce ebbi modo di ascoltare episodi e fatti che avevano per protagonisti la ormai cessata Banca Agricola di Matino, il suo direttore Giorgio Primiceri e altri personaggi (dipendenti della Banca o clienti). Tali episodi, che venivano raccontati con insistenza e nelle più diverse occasioni, erano stati trasmessi da bocca in bocca per diversi decenni, senza che nessuno lo volesse e, probabilmente, senza che nessuno fosse lucidamente consapevole del significato racchiuso in essi.
Ve ne ricordo solo due, fra quelli che più mi hanno colpito.
- il rag. Frisenna.
Ogni impiegato di provenienza B.A.P.M.L. ha ascoltato - e non una volta sola - da qualche collega che il rag. Luigi Frisenna era solito, ai tempi "gloriosi" della Banca Agricola di Matino (la vecchia Azienda che, a seguito della incorporazione della Popolare "S. Lazzaro", diede vita alla B.A.P.M.L.), non strappare mai il rotolo della sua calcolatrice. Dopo averlo utilizzato da un lato, lo riutilizzava dall'altro. Sempre il rag. Frisenna usava intestare le buste (contenenti documenti, ecc. da inviare, tramite corriere interno, ad altre filiali) non servendosi mai della penna, ma solo della matita. La stessa busta poteva essere utilizzata più volte. Inevitabilmente, però, - a furia di cancellare e ricancellare - la fatidica busta doveva prima o poi rompersi e qui il buon rag. Frisenna interveniva nuovamente per incollare sulla parte stracciata un foglio di carta. Così la busta era pronta per affrontare un altro ciclo di utilizzo continuato e reiterato.
Si vocifera, ancora oggi, che una busta circolò, con questo sistema, da Filiale a Filiale per oltre due anni.
- da Maglie a Matino per 40 anni.
Nel 1980 lavoravo presso lo sportello di Matino. Notai che di frequente veniva, nella veste di cliente, un imprenditore di Maglie, da me conosciuto qualche anno prima ad Otranto, dove entrambi villeggiavamo.
Un giorno, mosso dalla curiosità, gli chiesi che cosa lo spingesse a venire a Matino, visto che, oltretutto, nel suo Comune erano presenti più banche.
Il cliente mi rispose con molta semplicità che preferiva da quasi 40 anni la nostra Banca alle altre, perché, nell'immediato dopoguerra, lui - giovane e squattrinato diplomato - illustrò progetti e chiese credito ad alcune banche della provincia, collezionando, dopo molti colloqui, soltanto rifiuti.
Venne poi a Matino ed espose i suoi problemi all'allora direttore Giorgio Primiceri. Costui, dopo averlo ascoltato attentamente, gli "dette" credito.
Il credito (che fu poi soprattutto una grossa iniezione di fiducia) concessogli da Giorgio Primiceri ha indissolubilmente legato quell'uomo alla Banca e, difficilmente, quel collante invisibile, ma efficacissimo, potrà venir meno. Dura, infatti, ormai da oltre 40 anni, pur non essendoci più Giorgio Primiceri e la Banca Agricola di Matino.
Altri episodi simili potrebbero esser raccontati da tanti miei colleghi.
Quel che mi preme sottolineare è che:
a) dai fatti narrati si evince che nelle condizioni tipiche di quegli anni la Banca Agricola di Matino (composta all'epoca da poche decine di persone dalle quali si richiedeva soprattutto dedizione e fedeltà all'Azienda), attraverso il pensiero e l'azione di Giorgio Primiceri, riusciva ad incarnare quei valori di fondo, proclamati 300 anni prima dal gesuita Gracian, e che oggi cerchiamo nuovamente di riportare a galla.
Ovviamente si tratta di far riemergere e far vivere quei valori in forme diverse, al fine di "eccellere" ed avere "successo".
L'importante è capire che quei valori non sono stati del tutto assenti nel nostro passato, anche se all'epoca non furono razionalmente colti da tutti. Oggi, dunque, non dobbiamo partire da "zero". Abbiamo un passato remoto, che non può più rivivere, ma del quale dobbiamo essere orgogliosi e trarre da esso gli stimoli giusti, per liberarci da tutto ciò che ci impedisce di essere attenti ed orientati verso l'esterno.
b) l'episodio del rag. Frisenna è interessante. Mi sono chiesto più volte: perché vennero narrati proprio quei fatti, e non altri?
La risposta non credo sia difficile. Probabilmente, e senza volerlo, gli anonimi e fecondi menestrelli della Banca Agricola di Matino, con le loro storie hanno trasmesso (senza, quindi, ricorrere a circolari, regolamenti, ecc. o, se esistenti, oltre essi) agli altri colleghi i "valori" portanti ed essenziali, che allora informavano l'azione dell'Azienda.
