Le piazze del plebiscito




A.P., G.M.



Esistono episodi della storia d'Italia Che, pur condizionando ancora la nostra esistenza, restano noti solo ad una minoranza di specialisti. Si prenda, ad esempio, il cosiddetto "plebiscito", che nell'autunno 1860 sanzionò l'ingresso delle Due Sicilie nel Regno d'Italia. Un evento non certo trascurabile. Eppure, i testi scolastici gli dedicano sì e no un paio di righi, quasi preferissero sorvolare su un fatto imbarazzante.
Dopo la fuga di Francesco II a Gaeta, gli animi degli anti-borbonici erano profondamente divisi. Mazzini, che sognava la repubblica, vedeva l'annessione come il fumo negli occhi. Garibaldi la voleva, ma più tardi, dopo la conquista di Roma. Cavour invece la pretendeva subito, e ancora una volta la spuntò facendo prontamente approvare dal Parlamento una legge che stabiliva le modalità. Anche Vittorio Emanuele II, quando varcò i confini del Napoletano al comando delle proprie truppe, tenne a ribadire alle popolazioni meridionali il senso democratico di quella legge: "Non vengo ad imporvi la mia volontà, ma a far rispettare la vostra. Voi potrete liberamente manifestarla".
La legge prevedeva l'annessione volontaria delle province dell'Italia centro- meridionale, a seguito d'una votazione espressa "liberamente e per suffragio diretto universale". Diciamo subito che quel 21 ottobre l'impegno non venne mantenuto. Il regolamento elettorale stabiliva, infatti, che nei seggi fossero predisposte "tre urne, una vuota nel mezzo, e due laterali, in una delle quali saranno preparati i bullettini coi sì, e nell'altra quelli del no, perché ciascun votante prenda quello che gli aggrada e lo deponga nell'urna". In parole povere, si toglieva con una mano ciò che si dava con l'altra.
Un testimone attendibile di quei fatti fu l'ammiraglio inglese George Rodney Mundy, il vice-comandante della "Mediterranean Fleet". Scrutando col binocolo la costa, Mundy aveva nei mesi precedenti seguito dalla plancia della sua nave buona parte dell'impresa dei Mille. Osservando da neutrale quei drammatici combattimenti, egli si sentiva quasi come l'arbitro d'una partita di calcio, correttamente imparziale, anche se le sue preferenze andavano ai garibaldini. La resa di Palermo era stata, appunto, firmata ci bordo dell'"H.M.S. Hannibal", dal momento che anche i borbonici avevano accettato Mundy quale mediatore.
La domenica del referendum, la divisione navale comandata da Mundy si trovava alla fonda nella rada di Napoli. Il cielo sembrava coperto da una cappa plumbea e l'aria era carica di elettricità. In giro c'era parecchia tensione. Pochi giorni prima, sotto le finestre dell'albergo nel quale alloggiava Mazzini, si era gridato "morte ai repubblicani", e c'erano stati dimostrazioni e disordini. Anche questa volta, come era già accaduto nel 1799, la plebe appariva contraria alla novità: "Dovunque i galantuomini, cioè parte della nobiltà e quasi tutta la borghesia, si dichiaravano per il sì, per il no o indifferenti erano i cafoni, cioè il popolo minuto" (A. Gori).
L'ammiraglio Mundy non resistette alla tentazione di scendere a terra per dare un'occhiata al seggio elettorale sistemato sotto il porticato di San Francesco di Paola. Ciò che vide lo lasciò sbalordito: "Ogni elettore [...] doveva salire alcuni gradini, pervenendo così su una piattaforma, dove erano collocate tre urne". Quindi, sotto lo sguardo d'i tutti, "l'elettore doveva camminare verso una di esse, immergervi il braccio ed estrarre una scheda. Ciò significava votare pubblicamente nel più chiaro senso della parola" (G.R. Mundy, nella traduzione di A. Rosada). Un'immagine del seggio di Monte Calvario, pubblicata il 10 novembre dall'Illustrated London News, appare ancora più eloquente. Vi si noto, infatti, un "lazzarone" con un sì appuntato vistosamente sulla camicia, davanti al quale un timoroso elettore dopo aver compiuto il suo dovere si esibisce in un'ampia e rispettosa scappellata. Nel contempo, un altro giovanotto dall'occhio torvo, seminascosto accanto all'urna del no, si tiene pronto ad annotare i nominativi degli eventuali dissenzienti.
