§ Il manifesto dei vescovi italiani

Sviluppo nella solidarietà




Franco Compasso



Non è azzardato affermare che, nell'anno scorso, l'avvenimento più importante nel dibattito meridionalista possa essere giustamente considerato il documento dell'episcopato italiano. Fin dal suo titolo fortemente significativo ("Sviluppo nella solidarietà"), il documento stimola riflessioni ed approfondimenti ed induce ad un conseguente e coerente impegno civile per rimuovere la cause storiche e politiche di ritardi e divari.
Già nel passato, i vescovi delle diocesi meridionali pubblicarono, in data 25 gennaio 1948, una lettera collettiva nella quale era posta in primo piano l'esigenza della riforma agraria.
Certo, dal 1948 ad oggi la situazione economico-sociale del Mezzogiorno è radicalmente mutata, anche se permane un consistente divario tra il, Nord ed il Sud, pur in presenza di innegabili progressi compiuti dalle regioni meridionali.
A scanso di equivoci bisogno sottolineare che, mentre la lettera collettiva del 1948 fu elaborata dai soli (o non tutti) vescovi meridionali ed i suoi contenuti erano prevalentemente rivolti ai problemi della ricostruzione e alla riforma agraria (le occupazioni delle terre erano contestuali), l'attuale documento impegna tutto l'episcopato italiano, a dimostrazione che la questione meridionale - anche per i vescovi - è una questione - nazionale, anzi è la questione prioritaria della politica italiana ed europea.
Si comprende, perciò, molto bene come siano mutati anche per la CEE i termini della questione meridionale e come il documento abbia i contenuti di un "manifesto" programmatico di ampio respiro culturale e di grande spessore politico. E' evidente, sotto questo profilo, che i vescovi si propongano l'obiettivo di "generare una presa di coscienza collettiva dei problemi che ancora gravano sul Mezzogiorno, nel contesto di tutto il Paese", depurando pertanto la questione meridionale dei suoi caratteri impropri di questione regionale e locale, per inserirla in un contesto nazionale ed europeo. E, riaffermando in pieno i valori propri del magistero morale della Chiesa, i vescovi si propongono con il loro documento di "stimolare un impegno di sviluppo autonomo ed integrate delle regioni meridionali", riaffermando in tal modo l'urgente necessità di una politica che punti a far crescere nel Sud capacitò ed energie endogene.
Il problema del Mezzogiorno si configura, pertanto, come una grande questione morale: non solo perché persistono squilibri e diseguaglianze con il Nord, ma soprattutto perché la politica ha perso del tutto nel Sud credibilità e moralità, essendosi manifestata con il volto deteriore e ripugnante del clientelismo, della corruzione, dell'affarismo. La conseguenza di ciò è un tipo di sviluppo "incompiuto, distorto, dipendente e frammentato". E, d'altra parte, i risultati parlano da soli: come ci ricorda annualmente il rapporto Svimez, il tasso di disoccupazione nel Sud ha superato il 20% e per i giovani fino ai 29 anni sale ad oltre il 45%, di contro al 78% al Centro-Nord.
Il documento dei vescovi - per i suoi toni di aperta denuncia, per il forte richiamo al primato dell'uomo sulle cose, per la riaffermazione chiara e netta della centralità dello sviluppo di fronte ai meccanismi dei mercato - si iscrive nella coerenza di una linea culturale ed eticopolitica che è il nucleo essenziale di quel meridionalismo della ragione che non si è mai stancato di combattere il potere rozzo ed arrogante dei nuovi padroni e padrini, arroccati nei baronati del Sud, nei cui meandri la politica si intreccia con l'affarismo e la corruzione stritola uomini ed istituzioni. La necessità di una prospettiva etica, richiamata con forza di idee e ragionamenti dal documento, è il rifiuto di una logica di mercato dominata da automatismi che collocano ai margini del processo di sviluppo valori sociali ed umani propri dei cittadini più deboli e delle aree più periferiche.
Una politica per il superamento della questione meridionale deve mirare al territorio, attivare nuove iniziative per gli investimenti e realizzare un tessuto capillare di sviluppo con l'allargamento della base produttiva del Mezzogiorno. In questa direzione bisogna favorire lo sviluppo delle piccole e medie imprese che rappresentano il tessuto connettivo più solido e territorialmente più articolato dell'apparato produttivo del Mezzogiorno.
La parte più viva ed incisiva del documento è quella in cui i vescovi italiani individuano nella "organizzazione forte ed autonoma della società civile" il fattore decisivo per lo sviluppo del Mezzogiorno. E' richiamata in quest'affermazione la denuncia storica della debolezza strutturale nel Sud della società civile rispetto alle istituzioni e al nuovo potere, un potere in feudato ai nuovi baroni della vita pubblica, pensosi soltanto di accrescere i loro "possedimenti", di impinguare le loro fameliche clientele, di estendere i loro artigli su una società frantumata, quindi impotente ed indifesa.
La centralità dell'uomo che deve riappropriarsi degli spazi propri, in piena autonomia e responsabilità, attivando la sua responsabile partecipazione alla vita pubblica. è la condizione prioritaria perché si definisca il ruolo stesso della politica, perché la politica abbia una sua moralità.
La moralità della politica - e, quindi, la sua umanità e verità - è il frutto dell'uomo, della sua partecipazione, del suo impegno civile nella rottura del "sistema" di malgoverno e corruzione che imperversa nel Sud. E' benemerita l'azione della Chiesa: l'impegno civile dei suoi vescovi nel Sud è la testimonianza piena e viva di quanto sia tuttora forte l'ingiustizia in cui vive il Mezzogiorno. Siamo chiamati tutti a sradicare la "malapianta" della corruzione e del clientelismo che avvelena la terra meridionale.

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