Sicuramente non vi sarà sfuggito un particolare. Se il rag. Frisenna fosse stato l'unico "folle" ad agire come agiva, certamente il suo agire non sarebbe stato reclamizzato per tanto tempo. E' evidente pure che, simultaneamente all'azione del rag. Frisenna, anche tutti gli altri colleghi si comportavano come lui, rivoltando il rotolo dall'altro lato o cancellando dalla busta la vecchia intestazione e scrivere la nuova sempre a matita. Ecco allora che dietro il "mito" del rag. Frisenna vi era l'operato di tutta l'Azienda.
Il narratore, raccontando l'episodio del rag. Frisenna, glorificava implicitamente anche se stesso e tutti gli altri componenti dell'Azienda e nello stesso tempo quel racconto recepito dal nuovo entrato agiva su di lui, come sugli altri suoi colleghi, da "valore" cui ispirare i futuri comportamenti; ed in definitiva da stile di vita aziendale.
I valori aziendali, trasmessi attraverso questi ed altri aneddoti, erano realmente vivi ed operanti.

e) ed oggi che fare?
Se si è consapevoli che tutte le aziende di credito (o la maggior parte di esse) sono afflitte da mali comuni (eccessiva burocratizzazione, mancanza di una efficace comunicazione, scarso orientamento verso l'esterno, scarsa qualità dei prodotti e dei servizi, scarso coinvolgimento del personale, ecc.), occorre muoversi con energia e risolutezza da subito.
Il piano di formazione avviato da Sud Puglia costituisce un "progetto" di itinerario scelto (fra i tanti possibili in linea teorica) dal nostro vertice aziendale. Nessuno, penso, sia in grado, oggi come oggi, di garantire il buon esito dell'iniziativa, e sarebbe assurdo, fra l'altro, porre una domanda del genere.
Se il progetto è stato ritenuto valido, occorre fare solo una cosa: percorrere senza esitazioni, e fino in fondo, l'itinerario che si dischiude all'orizzonte. Solo alla fine di quel "viaggio" potremo tirare le prime conclusioni; solo allora potremo affermare di esser riusciti a superare l'attuale situazione di impasse che - come abbiamo visto - è, pur con le dovute differenze, comune probabilmente a molte banche.
E' necessario, dunque, passare subito all'azione. Bisogna trasformare, senza perder tempo in tentennamenti o ripensamenti o manie di perfezionismo, quel progetto, giù delineato nelle sue linee essenziali, in programma concreto di azione.
E' troppo importante non perdere questa occasione di svolta radicale nella vita aziendale, se si dovesse fallire... il danno non sarebbe solo economico. Verrebbe lesa innanzitutto la credibilità dell'Azienda stessa di dare una linea ed imprimere una svolta ritenuta ormai necessaria ed indispensabile, proprio perché "globale", e nei contenuti e nell'estensione.
Nessuno si può illudere di poter cercare di migliorare uno solo degli aspetti più sopra visti (ad es. quello della qualità), pensando di non dover interessare gli altri (coinvolgimento dei personale, comunicazione, ecc.). E' forse questa la causa che ha prodotto in talune aziende il fallimento dell'esperienza del "circoli di qualità". Una volta innestato questo processo non si possono porre limiti o argini all'energia che si libererà - in maniera forse, anche incontrollata - da chi sposa il nuovo modo di pensare e, soprattutto, di agire.
E' pure logico prevedere che inevitabilmente si coaguleranno, senza chiara predeterminazione se mai, forze tendenti a frenare o a ritardare l'attuazione del nuovo "modus operandi" in nome del vecchio "ordine" esistente. Dinanzi al nuovo, il vecchio costituirà necessariamente l'ultimo baluardo per chi non può o non vuole cambiare.
E' indispensabile, pertanto, che lo sforzo che l'Azienda si accinge a compiere venga intrapreso con il "giusto" slancio.
Ed il giusto slancio è da misurarsi non alla stregua delle parole pronunziate, ma sul campo dell'azione concreta e quotidiana, che molto spesso consiste in piccole ma significativissime azioni, che fanno subito intendere, se i principii verbalmente affermati siano destinati a rimanere tali o comincino a "incarnarsi" nella viata aziendale. In questo senso l'azione è molto più eloquente della parola.

f) ognuno di noi diventi "mangiatore delle nuove idee"
In uno spettacolo teatrale degli anni '70 Giorgio Gaber, se non ricordo male, pronunziava, cantando, queste parole: "Un'idea, un concetto, un'idea è solo un'astrazione, se potessi mangiare un'idea farei la mia rivoluzione ... ".
Occorre, dunque, che le "parole" non vengano dette da buoni proclamatori, o da illustri maestri, ma pronunziate da testimoni.