Secondo la versione ufficiale, quando il 3 novembre nella piazza San Francesco di Paola il presidente della Corte Suprema di Giustizia, Vincenzo Niutta, proclamò i risultati, "la moltitudine proruppe in applausi fragorosissimi; la guardia nazionale presentò le armi, e le salve dei forti e delle navi annunziarono alla città il fausto avvenimento". Dietro tanta magniloquente retorica si celava una realtà ben diversa. Invece d'i un "popolo immenso", nella piazza si erano raccolte solo poche centinaia d'i persone stanche e annoiate. Così almeno esse parvero al corrispondente dell'Illustraterd London News che, affacciato ad un balcone del palazzo Salerno, rimase colpito dall'esiquità della folla e dalla sua "relativa mancanza d'entusiasmo". Sul circa 6.500.000 abitanti delle 15 province napoletane, i favorevoli all'annessione risultarono 1.302.064 e i contrari appena 10.312. Ma quanto valevano quelle cifre? Lammiraglio Mundy sintetizzò così il suo pensiero: "Un plebiscito a suffragio universale regolato da tali formalità non può essere ritenuto veridica manifestazione dei reali sentimenti di un Paese".
Da quel momento, Napoli e il suo ex Regno entrarono a far parte dell'Italia, ma il referendum che avrebbe dovuto sanzionare la legittimità dell'unione contribuì, invece, a generare sin dall'inizio sfiducia nel nuovo Stato e nella sua maniera di amministrare la giustizia. Eppure, se il voto fosse stato segreto, e quindi libero, gli annessionisti (con Garibaldi che si era ormai schierato dalla loro parte) avrebbero vinto ugualmente. Ma al posto di un successo ragionevole si volle un trionfo schiacciante, e per ottenerlo non si esitò a ricorrere alle intimidazioni e alla violenza, vale a dire alle antiche armi della camorra. il borbonico De Sivo fece un lungo elenco dei misfatti perpetrati durante la consultazione popolare. Le votazioni si tennero a Napoli e altrove In "un giorno di spavento", sotto il controllo minaccioso di "cinquantamila garibaldini e migliaia di onnipotenti camorristi sparsi per ogni parte". Intanto, nelle province scorrazzavano squadre di facinorosi, i quali profittavano dell'anarchia per ricattare impunemente la povera gente. De Sivo certo esagera, ma la sua versione dei fatti non dev'essere troppo distante dalla verità. Quelli erano giorni difficili, molti scelsero il sì per quieto vivere, ed altri si limitarono ad esprimere il dissenso chiudendosi in casa. Solo pochi coraggiosi osarono sfidare la piazza e dichiarare pubblicamente il proprio no.
Francesco Il scrisse a tutti i sovrani d'Europa protestando contro l'ingiustizia di quel falso plebiscito, ma le sue lettere non ottennero alcun risultato. Non gli restò, allora, che sovvenzionare il brigantaggio e forse ricorrere - come qualcuno disse - all'arma segreta dei poteri occulti. Mentre a bordo del Messaggero navigava alla volta di Gaeta, previde infatti per i suoi sudditi un fosco avvenire: disse che sarebbero rimasti loro " solo gli occhi per piangere ... ". Pur non credendo a queste cose, occorre tener conto che il frequente verificarsi - presto o tardi - della nemesi storica è confermato dalla statistica. Povertà e criminalità organizzato stanno prosciugando anche le ultime lacrime e non solo a Napoli.

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