Privilegiamo l'azione, dunque, perché essa, nei nostri contesti, è quanto mai chiara ed univoca nel suo significato ed è intesa da tutti con rapidità ed efficacia! (3)
Se quanto detto più sopra costituirà lo scenario del futuro aziendale, occorre qui richiamare il ruolo fondamentale che in esso sarà svolto dalla presenza dei c.d. "valori aziendali", che dovranno, in virtù della loro "evidenza", subito attirare l'attenzione del Personale.
Essi saranno i "fari" della nostra azione, anche se, per ipotesi, dovesse mancare in un dato momento il superiore o la chiara norma regolamentare o la circolare ad hoc.
Tali valori non bisogna assolutamente "inventarli" con un mero sforzo razionale, essi sono già presenti nel nostro ambiente, attendono solo di esser da noi meglio percepiti; essere innalzati sul piedistallo aziendale ed esser cantati da nuovi "trovatori", attraverso lo schermo dei "mito" dei nuovi rag. Frisenna del 2000.

g) attenzione: già qualcosa comincia a cambiare.
Il cammino che ci accingiamo a intraprendere non è semplice ed è l'unica via da percorrere; in difetto, si rischia di "chiudere" in maniera ingloriosa.
Durante il tragitto, dovremo, però, evitare sia l'ottimismo becero, che il pessimismo più nero della pece.
A ben guardare, già qualcosa comincia a cambiare nei nostri ambienti di lavoro.
- talpe operose stanno scavando cunicoli.
Vi sono alcuni colleghi (purtroppo, per ora. solo a livello individuale) che, dopo aver osservato il loro ambiente di lavoro, stanno pian pianino ma concretamente modificando il loro modo di lavorare, cercando di fare le stesse cose in maniera diversa, con notevole risparmio di tempo ed energie.... da dedicare ad altre cose più importanti, fra le quali anche quella di soddisfare le richieste di "aiuto" da parte di colleghi di altri uffici, perché anche costoro possano conseguire i benefici di cui parliamo.
Non è molto, si dirà. Ma è già qualcosa di importante, replico io; perché, tralasciando per un momento il campo specifico di intervento, queste "talpe" silenziose stanno scavando dei cunicoli sotterranei - non visibili ai più - attraverso i quali dimostrano che:
- a partire proprio dalle piccole cose, è possibile ad ogni livello incontrarsi e lavorare, al di là ed al di sopra di qualsiasi "rigido" sbarramento burocratico-funzionale, per risolvere dei problemi;
- le modalità di svolgimento del normale lavoro quotidiano cominciano a mutare;
- a un rapporto di lavoro (e di comunicazione) di tipo verticale, se ne affianca uno di tipo orizzontale;
- vi sono potenzialità nei collaboratori dell'Azienda, che oltrepassano la stretta sfera di "competenza" che ciascun di essi ha; basta dare loro l'opportunità di trasformarle in atto. Non si deve enfatizzare eccessivamente quanto sopra, visto che il fenomeno interessa, per ora, soltanto alcune persone. Il problema è, adesso un altro: quale segnale perverrà dal vertice aziendale? Di incoraggiamento e basta? O di incoraggiamento e di tentativo di incanalare queste forze spontanee verso altre forme di aggregazione (creazione di equipe? o altro ancora?), anche a costo di distogliere qualche unità dalla normale attività quotidiana?
A seconda del tipo di scelte che saranno operate, scaturiranno segnali di significato inequivocabile per il resto del personale.
- la campagna di incentivazione.
Essa si svolse nel periodo di tempo che va dal novembre '88 al febbraio '89 e costituisce un altro episodio, che ci lascia ben sperare per il futuro.
A conclusione di quella campagna, sono state tratte varie conclusioni, ma soprattutto si è capito che:
a) enunciando con chiarezza il progetto e fissando gli obiettivi;
b) fornendo gli strumenti idonei;
c) è possibile raggiungere gli obiettivi prefissati;
d) soprattutto facendo leva sul coinvolgimento del personale.
Se l'analisi dei risultati raggiunti costituisce un aspetto importante circa la valutazione da effettuare nei confronti dell'iniziativa a suo tempo intrapresa (4), io credo che ancora maggior attenzione dobbiamo prestare ad un qualcosa di stupefacente che avvenne in quei mesi sotto gli occhi di tutti noi:
- innanzitutto, l'entusiasmo con cui la quasi totalità dei collaboratori, di ogni grado e categoria, di uffici centrali e periferici, partecipò all'iniziativa;
- a differenza della normale "routine", durante la campagna non solo si agiva a livello individuale, ma ogni partecipante faceva parte di un'équipe. Tale "sistema" riusciva a "spronare" e a coinvolgere i partecipanti in maniera quasi perfetta.
Non era tanto il "non voler fare una brutta figura", ma soprattutto il "non dover danneggiare altri colleghi" (che, per simpatia umana, liberamente si erano uniti a me, nel formare quella data equipe) ciò che costituiva la molla che spingeva all'azione. In altre parole: se per un momento scemava il mio impegno, e quindi la mia responsabilità nei confronti del "gruppo", era proprio il gruppo che con la sua "azione" mi sollecitava ad agire, "rinforzando" il mio senso di responsabilità e, forse, il mio orgoglio (dimostrare, cioè, che ero degno della fiducia accordatami dai colleghi... e per dimostrare ciò non potevo che fare una sola cosa: agire e produrre risultati concreti ed immediati).
In quei mesi, dunque, si era instaurato un "clima" che spingeva continuamente all'azione e furono, così, raggiunti traguardi tali, che difficilmente sarebbe stato possibile conseguire in un altro contesto;
- anche i rapporti che si stabilirono fra le varie "équipe" presentano spunti interessanti. Pur non avendo detto o scritto nulla al riguardo, un presupposto implicito dell'iniziativa era l'estrema correttezza, che doveva contrassegnare l'attività di ogni équipe.
Si ottemperò a quel presupposto in maniera molto semplice: ogni équipe, inevitabilmente, finiva per controllare ed essere controllata dalle altre.
Anche sotto questo profilo l'esperienza della campagna è stata ricca di significato. Ai "normali" controlli "verticali" previsti per la "consueta" attività, in quei periodo venne ad affiancarsi, o fu addirittura prevalente, una sorta di "autocontrollo orizzontale" diffuso in tutta l'azienda.
- si è visto, infine, che "a prescindere dai gradi" e dalle "categorie" - in presenza di quanto elencato più sopra ai punti a, b, c e d - tutti possono concorrere alle fortune dell'Azienda e con esse, o dietro esse, migliorare la propria posizione personale.
- a fine "campagna" è stato importante constatare Che, ad es., la signorina Esposito aveva "stipulato" ben 289 "contratti" o che il sig. Garofalo aveva battuto ai "punti" tutti gli altri concorrenti, ma il vero "K.O." inaspettato, e quindi ancor più stupefacente, è venuto dal centralinista della Direzione Generale (82 "contratti" per 320.000 punti).
Nessuno vieta a questa Azienda, in ipotesi, di acquistare una centrale perfettissima, capace di smistare le telefonate molto più velocemente (e senza errore) rispetto al buon Lamberto Felline, e, a differenza di costui, tale centralina non avvertirebbe nemmeno l'esigenza di "prendere" un caffè e non soffrirebbe, di tanto in tanto, degli sbalzi di umore causati da disturbi gastrici. Anzi, probabilmente, l'ipotetica centralina saprebbe fare tantissime altre cose, ma non riuscirebbe mai e poi mai a dare e a fare quello che Lamberto Fellini ha dato e fatto, o potrà dare e fare, se coinvolto ed incentivato. Ecco la vera "forza" aziendale su cui impostare il futuro: l'uomo.
Il segreto, forse, è tutto qui!


NOTE
1) E' bene precisare che con l'espressione "sovranità del Cliente", o con quella "essere al servizio del Cliente", non si vuole assolutamente alludere, e giustificare, possibili "pretese" capotiche di un singolo cliente, tendenti ad ottenere trattamenti privilegiati. Si fa riferimento, invece, al termine "cliente" come "clientela", o a una "fascia" o "segmento" di essa, ed alle sue reali esigenze.
2) Resta da verificare, se il mio amico sia effettivamente giù "in possesso" di quella "mentalità manageriale", che giustificherebbe la (richiesta di) attribuzione di "poteri" tipici del "manager". Se ciò non fosse, l'atteggiamento della sua banca probabilmente sarebbe suscettibile di altra valutazione.
3) Ovviamente, anche la "fonte" dell'azione contribuisce a conferire ad essa un certo grado di rilevanza e di risonanza; tanto da poter affermare che se l'identica azione scaturisse da altra (e meno elevata) fonte aziendale, questa non potrebbe mai assumere lo stesso grado di rilevanza e risonanza di quella proveniente dalla fonte più elevata.
4) Non è male riportare quanto ebbe a scrivere la Direzione nel marzo '89: "prima di cominciare la campagna si riteneva, da parte di taluni, che in determinate "zone" sarebbe stato estremamente difficile piazzare un dato prodotto, giacché ormai da tempo la dipendenza aveva occupato lo spazio più significativo del mercato. I risultati della compagna hanno evidenziato esattamente il contrario. il "tetto" era ben lontano dall'essere stato raggiunto, anzi ... ".


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